N. 248 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 - 28 luglio 2011
Ordinanza del 28 luglio 2011 emessa dal Tribunale regionale per il Piemonte sul ricorso proposto da Abbatecola Monica ed altri. Bilancio e contabilita' pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento della spesa in materia di pubblico impiego - Personale di cui alla legge n. 27 del 1981 (magistrati e categorie equiparate) - Previsione che non siano erogati ne' recuperabili gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012; che per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 sia pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010 ed il conguaglio per l'anno 2015 venga determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014 - Previsione, altresi', per detto personale, che l'indennita' speciale, di cui all'art. 3 della legge n. 27 del 1981, spettante per gli anni 2011, 2012 e 2013 sia ridotta del 15 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013 - Irrazionalita' - Ingiustificato deteriore trattamento dei lavoratori dipendenti rispetto a quelli autonomi - Violazione dei principi di generalita' e progressivita' della tassazione e di capacita' contributiva, attesa la sostanziale natura tributaria della prestazione patrimoniale imposta - Natura regressiva del tributo con riferimento all'indennita' speciale, in quanto incidente in minore misura sui magistrati con retribuzione complessiva piu' elevata ed in misura maggiore sui magistrati con retribuzione complessiva inferiore - Lesione del principio di proporzionalita' ed adeguatezza della retribuzione - Violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione - Violazione del principio di indipendenza ed autonomia della magistratura. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, art. 9, comma 22, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122. - Costituzione, artt. 3, 23, 36, 53, 97, 101 e 111.(GU n.50 del 30-11-2011 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 409 del 2011, proposto da Abbatecola Monica ed altri 169, rappresentati e difesi dagli avv. Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti e Carlo Emanuele Gallo, con domicilio eletto presso Carlo Emanuele Gallo in Torino, via Pietro Palmieri, 40; Contro: Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino presso la quale domicilia in corso Stati Uniti n. 45; Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Capo del Governo in carica e Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino presso la quale domiciliano in corso Stati Uniti n. 45; e con l'intervento di ad adiuvandum: Paolo Rampini, rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Petillo, con domicilio eletto presso T.A.R. Piemonte, Segreteria, in Torino, corso Stati Uniti, 45; Per il riconoscimento, previa idonea cautela, e con riserva di motivi aggiunti, del diritto al trattamento retributivo spettante senza tener conto delle decurtazioni di cui al comma 22 dell'art. 9 del decreto-legge 31 marzo 2010, n. 78, come convertito con modificazioni in legge 30 luglio 2010, n. 122, nonche' per la condanna delle Amministrazioni resistenti al pagamento delle somme corrispondenti, con ogni accessorio di legge. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della giustizia; Visto l'atto di intervento ad adiuvandum di Paolo Rampini; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2011, il presidente Vincenzo Salamone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Va premesso che i ricorrenti - nella dedotta e comune qualita' di magistrati ordinari in servizio presso Uffici giudiziari ricompresi nell'ambito di competenza territoriale dell'adito giudicante ed assoggettati, in quanto tali, alle decurtazioni del rispettivo trattamento retributivo derivanti dalla applicazione delle disposizioni finanziarie contenute nel comma 22 dell'art. 9 del decreto-legge 31 marzo 2010, n. 78, come convertito con modificazioni dalla 1egge 30 luglio 2010, n. 122 - agivano in giudizio per la declaratoria di illegittimita' di dette misure, con consequenziale riconoscimento del diritto al trattamento retributivo asseritamente spettante, senza tener conto delle contestate riduzioni, all'uopo prospettando violazione di legge sotto plurimo profilo ed, altresi', lamentando la sospetta illegittimita' costituzionale della sopra richiamata normativa primaria. Le Amministrazioni convenute si sono costituite in giudizio con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso. Con atto depositato veniva spiegato da parte del dott. Paolo Rampini atto di intervento ad adiuvandum. Premette il Collegio che in forza dell'art. 9, comma 22 del decreto-legge n. 78/2010 cit., quale risultante dalle modifiche introdotte con la legge di conversione, con la c.d. manovra, economica 2010, veniva, per quanto di interesse, previsto, per il personale di cui alla legge n. 27 del 1981: a) che «non [fossero] erogati, senza possibilita' di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012»; b) che «per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 [fosse] pari alla misura gia' prevista, per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 [venisse] determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014»; c) che «l'indennita' speciale di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante negli anni 2011, 2012 e 2013, [fosse] ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013», con riduzione non operante ai fini previdenziali. Entro i limiti di dette previsioni legislative si incentrano le censure del ricorso e l'atto di intervento che non riguarda gli effetti della manovra finanziaria prodotti da norme che investono l'intero comparto del pubblico impiego (ivi compreso il personale di magistratura). Le censure del ricorso riguardano, infatti, non tanto i «sacrifici» economici richiesti a tutte le componenti del lavoro pubblico, bensi' la lesione che deriva all'indipendenza dei componenti della Magistratura, alla quale e' funzionale la adeguatezza del trattamento economico e soprattutto la sottrazione a scelte discriminatorie di altri poteri dello Stato (e segnatamente i poteri legislativo ed esecutivo). Premette il Collegio che la disciplina che - specificamente per i magistrati - si ricava dal coacervo normativo dei commi 21 e 22 e' cosi' sintetizzatile: per essi, cosi' come per tutte le altre categorie del personale non contrattualizzato, viene introdotto il blocco dei «meccanismi di adeguamento retributivo» previsto dal primo periodo del comma 21, la cui operativita' e' estesa sia a livello di acconto che a livello di conguaglio (e dunque con effetto retroattivo) dal primo periodo dell'art. 22; per i soli Magistrati (di tutte le Magistrature), a differenza delle altre categorie del personale non contrattualizzato, sono salvaguardati i meccanismi di «progressione automatica dello stipendio», ossia, gli scatti di carriera, e cio' perche' ad essi non si applicano i periodo secondo e terzo del comma 21; nei confronti dei soli magistrati viene pero' operata una riduzione crescente nel tempo dell'indennita' giudiziaria (ex art. 3, legge 27/1981), come previsto dal secondo periodo del comma 22; i magistrati subiscono poi, sempre in forza del comma 22, il blocco di acconti (anni 2011, 2012 e 2013) e conguagli (triennio 2010 - 2012); vengono, infine, introdotti, ancora dal comma 22, dei «tetti» all'acconto per l'anno 2014 (che non puo' superare quello del 2010) e del conguaglio per l'anno 2015 (determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014, escludendo quindi il triennio 2011 - 2013). I commi 21 e 22 introducono, pertanto, nel loro complesso, misure di notevole rilevanza, poiche' finalizzate a vincolare assai incisivamente, per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico dei singoli magistrati; e cio' ancorche' le progressioni stipendiali siano fatte salve. Ed infatti, come gia' prima facie si scorge, si tratta di misure ingiustamente penalizzanti, estemporanee e totalmente sganciate dalla normativa in materia di retribuzione del personale di Magistratura. Sussistono, ad avviso del Collegio, i presupposti per sollevare la questione di legittimita' costituzionale con riguardo alla sopra richiamata, normativa sui trattamenti stipendiali dei ricorrenti, che si appalesa, in parte qua e per quanto di ragione, non manifestamente infondata, sotto plurimi e concorrenti aspetti (come, peraltro gia' rilevato dal Tribunale amministrativo regionale della Campania - Sezione staccata di Salerno con ord. n. 1162 del 23 giugno 2011). Il dubbio di legittimita' costituzionale delle norme di cui sopra sussiste, avuto in primo luogo riguardo alle misure incidenti sugli automatismi stipendiali che caratterizzano la progressione economica dei magistrati: a) che le stesse appaiono in contraddizione con il principio (desumibile dall'art. 104, 1° comma Cost.) per cui il trattamento economico dei magistrati non puo' ritenersi nella libera disponibilita' del potere legislativo o del potere esecutivo, trattandosi di un aspetto essenziale per attuare il precetto costituzionale dell'indipendenza; b) che, come piu' volte ribadito dal Giudice delle leggi, il meccanismo del c.d. adeguamento automatico (essenzialmente fondato sulla garanzia di un aumento delle retribuzioni, che, sulla base di indici appositamente ed obiettivamente elaborati dall'istituto centrale di statistica, viene assicurato «di diritto», ogni triennio, nella misura percentuale pari alla media degli incrementi realizzati nel triennio precedente dalle altre categorie del pubblico impiego) rappresenta un elemento intrinseco della struttura delle retribuzioni in discorso, inteso alla «attuazione del precetto costituzionale dell'indipendenza dei magistrati, che va salvaguardato anche sotto il profilo economico» (Corte cost. 16 gennaio 1978, n. 1), «evitando tra l'altro che essi siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri» (Corte cost. 10 febbraio 1993, n. 42), concretizzando «una guarentigia, idonea a tale scopo» (Corte cost. sentenza 8 maggio 1990, n. 238); c) che la tradizione costituzionale italiana risulta, sul punto, confermata e rafforzata, dalla c.d. Magna carta dei Giudici, approvata a Strasburgo il 17 novembre 2010 dal Consiglio d'Europa - Comitato consultivo dei Giudici europei (CCJE) (la quale, seppur beninteso priva ex se di valore cogente sotto il profilo giuridico, costituisce una decisione fondamentale alla cui luce devono essere interpretate le disposizioni interne, per la sua autorevole fonte di provenienza, esprimendo il CCJE le «tradizioni costituzionali» dei quarantasette Stati europei che ne sono membri): secondo l'espresso disposto degli artt. 2 e 4 della Carta, in particolare, l'indipendenza dell'ordine giudiziario rispetto ai poteri legislativo ed esecutivo va garantita anche sotto il profilo della tutela finanziaria della retribuzione dei Magistrati; e l'art. 7 prevede espressamente che «il giudice deve beneficiare di una remunerazione e di un sistema previdenziale adeguati e garantiti dalla legge, che lo mettano al riparo da ogni indebita influenza». I valori dell'autonomia e della, indipendenza della Magistratura da ogni altro potere dello Stato sono sanciti in via generale dagli artt. 101, comma 2 («I giudici sono soggetti soltanto alla legge») e 104 comma 1 Cost. ("La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Proprio per la delicatezza dei compiti anzidetti e' essenziale che sia assicurata l'indipendenza della Magistratura. L'art. 9, comma 22 del decreto-legge n. 78 del 2010 ha come fine, o quantomeno come effetto, quello di ledere non solo il dato testuale, ma altresi' i principi e valori sottesi alle disposizioni richiamate. I valori anzidetti sono a loro volta funzionali all'esercizio imparziale ed obiettivo della funzione giudicante, come esigono molteplici norme costituzionali anche in vista della celebrazione di un «giusto» processo (cfr. artt. 24, 103 e 111 Cost.; Corte cost., sent. n. 381/1999). Il Legislatore, mediante uno strumento che formalmente incide (solo) sulla retribuzione del magistrato, viene in realta' ad operare un indebito condizionamento sull'esercizio della funzione giurisdizionale, poiche' costringe l'Ordine di appartenenza, quando non addirittura il magistrato come singolo, ad un confronto con il pubblico potere al fine di ripristinare le condizioni economiche originarie, o quantomeno di elidere o attenuare le conseguenze negative della misura disposta. La costante giurisprudenza della Corte costituzionale induce il collegio a ritenere la non manifesta infondatezza della censura dedotta, sussistendo la, necessita' di «attuazione del precetto costituzionale dell'indipendenza dei magistrati, che va salvaguardato anche sotto il profilo economico», onde evitare «tra l'altro che essi siano sonetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri» (Sentt. nn. 1/1978, 42/1993, 238/1990). Tale stato di cose, generando un sotterraneo conflitto tra Istituzioni che mina alla radice la serenita' del Giudice, appare particolarmente grave per la specifica funzione del magistrato. Un Magistrato «condizionato», quand'anche solo apparentemente (e potenzialmente) e non nella sostanza (e nella realta'), da una misura legislativa fortemente penalizzante per i suoi interessi economici rischia di vedersi sottratto quel credito e quel prestigio di cui il singolo magistrato e l'Ordine giudiziario nel suo insieme devono sempre ed indefettibilmente godere presso la comunita' dei cittadini. Sul punto la Corte costituzionale nella sentenza n. 100 del 1981, ha chiarito che «I magistrati, per dettato costituzionale (artt. 101, comma secondo, e 104, comma primo, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialita': nell'adempimento del loro compito. I principi anzidetti sono quindi volti a tutelare anche la considerazione di cui il magistrato deve godere presso la pubblica opinione, assicurano, nel contempo, quella dignita' dell'intero ordine giudiziario, che la norma, denunziata, qualifica prestigio e che si concreta, nella fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilita' di essa». In senso analogo si e' espresso, come sopra rilevato, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa nella gia' richiamata. Raccomandazione del 17 novembre 2010. Il prestigio e l'onorabilita' dell'Ordine giudiziario resterebbero esposti a critiche e perplessita' che il sistema costituzionale impone di evitare nel modo piu' assoluto. Alle stesse conseguenze di «appannamento» della neutralita' della funzione giurisdizionale si perverrebbe associando la riduzione stipendiale alle ben note polemiche tra poteri dello Stato. In tale ottica, la misura legislativa potrebbe apparire come una sorta di punizione o di monito per il potere giudiziario, rendendo manifesta ai cittadini una condizione di evidente supremazia gerarchica di un Potere sull'altro, in contrasto - anche sotto tale profilo - con i dettami costituzionali che improntano i rapporti tra poteri alla separazione, all'equilibrio ed al bilanciamento. L'idea di un magistrato punito, ammonito o anche solo «influenzabile» dalla consapevolezza che il taglio stipendiale disposto oggi puo' ben essere ripetuto o addirittura inasprito (oltre il 2013), ripugna al nostro sistema costituzionale ed ordinamentale, godendo della piu' elevata, tutela, in esso, anche la mera apparenza della imparzialita' della funzione giurisdizionale, in quanto valore fondante per l'affidabilita' e la credibilita' istituzionale della figura del Magistrato. Alla luce di tali considerazioni va richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 145 del 1976, la quale riconosce esplicitamente «l'esigenza di una rigorosa tutela, del prestigio dell'ordine giudiziario che rientra senza dubbio tra i piu' rilevanti beni costituzionalmente protetti». Ai sensi del comma 21 dell'art. 9 succitato, per quanto qui di interesse, «i meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, cosi' come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorche' a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. (...)». Il successivo comma 22 cosi' dispone: «Per il personale di cui alla legge n. 27 del 1981 non sono erogati, senza possibilita' di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012; per tale personale, per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 e' pari alla, misura gia' prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014. Per il predetto personale l'indennita' speciale di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante negli anni 2011, 2012 e 2013, e' ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013. Tale riduzione non opera ai fini previdenziali. Nei confronti del predetto personale non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 21, secondo e terzo periodo». Alla luce degli evocati principi e direttive costituzionali, deve ritenersi che il trattamento economico dei magistrati debba essere (oltreche' «adeguato» alla quantita' e qualita' del lavoro prestato, come imposto, in termini generali, dall'art. 36 della Costituzione) certo e costante, e in generale non soggetto a decurtazioni concretanti, come tali, una surrettizia menomazione delle garanzie della sua indipendenza ed autonomia. Avuto distinto riguardo alla (diversa ed autonoma misura della) contestata riduzione percentuale della indennita' speciale, oltre ai rilievi sopra formulati, va ulteriormente considerato quanto segue in termini di non manifesta, infondatezza della questione di costituzionalita'. Trattandosi obiettivamente, come non e' dato di dubitare anche alla luce del contesto normativo in cui e' stata codificata, di prestazione patrimoniale imposta di natura sostanzialmente tributaria, come tale assoggettata ai vincoli di cui agli artt. 23 e 53 della Carta costituzionale, la sua previsione (esclusivamente rimessa, al di la' del nomen juris utilizzato, alla normativa primaria, in forza dei principi di legalita' e sostanzialita' dei tributi) avrebbe dovuto gravare, a parita' di redditi incisi, su «tutti» i cittadini (c.d. principio di generalita', delle imposte), in ragione della loro capacita' contributiva, in un sistema informato a criteri di progressivita' (c.d. principio di progressivita'). Avuto riguardo al comune e condiviso intendimento del requisito della, capacita' contributiva previsto dall'art. 53 Cost. quale «valore» diretto ad orientare, nel quadro di una complessiva «razionalita'» impositiva, la discrezionalita' del legislatore in ordine alla prefigurazione e configurazione dei fenomeni tributari - deve ritenersi che limite espresso all'azione impositiva sia quello per cui «a situazioni uguali corrispondano tributi uguali»: di tal che, anche alla luce del correlato principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e del principio solidaristico di cui all'art. 2, il sacrificio patrimoniale che - per non implausibili e contingenti ragioni di contenimento della spesa pubblica - incida soltanto sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di pubblici impiegati, lasciando indenni, a parita' di capacita' reddituale, altre categorie di lavoratori (essenzialmente e segnatamente autonomi), risulterebbe arbitrario ed irragionevole (arg. ex Corte cost. [ord.] 14 luglio 1999, n. 299; e cfr. Id. 18 luglio 1997, n. 245). Si tratta altresi' di prelievo sul trattamento economico in godimento sostanzialmente regressivo, poiche' (essendo, come e' noto, l'indennita' ex art. 3 della legge n. 27 del 1981 corrisposta in misura uguale ad ogni magistrato, indipendentemente dall'anzianita' di servizio) finisce per colpire (in violazione del canone di cui al 2° comma dell'art. 53 Cost.) in misura minore i magistrati con retribuzione complessiva piu' elevata ed in misura maggiore i magistrati con retribuzione complessiva inferiore. Gli interventi normativi per cui e' causa appaiono anche'essi, per le ragioni gia' esposte in contraddizione con il principio per cui il trattamento economico dei magistrati non puo' ritenersi nella, libera disponibilita' del Legislativo o dell'Esecutivo, trattandosi di aspetto essenziale per attuare il precetto costituzionale dell'indipendenza (art. 104, 1° comma Cost.; e cfr., proprio in relazione alla indennita' speciale in quanto assoggettata al meccanismo di adeguamento automatico, (Corte cost. n. 238 del 1990). L'art. 9, comma 22 cit. sembra al Collegio porsi, altresi', in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, in quanto la prefigurata ed incisiva riduzione del trattamento economico finisce per alterare la «proporzione» tra la retribuzione complessiva del magistrato ed il lavoro giudiziario svolto, inteso complessivamente come l'insieme delle attivita' materiali, delle attivita', giuridiche, delle responsabilita' e degli oneri su di esso gravanti. Cio' in quanto - riconoscendo la legge come «adeguato» il complessivo trattamento economico solo in quanto integrato dalla indennita', speciale - una decurtazione di quest'ultima, a parita' dell'attivita' svolta e degli oneri incontrati (che l'indennita' in questione mira, come e' noto, a compensare in termini omnicomprensivi), costituisce in sostanza una palese alterazione dei principi di proporzione e adeguatezza degli stipendi. L'ingiustificata ed indifferenziata riduzione dell'indennita' giudiziaria a tutti i magistrati, a prescindere dalla posizione giuridico economica e dal trattamento economico complessivo in godimento, costituisce di per se violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. Cio' in quanto, essendo la misura dell'indennita' giudiziaria, uguale per tutti i magistrati proprio perche' sono uniformi gli «oneri» che essi incontrano nello svolgimento della loro attivita', il paradossale risultato della omogenea, riduzione percentuale e' di compensare in modo minore i magistrati con minore anzianita' di servizio, che sono notoriamente impegnati principalmente in sedi disagiate con evidente esposizione a rischi ed oneri spesso di fatto maggiori dei magistrati piu' anziani. La riduzione del trattamento retributivo si appalesa, alla luce degli esposti rilievi, irragionevole e disparitaria, violativa del principio di autonomia ed indipendenza anche economica della magistratura, nonche' del canone di proporzionalita' ed adeguatezza de retribuzione, costituendo, altresi', tributo occulto, speciale e regressivo, in violazione degli arti. 3, 23, 36, 53, 97, 101 e 111 della Costituzione. La rilevanza della questione sussiste atteso che: le norme dell'art. 9, comma 22 del decreto-legge n. 78/2010 cit, quale risultante dalle modifiche introdotte con la legge di conversione, sono di immediata applicazione e la domanda di riconoscimento del diritto al mantenimento della precedente disciplina del trattamento economico non puo' essere esaminata senza il previo scrutinio di costituzionalita' delle norme primarie censurate; le parti ricorrenti subiscono nel corrente anno 2011 il blocco del meccanismo di adeguamento retributivo, nonche' il blocco di acconti e conguagli cui avrebbe avuto altrimenti diritto ed hanno gia' subito la decurtazione della indennita' speciale giudiziaria. Alla luce dei predetti rilievi, va sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 22 del decreto-legge n. 78/2010 cit., quale risultante dalle modifiche introdotte con la legge di conversione, nella parte in cui dispone: a) che «non [fossero] erogati, senza possibilita' di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012»; b) che «per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 [fosse] pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 [venisse] determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; c) che «l'indennita' speciale di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante negli anni 2011, 2012 e 2013, [fosse] ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013», con riduzione non operante ai fini previdenziali. Visto l'art. 23 della legge Cost. n. 87/1953; Riservata ogni altra decisione all'esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, alla quale va rimessa la soluzione dell'incidente di costituzionalita';
P.Q.M. Dichiara rilevanti per la decisione dell'impugnativa e dell'incidente cautelare proposti con il ricorso 409 del 2011 e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 22 del decreto-legge n. 78/2010 cit., quale risultante dalle modifiche introdotte con la legge di conversione, con la c.d. manovra economica 2010, veniva, per quanto di interesse, previsto, per il personale di cui alla legge n. 27/1981: a) che «non [fossero] erogati, senza possibilita', di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012»; b) che «per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 [fosse] pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 [venisse] determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; c) che «l'indennita' speciale di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante negli anni 2011, 2012 e 2013, [fosse] ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013», con riduzione non operante ai fini previdenziali, nei termini e per le ragioni esposti in motivazione, per contrasto con gli articoli 3, 23, 36, 53, 97, 101 e 111 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria del Tribunale amministrativo, a tutte le parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri e che sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al presidente della Camera dei deputati; Dispone la immediata trasmissione degli atti, a cura della stessa Segreteria, alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2011. Il Presidente: Salamone