N. 98 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 13 - 21 settembre 2011
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 21 settembre 2011 (della Regione Emilia-Romagna). Amministrazione pubblica - Impiego pubblico - Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria - Attribuzione ad uno o piu' regolamenti di delegificazione del compito di dettare misure di razionalizzazione e contenimento della spesa in materia di pubblico impiego, e specificamente sulla limitazione della crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni, sulle modalita' di calcolo relative all'erogazione dell'indennita' di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017, sulle procedure di mobilita' del personale, sulla valorizzazione ed incentivazione dell'efficienza di determinati settori, sulla individuazione degli enti destinatari in via diretta delle misure di razionalizzazione della spesa - Lamentata incidenza con regole di dettaglio sull'organizzazione e sulla finanza regionale, nonche' sugli enti dipendenti dalle Regioni e sugli enti locali, lamentato utilizzo della fonte regolamentare in materia di legislazione concorrente, e in subordine, mancata intesa con la Conferenza Stato-Regioni - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, lesione dell'autonomia regionale, violazione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 16, comma 1, lett. b), c), d), e), f). - Costituzione, artt. 114, 117, commi terzo e sesto, e 118. Istruzione - Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria - Misure per la razionalizzazione della spesa relativa all'organizzazione scolastica - Riduzione, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012, del numero di scuole dell'infanzia, primarie e secondarie mediante la formazione di istituti comprensivi, nonche' previsione che gli stessi acquisiscano l'autonomia se aventi almeno 1.000 alunni - Lamentata incidenza con regole di dettaglio, e a due mesi dall'inizio dell'anno scolastico, sui piani di dimensionamento della rete scolastica gia' programmati, nonche' mancata concertazione Stato-Regioni - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente dell'istruzione, violazione dei principi di leale collaborazione, ragionevolezza e proporzionalita'. - Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 19, comma 4. - Costituzione, artt. 3, 97, 117, commi terzo e quarto, e 118.(GU n.46 del 2-11-2011 )
Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta Regionale n. 1271 del 5 settembre 2011 (doc. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale a margine del presente atto, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'Avv. Manzi, in Roma, via Confalonieri, n.53; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 6 luglio 2011 , n. 98, convertito con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, recante Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 164 del 16 luglio 2011, con riferimento alle seguenti disposizioni: art. 16, comma 1, lettere: b); c; d); e); f); art. 19, comma 4; per violazione: della Costituzione, e segnatamente degli articoli: 3; 97; 114; 117, commi 2, 3, 4, 6; 118; dei principi costituzionali di leale collaborazione, ragionevolezza e proporzionalita'; nei modi e per i profili illustrati nel presente ricorso. Fatto Nella Gazzetta Ufficiale n. 164 del 16 luglio 2011 e' stata pubblicata la legge 15 luglio 2011, n. 111, recante Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, la quale ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 6 luglio 2011 , n. 98. Pur comprendendo le cogenti ragioni finanziarie che hanno determinato il ricorso al predetto decreto, la Regione ritiene che - anche per i tempi ristretti che hanno dovuto caratterizzare l'emanazione e la conversione del decreto-legge - in diversi casi non sia stato possibile dedicare la necessaria attenzione al rispetto dei rapporti tra lo Stato e le Regioni come definiti dalla Costituzione. Essa comunque con il presente ricorso concentra la propria impugnazione su due soli gruppi di disposizioni, e precisamente da un lato le disposizioni di cui all'art. 16, comma 1, lettere b), c), d), e), f), in materia di organizzazione e personale regionale, dall'altro l'art. 19, comma 4, in materia di organizzazione scolastica. Tali disposizioni, infatti, sono ad avviso della ricorrente Regione costituzionalmente illegittime e lesive delle competenze regionali per le seguenti ragioni di Diritto 1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 1, lettere b), c), d), e) ed f). L'art. 16, comma 1, del d.l. n. 98/2001, affida ad uno o piu' regolamenti di delegificazione ex articolo 17, comma 2, legge n. 400/1988 il compito di dettare misure di «razionalizzazione e contenimento della spesa in materia di pubblico impiego». Tra l'altro, queste misure prevedono la possibilita' di: lett. b): prorogare fino al 31 dicembre 2014 le vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni; lett. c): fissare le modalita' di calcolo relative all'erogazione dell'indennita' di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017; lett. d): semplificare, rafforzare e rendere obbligatorie le procedure di mobilita' del personale tra le pubbliche amministrazioni; lett. e): differenziare l'ambito applicativo delle disposizioni di cui alle lettere a) e b), in ragione dell'esigenza di valorizzare ed incentivare l'efficienza di determinati settori; lett. f): includere tutti i soggetti pubblici - escluse unicamente le regioni e le province autonome e gli enti del servizio sanitario nazionale - fra gli enti destinatari in via diretta delle misure di razionalizzazione della spesa, in particolare quelle previste dall'articolo 6 d.l. n. 78/2010, n. 78 (convertito in legge n. 122/2010). E' agevole constatare che tali misure, pur non essendo rivolte specificamente alle Regioni, le riguardano direttamente: la lett. b) e d) in quanto il trattamento economico del personale incide sull'organizzazione e sulla finanza regionale; la lett. d), specificamente, in quanto la disciplina della mobilita' incide sulla possibilita' e sulle modalita' del reclutamento del personale regionale, e dunque sulla autonomia organizzativa della Regione (si pensi ad esempio ai delicati problemi del settore sanitario, in relazione all'urgenza ed alla specificita' delle professionalita' richiesta); la lett. e) perche' la sua applicazione puo' portare i settori di competenza regionale ad essere discriminati rispetto agli altri, con conseguenze sulla funzionalita' dei servizi. Non le riguarda direttamente la lett. f), e tuttavia la norma rimane comunque lesiva, in quanto contempla la possibilita' che le misure restrittive possano essere applicate direttamente agli enti dipendenti dalla Regione. Inoltre, la stessa lettera, nella sua genericita', rende possibile estendere agli enti locali misure restrittive delle quali esse non fossero sinora destinatari: sotto questo profilo la Regione impugna a difesa della autonomia costituzionale ad essi riconosciuta. D'altronde, le misure restrittive incidono sulla possibilita' di tali enti di svolgere le attivita' ed i servizi di interesse regionale. Ad avviso della ricorrente Regione tale disposizione risulta costituzionalmente illegittima, sotto i profili di seguito illustrati. Nella individuazione della «materia» costituzionale di riferimento delle disposizioni ora indicate e' necessario fare riferimento all'insegnamento di codesta Corte, la quale anche di recente ha ribadito come «per la identificazione della materia in cui si colloca la disposizione impugnata, questa va individuata avendo riguardo all'oggetto o alla disciplina da essa stabilita, sulla base della sua ratio, senza tenere conto degli aspetti marginali e riflessi» (sentenza n. 235/2010). Sulla base di tale criterio, e' la stessa disposizione impugnata a rendere palese la propria finalita' di «assicurare il consolidamento delle misure di razionalizzazione e contenimento della spesa» (art. 16, comma 1, cit.): ne consegue che le misure in questione risultano chiaramente riconducibili alla materia del coordinamento della finanza pubblica di cui all'art. 117, comma 3, Cost.. Tuttavia, esse risultano violare i principi costituzionali di tale materia, sia sotto il profilo formale che quello sostanziale. Per quanto riguarda innanzitutto l'aspetto formale (in particolare, del tipo di fonte normativa impiegata), e' evidente che i principi statali di tale materia dovrebbero essere fissati con atto avente rango legislativo (in accordo con la regola recata dal medesimo comma 3, secondo cui nelle materie di legislazione concorrente la determinazione dei principi fondamentali e' «riservata alla legislazione dello Stato»). Tanto piu' ove si rammenti che - nelle materie di legislazione concorrente - la potesta' regolamentare e' inutilizzabile da parte statale, essendo a priori riservata alle Regioni ex art. 117, comma 6, Cost. In violazione di tali regole, al contrario, la norma impugnata rimette invece la definizione delle misure di contenimento della spesa pubblica alla fonte regolamentare. Di qui, una prima ragione di illegittimita' costituzionale. Ma le disposizioni impugnate risultano altresi' illegittime per un secondo ordine di ragioni. Come noto, infatti, codesta Corte ha chiaramente stabilito che il legislatore statale, con «disciplina di principio», puo' legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004). Tuttavia, il rispetto dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali richiede che tali vincoli riguardino unicamente l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo «in via transitoria» - la crescita della spesa corrente degli enti autonomi. In definitiva, alla legge statale e' consentito di stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 88 del 2006, n. 449 e n. 417 del 2005, n. 36 del 2004). Su tali basi, codesta Corte ha riconosciuto legittime disposizioni statali che intervenivano sulla spesa del personale delle autonomie regionali (in considerazione della sua natura di «rilevante aggregato della spesa di parte corrente»), ma limitandosi a prevedere l'ammontare complessivo del risparmio (in quel caso, in particolare, si prevedeva che le Regioni - e non certo un regolamento governativo! - adottassero «misure necessarie a garantire che le spese di personale [... ] non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1 per cento»: art. 1, comma 198, legge n. 266/2005). Tale disposizione statale e' stata fatta salva da codesta Corte in considerazione del fatto che essa «non prescrive ai suoi destinatari alcuna modalita' per il conseguimento dell'obiettivo di contenimento della spesa per il personale, ma lascia libere le Regioni di individuare le misure a tal fine necessarie», differenziandosi cosi' da precedenti disposizioni dichiarate incostituzionali, in quanto recanti «limiti puntuali a specifiche voci di spesa» (sentenza n. 169 del 2007). Nel presente caso, pare alla ricorrente Regione che le disposizioni statali contestate -all'opposto di quanto ora ricordato - riservino alla fonte statale (regolamentare) la specificazione delle modalita' per il conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, al contempo privando le Regioni di qualunque possibilita' di individuare le misure allo scopo necessarie. E' infatti lo Stato a disporre direttamente la limitazione alla crescita dei trattamenti economici (lett. b)) (addirittura riservandosi discrezionalmente di determinare i settori specifici ai quali applicare tale limitazione: lett. e)), la definizione dell'ammontare dell'indennita' di vacanza contrattuale (lett. c), il ricorso obbligatorio a procedure di mobilita' tra pubblica amministrazione (lett. d): in tal modo, dunque, non si enunciano principi della materia, ma si stabiliscono concrete regole di dettaglio. Su tale base, le disposizioni indicate risultano incostituzionali per violazione dell'articolo 117, comma 3, Cost. in materia di coordinamento della finanza pubblica e dell'articolo 114 Cost. per lesione dell'autonomia regionale. In subordine, ove si dovesse ritenere legittima la competenza statale relativa alla estensione in via amministrativa delle specifiche e dettagliate misure di contenimento della spesa per il personale contenute nelle disposizioni impugnate - ugualmente risulta evidente che sia la competenza regionale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica che l'evidente e rilevante impatto delle disposizioni statali sull'organizzazione amministrativa regionale avrebbero richiesto che la decisione in relazione alle misure di contenimento della spesa per il personale fosse subordinata all'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, secondo i ben noti principi codificati in materia da codesta ecc.ma Corte costituzionale. La mancata previsione dell'intesa, all'opposto, determina la lesione del principio di leale collaborazione, in connessione con l'articolo 118 Cost. 2. Illegittimita' costituzionale dell'articolo 19, comma 4. L'art. 19, comma 4, del decreto n. 98 stabilisce che «al fine di garantire un processo di continuita' didattica nell'ambito dello stesso ciclo di istruzione, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012, la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e quella secondaria di primo grado sono aggregate in istituti comprensivi, con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di primo grado»; dispone altresi' che «gli istituti comprensivi per acquisire l'autonomia devono essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche». Tali regole (la necessita' che le istituzioni scolastiche abbiano un assetto organizzativo di carattere «comprensivo», il numero minimo di alunni per scuola, la riduzione, in certi casi, del numero minimo) riguardano l'offerta formativa, la programmazione e il dimensionamento della rete scolastica: tutti aspetti della organizzazione scolastica, ricadente nella materia «istruzione», oggetto di potesta' regionale concorrente, ai sensi dell'articolo 117, comma 3, Cost. Sul punto la giurisprudenza costituzionale appare assolutamente costante (da ultimo v. la sent. 92/2011, punto 7.1; tra le precedenti v. le sentt. nn. 200/2009, 34/2005, punto 7, 13/2004). E' invece escluso che esse siano riconducibili alle «norme generali sull'istruzione» riservate allo Stato. Esse non toccano i «cicli» dell'istruzione, non regolano in alcun modo le «articolazioni cicliche» e le «finalita' ultime» del sistema dell'istruzione. Non riguardano «la previsione generale del contenuto dei programmi delle varie fasi e dei vari cicli del sistema», ne' «la regolamentazione delle prove che consentono il passaggio ai diversi cicli», ne' «la valutazione periodica degli apprendimenti e del comportamento degli studenti del sistema educativo di istruzione e formazione» (per riprendere taluni contenuti delle «norme generali», come puntualizzati dalla sent. 200/2009). Cosi' individuata la materia di riferimento, e' da escludere che il censurato comma 4 esprima principi fondamentali nella materia dell'istruzione. Occorre in proposito ricordare che - con considerazione delle peculiarita' di tale materia (anche alla luce «norme generali sull'istruzione», attribuite alla competenza esclusiva dello Stato) - la Corte ha avuto modo di individuare lo spazio specifico della legislazione regionale nelle «valutazioni coinvolgenti le specifiche realta' territoriali delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico»; cio' si traduce - sul piano della struttura dei principi - nella necessita' che essi lascino spazio per una attuazione regionale, e non per una pura attivita' di esecuzione (sent. n. 200/2009). In altri termini, in ordine al dimensionamento della rete scolastica sussiste costituzionalmente uno «spazio» non occupabile dallo Stato. Si potrebbe dire che - come in certi casi taluni contenuti normativi non possono non essere «di principio» (con radicale esclusione della legislazione regionale: sent. 438/2008) - cosi', simmetricamente, taluni contenuti normativi non possono che essere «di dettaglio» (con esclusione - in relazione a quei contenuti - della potesta' statale). Poste tali premesse, ad avviso della ricorrente Regione le disposizioni impugnate non superano il test di legittimita'. Cio' vale in primo luogo per la prima norma ricavabile dalla disposizione impugnata, la norma secondo la quale non possono esservi istituzioni scolastiche autonome che non riguardino insieme la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e quella secondaria di primo gado, escludendo radicalmente e in via assoluta qualunque possibilita' di apprezzamento delle particolarita' locali, imponendo una attivita' regionale di mera esecuzione. Al contrario, tale imposizione non puo' giustificarsi - come fa la disposizione impugnata - sulla base di un criterio di «continuita' didattica», la quale non e' ne' favorita ne' ostacolata dalla autonomia dell'organizzazione scolastica (del resto tale arbitraria giustificazione e' contraddetta dalla stessa rubrica dell'art. 19, che fa piu' sincero riferimento alla «razionalizzazione della spesa relativa all'organizzazione scolastica»). Invece, la norma in questione rende mere appendici organizzative scuole che hanno una identita' ed una tradizione, che costituiscono esse stesse una risorsa. Ne' puo' essere giustificata sulla base di un vincolo finanziario, dal momento che le decisioni regionali si svolgono sempre all'interno di un quadro di risorse organizzative deciso insieme allo Stato o direttamente dallo Stato. Le norme sul numero minimo di alunni, per parte loro, vincolano anch'esse in modo rigido, senza una ragione razionale, le possibili scelte regionali, da effettuare sulla base da un lato della valutazione delle risorse disponibili - a partire dalla risorsa del personale, determinata dallo Stato (vincolo che qui non si contesta) - dall'altro delle caratteristiche locali. Anche in questo caso, dunque, non si tratta di un principio, ma della definizione dei dettagli che precludono l'esercizio di scelte che sono la ragione stessa dell'autonomia che la Costituzione riserva alle Regioni. La censura non viene certo meno per il fatto che il vincolo posto alle Regioni e' differenziato per le piccole isole, per i comuni montani e per le aree geografiche caratterizzate da particolarita' linguistiche: la logica, infatti, e' sempre quella del limite rigido, fissato in generale per tutte le «piccole» isole, per tutti i Comuni montani, per tutte le aree linguisticamente particolari. Ed e' inoltre escluso che altre ragioni possano giustificare una bacino di studenti piu' ridotto per l'istituzione scolastica, mentre peculiarita' locali meritevoli di apprezzamento sussistono (possono sussistere) in tutto il territorio (si pensi alla diversita' nella densita' demografica, nella rete dei trasporti e dei servizi in genere, nella provenienza sociale degli alunni, ecc.). Sembra chiaro che se si tolgono alle Regioni queste scelte, si compromette la ragione stessa della loro competenza costituzionale. Del resto, conferma dello spessore della competenza regionale in materia di istruzione, e della impossibilita' di riconoscere alle regole sul dimensionamento degli istituti natura di principi fondamentali, si ha nella normativa precedente all'intervento del decreto legge n. 98, come letta dalla giurisprudenza costituzionale. Gia' anteriormente alla riforma del titolo V, il regolamento del d.P.R. 18 giugno 1998, n. 233 riconosceva che i «piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche ... sono definiti in conferenze provinciali di organizzazione della rete scolastica, nel rispetto degli indirizzi di programmazione e dei criteri generali, riferiti anche agli ambiti territoriali, preventivamente adottati dalle regioni (art. 3, comma 1: norma valorizzata dalla Corte costituzionale con la sent. 34/2005, che ha ritenuto non in contrasto con la Costituzione la disposizione della Regione Emilia-Romagna, per la quale spetta al Consiglio regionale, su proposta della Giunta, approvare i "criteri per la definizione dell'organizzazione della rete scolastica, ivi compresi i parametri dimensionali delle istituzioni scolastiche"); d'altro canto, la "popolazione, consolidata e prevedibilmente stabile almeno per un quinquennio, compresa tra 500 e 900 alunni" - che l'art. 2, comma 2, dello stesso regolamento indicava come parametro per riconoscere autonomia all'istituzione, valeva - testualmente - solo "di norma": lasciando quindi ampio spazio di adattamento normativo alla realta' locale. Successivamente alla riforma costituzionale del 2001, il regolamento 20 marzo 2009, n. 81 (art. 1, comma 1) ha stabilito che «alla definizione dei criteri e dei parametri per il dimensionamento della rete scolastica e per la riorganizzazione dei punti di erogazione del servizio scolastico» si provvedera' con regolamento, adottato "previa intesa in sede di Conferenza unificata", sulla base dell'articolo 64, comma 4-quinquies, d.l. n. 112/2008, cono. in legge n. 133/2008. Sennonche', la base legislativa costituita dal citato comma 4-quinquies si limita a rinviare al precedente comma 4, lettera f-ter), dichiarato incostituzionale con la sent. N. 200/2009. Ancora: il decreto-legge n. 112/2008 (articolo 64, comma 4, lett. f-bis) rimetteva ad un regolamento la «definizione di criteri, tempi e modalita' per la determinazione e articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica ...»: ma anche tale disposizione e' caduta sotto la censura della sent. n. 200/2009. Ora, al di la' della incostituzionalita' di tali previsioni, esse dimostrano che per lo Stato stesso il dimensionamento della rete scolastica era «questione» regolamentare, questione che come tale e' stata assunta nel riparto delle competenze attuato con il nuovo Titolo V, e come tale e' stata considerata fino all'odierno intervento legislativo. Ancora, le disposizioni impugnate non possono giustificarsi neppure come espressione di coordinamento della finanza pubblica, come pure la rubrica sopra ricordata dell'art. 19 potrebbe indurre a credere. Anzitutto, esse non pongono limiti alla complessiva spesa regionale, o ad aggregati significativi della stessa, tali da consentire alla Regione adeguati spazi per un autonomo adeguamento (come vuole la giurisprudenza richiamata al punto 1). In secondo luogo, occorre tenere conto del fatto che la autonomia regionale sulla organizzazione della rete scolastica si esplica nel rispetto del contingente di personale complessivamente attribuito dallo Stato alla rete della Regione: come risulta confermato, tra l'altro, dal comma 7 dell'articolo 19 (non impugnato dalla Regione), secondo il quale «a decorrere dall'anno scolastico 2012/2013 le dotazioni organiche del personale docente, educativo ed ATA della scuola non devono superare la consistenza delle relative dotazioni organiche dello stesso personale determinata nell'anno scolastico 2011/2012 in applicazione dell'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, assicurando in ogni caso, in ragione di armo, la quota delle economie lorde di spesa che devono derivare per il bilancio dello Stato, a decorrere dall'anno 2012, ai sensi del combinato disposto di cui ai commi 6 e 9 dell'articolo 64 citato». Dunque, il coordinamento finanziario esiste, e' assicurato da altri strumenti, e nulla ad esso aggiungono le disposizioni impugnate. Una ulteriore censura, aggiuntiva rispetto a quelle sin qui illustrate, riguarda la dimensione temporale dell'applicazione delle norme qui censurate. Il comma 4 pretende che le proprie norme trovino concreta applicazione, con la aggregazione-soppressione di istituzioni scolastiche, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012. Esse dunque intervengono a meno di due mesi dall'inizio dell'anno scolastico a sconvolgere una programmazione e un assetto della organizzazione scolastica gia' definite all'inizio dell'anno, anche in funzione di scelte consapevoli da parte degli alunni e delle loro famiglie, scelte che su tali basi sono state effettuate. Esse risultano quindi irragionevoli, in violazione del principio ricavabile dall'articolo 3; tale irragionevolezza, incidendo immediatamente e traducendosi nella vinificazione delle scelte organizzative legittimamente operate dalla Regione, si traduce in una lesione delle sue competenze. Infine, l'impropria assunzione a livello legislativo, come se si trattasse di principi fondamentali anziche' di scelte operative e concrete, destinate ad incidere in modo dettagliato e diretto sulle realta' particolari, risulta illegittima anche perche' preclude che vi sia, in applicazione di veri principi stabiliti dalla legge, una sede di confronto e di concertazione tra lo Stato e le Regioni, per gli eventuali aspetti che ne richiedano la collaborazione, in una situazione in cui malgrado l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, la materia dell'istruzione non ha ancora trovato compiuta regionalizzazione: s'intende ferma l'unicita' delle norme generali e dei principi comuni nella materia. In altre parole, la forma legislativa, costituzionalmente necessaria per i principi fondamentali, si rivela invece lesiva dell'autonomia regionale quando si sostituisca a scelte che spettano alla Regione, o che in subordine debbono essere affidate a procedure amministrative di collaborazione.
P.Q.M. Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate, nelle parti, profili e termini sopra esposti. Padova-Roma, addi' 13 settembre 2011 Prof. avv. Falcon - avv. Manzi Allegati: 1) Deliberazione della Giunta Regionale n. 1271 del 5 settembre 2011.