N. 100 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 - 21 settembre 2011

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 21 settembre 2011 (della Regione Veneto). 
 
Sanita' pubblica - Bilancio e contabilita'  pubblica  -  Disposizioni
  urgenti per la stabilizzazione finanziaria - Introduzione di misure
  di   compartecipazione   sull'assistenza   farmaceutica   e   sulle
  prestazioni ambulatoriali specialistiche (c.d.  ticket)  aggiuntive
  rispetto a quelle eventualmente gia' disposte dalle regioni, ovvero
  introduzione  di  possibili   misure   regionali   alternative   ed
  equipollenti - Lamentata alterazione degli equilibri gia'  definiti
  con il Patto per la salute e i criteri di riparto delle risorse del
  Fondo sanitario nazionale tra le Regioni, imposizione alle  Regioni
  c.d. virtuose di un sovraprezzo a vantaggio delle Regioni  che  non
  hanno  raggiunto   gli   obiettivi   di   pareggio   di   bilancio,
  penalizzazione del servizio  sanitario  pubblico  a  vantaggio  del
  mercato privato, introduzione di disciplina di dettaglio in  ambiti
  regionali, nonche'  mancanza  di  una  previa  intesa  in  sede  di
  Conferenza  Stato-Regioni  -  Ricorso  della   Regione   Veneto   -
  Denunciata violazione della competenza legislativa e amministrativa
  regionale nelle materie concorrenti del coordinamento della finanza
  pubblica e della tutela  della  salute,  violazione  dell'autonomia
  finanziaria regionale, lesione del diritto alla salute,  violazione
  dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza, di  buon  andamento
  dell'amministrazione, di leale collaborazione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 17, comma 6. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 32, 97, 117, 118, 119 e 120. 
(GU n.46 del 2-11-2011 )
    Ricorso della Regione Veneto, in  persona  del  Presidente  della
Giunta regionale dott. Luca Zaia, autorizzato a proporre giudizio con
deliberazione della Giunta regionale 3  agosto  2011,  n.  1371,  poi
integrata con D.P.G.R. 8 agosto 2011, n. 152 e D.G.R. di ratifica del
30 agosto 2011, n. 1383 (all. 1-2-3),  rappresentata  e  difesa,  per
procura speciale a margine del  presente  atto,  dagli  avv.ti  prof.
Bruno Barel del Foro di Treviso (C.F. BRLBRN52D19M089Z), Ezio  Zanon,
Coordinatore  dell'Avvocatura  regionale   (C.F.   ZNNZEI57L07B563K),
Daniela Palumbo, della Direzione regionale Affari  Legislativi  (C.F.
PLMDNL57D69A266Q)  e  Andrea   Manzi   del   Foro   di   Roma   (C.F.
MNZNDR64T26I804V),  con  domicilio  eletto  presso   lo   studio   di
quest'ultimo  in  Roma,  via  Confalonieri  n.   5   (per   eventuali
comunicazioni:  fax   06/3211370,   posta   elettronica   certificata
andreamanzi@ordineavvocatiroma.org); 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  presso  la  quale  e'
domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 
        per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale 
        per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, 118, 119  della
Costituzione, nonche' del principio di leale  collaborazione  di  cui
all'articolo 120 della Costituzione 
        dell'art. 17, comma 6, del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.
98, convertito in legge con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011,
n.  111,  recante  "Disposizioni  urgenti  per   la   stabilizzazione
finanziaria", pubblicata sulla  Gazzetta  Ufficiale  n.  164  del  16
luglio 2011, nella parte in cui rende applicabili, a decorrere  dalla
data di entrata in vigore della  legge  di  conversione  del  decreto
stesso, le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 796, lettera p),
primo periodo, e lettera p-bis), della legge 27 dicembre 2006, n. 296
- quest'ultima come integrata quanto alla  lettera  p-bis)  dall'art.
6-quater del decreto-legge  28  dicembre  2006,  n.  300,  nel  testo
integrato dalla relativa legge  di  conversione  -  e  la  cessazione
dell'efficacia delle disposizioni di cui all'articolo 61,  comma  19,
del  decreto-legge  25  giugno  2008,   n.   112,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 
 
                                Fatto 
 
    La Regione Veneto partecipa al riparto delle risorse  finanziarie
del Fondo sanitario statale  per  l'anno  2011  con  una  quota  pari
all'8,10%, secondo l'Intesa  -  ai  sensi  dell'art,  115,  comma  1,
lettera a) del decreto legislativo 31 marzo  1998,  n.  112  -  sulla
proposta  del  Ministro  della  Salute  di  deliberazione  del   CIPE
concernente  il  riparto  tra   le   Regioni   delle   disponibilita'
finanziarie per il Servizio sanitario nazionale per l'anno 2011 (all.
4). 
    Con "Il nuovo patto  per  la  salute  per  gli  anni  2010-2012",
condiviso nell'Intesa raggiunta il 3 dicembre 2009 tra lo Stato e  le
Regioni e Province autonome, il Governo si era  impegnato  a  fornire
risorse aggiuntive per il biennio 2011-2012 per 834 milioni  di  euro
annui (all. 5). 
    Con  la  "Legge  di  stabilita'"  n.  220  del  2010  le  risorse
finanziarie previste per l'anno 2011 sono state messe a  disposizione
delle Regioni limitatamente alla quota-parte relativa ai primi cinque
mesi dell'anno, pari a 347,5 milioni di euro (5/12 di 834 milioni  di
euro). Non sono stati messi a disposizione delle Regioni,  invece,  i
restanti 487,5 milioni di euro, previsti per la copertura finanziaria
degli altri 7 mesi dell'anno, nonostante che le Regioni avessero gia'
predisposto i programmi sanitari e assunto i correlativi  impegni  di
spesa commisurati alle risorse predefinite. 
    Su questa differenza di 487,5 milioni di euro per l'anno 2011,  e
sull'intero importo di 834  milioni  di  euro  per  l'anno  2012,  e'
intervenuta la "Legge di  stabilizzazione  finanziaria"  n.  111  del
2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge  6  luglio
2011, n. 98. 
    Essa tuttavia ha finanziato il Fondo sanitario nazionale, e messo
cosi' a disposizione delle Regioni, soltanto l'importo di 105 milioni
di euro, corrispondente alla quota-parte dell'importo annuo  pattuito
per il periodo 1 giugno 2011-17 luglio 2011. 
    Restava scoperto, per  il  periodo  dal  17  luglio  2011  al  31
dicembre 2011, il fabbisogno di euro 381,5 milioni  (quota-parte  del
fabbisogno annuo di euro 834 milioni). 
    Per coprire tale fabbisogno finanziario delle Regioni, l'art. 17,
comma 6, del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98,  convertito  con
modificazioni dalla  legge  15  luglio  2011,  n.  111,  ha  disposto
l'applicazione, a decorrere dalla data di  entrata  in  vigore  della
legge di conversione del decreto (17 luglio 2011), delle disposizioni
di cui all'articolo 1, comma 796, lettere p) e p-bis), della legge 27
dicembre 2006, n. 296  -  quest'ultima  come  integrata  quanto  alla
lettera p-bis) dall'art. 6-quater del decreto-legge 28 dicembre 2006,
n. 300, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione  -  e
la cessazione dell'efficacia delle disposizioni di  cui  all'articolo
61, comma 19, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 
    Il  decreto-legge  del  luglio  2011  ha  cosi'  abrogato  quella
disposizione che - analogamente a quanto era  ripetutamente  avvenuto
per gli anni immediatamente  precedenti,  mediante  altri  interventi
legislativi -  aveva  "abolito"  per  gli  anni  2009,  2010  e  2011
l'imposizione  agli  assistiti  non   esenti   di   una   "quota   di
partecipazione  al   costo   per   le   prestazioni   di   assistenza
specialistica ambulatoriale",  introdotta  dall'art.  1,  comma  796,
lettera p), primo periodo, 1. n. 296  del  2006,  ed  ha  reso  cosi'
applicabili immediatamente le disposizioni che  l'avevano  istituita,
precisamente quelle poste dal richiamato art. 1, comma  796,  lettere
p) e p-bis), 1. n. 296 del 2006. 
    Le disposizioni rese applicabili dal  decreto-legge  a  decorrere
dal 17 luglio 2011 sono tratte dal comma 796 che  puo'  essere  utile
riprodurre nella sua interezza: 
    "Per  garantire  il  rispetto  degli  obblighi  comunitari  e  la
realizzazione degli obiettivi di finanza  pubblica  per  il  triennio
2007-2009, in attuazione del protocollo di intesa tra il Governo,  le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano  per  un  patto
nazionale per la salute sul quale la Conferenza delle regioni e delle
province autonome, nella riunione del 28 settembre 2006, ha  espresso
la propria condivisione: 
        p) a decorrere dal 1° gennaio 2007,  per  le  prestazioni  di
assistenza specialistica ambulatoriale  gli  assistiti  non  esentati
dalla quota di partecipazione al costo sono tenuti  al  pagamento  di
una quota fissa sulla ricetta pari a  10  euro.  Per  le  prestazioni
erogate in regime di  pronto  soccorso  ospedaliero  non  seguite  da
ricovero, la cui condizione e' stata codificata come  codice  bianco,
ad eccezione di quelli afferenti al  pronto  soccorso  a  seguito  di
traumatismi ed avvelenamenti acuti, gli  assistiti  non  esenti  sono
tenuti al pagamento di una quota fissa pari a 25 euro. La quota fissa
per le prestazioni erogate in  regime  di  pronto  soccorso  non  e',
comunque, dovuta dagli assistiti non esenti di eta'  inferiore  a  14
anni. Sono fatte salve le disposizioni  eventualmente  assunte  dalle
regioni che, per l'accesso al pronto soccorso ospedaliero, pongono  a
carico degli assistiti oneri piu' elevati; 
        p-bis)  per  le  prestazioni  di   assistenza   specialistica
ambulatoriale, di cui  al  primo  periodo  della  lettera  p),  fermo
restando l'importo di manovra pari a 811 milioni di euro  per  l'anno
2007, 834 milioni di euro per l'anno 2008 e 834 milioni di  euro  per
l'anno 2009, le regioni, sulla base della stima degli  effetti  della
complessiva manovra nelle singole  regioni,  definita  dal  Ministero
della salute di concerto  con  il  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, anziche' applicare la quota fissa sulla ricetta  pari  a  10
euro, possono alternativamente: 
1) adottare altre misure di partecipazione al costo delle prestazioni
sanitarie, la cui entrata in  vigore  nella  regione  interessata  e'
subordinata alla certificazione del loro effetto di  equivalenza  per
il  mantenimento  dell'equilibrio  economico-finanziario  e  per   il
controllo dell'appropriatezza, da parte del  Tavolo  tecnico  per  la
verifica  degli  adempimenti  di  cui  all'articolo  12   dell'intesa
Stato-Regioni del 23 marzo 2005; 2) stipulare con il Ministero  della
salute e il Ministero dell'economia e delle finanze un accordo per la
definizione  di  altre  misure  di  partecipazione  al  costo   delle
prestazioni sanitarie, equivalenti sotto il profilo del  mantenimento
dell'equilibrio     economico-finanziario     e     del     controllo
dell'appropriatezza. Le misure individuate dall'accordo si applicano,
nella regione interessata, a decorrere  dal  giorno  successivo  alla
data di sottoscrizione dell'accordo medesimo.". 
    Il presente ricorso investe specificamente  la  disposizione  del
primo periodo della lettera p) riportata sopra,  che  impone  ex  se,
immediatamente e automaticamente, il pagamento di una quota fissa per
ricetta di 10 euro da parte degli assistiti non esenti e le correlate
disposizioni della lettera p-bis) che  prefigurano  possibili  misure
regionali alternative ed equipollenti. 
    La Regione Veneto e'  stata  costretta  a  dare  attuazione  alla
misura statale senza avere il tempo  di  elaborare  e  negoziare  col
Ministero della Salute eventuali misure alternative. 
    Ha percio' dovuto  immediatamente  condizionare  l'erogazione  di
prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale agli  assistiti
non esenti, al previo pagamento di una quota fissa  su  ogni  ricetta
pari a 10 euro. 
    Tale ticket si  e'  cumulato  cosi'  al  ticket  gia'  vigente  e
applicato, gravante sugli assistiti non esenti, anch'esso a titolo di
compartecipazione al costo, con l'effetto economico  di  imporre  una
complessiva  quota  di  compartecipazione  al  costo  che  per  molte
prestazioni di base finisce con l'essere superiore  all'intero  costo
di produzione della prestazione specialistica erogata  a  carico  del
Servizio sanitario nazionale. 
    I mezzi di informazione hanno immediatamente segnalato l'anomalia
della situazione cosi' creatasi: per molte prestazioni di  assistenza
ambulatoriale specialistica la quota di  compartecipazione  richiesta
dalla sanita' pubblica e' ora superiore al  costo  di  mercato  della
stessa prestazione erogata dalla sanita' privata (all. 7). 
    Il risultato e' che un notevole flusso di  assistiti  non  esenti
non si rivolge piu' alla sanita' pubblica  ma  ricorre  alla  sanita'
privata, in quanto meno onerosa. 
    Cio' non comporta solamente il mancato introito  da  parte  della
sanita' pubblica del ticket imposto ora dallo Stato.  Comporta  anche
il mancato introito da parte della Regione  Veneto  del  ticket  gia'
precedentemente  richiesto  secondo  la   normativa   vigente   sulla
compartecipazione al costo, ossia una perdita economica netta per  il
servizio  sanitario  veneto,  in  contraddizione  col  proposito   di
conseguire l'equilibrio finanziario, gia' perseguito  pur  tra  molte
difficolta' prima dell'adozione della misura statale. 
    Apparentemente, la misura statale lascia spazio alle Regioni  per
la ricerca di rimedi alternativi. 
    La disposizione dell'art. 1, comma 796, lettera p-bis), 1. n. 296
del 2006 consente infatti alle Regioni di adottare misure alternative
"di partecipazione al  costo  delle  prestazioni  sanitarie"  purche'
abbiano effetto  equivalente  "per  il  mantenimento  dell'equilibrio
economico-finanziario  e  per  il   controllo   dell'appropriatezza",
dovendo restare fermo "l'importo di  manovra"  (cfr.  lettera  p-bis,
primo periodo). 
    L'adozione  delle  misure  alternative  e'  subordinata  o   alla
"certificazione del loro effetto di equivalenza" da parte del  Tavolo
tecnico per la verifica degli adempimenti,  di  cui  all'articolo  12
dell'Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005" (punto 1  della  lettera
p-bis), o ad un accordo col Ministero della  salute  e  il  Ministero
dell'economia (punto 2 della lettera p-bis). 
    E' di immediata evidenza che la disciplina delle eventuali misure
alternative esclude che esse possano essere realmente alternative fin
dalla data di entrata in vigore (17 luglio 2011) della misura statale
istitutiva del ticket fisso su ricetta. 
    E' parimenti  evidente  che  l'adozione  da  parte  regionale  di
eventuali misure alternative e' subordinata e condizionata al  previo
consenso  dello  Stato.  Tale  consenso  e'  correlato  alla   previa
certificazione dell'effetto di equivalenza tra i due tipi di misura. 
    Il Ministero della Salute con decreto dirigenziale 26 luglio 2011
reg.  n.  250  (all.  6)  ha  provveduto  -  unilateralmente  -  alla
"definizione della stima degli effetti, nelle singole regioni,  della
complessiva manovra connessa all'applicazione della quota  fissa  per
ricetta pari a 10 euro per le prestazioni di assistenza specialistica
ambulatoriale..", esenti esclusi, affidandola ad un documento tecnico
istruttorio allegato al decreto stesso. Ai fini della  certificazione
dell'effetto di equivalenza, nella tabella 3 allegata al decreto sono
riportati "nella colonna (a) gli importi di manovra da garantire,  da
parte delle singole regioni, per  un  importo  complessivo  nazionale
pari a 381.500.000 euro, per il periodo 18 luglio 2011 - 31  dicembre
2011" e "nella colonna  (b)  gli  importi  di  manovra  da  garantire
annualmente,  da  parte  delle  singole  regioni,  per   un   importo
complessivo nazionale pari a 834.000.000 euro, a decorrere  dall'anno
2012". 
    Si riconosce, dunque, che le misure  devono  ottenere  risultanti
equivalenti al mancato trasferimento statale.  Tuttavia,  secondo  il
metodo di analisi e di calcolo  ministeriale  -  affidato  a  criteri
presuntivi, in assenza di dati certi  sul  numero  delle  prestazioni
specialistiche ambulatoriali rese nel passato  da  ciascuna  regione,
volendosi includere anche le prestazioni non documentate da  apposita
ricetta   per   ragioni   varie   (accesso    diretto,    prestazioni
specialistiche endoospedaliere  ecc.)  -  l'importo  complessivo  che
ciascuna Regione deve reperire e' sensibilmente diverso  dall'importo
del(la quota parte di) trasferimento statale venuto meno. 
    Secondo il decreto e la tabella ministeriali,  l'ammontare  delle
entrate che devono essere garantite dalla Regione Veneto, in un  modo
o nell'altro, e' di 100.765.398 euro annui. 
    Si tratta di un importo molto  superiore  a  quello  del  mancato
introito regionale per il trasferimento  di  risorse  statali  venuto
meno (8,10% su 834 milioni di euro annui = 67.589.978 euro). 
    Accade cosi' che la Regione Veneto si vede costretta  a  chiedere
ai propri assistiti non esenti un contributo ben superiore  a  quello
necessario per compensare le minori entrate da trasferimento statale,
e addirittura in non pochi casi superiore ai costi di  mercato  delle
prestazioni sanitarie richieste. 
    Taluno potrebbe -  invero,  generosamente  -  ipotizzare  che  in
questo modo  lo  Stato  abbia  inteso  assicurare  alle  Regioni  una
maggiore  disponibilita'  di  risorse  per  potenziare  il   servizio
sanitario; ma sarebbe smentito dalla  constatazione  che  la  tabella
ministeriale   richiamata   ha   come   presupposto   esplicito    il
conseguimento da parte  delle  Regioni  di  entrate  per  complessivi
834.000.000 euro annui,  equivalenti  all'importo  del  trasferimento
statale venuto meno. 
    Se dunque  non  varia  l'entita'  complessiva  delle  risorse  da
reperire, e varia invece - in pesante incremento - la  quota  che  il
Veneto deve reperire rispetto  alla  quota  di  trasferimento  venuta
meno, non puo' che variare  in  meno  la  quota  a  carico  di  altre
Regioni. 
    In  effetti,  a  cambiare  sono  proprio   le   quote   regionali
dell'importo complessivo venuto meno rispetto  alle  quote  regionali
poste ora a carico di ciascuna Regione. 
    Dalla tabella allegata al decreto citato si traggono  indicazioni
significative. 
    Per  esempio,  la  Regione   Campania,   a   fronte   di   minori
trasferimenti pari ad euro 77.868.321, e' chiamata ora a recuperare -
mediante ticket sulle ricette o misure alternative - 22.754.606 euro:
con una differenza in meno pari al 70,78%. 
    Cosi' accade anche per molte altre  Regioni,  gia'  note  per  il
costante deficit finanziario nella gestione  del  servizio  sanitario
regionale. 
    In sostanza, lo Stato con la normativa impugnata - come  e'  reso
palese  dalla  sua  concreta   applicazione   mediante   il   decreto
dirigenziale citato - non ha affatto imposto a  ciascuna  Regione  di
farsi carico della minore entrata col chiedere una  compartecipazione
di costo agli assistiti dal servizio sanitario regionale;  ha  invece
redistribuito i costi delle minori entrate con un criterio del  tutto
diverso da quello fino ad allora  condiviso  ed  applicato,  tale  da
riversare sulle regioni cosiddette virtuose  i  costi  della  risorse
finanziarie da confermare ad altre regioni non propriamente virtuose. 
    Il criterio utilizzato - in apparenza, neutrale - e' quello di un
identico ticket su ricetta in tutto il territorio nazionale. 
    A ben vedere, pero', tale criterio e'  tutt'altro  che  neutrale.
Esso, infatti, tradisce le sue stesse premesse, in  quanto  non  pone
rimedio, regione per regione, alle minori  entrate  da  trasferimento
statale, bensi' altera gli equilibri esistenti e condivisi  e  impone
una  nuova  redistribuzione  degli  oneri,  senza  neppure  ricercare
previamente un'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. 
    Quel  criterio  non  e'  neutrale   neppure   nella   prospettiva
dell'uguaglianza fra cittadini. Nelle Regioni che,  come  il  Veneto,
hanno  gia'  raggiunto  un  sostanziale  equilibrio  finanziario  del
servizio sanitario regionale, avendo gia' chiesto agli assistiti  una
pesante compartecipazione  ai  costi,  si  determina  una  situazione
paradossale,  per  cui  per  molte  prestazioni  gli  assistiti  sono
chiamati a versare un corrispettivo  superiore  all'intero  costo  di
mercato delle prestazioni ottenute. 
    Il ticket imposto dallo Stato perde cosi' la sua stessa natura di
"quota di compartecipazione  ai  costi"  e  diviene  in  realta'  una
imposta calata su coloro -  e  soltanto  su  coloro  -  che  chiedono
prestazioni  ambulatoriali  specialistiche  al   servizio   sanitario
nazionale. 
    Essi in molti casi finiscono ora col pagare un sovrapprezzo,  che
va a finanziare il servizio sanitario  regionale  di  altre  Regioni:
soprattutto di quelle  che  non  hanno  raggiunto  gli  obiettivi  di
pareggio di bilancio conseguiti invece nel Veneto. 
    Ognuno vede e intende che la parita' di trattamento fra assistiti
implica anzitutto che essi compartecipino ai costi effettivi,  e  non
oltre; e che essi, nell'esercizio del loro diritto alla  salute,  non
siano chiamati personalmente a finanziare nel suo insieme il  sistema
sanitario nazionale  e  in  particolare  a  finanziare  quello  delle
regioni non propriamente virtuose. Se solidarieta' ci deve essere, il
principio di uguaglianza esige che soccorra il principio generale  di
capacita' contributiva. 
    D'altra parte, e' chiaro  a  tutti  che  la  misura  imposta  dal
legislatore  statale,  lungi  dall'essere  neutrale,  riversa   sugli
assistiti non esenti anche i costi riferibili agli assistiti  esenti;
e riversa sulle regioni con un basso numero  di  assistiti  esenti  i
costi per le risorse  non  reperite  in  loco  da  altre  regioni  ad
elevatissimo numero di esenti. 
    Accade infatti che la percentuale  degli  assistiti  esenti  vari
enormemente da Regione a Regione, per motivi che  poco  hanno  a  che
vedere con la condizione economica effettiva di ciascuno, e  molto  a
che vedere con l'effettivita' dei controlli sul  soddisfacimento  dei
requisiti per fruire dell'esenzione. 
    La misura imposta dallo  Stato,  nella  sua  natura  e  nei  suoi
effetti economici, produce dunque, in  primo  luogo,  disuguaglianza,
violando il patto sociale che lega le comunita' per cui,  in  assenza
di solidarismo, l'imposizione avviene per ambiti territoriali  e  non
in modo uniforme sul territorio nazionale. In  secondo  luogo,  opera
con  un  effetto  irrazionale  in   danno   allo   stesso   obiettivo
dichiaratamente perseguito, allorche' dirotta flussi di utenti  verso
la sanita' privata, come sta accadendo nel Veneto, minando lo  stesso
equilibrio finanziario complessivo gia' faticosamente raggiunto dalla
Regione e inseguito dalla norma statale. 
    E' incomprensibile per tutta la comunita' regionale che i pesanti
sacrifici gia' sostenuti - con chiusure  di  ospedali,  riduzioni  di
personale, gestione  centralizzata  degli  acquisti,  imposizione  di
ticket sulle prestazioni, rigoroso controllo degli esenti ecc. -  per
raggiungere l'equilibrio finanziario finiscano ora col  rappresentare
un titolo di demerito, e che gli assistiti non esenti debbano  subire
veri  e  propri  balzelli  eccedenti  il  costo  di   mercato   delle
prestazioni al solo e non dichiarato fine di  trasferire  risorse  ad
altre regioni meno virtuose; un ulteriore sacrificio che appare ed e'
nella sostanza - non gia' una tassa correlata alla  fruizione  di  un
servizio pubblico ed ai suoi costi reali, bensi' - un'imposta  calata
su una circoscritta categoria di persone, quella degli assistiti  non
esenti che abbisognino di prestazioni  ambulatoriali  specialistiche.
Essi soli, fra i contribuenti italiani,  dovrebbero  surrogarsi  allo
Stato e fornire risorse, in alternativa allo Stato, a talune  regioni
italiane. 
    L'intervento  statale  censurato   si   pone   cosi'   in   netta
contraddizione con  gli  obiettivi  specifici  di  risanamento  della
finanza pubblica, di razionalizzazione  del  servizio  sanitario,  di
buon andamento dell'amministrazione, di efficacia ed efficienza della
azione  amministrativa,  che  trovano  albergo  nell'art.  97   della
Costituzione. 
 
                               Diritto 
 
    1. Passando ora a puntualizzare le censure che la Regione  Veneto
muove  alla  disciplina  statale  riportata  in   epigrafe,   occorre
precisare preliminarmente che esse si riflettono tutte,  direttamente
o indirettamente, sulla sfera di competenza attribuita  alla  Regione
stessa dalla Costituzione, presidiata anche dal  principio  di  leale
collaborazione,  e  che  pertanto  sono   ammissibili   anche   nella
prospettiva della severa giurisprudenza  costituzionale  relativa  ai
limiti insiti nel presente tipo di giudizio. 
    Si segnala, poi, che dalla declaratoria di incostituzionalita' la
Regione Veneto ritrarrebbe utilita'  diretta  ed  immediata,  per  le
ragioni gia' anticipate nella premessa in fatto. 
    Si osserva, infine, che questo ricorso non trova un  limite,  ne'
formale ne' sostanziale, nella sentenza n. 203 del 2008 con la  quale
codesta Corte ha ritenuto  non  fondato  un  ricorso  proposto  dalla
Regione del Veneto contro l'art. 1, comma 796, lettera p)  e  lettera
p-bis), della legge 27 dicembre 2006, n. 296. 
    Infatti, dal punto di vista formale il presente  ricorso  investe
anzitutto l'art. 17, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,
convertito in legge con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011,  n.
111,   recante   "Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione
finanziaria", sul quale trova base giuridica l'applicabilita' attuale
delle disposizioni tratte dalla legge  n.  296  del  2006,  cui  esso
rinvia. 
    Dal punto di vista sostanziale, poi, il suddetto decreto-legge n.
98 del 2011 rinvia ad una parte  soltanto  dell'art.  1,  comma  796,
lettera p) e lettera p-bis), della legge 27 dicembre  2006,  n.  296,
estrapolando dal loro  naturale  contesto  alcune  disposizioni,  che
vengono rese applicabili ai  diversi  fini  e  nel  diverso  contesto
normativo rappresentato dal decreto-legge del luglio 2011,  non  piu'
come generiche misure di finanza  pubblica  bensi'  come  dettagliate
misure surrogatorie conseguenti alla soppressione di un ben  definito
finanziamento statale, previsto  dal  Patto  per  la  salute  per  il
2011-2012. 
    Per di piu', i profili di illegittimita'  costituzionale  qui  di
seguito prospettati non coincidono totalmente con quelli  prospettati
nel  precedente  ricorso,   per   quanto   riferiti   alle   medesime
disposizioni costituzionali. 
    2. Le disposizioni impugnate ledono  anzitutto  il  principio  di
leale  collaborazione,  sotteso  agli  articoli   5   e   120   della
Costituzione. 
    Le disposizioni rese ora applicabili - art. 1, comma 796, lettera
p) e p-bis), 1. n. 296 del 2006 - trovavano in origine la loro ragion
d'essere  nella  finalita'  complessiva  dell'intero  comma  796   di
realizzare  gli  obiettivi  di  finanza  pubblica  per  il   triennio
2007-2009, in attuazione del protocollo d'intesa tra Governo, Regioni
e Province autonome per un Patto nazionale  sulla  salute,  condiviso
dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta del  28  settembre  2006,
cui aveva fatto seguito l'intesa di cui al  Provvedimento  5  ottobre
2006, n. 2648. 
    Ora invece esse interagiscono con la finalita'  ed  il  contenuto
propri della norma di rinvio contenuta nel decreto-legge  del  luglio
2011, diretta (non ad adottare generiche  misure  di  sostegno  della
finanza  pubblica  bensi')  a  sostituire  il  finanziamento  statale
previsto dal Patto sulla salute condiviso  da  Stato  e  Regioni  con
equivalenti risorse, da reperirsi a cura di ciascuna Regione mediante
compartecipazione ai costi - ticket fisso su ricetta - da parte degli
assistiti beneficiari delle prestazioni. 
    In questo  differente  contesto,  a  maggior  ragione  la  misura
statale, vertendo certamente  in  ambiti  di  competenza  legislativa
concorrente delle Regioni e  di  piena  autonomia  finanziaria  delle
stesse, avrebbe dovuto essere preceduta dalla  ricerca  di  un'intesa
fra  Stato  e  Regioni,  tanto  piu'  in  ragione  dello  scostamento
macroscopico dai contenuti del Patto per la salute  e  dai  correlati
criteri di riparto delle risorse del Fondo sanitario nazionale tra le
Regioni. 
    Anche nella sentenza n. 203 del 2008 codesta Corte ha ritenuto di
dover  porre  l'accento  sulla  "esclusione  di  una   determinazione
unilaterale dello Stato delle  misure  di  contenimento  della  spesa
sanitaria" (punto 6.3) e sul fatto che "la scelta di un sistema o  di
un altro appartiene all'indirizzo politico dello Stato, nel confronto
con quello delle Regioni" (punto 7). 
    Se e' indubbio che l'autonomia regionale "puo' incontrare  limiti
alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e  del  contenimento
della spesa" (sentenza n. 193 del 2007), e'  parimenti  indubbio  che
"la stessa offerta 'minimale' di servizi  sanitari  non  puo'  essere
unilateralmente imposta dallo Stato, ma deve  essere  concordata  per
alcuni aspetti con le Regioni" (sentenza n. 203  del  2008),  con  la
conseguenza che "sia le prestazioni che  le  Regioni  sono  tenute  a
garantire  in  modo  uniforme  sul  territorio  nazionale,   sia   il
corrispondente livello di finanziamento sono oggetto di concertazione
tra lo Stato e le Regioni stesse" (sentenza n. 98 del 2007). 
    3. Le argomentazioni svolte al punto precedente giovano  anche  a
palesare  ulteriori  e  distinti  profili  di  illegittimita'   delle
disposizioni impugnate, per contrasto con il sistema  di  riparto  di
competenze legislative delineato dall'art.  117  della  Costituzione,
con  il  correlato  esercizio  di  funzioni   amministrative   voluto
dall'articolo 118  della  Costituzione,  come  pure  con  l'autonomia
finanziaria  delle  Regioni   salvaguardata   dall'art.   119   della
Costituzione. 
    Sia la "tutela della salute" che il "coordinamento delle finanze"
sono di competenza legislativa concorrente  delle  Regioni.  Pertanto
"spetta alle Regioni  la  potesta'  legislativa,  salvo  che  per  la
determinazione dei principi fondamentali, riservata  alla  competenza
dello Stato" (art. 117, comma 4). 
    L'avere determinato, per di piu' in una quota fissa di  10  euro,
il corrispettivo dovuto dai cittadini assistiti  non  esenti  per  le
prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale non puo'  certo
dirsi principio fondamentale, bensi' rappresenta  una  disciplina  di
dettaglio, come tale incostituzionale. 
    Lungi  dal  limitarsi  a  fissare  l'obiettivo   da   raggiungere
l'importo della manovra, il legislatore statale ha  anche  scelto  ed
imposto i mezzi con i quali realizzarlo. 
    Si ha cosi' allo stesso  tempo,  un'indebita  interferenza  nella
gestione piu' propriamente organizzativa della sanita' da parte delle
Regioni,   ossia   nell'esercizio   in   concreto   delle    funzioni
amministrative che l'art. 118 della  Costituzione  vuole  distribuite
tra  i  diversi  enti  territoriali  "sulla  base  dei  principi   di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza", e  quindi,  per  una
parte rilevantissima, alle Regioni. 
    Inoltre,   la   misura   statale   configura   una   compressione
sproporzionata ed  ingiustificata  dell'autonomia  finanziaria  delle
Regioni, relativamente al reperimento di risorse  da  destinare  alla
tutela della salute e quindi alla gestione  del  servizio  sanitario,
secondo le ampie competenze legislative ed amministrative  regionali,
in violazione dell'articolo 119 della Costituzione. 
    L'esito  estremo  -  che  ci  e'  parso  non  eccessivo  definire
autolesionistico - della misura statale nel Veneto  e'  l'opposto  di
quello  atteso,   in   quanto   peggiora   l'equilibrio   finanziario
faticosamente raggiunto, rendendo non  piu'  competitivo  il  sistema
sanitario pubblico con quello privato, e dirotta flussi importanti di
utenti verso la piu' conveniente sanita' privata, senza peraltro  che
cio' permetta una significativa riduzione dei costi di struttura. 
    La  misura  di  dettaglio  imposta  alle  Regioni  e'  del  tutto
irragionevole, in quanto non consente alle  Regioni  di  graduare  la
partecipazione alla spesa pubblica sanitaria  in  rapporto  ai  costi
effettivamente   sostenuti   per    ciascuna    delle    prestazioni,
pregiudicando cosi' tanto l'autonomia  amministrativa  quanto  quella
finanziaria. 
    L'impostazione della norma  statale  censurata  confligge  dunque
apertamente con l'art. 119 della Costituzione,  ove  al  comma  2  si
prevede, tra l'altro, che le Regioni,  al  pari  degli  enti  locali,
possano disporre di compartecipazioni al gettito di tributi  erariali
riferibile al  loro  territorio,  e,  al  comma  4,  che  le  risorse
derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti -  quelle  derivanti
da tributi ed entrate proprie, quelle definite come "autonome"  e  le
"compartecipazione al  gettito  di  tributi  erariali  riferibile  al
territorio" - siamo destinate a finanziare integralmente le  funzioni
pubbliche loro attribuite". 
    Dispone poi il comma  3  che  le  differenziazioni  di  capacita'
fiscale per  abitante  riferite  a  singoli  territori  siano  invece
coperte da un fondo perequativo, formato  con  legge  dello  Stato  e
senza vincoli di destinazione. 
    Nel caso di specie, si assiste ad  una  elusione,  e  violazione,
dell'impianto stesso dell'art. 119 della Costituzione, perche', lungi
dal formare un fondo perequativo destinato al  soddisfacimento  delle
carenze finanziarie di territori aventi minore potenzialita' fiscale,
lo Stato a mezzo del ticket sanitario ha imposto un onere che va  ben
oltre l'obiettivo di finanziare il  bilancio  nazionale  tendendo  al
pareggio. La misura statale si risolve, nel Veneto,  in  una  imposta
superflua e quindi indebita. 
    Se ne puo' cogliere meglio la  reale  finalita'  associandola  ai
contenuti del decreto ministeriale del 27.7.2011, gia' richiamato, il
quale mette in evidenza l'intento di svolgere una  surretizia  azione
perequativa, in contrasto con la citata disposizione costituzionale e
in assenza di qualunque forma di previa  concertazione  fra  Stato  e
Regioni. 
    La previsione di un ticket predeterminato nella misura fissa a 10
euro a prestazione non serve, dunque, a garantire in via  sostitutiva
il mancato trasferimento della quota di finanziamento  dell'8,2%  del
Fondo sanitario soppresso con  la  manovra  di  bilancio  di  luglio,
bensi' a determinare, sulla base del  presunto  volume  di  attivita'
erogata dal servizio sanitario regionale, un attivo  di  bilancio  da
destinare  altrove:  in  violazione  dell'esigenza  che   le   misure
perequative siano definite da una nonna di legge, a' sensi del  comma
3 dell'articolo 97 della Costituzione. 
    Infine, resta da  osservare  che  la  misura  statale  in  quanto
strutturata e configurata in modo cosi' rigido da sfuggire  in  molti
casi alla stessa qualificazione di  "quota  di  compartecipazione  ai
costi", finisce col penalizzare ingiustamente chi debba avvalersi del
servizio sanitario pubblico a tutela del proprio diritto fondamentale
alla salute,  in  palese  violazione  anche  dell'articolo  32  della
Costituzione. 
    4. L'irrazionalita' dell'intervento statale determina altresi' un
contrasto col principio di buon  andamento  dell'amministrazione,  in
violazione dell'articolo 97 della Costituzione. 
    La misura  statale  comporta  fra  l'altro  che  l'organizzazione
attuale del servizio sanitario  della  Regione  Veneto  debba  essere
urgentemente rivisitata per formalizzare e sottoporre  a  ticket  una
serie di prestazioni finora rese  senza  formale  predisposizione  di
documentazione assimilabile alla ricetta, come gli accessi diretti ai
servizi pediatrici, le prestazioni  specialistiche  ambulatoriali  ad
accesso interno, ecc. 
    Per converso, lo Stato non ha ritenuto  di  affiancare  la  norma
statale di dettaglio sul ticket sanitario fisso con adeguate forme di
monitoraggio,  controllo  e  sanzione,  a  presidio  dell'area  degli
assistiti "esonerati" da ogni onere, con la conseguenza che il  mezzo
utilizzato premia le regioni non virtuose  rispetto  alle  altre,  in
palese  conflitto  con  ogni   regola   essenziale   di   efficienza,
economicita' e responsabilita' amministrativa. 
    5. La giurisprudenza di codesta Corte mostra  grande  attenzione,
anche in questa specifica materia, per il principio di uguaglianza  e
afferma l'esigenza  che  siano  adottate  misure  allo  stesso  tempo
efficaci per  il  contenimento  della  spesa  sanitaria  e  idonee  a
garantire a tutti i cittadini, a parita' di condizioni, una serie  di
prestazioni che rientrano nei livelli essenziali di assistenza. 
    In questo senso, si e' ravvisata nella previsione  di  un  ticket
fisso a ricetta una delle possibili forme per realizzare ambedue  gli
obiettivi, e su questo presupposto si e' ritenuta la sua  conformita'
a Costituzione, anche sotto il  profilo  della  competenza  esclusiva
dello Stato in materia (cfr. sentenza n. 203 del 2008, punto 7). 
    Quella valutazione, tuttavia, e' stata espressa  in  un  contesto
del tutto diverso rispetto al presente  giudizio.  L'istituzione  del
ticket fisso per ricetta  da  parte  della  legge  n.  296  del  2006
rispondeva a esigenze  generali  di  finanza  pubblica  e  tendeva  a
onerare di una quota di compartecipazione ai costi  in  ugual  misura
tutti i  beneficiari  di  prestazioni  specialistiche  ambulatoriali,
esenti esclusi. 
    L'art. 17, comma 6, del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98,
convertito in legge con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011,  n.
111, riprende quella specifica misura di dettaglio per porre  rimedio
-  nella  misura  strettamente  necessaria  -   a   un   deficit   di
finanziamento  statale  alle  Regioni  e  risponde  percio'  al  piu'
puntuale e limitato obiettivo di permettere alle Regioni di  reperire
altrimenti 834 milioni di euro all'anno. 
    Il  mezzo  scelto  risulta  pero'  inadeguato   all'obiettivo   e
irragionevolmente discriminatorio: non e' funzionale a  consentire  a
ciascuna Regione di colmare il proprio deficit pro-quota; va oltre la
finalita' essenziale di rappresentare una compartecipazione al  costo
della prestazione  ottenuta,  diventando  in  molti  casi  un'imposta
addizionale; pone a carico dei soli individui non  esenti  che  siano
bisognosi  di  prestazioni  ambulatoriali  specialistiche  un  carico
fiscale destinato a colmare lacune del  sistema  sanitario  nazionale
del suo insieme; riversa i costi sugli assistiti non esenti, su  base
regionale, assumendo a postulato  -  non  verificato  e  notoriamente
insussistente  -  che  operino  medesimi  criteri  e  controlli   per
individuare gli assistiti esenti. 
    In questo modo, viene in realta' leso il principio costituzionale
di   uguaglianza,   che   e'   salvaguardato   nella   sua   sostanza
dall'effettiva    adeguatezza    ed    appropriatezza     -     ossia
proporzionalita', come si esprime la giurisprudenza europea  -  delle
misure   adottate   rispetto   agli   obiettivi   perseguiti,   dalla
razionalita' ed equilibrio che animano la regola giuridica. 
    La definizione dei livelli  essenziali  di  assistenza  non  puo'
prescindere dalla garanzia dell'eguaglianza sostanziale  dei  criteri
di accesso e di esonero e di controllo, tanto meno dalla  uguaglianza
nella responsabilita' di condividerne i costi,  sia  da  parte  delle
regioni che degli utenti del servizio. 
    La stessa solidarieta' assume dignita' di  valore  costituzionale
quando   abbia   radici   nell'uguaglianza.   Non   sembra    trovare
giustificazione nella solidarieta', in quanto  non  si  coniughi  con
l'uguaglianza, una misura come quella introdotta  dalle  disposizioni
statali impugnate, che impone ad  alcuni  soggetti  -  assistiti  non
esenti - di farsi carico di prelievi forzosi,  ultronei  rispetto  al
costo delle prestazioni sanitarie  richieste  e  ricevute,  concepiti
strutturalmente per finanziare i costi sanitari di altre regioni  non
propriamente virtuose e in  particolare  per  compensare  le  mancate
compartecipazioni da parte di un altissimo numero  di  assistiti  non
esenti. 6. Le censure fin qui sollevate investono anzitutto la  norma
posta dal primo periodo della lettera p) del comma 796 citato, ma  si
riverberano anche sulle disposizioni che seguono alla lettera p-bis). 
    Si e' gia' osservato come l'alternativa ivi prefigurata sia  piu'
apparente che reale: non solo perche' essa e' comunque  impraticabile
in termini di vera e propria alternativa ab initio, fin  dall'entrata
in vigore della legge, ma anche perche' il procedimento previsto  per
la verifica di equivalenza delle  eventuali  misure  alternative  non
rispetta  il  principio  di  leale  collaborazione  e   finisce   col
subordinare l'autonomia regionale  alle  scelte  dell'Amministrazione
centrale dello Stato, com'e' avvenuto col  decreto  dirigenziale  del
Ministero della Sanita' richiamato nella premessa in fatto. 
    Va  aggiunto,  da  ultimo,  che  anche  le   misure   alternative
virtualmente consentite alle Regioni, in tanto  in  quanto  correlate
negli effetti economici a quelli perseguiti con la misura del  ticket
fisso su ricetta, non sfuggono alle medesime censure di  legittimita'
costituzionale, in quanto impongono comunque alla Regione  Veneto  di
prelevare dagli  assistiti  non  esenti  importi  ingiustificati,  di
entita' eccedente sia il mancato trasferimento statale sia, in  molti
casi, la totalita' dei costi delle prestazioni. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Chiede che l'ecc.ma  Corte  costituzionale  in  accoglimento  del
ricorso voglia dichiarare la illegittimita' costituzionale  dell'art.
17, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98,  convertito  in
legge con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n.  111,  recante
"Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale n. 164 del 16 luglio 2011,  nella  parte  in
cui rende applicabili, a decorrere dalla data di  entrata  in  vigore
della legge di conversione del decreto stesso, le disposizioni di cui
all'articolo 1, comma 796,  lettera  p),  primo  periodo,  e  lettera
p-bis), della legge 27 dicembre 2006,  n.  296  -  quest'ultima  come
integrata  quanto  alla  lettera  p-bis)   dall'art.   6-quater   del
decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300,  nel  testo  integrato  dalla
relativa  legge  di   conversione   -   e   dispone   la   cessazione
dell'efficacia delle disposizioni di cui all'articolo 61,  comma  19,
del  decreto-legge  25  giugno  2008,   n.   112,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 6 agosto  2008,  n.  133,  per  violazione
degli articoli 3, 32, 97, 117, 118, 119 della  Costituzione,  nonche'
del principio di leale collaborazione di cui all'articolo  120  della
Costituzione. 
    Si allegano: 
        1-2-3) provvedimenti della Giunta  regionale  del  Veneto  di
autorizzazione a ricorrere in giudizio con designazione dei difensori 
        4)  Intesa  sulla  proposta  del  Ministro  della  Salute  di
deliberazione del CIPE concernente il riparto tra  le  Regioni  delle
disponibilita' finanziarie per il Servizio  sanitario  nazionale  per
l'anno 2011 
        5) Documento "Il nuovo patto  per  la  salute  per  gli  anni
2010-2012", condiviso nell'Intesa raggiunta il 3 dicembre 2009 tra lo
Stato e le Regioni e Province autonome 
        6) Decreto dirigenziale del Ministero della Salute 26  luglio
2011 reg. n. 250 
        7) dossier di stampa  sull'effetto  anticoncorrenziale  della
misura statale nei rapporti fra sanita' pubblica  e  sanita'  privata
nel Veneto 
          Venezia - Treviso - Roma, 14 settembre 2011 
 
      Avv. Prof. Barel - Avv. Zanon - Avv. Palumbo - Avv. Manzi