N. 265 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 ottobre 2011
Ordinanza del 6 ottobre 2011 emessa dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Societa' Consorcasa Regione Lazio Coop. a r.l. ed altri contro Roma Capitale. Enti locali - Disposizioni urgenti per Roma Capitale - Obbligazioni contratte dal Comune di Roma fino alla data del 28 aprile 2008 - Assunzione da parte della gestione commissariale istituita per il rientro dall'indebitamento pregresso e assoggettamento al blocco delle procedure esecutive e degli interessi contemplato (per il risanamento degli enti locali dissestati) dall'art. 248 del T.U. n. 267 del 2000 - Riferibilita' di tali previsioni, in virtu' di norma interpretativa, a tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino al 28 aprile 2008, quand'anche accertate e liquidate da sentenze pubblicate successivamente - Violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento amministrativo, con deroga e restrizione (temporalmente non definite) all'autonomia dell'ente locale - Irragionevole incidenza retroattiva su diritti riconosciuti da sentenze passate in giudicato - Violazione del principio di eguaglianza e del diritto alla tutela giurisdizionale in sede esecutiva - Contrasto con le norme della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU) che garantiscono il "diritto ad un processo equo" e il "diritto ad un ricorso effettivo" - Compressione dell'autonomia e dell'indipendenza del giudice - Vanificazione del legittimo affidamento dei creditori nel positivo svolgimento dell'attivita' difensiva e sostanziale incidenza sulla liberta' di impresa - Violazione, nel caso di specie, del diritto all'effettiva corresponsione dell'indennita' di esproprio nonche' della norma del Protocollo addizionale alla CEDU che garantisce la "protezione della proprieta'". - Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modifiche dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 78, comma 6, primo periodo (nella parte in cui richiama l'art. 248 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, onde renderne applicabili le norme alle obbligazioni di cui al precedente comma 3, primo periodo); decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito con modifiche dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, art. 4, comma 8-bis, ultimo periodo. - Costituzione, artt. 2, 3, 24, 41, primo comma, 42, comma terzo, 97, primo comma, 101, 102, 103, 104, 108, comma secondo, 113, 114, 117, primo comma (in relazione agli artt. 6, comma 1, e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nonche' in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla stessa Convenzione, resi esecutivi con legge 4 agosto 1955, n. 848), 118 e 119.(GU n.53 del 21-12-2011 )
IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 569 del 2011, proposto da: Societa' Consorcasa Regione Lazio Coop. a r.l., Fiore di Verbena s. r.l., Pao.Mar s.r.l.., Immobiliare Tuscolana 1976 s.r.l.., Edilizia Residenziale Nomentana s.r.l.., Emma Natili, rappresentati e difesi dagli avv. Alessandro Pallottino e Alessandra Sandulli, con domicilio eletto presso Alessandro Pallottino in Roma, via Oslavia n.12; Contro Roma Capitale, rappresentato e difeso dall'Andrea Magnanelli, domiciliata per legge in Roma via Tempio di Giove 21; Per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio Roma: Sezione II n. 33208/2010, resa tra le parti, concernente esecuzione giudicato pagamento somma a titolo indennita' di esproprio; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2011 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Alessandro Pallottino, Alessandra Sandulli, nonche' l'avv. Luigi D'Ottavi; 1. - La societa' cooperativa Consorcasa Regione Lazio e gli altri soggetti indicati in epigrafe hanno impugnato la sentenza 5 novembre 2010 n. 33208, con la quale il TAR Lazio, sez. II, ha accolto «nei limiti e nei termini di cui in motivazione» il loro ricorso per l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza 10 novembre 2008 n. 4565 della Corte di Appello di Roma. Tale sentenza ha determinato l'indennita' di esproprio (verificatosi molti anni addietro) loro spettante nella misura di Euro 20.747.187,18, oltre interessi legali, dalla data del 30 aprile 1996 alla sentenza. Le somme dovute sono state successivamente determinate dagli attuali appellanti, con atto di diffida ad eseguire e messa in mora, ex art. 90 RD. n. 642/1907, in Euro 20.747.187,18, a titolo di indennita' di esproprio; Euro 9.087.948,22, quali interessi legali dalla data del 30 aprile 1996 alla sentenza; Euro 120.852,00 a titolo di spese legali, liquidate in sentenza, accessori di legge e spese di CTU. La sentenza appellata ha affermato: a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 78 d.l. n. 112/2008, conv. in legge n. 133/2008, e del relativo d.P.C.M. di attuazione 4 luglio 2008, per tutte le obbligazioni contratte dal Comune di Roma anteriormente all'istituzione della Gestione Commissariale (28 aprile 2008), nonche' per tutte quelle contratte alla data di emanazione del citato DPCM, trovano applicazione l'art. 248, commi 2,3,4 e 255, comma 12, d.lgs. n. 267/2000, di modo che e' impedita «categoricamente la coltivazione di azioni esecutive nei confronti dell'Ente, per debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione», precisandosi (ai sensi dell'art. 4, comma 8-bis, d.l. n. 2/2010, conv. in legge n. 42/2010), che «la gestione commissariale del Comune assume, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008 anche qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti siano liquidati con sentenze pubblicate successivamente alla medesima data»; atteso la natura «determinativa» della sentenza della quale si chiede l'ottemperanza, «e' all'epoca del fatto o atto che occorre avere riguardo per verificare l'assoggettamento dell'obbligazione dallo stesso derivante al regime della gestione commissariale, nella specie sicuramente posto in essere in epoca anteriore al 28 aprile 2008»; «l'inadempienza dell'amministrazione, tenuto conto della portata che assume nella vicenda de qua la dichiarazione di dissesto finanziario relativamente al Comune di Roma nonche' delle disposizioni contenute nei DPCM 4 luglio 2008 e 5 dicembre 2008 comporta l'accoglimento del ricorso proposto dalla parte ricorrente nei seguenti termini (e limiti) per cui va ordinato al Comune di Roma di dare esecuzione alle statuizioni contenute nella sentenza della Corte di Appello di Roma n. 4565/08 ... provvedendo alla ricognizione nel bilancio dell'ente della presenza di somme disponibili per il pagamento anche di spese legali e/o di crediti e, conseguentemente, ordinandosi il pagamento di quanto dovuto; in caso di esito negativo della suindicata indagine, provvedendo all'inserimento nella massa passiva dell'importo dovuto all'odierna parte ricorrente a titolo di capitale, accessori e spese». Avverso tale decisione, sono stati proposti i seguenti motivi di appello: a) violazione del giudicato; violazione degli artt. 24 e 113 Cost., nonche' conseguente violazione art. 43 Cost. e dell'art. 37 DPR n. 327/2001, in merito al diritto dei proprietari espropriati ad ottenere un equo indennizzo per l'ablazione subita; cio' in quanto «la pronuncia del giudice di I grado, di fatto, ha inibito ai ricorrenti di ottenere il conseguimento reale, e non soltanto di principio, dell'utilita' riconosciutagli dalla sentenza della Corte d'Appello di Roma»; in sostanza, «il TAR ha, di fatto, accolto il ricorso ma, nella sostanza, ha negato alle odierne appellanti effettiva soddisfazione in quanto ha stabilito che "la dichiarazione di dissesto finanziario (del Comune) non puo' essere ignorata e cio' a prescindere dalla natura della sentenza che costituisce il giudicato". In definitiva, il TAR avrebbe dovuto disporre realmente l'ottemperanza del giudicato formatosi sulla pronuncia della Corte d'Appello di Roma, ordinando al Comune di Roma di pagare quanto indicato in detta pronuncia o mediante il bilancio ordinario o, al limite, anche mediante il bilancio straordinario, ma in entrambi i casi e non solo nel primo, o, entro un lasso di tempo ben determinato e disponendo, sempre per entrambi i casi, la nomina di un commissario ad acta in caso di persistente inadempienza»; b) violazione art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in merito allo svincolo delle indennita' provvisorie; violazione del giudicato; poiche' «la novella legislativa del 2010 non avrebbe potuto in ogni caso essere applicata almeno con riferimento a quella parte di somme a suo tempo determinata e certamente depositata dal Comune di Roma come indennita' provvisoria attualmente giacente presso il MEF» (precisamente Euro 657,905,00, «i quali essendo gia' da tempo usciti dalle casse del Comune costituiscono un debito gia' assolto (anche se antecedente al 28 aprile 2008). Al contrario il TAR "non ha posto alcuna differenza tra le somme gia' versate dal Comune e quelle ancora da versare a seguito della determinazione giudiziale dell'indennita'", ordinando per entrambe la ricognizione nel bilancio ordinario e, in caso di esito negativo, ha ordinato l'inserimento nella massa passiva»; c) ulteriore violazione art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in merito al pagamento delle spese legali indicate nella sentenza della Corte d'Appello n. 4565/2008; violazione del giudicato; cio' in quanto il TAR ha omesso di pronunciarsi, laddove, stante la condanna al pagamento delle spese di giudizio, «il diritto riconosciuto dall'art. 91 c.p.c. sorge incontestabilmente con la sentenza e non prima, per cui nel caso di specie trattasi di un'obbligazione che certamente non deriva da atti o fatti posti in essere prima dell'aprile 2008». Dopo avere innanzi tutto richiesto che questo Consiglio di Stato, in accoglimento dell'appello, disponga concretamente per l'ottemperanza del Comune di Roma alla sentenza della Corte di appello n. 4565/2008, imponendo al Comune di pagare entro un termine prefissato e provvedendo da subito alla nomina di un Commissario ad acta, per il caso di perdurante inadempimento, gli appellanti, per l'ipotesi i cui si ritenesse applicabile al caso di specie l'art. 78 d.l. n. 112/2008, come modificato e integrato dall'art. 4, comma 8-bis, legge n. 42/2010, chiedono che di tali norme venga valutata «l'esatta portata in una chiave di lettura costituzionalmente orientata e, in ulteriore subordine, di sollevare questione di illegittimita' costituzionale in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 41, 100, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 Cost.» (pagg. 20 - 47 appello). Si e' costituita in giudizio Roma Capitale (gia' Comune di Roma), che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' dell'appello «considerato il venir meno della titolarita' di una posizione debitoria di Roma Capitale con riferimento al credito per cui si procede» e atteso che «la Gestione Commissariale e' un autonomo organo governativo subentrato alla ordinaria amministrazione finanziaria del Comune di Roma»; viene, in ogni caso, conclusivamente richiesto il rigetto dell'appello, stante la sua infondatezza. All'udienza del 31 maggio 2011, la causa e' stata riservata in decisione. 2. - Con sentenza 10 agosto 2011 n. 4772, questo Consiglio di Stato, parzialmente pronunciando sull'appello proposto, ha affermato innanzi tutto, sulla scorta dei principi gia' enunciati da questa Sezione con la sentenza n. 8363/2010, che, in sede di ottemperanza, ed a fronte di una disciplina normativa che richiama - applicandola a Roma capitale - quella applicabile agli enti locali dissestati, il giudice (in disparte, momentaneamente, ogni questione che possa intendere sollevare sulla supposta illegittimita' costituzionale delle norme): deve innanzi tutto accertare il momento di insorgenza della obbligazione, in modo da attribuire, in presenza di un discrimine temporale, la qualifica di debitore all'ente o alla gestione commissariale; qualora questa rientri nella gestione commissariale, non puo' emettere pronuncia che obblighi la gestione commissariale, o tanto meno l'ente locale, ad eseguire la sentenza ne' puo', di conseguenza, procedere alla nomina di un commissario ad acta; qualora l'obbligazione risulti certa nell'an, ma non nel quantum, poiche' la sentenza per la quale si richiede disporre l'ottemperanza si e' limitata a fissare criteri generali (ad esempio, ai sensi dell'art. 35 d.lgs. n. 80/1998, ovvero ai sensi dell'art. 34, comma 4, Cpa), il giudice dell'ottemperanza puo' procedere, anche a mezzo di commissario ad acta, a definire il quantum, ordinando quindi all'amministrazione di segnalare alla gestione straordinaria l'esistenza e l'importo del credito cosi' come determinato; qualora, al contrario, l'obbligazione sia a carico dell'ente Comune e sia insorta in data successiva a quella prima della quale i crediti vantati ricadono nella gestione commissariale, procede nell'ordinario giudizio di ottemperanza, assumendo la pronuncia adeguata, nel caso di specie, a soddisfare la parte nelle posizioni insorte in virtu' del giudicato. Nel caso di specie, la sentenza della Corte di Appello di Roma ha determinato l'indennita' di esproprio spettante agli attuali appellanti nella misura di Euro 20.747.187,18, oltre interessi legali, dalla data del 30 aprile 1996 alla sentenza. Non ricorre, quindi, nel caso di specie, l'ipotesi di una sentenza con la quale il giudice amministrativo si sia limitato a dare i criteri per definire successivamente la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno. Al contrario, ricorre la diversa ipotesi di una sentenza di condanna della pubblica amministrazione pronunciata dal giudice ordinario, al pagamento di una somma determinata e, quanto agli interessi, perfettamente determinabile. A fronte di cio', il primo giudice avrebbe dovuto procedere come sopra indicato, non potendosi viceversa condividere le considerazioni svolte nella sentenza appellata e sulla base delle quali si e' pervenuti ad accogliere il ricorso, ma imponendo alla pubblica amministrazione solamente un obbligo di fare non satisfattorio della posizione giuridica della parte vittoriosa nel giudizio di cognizione. Per tali ragioni, questo Consiglio di Stato ha accolto l'appello in relazione al primo motivo (sub a), con il quale, in sintesi, si lamenta che la sentenza appellata ha «di fatto inibito ai ricorrenti di ottenere il conseguimento reale, e non soltanto di principio, dell'utilita' riconosciutagli dalla sentenza della Corte di appello di Roma n. 4565/2008». L'accoglimento del motivo di appello come ora richiamato comporta che questo Collegio, in relazione ai motivi di appello proposti (sub a/c dell'esposizione in fatto), ha dovuto verificare, alla luce dei principi sopra esposti, la natura dei crediti vantati dagli appellanti per effetto della sentenza della Corte di Appello di Roma n. 4565/2008 citata, onde poter verificare raccoglibilita' (o meno) del ricorso per l'ottemperanza proposto in primo grado. 3. - La sentenza n. 4772/2011 di questo Consiglio di Stato ha proceduto, quindi, ad esaminare partitamente i singoli diritti di credito di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma, ed ha dunque riconosciuto, in accoglimento del secondo e del terzo motivo proposti: a) il diritto ad ottenere (previo svincolo delle medesime) le somme relative ad indennita' provvisoria (quantificate in complessivi Euro 657,905,00 «giacenti presso il MEF» (Ministero dell'economa e delle finanze), poiche', come sostenuto dagli appellanti, «la novella legislativa del 2010 non avrebbe potuto in ogni caso essere applicata almeno con riferimento a quella parte di somme a suo tempo determinata e certamente depositata dal Comune di Roma come indennita' provvisoria attualmente giacente presso il MEF», poiche' tali somme «essendo gia' da tempo uscite dalle casse del Comune costituiscono un debito gia' assolto» (anche se antecedente al 28 aprile 2008). Cio' in quanto il collegio ha ritenuto che «fatta salva i ogni diversa e successiva determinazione dell'indennita' di espropriazione, il deposito dell'indennita' provvisoria (non accettata) presso la Cassa depositi e prestiti costituisce condizione perche' possa essere emanato il decreto di esproprio, e quindi possa determinarsi il sacrificio del diritto di proprieta', nel rispetto delle condizioni (tra le quali il pagamento dell'indennizzo) previste dall'art. 42 Cost.», di modo che «per il tramite del deposito e, quindi, della perdita di disponibilita' della somma da parte dell'espropriante e sua offerta o, comunque, deposito in favore del proprietario, che, medio tempore, ha perso le facolta' di godimento (nel caso di occupazione di urgenza) o lo stesso diritto di proprieta' (nel caso di intervenuto decreto di esproprio), il soggetto espropriante puo' conseguire la piena proprieta' del bene.». Da cio' consegue che «le somme depositate presso la Cassa depositi e prestiti possono essere considerate fuoriuscite dal patrimonio del soggetto depositante ed ormai nella astratta disponibilita' del soggetto espropriando (o espropriato), il quale potra' materialmente ottenerle, al verificarsi delle condizioni di legge, posto che il suo diritto alla percezione (almeno) delle somme depositate sorge con la determinazione stessa dell'indennita' provvisoria.». In conclusione, «stante la particolarita' del procedimento espropriativo e la natura (e causale) delle somme depositate presso la Cassa depositi e prestiti, verificandosi le condizioni di legge (come nel caso di specie), il destinatario delle medesime (in favore del quale il deposito e' stato disposto), ben puo' ottenerne lo svincolo, apprendendo materialmente una somma che costituisce, come condivisibilmente afferma l'appellante, debito gia' assolto dal Comune di Roma, e quindi (ancorche' il diritto di credito sia sorto prima del 28 aprile 2008), estraneo alla tematica del riparto tra comune e gestione commissariale in relazione alla data predetta.»; b) il diritto ad ottenere le somme riconosciute a titolo di spese legali (ed al cui pagamento e' stato condannato il Comune di Roma) dalla sentenza della Corte d'Appello n. 4565/2008, poiche', ai sensi dell'art. 91 c.p.c., secondo il quale «il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa», il diritto a percepire sia le spese sia gli onorari di difesa liquidati in sentenza sorge con il deposito della sentenza medesima. Ne consegue che, poiche' la sentenza della Corte di appello risulta depositata in data 10 novembre 2008, il diritto di credito in esame e' sorto ben dopo la data del 28 aprile 2008 (di cui all'art. 78 d.l. n. 128/2008) e, quindi, ricorre pacificamente la posizione debitoria di Roma Capitale, senza che possa essere invocata la impromovibilita' o la improcedibilita' procedibilita' delle procedure esecutive. 4. - Il Collegio non e' invece pervenuto alle medesime conclusioni (condanna di Roma Capitale all'ottemperanza), con riferimento a quanto liquidato dalla Corte di Appello di Roma (Euro 20.747.187,18) a titolo di indennita' di esproprio, oltre interessi legali dalla data del 30 aprile 1996 alla sentenza. Secondo la sentenza n.4772/2011, «in questo caso, appare del tutto evidente che il diritto di credito (e la corrispondente obbligazione di Roma Capitale) e' sorto ben prima del 28 aprile 2008, assumendo - a fronte di cio' - la sentenza esclusivamente valore accertativo della sussistenza ed entita' del dritto di credito (gia' esistente), con conseguente condanna dell'amministrazione al pagamento della somma accertata. Il diritto a ricevere gli interessi, in quanto obbligazione accessoria, segue quanto statuito per l'obbligazione principale.» Secondo la sentenza, «ricorre, dunque, in questo caso, l'ipotesi prevista dall'art. 78 d.l. n. 128/2008 e dall'art. 4, comma 8-bis, d.l. n. 2/2010, e quindi, in applicazione dei medesimi, il Collegio dovrebbe ritenere la impromovibilita' del giudizio di ottemperanza, essendo, peraltro, il debito attribuito alla gestione straordinaria. Il Collegio ritiene, tuttavia, che occorre rimettere alla Corte costituzionale, stante la sua rilevanza ai fini della decisione e la sua non manifesta infondatezza, la questione relativa alla legittimita' costituzionale dell' articolo 78 d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008 n. 133, e dell'art. 4, comma 8-bis, d.l. 25 gennaio 2010 n. 2, conv. in legge 26 marzo 2010 n. 42, per le ragioni meglio esplicitate con separata ordinanza. Proprio perche', anche per questo aspetto, la decisione riguarda la posizione di debitore di Roma Capitale (che verrebbe esclusa dall'applicazione delle disposizioni sopra indicate ed in relazione alle quali si solleva la questione di legittimita' costituzionale), il Collegio ritiene infondata, anche in ordine a questo profilo della domanda, la proposta eccezione di carenza di legittimazione passiva.». 5. - Ai fini della verifica della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale ai fini della decisione del presente giudizio e della sua non manifesta infondatezza, appare opportuno richiamare le norme che trovano applicazione nel caso in esame. L'art. 78 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008, n. 133, recante «disposizioni urgenti per Roma Capitale», prevede tra l'altro: «1. Al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi strutturali di risanamento della finanza pubblica e nel rispetto dei principi indicati dall'articolo 119 della Costituzione, nelle more dell'approvazione della legge di disciplina dell'ordinamento, anche contabile, di Roma Capitale ai sensi dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, il Sindaco del comune di Roma, senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato, e' nominato Commissario straordinario del Governo per la ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune e delle societa' da esso partecipate, con esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati, e per la predisposizione ed attuazione di un piano di rientro dall'indebitamento pregresso. 2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri: a) sono individuati gli istituti e gli strumenti disciplinati dal Titolo VIII del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, di cui puo' avvalersi il Commissario straordinario, parificato a tal fine all'organo straordinario di liquidazione, fermo restando quanto previsto al comma 6; b) su proposta del Commissario straordinario, sono nominati tre subcommissari, ai quali possono essere conferite specifiche deleghe dal Commissario (...). 3. La gestione commissariale del comune assume, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008. Le disposizioni dei commi precedenti non incidono sulle competenze ordinarie degli organi comunali relativamente alla gestione del periodo successivo alla data del 28 aprile 2008. Alla gestione ordinaria si applica quanto previsto dall'articolo 77-bis, comma 17. Il concorso agli obiettivi per gli anni 2009 e 2010 stabiliti per il comune di Roma ai sensi del citato articolo 77-bis e' a carico del piano di rientro. 4. Il piano di rientro, con la situazione economico-finanziaria del comune e delle societa' da esso partecipate di cui al comma 1, gestito con separato bilancio, entro il 30 settembre 2008, ovvero entro altro termine indicato nei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui ai commi 1 e 2, e' presentato dal Commissario straordinario al Governo, che l'approva entro i successivi trenta giorni, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, individuando le coperture finanziarie necessarie per la relativa attuazione nei limiti delle risorse allo scopo destinate a legislazione vigente. E' autorizzata l'apertura di una apposita contabilita' speciale. Al fine di consentire il perseguimento delle finalita' indicate al comma 1, il piano assorbe, anche in deroga a disposizioni di legge, tutte le somme derivanti da obbligazioni contratte, a qualsiasi titolo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, anche non scadute, e contiene misure idonee a garantire il sollecito rientro dall'indebitamento pregresso. Il Commissario straordinario potra' recedere, entro lo stesso termine di presentazione del piano, dalle obbligazioni contratte dal Comune anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 5. Per l'intera durata del regime commissariale di cui al presente articolo non puo' procedersi alla deliberazione di dissesto di cui all'articolo 246, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. 6. I decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui ai commi 1 e 2 prevedono in ogni caso l'applicazione, per tutte le obbligazioni contratte anteriormente alla data di emanazione del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, dei commi 2, 3 e 4 dell'articolo 248 e del comma 12 dell'articolo 255 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Tutte le entrate del comune di competenza dell'anno 2008 e dei successivi anni sono attribuite alla gestione corrente di Roma Capitale, ivi comprese quelle riferibili ad atti e fatti antecedenti all'anno 2008, purche' accertate successivamente al 31 dicembre 2007...» I commi 2, 3 e 4 dell'art. 248 d.lgs. n. 267/2000 (Testo Unico enti locali), espressamente richiamati dal precedente comma 6 dell'art. 78, prevedono: «2. Dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'art. 256 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell'ente per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione. Le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, nelle quali sono scaduti i termini per l'opposizione giudiziale da parte dell'ente, o la stessa benche' proposta e' stata rigettata, sono dichiarate estinte d'ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell'importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese. 3. I pignoramenti eventualmente eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dissesto non vincolano l'ente ed il tesoriere, i quali possono disporre delle somme per i fini dell'ente e le finalita' di legge. 4. Dalla data della deliberazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'art. 256 i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa gia' erogate non producono piu' interessi ne' sono soggetti a rivalutazione monetaria. Uguale disciplina si applica ai crediti nei confronti dell'ente che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione a decorrere dal momento della loro liquidita' ed esigibilita'.». Il comma 12 dell'art. 255 del Testo unico enti locali, anch'esso espressamente indicato dal comma 6 dell'art. 78, prevede: «12. Nei confronti della massa attiva determinata ai sensi del presente articolo non sono ammessi sequestri o procedure esecutive. Le procedure esecutive eventualmente intraprese non determinano vincoli sulle somme.». Infine, l'art. 4, comma 8-bis d.l. 25 gennaio 2010 n. 2, conv. in legge 26 marzo 2010 n. 42, prevede tra l'altro: «8-bis. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nominato un Commissario straordinario del Governo per la gestione del piano di rientro di cui all'articolo 78 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, gestito con separato bilancio e approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2008. A partire dalla data di nomina del nuovo Commissario, il sindaco del comune di Roma cessa dalle funzioni di Commissario straordinario del Governo per la gestione dello stesso piano di rientro. Il Commissario straordinario del Governo procede alla definitiva ricognizione della massa attiva e della massa passiva rientranti nel predetto piano di rientro... Ai fini di una corretta imputazione al piano di rientro, con riguardo ai commi 2, 3 e 4 dell'articolo 248 e al comma 12 dell'articolo 255 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, il primo periodo del comma 3 dell'articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.133 del 2008, si interpreta nel senso che la gestione commissariale del comune assume, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008, anche qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti siano liquidati con sentenze pubblicate successivamente alla medesima data.». 6. Dall'esame delle disposizioni applicabili al caso di specie, appare evidente la rilevanza della questione. L'art. 78 comma 6, primo periodo, prevede che, per le obbligazioni rientranti nella gestione commissariale, individuate ai sensi del precedente comma 3, primo periodo e dell'art. 4, comma 8-bis, sia applicabile l'art. 248 d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, il quale, a sua volta, prevede tra l'altro che «non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell'ente per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione» (comma 2). Per effetto di tali disposizioni, gli appellanti, che hanno ottenuto dalla Corte di appello di Roma (con sentenza 10 novembre 2008 n. 4765, passata in giudicato) il riconoscimento del loro diritto a percepire (e la correlativa condanna del Comune di Roma a pagare), l'indennita' loro dovuta per un espropriazione nella misura di Euro 20.747.187,18, oltre interessi legali, dalla data del 30 aprile 1996 alla sentenza, vedono ora - nonostante l'attivazione del giudizio di ottemperanza innanzi al giudice amministrativo - paralizzato l'esercizio del loro diritto di credito (nonche' l'improduttivita' di ulteriori interessi delle somme loro dovute), per effetto dell'articolo 78 d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008 n. 133, e dell'art. 4, comma 8-bis, d.l. 25 gennaio 2010 n. 2, conv. in legge 26 marzo 2010 n. 42. In applicazione di tali disposizioni, questo Consiglio di Stato, trattandosi a tutta evidenza di obbligazione derivante da «fatti o atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008», ancorche' la stessa sia stata accertata con sentenza pubblicata successivamente alla medesima data - cosi' come dispone espressamente (in interpretazione autentica del primo periodo del comma 3 dell'articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.133 del 2008), l'art. 4, comma 8-bis d.l. 25 gennaio 2010 n. 2, conv. in legge 26 marzo 2010 n. 42 - non puo' disporre per l'ottemperanza della Pubblica Amministrazione, anzi deve procedere alla declaratoria di improcedibilita' del ricorso, ai sensi dell'art. 248, comma 2, d.lgs. n. 267/2000, in quanto dichiarato applicabile dal citato art. 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, nei modi e termini esplicitati da tale articolo e dal citato art. 4, comma 8-bis, del decreto legge n. 2 del 2010. Il Collegio ritiene, dunque, evidente la rilevanza della questione, poiche' - come lamentano gli appellanti - «le disposizioni che si censurano ... comportano, ove applicate, il mancato reale conseguimento dell'utilita' riconosciuta agli appellanti a seguito della sentenza della Corte di Appello n. 4565/2008». Ne', stante il tenore delle due disposizioni evocate, sussiste alcuna possibilita' di diversa interpretazione, tale da escludere il caso in esame dalla loro applicazione e, quindi, procedere nel giudizio di ottemperanza instaurato, fino alla sua decisione nel merito. 7. Attesa la rilevanza, questo Consiglio di Stato ritiene altresi' non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell' articolo 78 (comma 6, primo periodo, nella parte in cui richiama l'art. 248 d.lgs. n. 18 agosto 2000 n. 267, onde renderne applicabili le norme alle obbligazioni di cui al precedente comma 3, primo periodo) d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008 n. 133, e dell'articolo 4, comma 8-bis, ultimo periodo, di. 25 gennaio 2010 n. 2, conv. in legge 26 marzo 2010 n. 42, nei sensi di seguito esposti. E cio' indipendentemente dalla natura innovativa con efficacia retroattiva (come sostenuto dagli appellanti) ovvero di interpretazione autentica, del citato art. 4, comma 8-bis, posto che, come ha affermato la Corte costituzionale (sent. 4 agosto 2003 n. 291) «il problema da affrontare riguarda non tanto la natura della legge, quanto piuttosto i limiti che la sua portata retroattiva incontra, alla luce del principio di ragionevolezza», posto che il legislatore, fermo il divieto dell'art. 25 per la materia penale, «nel rispetto di tale previsione, puo' emanare norme con efficacia retroattiva - interpretative o innovative che siano - purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti.». La Corte costituzionale (sent. 3 marzo 1988 n. 233), ha gia' affermato che «sebbene la legge impugnata si autoqualifichi e sia formulata come una legge interpretativa, cio' non esime questa Corte dal verificare, ai fini del giudizio di legittimita' costituzionale, se la qualificazione e la formulazione siano realmente rispondenti al contenuto dispositivo della legge medesima». Ha altresi' precisato che la qualificazione di legge interpretativa spetta «a quelle leggi o a quelle disposizioni che, riferendosi e saldandosi con altre disposizioni (quelle interpretate), intervengono esclusivamente sul significato normativo di queste ultime (senza, percio', intaccarne o integrarne il dato testuale), chiarendone o esplicitandone il senso (ove considerato oscuro) ovvero escludendone o enucleandone uno dei sensi ritenuti possibili, al fine, in ogni caso, di imporre all'interprete un determinato significato normativa della disposizione interpretata», escludendo al contempo che tale qualifica ricorra allorche' il legislatore «anziche' desumere, enucleare o escludere un qualche significato gia' insito nella disposizione "interpretata" - interviene sul testo legislativo, aggiungendo una diversa disposizione». Nello stesso senso, con la sentenza 4 aprile 1990 n. 155, la Corte costituzionale ha affermato che "va riconosciuto carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo e' espresso dalla coesistenza delle due norme (quella precedente e l'altra successiva che ne esplicita il significato), le quali rimangono entrambe in vigore e sono quindi anche idonee ad essere modificate separatamente.». E' stato altresi' precisato (sentenza n. 291/2003 cit.) che: «A proposito delle cd. leggi di interpretazione autentica, questa Corte ha piu' volte affermato che il legislatore puo' porre norme che retroattivamente precisino il significato di altre norme preesistenti, ovvero impongano una delle possibili varianti di senso del testo originario, purche' compatibile con il tenore letterale di esso (sentenze n. 421 del 1995; n. 376 del 1995; n. 15 del 1995; n. 397 del 1994). Ed ha precisato che in tali casi il problema da affrontare riguarda non tanto la natura della legge, quanto piuttosto i limiti che la sua portata retroattiva incontra, alla luce del principio di ragionevolezza (sentenze n. 229 del 1999; n. 525 del 2000). Infatti il divieto di retroattivita' della legge - pur costituendo fondamentale valore di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore ordinario deve di regola attenersi - non e' stato elevato a dignita' costituzionale, salva, per la materia penale, la previsione dell'art. 25 della Costituzione; e quindi il legislatore, nel rispetto di tale previsione, puo' emanare norme con efficacia retroattiva interpretative o innovative che siano - purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti». In particolare, questo Consiglio di Stato ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni sopra indicate per violazione degli articoli 3, 97, primo comma, 114, 118 e 119 Cost., poiche', nel prevedere che «la gestione commissariale del comune assume, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008, anche qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti siano liquidati con sentenze pubblicate successivamente alla medesima data.», dette norme impediscono una puntuale e temporalmente definita ricognizione dello stato debitorio propriamente inteso, da assegnare alla gestione commissariale. Infatti, la norma, lungi dall'introdurre un criterio per la definizione della massa debitoria, agisce esclusivamente ex post, ascrivendo alla gestione commissariale obbligazioni sorte ante 28 aprile, ma nel momento in cui sopravviene l'accertamento con sentenza. Si tratta, dunque, non gia' di un criterio di ricognizione attuale del debito, bensi' di un criterio successivo di imputazione del medesimo (attuato peraltro in deroga alla disciplina generale del dissesto di cui al d.lgs. n. 267/2000, ed in particolare all'art. 254), con cio' violando il principio di ragionevolezza desumibile, per consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, dall'art. 3 Cost., nonche' il principio di buon andamento amministrativo, ex art. 97, comma primo, Cost., nella misura in cui non consente di avere certezza del presupposto (l'indebitamento) che ha determinato l'introduzione della disciplina eccezionale e, quindi, la deroga alla disciplina ordinaria degli enti locali. Ne' si e' provveduto, in concreto, alla pubblicazione di un avviso pubblico ai fini dell'insinuazione del credito (ancorche' sub iudice), nella massa passiva e, quindi, ai fini di una ricognizione delle posizioni debitorie, come previsto in caso di dichiarazione di dissesto dall'art. 254 d.lgs. n. 267/2000. Il descritto stato di incertezza si riflette sulla indeterminatezza temporale della gestione commissariale, con cio' evidenziando un ulteriore profilo di irragionevolezza della norma, in quanto introduce una non giustificabile deroga e compressione (temporalmente non definite) all'autonomia dell'ente locale, come precisata e garantita dagli artt. 114, 118 e 119 Cost. Non e', altresi', manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni indicate per violazione degli artt. 2, 3, 24, 101, 102, 103, 104, 113, 117, comma 1, (in relazione all'art. 6, comma 1 ed all'art. 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848), della Costituzione. Ed infatti, tali disposizioni, ricomprendendo i diritti di credito derivanti da accertamento ottenuto in sede giurisdizionale, ma riferiti a fatti o atti anteriori al 28 aprile 2008, tra quelli per i quali non e' possibile esperire procedure esecutive, incide retroattivamente, senza alcuna ragionevolezza, su diritti riconosciuti dall'autorita' giurisdizionale con sentenza passata in giudicato anteriormente all'entrata in vigore del d.l. n. 2/2010 (nel caso di specie, derivanti dalla sentenza della Corte di appello). Giova ricordare che la Corte costituzionale (sent. n. 155/1990 cit), ha affermato (con riferimento ad una legge interpretativa) che la stessa «non viola di per se' gli artt. 101, 102 e 104 Cost., ... a meno che essa non leda il giudicato gia' formatosi o non sia intenzionalmente diretta ad incidere sui giudizi in corso.». Ne' tale conclusione e' negata dal fatto che con la norma indicata non si attua un disconoscimento del diritto, accertato dal giudice, ne' una incisione sui suo contenuto, posto che comunque si agisce sulla effettivita' della tutela giurisdizionale e, piu' specificamente sul diritto alla tutela giurisdizionale (in sede esecutiva). Di qui la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni in esame per violazione dell'art. 3 Cost., relativamente alla loro manifesta irragionevolezza, in relazione al principio di eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge, nonche' per violazione degli artt. 2, 24, 103 e 113 Cost., in relazione al diritto inviolabile alla tutela giurisdizionale, intesa come effettivita' della medesima e, piu' specificamente, come diritto alla tutela giurisdizionale in sede di esecuzione, diritto che risulta frustrato dalle disposizione rimesse al vaglio della Corte. Inoltre, sussiste la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost, posto che l'art. 6, comma 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848), prevede che «ogni persona ha diritto ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente imparziale costituito per legge, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile ...»; cosi' come il successivo art. 13 (disciplinante il «diritto ad un ricorso effettivo») prevede il diritto di ogni persona «i cui diritti e le cui liberta' riconosciuti nella presente convenzioni sono stati violati» a poter esperire «un ricorso effettivo davanti a un'istanza nazionale». Entrambe le norme citate (ed i principi da esse desumibili) che pure, ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost. (il quale impone all'esercizio della potesta' legislativa i «vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali»), avrebbero dovuto essere tenute presenti dal legislatore, risultano dunque violate dalle disposizioni in esame, posto che esse, mediante la richiamata applicabilita' dell'art. 248, comma 2, d.lgs. n. 267/2000, negano la possibilita' di intraprendere o proseguite azioni esecutive nei confronti dell'ente per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione. Questo Consiglio di Stato ritiene, altresi', non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni indicate, per violazione degli artt. 101, 102, 104 e 108, comma secondo, Cost., in riferimento alla autonomia ed indipendenza del giudice, compressa ex post da un irragionevole intervento del legislatore operante sulla effettivita' della pronuncia giurisdizionale. Occorre ricordare che la Corte costituzionale, con sentenza 7 novembre 2007 n. 364, nel ritenere costituzionalmente illegittimo l'art. 7-quater d.l. 31 gennaio 2005 n. 7 (nella parte in cui aveva stabilito l'inefficacia nei confronti di un ente per legge succeduto ad un altro - anche nei rapporti pendenti, con istituzione di una gestione commissariale per i debiti del secondo - dei decreti ingiuntivi e delle sentenze emesse nei confronti del primo ente per debiti relativi al secondo e l'estinzione di ufficio dei giudizi di ottemperanza pendenti in base al medesimo titolo), ha affermato che tali norme «violano le attribuzioni costituzionali dell'autorita' giudiziaria cui spetta la tutela dei diritti (artt. 102 e 113 Cost.). Infatti non vi e' dubbio che l'emissione di provvedimenti idonei ad acquistare autorita' di giudicato costituisca uno dei principali strumenti per la realizzazione del suindicato compito. Nel contempo, le disposizioni denunciate contrastano con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto in parte vanificano i risultati dell'attivita'. difensiva svolta, sulla cui definitivita' i creditori ... potevano fare ragionevole affidamento. In simile ordine di idee questa Corte ha affermato, da un lato, che l'estinzione dei giudizi pendenti puo' essere ritenuta costituzionalmente legittima qualora le norme che la stabiliscono incidano anche sulla legge regolatrice del rapporto controverso, garantendo la sostanziale realizzazione dei diritti in oggetto (sentenza n. 103 del 1995), dall'altro, che in materia non penale la legittimita' di leggi retroattive e' condizionata dal rispetto di altri principi costituzionali e, in particolare, di quello della tutela del ragionevole, e quindi legittimo, affidamento (ex plurimis, sentenze n. 446 del 2002 e n. 234 del 2007). Anche se le disposizioni in scrutinio non possono essere definite retroattive in senso tecnico, tuttavia esse, travolgendo provvedimenti giurisdizionali definitivi e incidendo sui regolamenti dei rapporti in essi consacrati, finiscono per avere la stessa efficacia di nonne retroattive e per incontrare i medesimi limiti costituzionali per queste enunciati». 8. Oltre quanto sin qui evidenziato, non e' manifestamente infondata a questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 78 (comma 6, primo periodo, nella parte in cui richiama l'art. 248 d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, onde renderne applicabili le norme alle obbligazioni di cui al precedente comma 3, primo periodo) d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008 n. 133, e dell'articolo 4, comma 8-bis, ultimo periodo, d.l. 25 gennaio 2010 n. 2, conv. in legge 26 marzo 2010 n. 42, a) per violazione degli artt. 3, 24, 41, primo comma, Cost., poiche' l'applicazione delle disposizioni indicate pregiudica il legittimo affidamento che i creditori del Comune di Roma hanno riposto nel positivo svolgimento dell'attivita' difensiva volta in giudizio a tutela dei propri interessi, in tal modo sostanzialmente incidendo sulla liberta' di impresa, riconosciuta e garantita dall'art. 41 Cost.; b) per violazione degli articoli 42 e 117, comma 1 (in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, reso esecutivo con legge 4 agosto 1955 n. 848), della Costituzione, poiche', per il tramite di un rinvio ad un termine «incertus quando», senza alcuna distinzione in ordine alla natura del credito insorto in momento anteriore al 28 febbraio 2011, si lede (comprendendo nelle obbligazioni afferenti a diritti di credito anche quelle in esame nel caso di specie) il diritto costituzionalmente garantito ad una effettiva corresponsione dell'indennita' di esproprio (non essendo certo sufficiente la teorica definizione della stessa), quale indispensabile presupposto dell'esercizio della potesta' ablatoria. Nel caso di specie, a fronte di una perdita del diritto di proprieta' risalente agli anni novanta, e nonostante anni di giudizio, i soggetti espropriati non ottengono la (dovuta ed indispensabile) indennita' di esproprio. Ne', d'altra parte, puo' parlarsi di indennita' di espropriazione come «serio ristoro» (secondo i criteri elaborati dalla pluriennale giurisprudenza della Corte costituzionale (a partire dalla sent. n. 5/1980 e fino alle sentt. nn. 347 e 348 del 2007), laddove la somma non possa essere materialmente e celermente conseguita. Per le medesime ragioni, non e' manifestamente infondata la questione per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., posto che l'art. 1 del Protocollo addizionale alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (reso esecutivo con legge 4 agosto 1955 n. 848), prevede la «protezione della proprieta'» ed i limiti indefettibili che ne consentono la perdita per causa di utilita' pubblica;. 10. Per tutte le ragioni esposte, questo Consiglio di Stato ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 78, comma 6, primo periodo (nella parte in cui richiama l'art. 248 d.lgs. n. 18 agosto 2000 n. 267, onde renderne applicabili le norme alle obbligazioni di cui al precedente comma 3, primo periodo) d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008 n. 133, e dell'articolo 4, comma 8-bis, ultimo periodo, d.l. 25 gennaio 2010 n. 2, conv. in legge 26 marzo 2010 n. 42, per violazione degli articoli 2, 3, 24, 41, primo comma, 42, terzo comma 97, primo comma, 101, 102, 103, 104, 108, comma secondo, 113, 114, 117, primo comma (in relazione all'art. 6, comma 1 ed all'art. 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nonche' in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, resi esecutivi con legge 4 agosto 1955 n. 848), 118, 119 della Costituzione. La rimessione degli atti alla Corte costituzionale comporta la sospensione del processo in corso.
P. Q. M. Visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, e l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 78, comma 6, primo periodo (nella parte in cui richiama l'art. 248 d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, onde renderne applicabili le norme alle obbligazioni di cui al precedente comma 3, primo periodo) del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008 n. 133, e dell'articolo 4, comma 3-bis, ultimo periodo, d.l. 25 gennaio 2010, n. 2, conv. in legge 26 marzo 2010, n. 42. Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2011. Il Presidente: Leoni L'estensore: Oberdan