N. 338 SENTENZA 12 - 22 dicembre 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Espropriazione per pubblica utilita' - Indennita'  di  espropriazione
  delle aree fabbricabili -  Riduzione  entro  i  limiti  dei  valori
  dichiarati o  denunciati  dall'espropriato  ai  fini  impositivi  -
  Mancata previsione di un «valore  minimo  garantito»  nei  casi  di
  omessa   dichiarazione,   ovvero   di   dichiarazione   di   valori
  assolutamente   irrisori   -   Lamentata   lesione   del    diritto
  dell'espropriato ad un serio ristoro e del «ragionevole legame» tra
  indennita' e valore venale del bene  -  Asserita  violazione  degli
  obblighi  internazionali  derivanti  dalla   Convenzione   per   la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU), come interpretata  dalla
  giurisprudenza della  Corte  europea  -  Insufficiente  descrizione
  della fattispecie con conseguente preclusione del  controllo  sulla
  rilevanza della questione - Inammissibilita'. 
- D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16, comma 1. 
- Costituzione,  artt.  42,  terzo  comma,  e   117,   primo   comma;
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali, art. 6; primo  protocollo  addizionale  alla
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali, art. 1. 
Espropriazione per pubblica utilita' - Indennita'  di  espropriazione
  delle aree fabbricabili -  Riduzione  entro  i  limiti  dei  valori
  dichiarati o  denunciati  dall'espropriato  ai  fini  impositivi  -
  Mancata previsione  di  un  meccanismo  che,  nei  casi  di  omessa
  dichiarazione, ovvero  di  dichiarazione  di  valori  assolutamente
  irrisori, impedisca la totale elisione dell'indennita' e garantisca
  comunque un ragionevole rapporto tra il valore venale del  suolo  e
  l'ammontare dell'indennita' - Lesione del diritto  dell'espropriato
  ad un serio ristoro e del «ragionevole  legame»  tra  indennita'  e
  valore venale del bene - Violazione degli  obblighi  internazionali
  derivanti dalla CEDU, come interpretata dalla giurisprudenza  della
  Corte europea - Illegittimita' costituzionale. 
- D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16, comma 1. 
- Costituzione, artt. 42, terzo comma,  e  117,  primo  comma;  primo
  protocollo  addizionale  alla  Convenzione  per   la   salvaguardia
  dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 1. 
Espropriazione per pubblica utilita' - Indennita'  di  espropriazione
  delle aree fabbricabili -  Riduzione  entro  i  limiti  dei  valori
  dichiarati o  denunciati  dall'espropriato  ai  fini  impositivi  -
  Disciplina   riproduttiva   di   disposizione    gia'    dichiarata
  incostituzionale   -   Illegittimita'   costituzionale    in    via
  consequenziale. 
- D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, comma 7. 
- Legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27. 
(GU n.54 del 28-12-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Alfonso QUARANTA; 
Giudici: Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA , Sergio MATTARELLA; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 16, comma 1,
del decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.  504  (Riordino  della
finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della L.  23
ottobre 1992, n. 421), sostituito dall'art. 37, comma 7, del  decreto
del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n.  327  (Testo  unico
delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in   materia   di
espropriazione  per  pubblica  utilita'),  promossi  dalla  Corte  di
cassazione, Sezioni Unite civili, con due  ordinanze  del  14  aprile
2011, iscritte ai nn.  158  e  159  del  registro  ordinanze  2011  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, 1ª  serie
speciale, dell'anno 2011. 
    Visti gli atti  di  costituzione  del  Consorzio  per  l'Area  di
Sviluppo  Industriale  Sassari-Porto  Torres-Alghero  e  dell'Astaldi
S.p.a., nonche' gli atti di intervento del Presidente  del  Consiglio
dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica dell'8 novembre 2011 e  nella  camera
di consiglio  del  9  novembre  2011  il  Giudice  relatore  Giuseppe
Tesauro; 
    uditi gli avvocati Federico Isetta per il Consorzio per l'Area di
Sviluppo Industriale Sassari-Porto Torres-Alghero, Vittorio  Biagetti
per l'Astaldi S.p.a. e l'avvocato dello Stato Giuseppe  Albenzio  per
il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - La Corte di cassazione a Sezioni Unite,  con  due  ordinanze
del 14 aprile 2011, iscritte al reg. ord. n. 158 e n. 159  del  2011,
ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale  dell'articolo
16, comma 1,  del  decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  504
(Riordino  della   finanza   degli   enti   territoriali,   a   norma
dell'articolo 4 della L. 23 ottobre 1992, n. 421)  -  norma  abrogata
dall'art. 58, comma 1, numero 134), del decreto del Presidente  della
Repubblica 8 giugno 2001, n.  327  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica
utilita'), come modificato dal decreto legislativo 27 dicembre  2002,
n. 302 (Modifiche ed integrazioni al d.P.R. 8 giugno  2001,  n.  327,
recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di espropriazione per pubblica utilita') a decorrere  dal  30
giugno 2003, in virtu' dell'art. 3 del decreto-legge 20 giugno  2002,
n. 122 (Disposizioni concernenti proroghe in materia di  sfratti,  di
edilizia  e  di  espropriazione),   convertito   con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 1°  agosto  2002,  n.  185  -  oggi
riversata nell'art. 37, comma 7, del citato d.P.R. n. 327  del  2001,
in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 ed all'art. 1  del
primo  protocollo  addizionale  della  Convenzione  europea  per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    1.1. - Con la prima ordinanza il giudice a quo premette in  fatto
che L.M.G. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della
Corte di appello di Catania,  che  aveva  rideterminato  l'indennita'
dovutale dal Comune di Caltagirone per l'esproprio di terreni di  sua
proprieta', siti nel predetto Comune, destinati alla realizzazione di
alloggi  per  scopi  sociali.  A  sostegno  del   ricorso,   venivano
prospettati due motivi. Con il primo si denunciava la  violazione  di
legge per avere la sentenza fatto applicazione dell'art. 5-bis  della
legge 8 agosto 1992, n. 359 (Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, recante misure urgenti  per
il risanamento della  finanza  pubblica),  di  cui  si  sosteneva  la
illegittimita' costituzionale. Con il secondo motivo si denunciava la
violazione dell'art. 24 della legge 13 giugno 1942, n.  794  (Onorari
di avvocato e di procuratore per prestazioni  giudiziali  in  materia
civile), per avere liquidato le spese processuali violando  i  minimi
tariffari. Il Comune di Caltagirone  resisteva  con  controricorso  e
proponeva a sua volta  ricorso  incidentale  denunciando  la  mancata
decurtazione della indennita', nella misura  del  40%,  a  norma  del
citato art.  5-bis,  non  avendo  l'espropriata  accettato  la  somma
offertale. Con il secondo motivo veniva poi denunciata la  violazione
dell'art.  16  del  decreto-legislativo  30  dicembre  1992,  n.  504
(Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'art.  4
della L. 23 ottobre 1992, n.  421),  in  quanto  all'espropriata  non
avrebbe dovuto essere liquidato nulla, a titolo di indennita', avendo
omesso di presentare la dichiarazione ICI. 
    1.2. - Con la seconda ordinanza la Corte rimettente premette  che
A.C., comproprietario pro indiviso di un terreno situato  nel  Comune
di Sassari, interessato da  un  procedimento  di  espropriazione  per
pubblica utilita', aveva proposto  opposizione  alla  stima,  dinanzi
alla Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari,  ai
sensi dell'art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865  (Programmi  e
coordinamento  dell'edilizia  residenziale  pubblica;   norme   sulla
espropriazione per pubblica utilita'; modifiche ed integrazioni  alle
leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167;  29  settembre
1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi  straordinari
nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata  e  convenzionata),
nei confronti  del  Consorzio  per  l'Area  di  Sviluppo  Industriale
(A.S.I.) Sassari‒ Porto Torres‒Alghero. 
    Il  Consorzio  A.S.I.,  aveva  chiesto  nel  merito  il   rigetto
dell'opposizione e la riduzione dell'indennita' entro  i  limiti  dei
valori dichiarati  ai  fini  ICI,  ovvero  l'esclusione  del  diritto
all'indennita' in caso di omessa dichiarazione, in forza dell'art. 16
del d.lgs. n. 504 del 1992. La Astaldi S.p.a., chiamata in causa  dal
Consorzio  A.S.I.,  aveva  eccepito,  a  sua  volta,  il  difetto  di
legittimazione aderendo nel resto alle difese del consorzio. 
    La Corte di appello adita  aveva  proceduto  alla  determinazione
della indennita' di esproprio e  di  occupazione  dell'area  ritenuta
edificabile. Quanto alla richiesta di riduzione dell'indennita' entro
i limiti dei valori dichiarati ai fini ICI, ovvero di totale  rigetto
della domanda di A.C., per la perdita del diritto alla indennita', in
caso di omessa dichiarazione, la Corte di appello aveva  escluso  che
nella specie potesse trovare applicazione il  disposto  dell'art.  16
del d.lgs. n. 504 del 1992. Cio', in quanto la  norma  sarebbe  stata
applicabile soltanto nel caso di  presentazione  della  dichiarazione
ICI, nel mentre A.C. «[aveva] dichiarato di non avere mai  presentato
alcuna dichiarazione ICI in relazione ai terreni di cui e' causa,  di
talche' incombeva al Consorzio A.S.I., che ha domandato la  riduzione
dell'indennita' di esproprio, dimostrare sia che  tale  dichiarazione
era stata, invece, presentata [...], sia che il valore dichiarato era
inferiore all'indennita' calcolata ex art. 5-bis, legge  n.  359  del
1992)». 
    Avverso  tale  decisione  proponeva  ricorso  il  Consorzio,  per
ottenere la cassazione della sentenza della Corte di merito. 
    In particolare, con il settimo motivo, denunciando la  violazione
e falsa applicazione dell'art. 16 del d.lgs.  n.  504  del  1992,  il
Consorzio ribadiva la tesi che, in forza della citata disposizione di
legge, l'espropriato, avendo omesso di  presentare  la  dichiarazione
ICI, relativa ai terreni in questione,  non  avrebbe  potuto  vantare
alcun  diritto  alle  indennita'  di  esproprio.   A   giudizio   del
ricorrente, laddove l'art. 16 fosse applicabile soltanto al  caso  di
denuncia infedele e non anche al caso  di  omessa  dichiarazione,  il
sistema sarebbe irrazionalmente sbilanciato a  favore  degli  evasori
totali, il  cui  trattamento  sanzionatorio  sarebbe  paradossalmente
migliore di quello riservato agli evasori parziali. In  questo  senso
il  Consorzio  ha  eccepito  l'incostituzionalita'  di   una   simile
interpretazione della norma, con riferimento all'art. 3 Cost. 
    1.3. - In entrambi i giudizi la prima sezione civile della  Corte
di cassazione, alla  quale  i  ricorsi  erano  stati  originariamente
assegnati, con ordinanze rispettivamente n. 880 e n. 15317 del  2010,
dopo avere rilevato che la  giurisprudenza  di  legittimita'  si  era
conformata all'indirizzo interpretativo  fornito  dal  giudice  delle
leggi, secondo il quale il  pagamento  dell'indennita'  di  esproprio
deve essere subordinato, in ogni caso,  alla  regolarizzazione  degli
obblighi fiscali, relativi all'ICI, evidenziava problemi  applicativi
di  non  facile  soluzione.  In  particolare  veniva   esaminato   il
condizionamento  reciproco   delle   procedure,   sul   piano   della
pregiudizialita' incrociata delle questioni, con il correlato rischio
di conflitti di giudicati e di cumulo dei tempi delle due  procedure,
difficilmente compatibile con la ragionevole durata dei processi. 
    Trattandosi di questione di massima di particolare importanza, le
cause erano state rimesse al Primo Presidente, il quale le aveva  poi
assegnate alle SS.UU. 
    1.4. - Le Sezioni Unite civili hanno  quindi  sollevato,  con  le
ordinanze in epigrafe, la questione  di  legittimita'  costituzionale
con identica motivazione in diritto,  partendo  da  una  approfondita
ricostruzione della interpretazione dell'art. 16,  primo  comma,  del
d.lgs. n. 504 del 1992, nella parte in cui impone la riduzione  della
indennita' di espropriazione delle aree  fabbricabili,  in  relazione
all'obbligo  di  dichiarazione  (iniziale)   o   denuncia   (per   le
variazioni) ICI (art. 10 del d.lgs. n. 504 del 1992, vigente  ratione
temporis). 
    La Corte di cassazione muove dall'interpretazione che della norma
e' stata fornita dalla Corte costituzionale, con la sentenza  n.  351
del 2000, che  a  suo  giudizio  avrebbe  escluso  che  la  apparente
incompletezza della disciplina dettata dall'art. 16 del d.lgs. n. 504
del  1992  (circoscritta  alla  sola  ipotesi   della   dichiarazione
infedele) fosse in contrasto con  l'art.  3  Cost.,  ipotizzando  che
anche il  contribuente  evasore  totale  (al  pari  del  contribuente
infedele) dovesse regolarizzare la propria posizione  fiscale,  prima
di ottenere il pagamento  dell'indennita'  di  esproprio.  Tale  tesi
interpretativa,  pur  seguita   anche   dagli   stessi   giudici   di
legittimita',  tuttavia,  non  troverebbe  il  conforto  del   tenore
letterale della norma, specie alla luce della  costituzionalizzazione
del principio del giusto processo e  della  sua  ragionevole  durata.
L'interpretazione seguita dalla sentenza n. 351  del  2000,  infatti,
pur avendo il merito di evidenziare  che  la  norma  impugnata  debba
esplicare i suoi  effetti  anche  sull'evasore  totale,  non  sarebbe
condivisibile perche' finirebbe per introdurre una «inedita procedura
di necessitata conciliazione fiscale, che  assurge  a  condizione  di
pagamento  dell'indennita'  di  esproprio»,  laddove  specifica  che,
«l'evasore totale non  viene  affatto  avvantaggiato,  in  quanto  e'
destinato  a  subire  in  ogni  caso  le  sanzioni  per   la   omessa
dichiarazione, nonche' l'imposizione per l'ICI che aveva  tentato  di
evadere; inoltre, la erogazione dell'indennita' di espropriazione non
puo' intervenire, se non dopo la verifica che  non  superi  il  tetto
massimo ragguagliato al "valore" denunciato  per  l'ICI,  e,  quindi,
solo dopo la  presentazione  della  denuncia  ICI  e  la  conseguente
regolarizzazione della posizione tributaria, con concreto  avvio  del
recupero dell'imposta e delle sanzioni. Il  che  presuppone  in  ogni
caso che si tratti  di  area  fabbricabile  (tale  al  momento  della
dichiarazione) e che il soggetto espropriato,  fosse,  alla  data  di
riferimento dell'indennita', tenuto all'ICI». 
    A giudizio della Corte rimettente una simile interpretazione  non
potrebbe in questi termini essere seguita, in primo luogo perche'  la
collocazione  sistematica  (a  ridosso  degli  artt.  14  e  15   che
disciplinano  le  sanzioni  ed  il  contenzioso  ICI)  ed  il  tenore
letterale  della  norma  in  esame  ne  evidenzierebbero  la   chiara
connotazione sanzionatoria, collegata  al  comportamento  tenuto  dal
soggetto. L'effetto sanzionatorio atipico  ed  indiretto,  costituito
dalla  misura  extratributaria  della  riduzione  dell'indennita'  di
esproprio, si aggiunge alle sanzioni tributarie dirette previste  dal
precedente  art.  14,  nel  caso  in  cui  l'area  edificabile  venga
interessata da  una  procedura  di  esproprio  (sanzione  eventuale).
All'apparato  sanzionatorio  tipico   del   sistema   tributario   si
aggiungerebbe  quindi  una  sanzione   accessoria,   atipica,   della
"confisca" parziale o totale della indennita' o del  suolo.  Inoltre,
l'effetto dell'art. 16, primo comma, del  d.lgs.  n.  504  del  1992,
opererebbe come sanzione  che  non  incide  sui  criteri  primari  di
determinazione  dell'indennita'  di  esproprio  ed   il   contenzioso
tributario  sviluppatosi  a  seguito  della   rettifica,   da   parte
dell'ufficio, della dichiarazione o  della  denuncia  presentata  dal
contribuente, o dell'accertamento in caso di omessa  dichiarazione  o
denuncia, non rileverebbe  ai  fini  dell'ammontare  della  eventuale
riduzione da praticare sulla indennita'. 
    Il "fatto illecito"  sanzionato  dalla  norma  in  esame  sarebbe
costituito, a giudizio della Corte di cassazione, dalla presentazione
della dichiarazione  infedele  o  dalla  omessa  presentazione  della
stessa. Tutto  quanto  segue  andrebbe  considerato  un  post  factum
irrilevante, non in grado di  vanificare  o  sanare  l'illecito  gia'
consumato e perfezionato, a pena del totale svuotamento  della  forza
cogente della norma. 
    I rimettenti  ritengono  poi,  che  neppure  potrebbe  venire  in
rilievo l'emendabilita'  della  dichiarazione,  non  potendo  farsene
applicazione in un caso in cui la modificazione sia giustificata  dal
solo fine della convenienza di eludere la riduzione  dell'indennita'.
Infatti, laddove si spostasse «il baricentro dell'art. 16 dal momento
formale  dell'assolvimento  degli  obblighi  fiscali   (dichiarazione
denuncia) a quello delle procedure di verifica  dell'ammontare  della
obbligazione  tributaria  e  del  relativo  assolvimento»,   verrebbe
vanificata la funzione, evidenziata pure dalla Corte  costituzionale,
di  «incentivare  fedeli  autodichiarazioni  di  valore  delle   aree
fabbricabili ai fini ICI». 
    1.4.1.  -  Cio'  posto,  la  Corte  rimettente  procede  ad   una
ricognizione dei propri precedenti ed in particolare quello che aveva
seguito l'interpretazione fornita dalla Corte costituzionale. 
    A giudizio delle Sezioni Unite civili,  per  le  ragioni  innanzi
esposte,  tale  orientamento  andrebbe  rivisto,  dal   momento   che
renderebbe del tutto irrilevante il  comportamento  del  contribuente
contrariamente  ad  ogni  interpretazione  letterale  o  sistematica,
determinando peraltro un vulnus al principio della ragionevole durata
del processo. 
    Sulla base di tutte queste considerazioni,  la  Corte  rimettente
ritiene che l'art. 16, la cui ratio e' quella di rafforzare l'obbligo
di dichiarare fedelmente  il  valore  delle  aree  fabbricabili,  sia
basato sul rapporto sinallagmatico  tra  valore  dichiarato  ai  fini
dell'ICI  ed  indennita'  di  esproprio  erogabile  al   contribuente
espropriato. Il contribuente evasore  totale,  quindi,  non  potrebbe
pretendere  una  indennita'  di  esproprio,  in  quanto   la   omessa
dichiarazione dovrebbe essere equivalente alla dichiarazione a valore
irrisorio e le conseguenze non  potrebbero  essere  dissimili.  Tanto
piu' che il comportamento  dell'evasore  parziale  appare  certamente
meno grave, avendo perlomeno l'effetto di esporlo al controllo  della
dichiarazione. 
    Conclusivamente, la Corte afferma che l'art. 16 del d.lgs. n. 504
del 1992, oggi art. 37 del testo unico in materia  di  espropriazione
per pubblica utilita', deve essere  interpretato  nel  senso  che  la
"sanzione" della riduzione dell'indennita' di esproprio, in  caso  di
dichiarazione infedele debba trovare  applicazione,  con  riferimento
all'ultima  dichiarazione  o   denuncia   presentata,   prima   della
determinazione   formale   dell'indennita',   restando    irrilevanti
eventuali successivi atti di ravvedimento o di  autorettifiche.  Tale
disciplina,  inoltre,   riguarda   anche   le   ipotesi   di   omessa
dichiarazione/denuncia ICI, con la conseguenza che, in caso di omessa
dichiarazione  ICI,   al   contribuente   fiscalmente   inadempiente,
espropriato, non spetti alcuna indennita'. 
    1.5.  -  Tale  conclusione,  tuttavia,  a  giudizio  della  Corte
rimettente appare a sua volta porsi in contrasto con altri  parametri
costituzionali, in ragione, per un verso del mutato quadro  normativo
(con riferimento all'art. 117, primo  comma  Cost.,  come  sostituito
dall'art. 3 della legge costituzionale n. 3 del  2001,  in  relazione
all'art. 42, terzo comma, Cost.), per l'altro  dell'evoluzione  della
giurisprudenza   della    Corte    costituzionale.    Secondo    tale
giurisprudenza,  infatti,  le  norme  che  non  prevedono  un  "serio
ristoro"  del   danno   subito   per   effetto   dell'occupazione   o
dell'espropriazione di aree edificabili, si pongono in contrasto  con
l'art. 42, terzo comma  Cost.,  e  con  gli  obblighi  internazionali
sanciti dall'art. l del primo protocollo addizionale alla  CEDU,  che
il legislatore e' tenuto a rispettare in forza dell'art.  117,  primo
comma, Cost. (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007). 
    Il  giudice  a  quo,  inoltre,  esclusa  ogni   possibilita'   di
un'interpretazione che possa condurre ad  individuare  una  sorta  di
«valore minimo garantito», anche in caso di omessa dichiarazione o di
dichiarazione di valore irrisorio, ritiene che la norma in  questione
alteri il rapporto diretto tra l'entita' della sanzione e la gravita'
della violazione. Pertanto, la disciplina  censurata,  condizionando,
sulla base di elementi e circostanze che nulla hanno a che vedere con
il danno conseguente all'esproprio e con i criteri che attengono alla
congruita' della indennita' dovuta all'espropriato, sarebbe per  cio'
stesso incostituzionale, potendo determinare persino la vanificazione
del  ristoro.  E  cio',  anche   prendendo   in   considerazione   la
giurisprudenza della Corte costituzionale,  secondo  cui  l'art.  42,
terzo comma, Cost., pur non imponendo al  legislatore  il  dovere  di
commisurare integralmente l'indennita' di espropriazione al valore di
mercato  del  bene  ablato,  attesa  la  «funzione   sociale»   della
proprieta', necessita comunque che  sia  conservato  un  «ragionevole
legame» con il valore venale, a garanzia di un «serio ristoro». 
    1.6. - La  Corte  rimettente  ha  chiesto  quindi  di  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 1, del d.lgs.  n.
504 del 1992 (oggi art. 37, comma 7, d.P.R. n. 327 del  2001),  nella
parte in cui, in caso  di  omessa  dichiarazione/denuncia  ICI  o  di
dichiarazione/denuncia  di   valori   assolutamente   irrisori,   non
stabilisce un limite alla  riduzione  dell'indennita'  di  esproprio,
idoneo ad  impedire  la  totale  elisione  di  qualsiasi  ragionevole
rapporto tra il valore venale del  suolo  espropriato  e  l'ammontare
della indennita', pregiudicando in tal modo anche il  diritto  ad  un
serio ristoro, spettante all'espropriato. 
    2. - In entrambi i  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri con atti di identico contenuto  depositati  il
28 luglio 2011, chiedendo che la questione  proposta  sia  dichiarata
inammissibile o, comunque, infondata. 
    Secondo l'Avvocatura dello Stato l'interpretazione seguita  dalla
Corte di cassazione,  che  esclude  la  possibilita'  del  cosiddetto
pentimento premiale, condurrebbe a conclusioni paradossali. Nel  caso
di omessa dichiarazione, infatti,  la  mancanza  di  una  indicazione
circa  il  valore  dell'immobile,  utile  come   parametro   per   la
determinazione   dell'indennita'   di    esproprio,    comporterebbe,
alternativamente, o il mancato  riconoscimento  di  un'indennita'  di
espropriazione o il riconoscimento di un trattamento piu'  favorevole
rispetto al dichiarante infedele. Cio' in quanto, alla luce dell'art.
37 del d.P.R. n. 327 del 2001, il quale prevede che  l'indennita'  di
esproprio sia determinata in misura pari al valore venale  del  bene,
colui che abbia omesso la dichiarazione ICI potrebbe vedersi comunque
riconoscere, nonostante un comportamento obiettivamente non  conforme
agli obblighi di legge, un'indennita' di esproprio  pari  addirittura
al valore venale del bene immobile. 
    In alternativa alla soluzione prospettata dal rimettente, dunque,
proprio il ravvedimento operoso, ben  potrebbe  fungere  da  elemento
equilibratore della posizione dei contribuenti che abbiano  adempiuto
all'obbligazione tributaria e dei contribuenti lato sensu infedeli. 
    In conclusione, il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  non
ritiene  che   vi   siano   sufficienti   ragioni   per   discostarsi
dall'interpretazione che della norma censurata  ha  gia'  offerto  la
Corte costituzionale, sicche', essendo  possibile  procedere  a  tale
lettura costituzionalmente orientata della disposizione censurata, la
questione sarebbe inammissibile. 
    Inoltre, l'Avvocatura dello Stato osserva che la disposizione  di
cui al comma 7 dell'art. 37 del d.P.R. n. 327 del 2001 andrebbe letta
in combinato con il successivo comma 8, il quale dispone il  rimborso
dell'imposta   maggiore   pagata    negli    ultimi    cinque    anni
dall'espropriato rispetto all'indennita' di esproprio  liquidata,  in
quanto la ratio legis delle due  disposizioni  consiste  nel  rendere
coerente il carico fiscale sull'immobile espropriato con l'indennita'
di esproprio liquidata, nel  primo  caso  (comma  7)  coordinando  le
conseguenti obbligazioni, nel secondo  caso  (comma  8)  «correggendo
automaticamente violazioni al principio della capacita'  contributiva
che si  rendano  evidenti  in  occasione  dell'esproprio».  Anche  in
quest'ottica, dunque, l'interpretazione offerta dalla  giurisprudenza
costituzionale sul punto,  consentirebbe  di  rispettare  i  principi
della Costituzione e della CEDU, con la conseguenza  che  la  censura
prospettata sarebbe nel merito comunque infondata. 
    3. - Nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 159 del  2011,  si  e'
costituito il Consorzio Industriale e provinciale  di  Sassari  (gia'
Consorzio  per  l'Area  di  Sviluppo  Industriale  di   Sassari-Porto
Torres-Alghero), con atto depositato il 2 agosto 2011. 
    Secondo  la  difesa  consortile  l'interpretazione  della   norma
censurata non potrebbe non tener conto del fatto che essa  incide  in
realta'  sulla  determinazione  del  valore  di  mercato  del   bene,
attraverso una parziale considerazione della dichiarazione  resa  dal
proprietario ai fini dell'adempimento del proprio obbligo tributario.
In altri  termini  l'attenzione  dell'interprete  dovrebbe  spostarsi
dall'ipotesi  di  una  sanzione  atipica  e  aggiuntiva,   a   quella
dell'accertamento del valore del bene ai  fini  della  determinazione
dell'indennita'  espropriativa.  La  stessa   Corte   costituzionale,
nell'ordinanza (recte: sentenza) n. 351 del 2000 ha infatti affermato
che «non e' estranea all'ordinamento giuridico la  utilizzazione,  in
base a legge, di un valore dichiarato anche ad altri fini  e  persino
al di fuori del rapporto intersoggettivo in cui e' reso,  soprattutto
quando il valore prezzo  assuma  la  funzione  di  corrispettivo  per
trasferimenti a carattere coattivo. Sarebbe sufficiente, a tal  fine,
il richiamo esemplificativo  alle  ipotesi  di  prelazione  legale  e
riscatto sia nel campo  dei  fondi  rustici  per  lo  sviluppo  della
proprieta' coltivatrice (legge 26 maggio 1965, n. 590), sia  per  gli
immobili urbani in locazione (legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 39),
sia nell'ambito delle aree protette a favore dell'ente parco (legge 6
dicembre 1991, n. 394) ed infine alla prelazione dello Stato ai sensi
della legge 1° giugno 1939, n. 1089, in caso di alienazione  di  bene
storico-artistico vincolato (sentenza n. 269 del 1995) (v. ora d.lgs.
29  ottobre  1999,  n.  490)».   Conseguentemente,   trattandosi   di
determinazione del valore del bene ablato  effettuata  anche  tenendo
conto  della  dichiarazione   a   se'   sfavorevole   (di   carattere
confessorio) resa dal proprietario, sarebbe insussistente la  dedotta
illegittimita' costituzionale. 
    4. - Nel medesimo giudizio iscritto al reg. ord. n. 159 del 2011,
si e' costituita anche la Astaldi S.p.a., con atto depositato  il  20
luglio 2011, concludendo per l'infondatezza della questione. 
    La parte costituita ritiene che  tra  i  limiti  alla  proprieta'
privata finalizzati a garantirne la funzione sociale vi sarebbe anche
quello introdotto dall'art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 504 del  1992,
poi ribadito dall'art. 37 del d.P.R.  n.  327  del  2001,  e  che  la
legittimita' della  disposizione  non  potrebbe  essere  revocata  in
dubbio dal richiamo all'art. 1 del primo protocollo addizionale  alla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali. Tale norma, infatti, nel garantire  il  libero
esercizio del diritto di proprieta', espressamente  dispone  che  «Le
disposizioni precedenti non  portano  pregiudizio  al  diritto  degli
Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute  necessarie  per
disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o
per assicurare il pagamento delle imposte o  di  altri  contributi  o
delle ammende». 
    In siffatto contesto, la «totale  vanificazione  dell'indennita'»
di espropriazione, che le Sezioni Unite  della  Corte  di  cassazione
mirano a scongiurare, discenderebbe da un comportamento imputabile in
via esclusiva al proprietario dell'immobile oggetto  della  procedura
ablativa che abbia omesso l'essenziale  adempimento  in  discussione,
violando il «principio secondo cui il soggetto privato, nei  rapporti
con  la  pubblica  amministrazione,  necessariamente   improntati   a
lealta', correttezza e collaborazione, in quanto siano in  gioco  gli
obblighi  di  solidarieta',  economici  e  sociali  (art.   2   della
Costituzione), tra i quali quelli in  materia  tributaria,  non  puo'
sottrarsi alle conseguenze di una sua dichiarazione» (sentenza n. 351
del 2000). 
    Tale  meccanismo  risulterebbe,  al   contrario,   incrinato   da
un'eventuale pronuncia di illegittimita' delle norme  impugnate,  con
ingiusto vantaggio per il soggetto che  si  e'  sottratto  ai  propri
doveri di leale collaborazione con l'Amministrazione. 
    5. - In prossimita' dell'udienza,  hanno  presentato  memorie  il
Presidente del Consiglio dei ministri e la Astaldi S.p.a. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione,  con  due
ordinanze di contenuto in larga parte identico (reg. ord. n. 158 e n.
159 del 2011) -  la  seconda  trattata  all'udienza  pubblica  dell'8
novembre 2011 e la prima nella camera di consiglio del  successivo  9
novembre - hanno sollevato questione di  legittimita'  costituzionale
dell'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre  1992,
n. 504 (Riordino della  finanza  degli  enti  territoriali,  a  norma
dell'articolo 4 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), successivamente, a
decorrere dal 30 giugno  2003,  riversato  con  analoga  formulazione
nell'art. 37, comma 7, decreto  del  Presidente  della  Repubblica  8
giugno 2001, n. 327 (Testo unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita'), in
riferimento agli artt. 42, terzo comma, e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, in  relazione  all'art.  6  ed  all'art.  1  del  primo
protocollo addizionale della Convenzione europea per la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella  parte  in
cui, in caso di omessa dichiarazione/denuncia  ai  fini  dell'imposta
comunale sugli immobili (ICI) o di dichiarazione/denuncia  di  valori
assolutamente irrisori,  non  stabilisce  un  limite  alla  riduzione
dell'indennita' di esproprio, idoneo ad impedire la  totale  elisione
di qualsiasi ragionevole rapporto tra  il  valore  venale  del  suolo
espropriato e l'ammontare della indennita', pregiudicando il  diritto
ad un serio ristoro, spettante all'espropriato. 
    1.1. - In virtu'  dell'identita'  delle  questioni  sollevate  va
disposta la riunione dei giudizi, ai fini di un'unica  trattazione  e
di un'unica pronuncia. 
    2.   -   Secondo   entrambe   le   ordinanze    di    rimessione,
l'interpretazione della norma censurata offerta da questa Corte,  con
la sentenza n. 351 del 2000, non potrebbe essere seguita, nella parte
in  cui   detta   pronuncia   ha   ritenuto   che   l'indennita'   di
espropriazione, nel caso di omessa dichiarazione ICI, potrebbe essere
corrisposta  soltanto  dopo  la  regolarizzazione   della   posizione
tributaria. Tale  esegesi  non  sarebbe,  infatti,  consentita  dalla
lettera della disposizione e dall'interpretazione sistematica,  anche
perche'   renderebbe   irrilevante    l'originaria    condotta    del
contribuente,  recando  altresi'  un  vulnus   al   principio   della
ragionevole durata del processo. 
    2.1. - I giudici a quibus, dopo  avere  analiticamente  esaminato
gli  orientamenti  della  giurisprudenza  di  legittimita'  formatasi
successivamente alla citata sentenza, ritengono  che  l'art.  16  del
d.lgs. n. 504 del 1992 debba essere interpretato  nel  senso  che  la
"sanzione" della riduzione dell'indennita' di esproprio, in  caso  di
dichiarazione   infedele,   trovi   applicazione,   con   riferimento
all'ultima  dichiarazione  o   denuncia   presentata,   prima   della
determinazione   formale   dell'indennita',   restando    irrilevanti
eventuali successivi atti di ravvedimento o di spontanee rettifiche e
che tale disciplina debba necessariamente riguardare anche le ipotesi
di omessa dichiarazione/denuncia  ICI,  con  la  conseguenza  che  in
questa   fattispecie,   al   contribuente   fiscalmente   del   tutto
inadempiente, non spetterebbe alcuna indennita' di esproprio. 
    2.2. - Secondo le Sezioni Unite civili, siffatta  interpretazione
della norma censurata, assunta come la  sola  possibile,  violerebbe,
tuttavia, i parametri costituzionali evocati, in  ragione  sia  della
loro parziale modifica - quanto all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,
come sostituito dall'art. 3 della  legge  costituzionale  18  ottobre
2001,  n.  3  (Modifiche  al  titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione), in relazione all'art. 42, terzo comma,  Cost.  -,  sia
dell'evoluzione  della  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale.
Secondo tale giurisprudenza, infatti, le norme che non  prevedono  un
"serio ristoro" del  danno  subito  per  effetto  dell'occupazione  o
dell'espropriazione di aree edificabili, si pongono in contrasto  con
l'art. 42, terzo comma, Cost.,  e  con  gli  obblighi  internazionali
sanciti dall'art. l del protocollo addizionale alla  Convenzione  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
che il legislatore e' tenuto a rispettare in forza del dell'art. 117,
primo comma, della Costituzione. 
    I   giudici   a   quibus,   esclusa    ogni    possibilita'    di
un'interpretazione della norma censurata che consenta di  individuare
una sorta di «valore  minimo  garantito»  anche  in  caso  di  omessa
dichiarazione o di dichiarazione di valore irrisorio,  ritengono  che
essa altererebbe il  rapporto  tra  l'entita'  della  sanzione  e  la
gravita' della violazione. Pertanto, il citato  art.  16,  stabilendo
l'indennita' di esproprio in base ad elementi e circostanze in  alcun
modo correlati al danno conseguente all'esproprio ed ai  criteri  che
attengono alla congruita' della  indennita'  dovuta  all'espropriato,
sarebbe costituzionalmente illegittimo, potendo  determinare  persino
la vanificazione del ristoro. 
    3.  -  Preliminarmente,  con  riferimento  al  giudizio  relativo
all'ordinanza iscritta al reg. ord. n. 158 del 2011, va rilevato  che
il rimettente si limita,  in  fatto,  a  ricordare  che  il  giudizio
principale e' stato promosso con  ricorso  per  la  cassazione  della
sentenza n. 928 del 5 ottobre 2004 della Corte di appello di Catania,
senza specificare la data dell'espropriazione  e  della  liquidazione
dell'indennita', rilevante  ai  fini  di  stabilire  l'applicabilita'
ratione temporis della  norma  impugnata,  sostituita  dall'art.  37,
comma 7, del d.P.R. n. 327 del 2001. 
    La questione e', quindi, manifestamente inammissibile, in quanto,
come piu' volte  precisato  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte,
l'omessa  o  insufficiente   descrizione   della   fattispecie,   non
emendabile mediante la  diretta  lettura  degli  atti,  impedita  dal
principio di autosufficienza dell'atto  di  rimessione,  preclude  il
necessario controllo in punto di rilevanza  (ex  plurimis:  ordinanze
nn. 6 e 3 del 2011; nn. 343, 318 e 85 del 2010; nn. 211,  201  e  191
del 2009). 
    4. - Nel merito la questione sollevata dall'ordinanza  reg.  ord.
n. 159 del 2011 e' fondata. 
    5. - Il rimettente, nel prospettare la questione di  legittimita'
costituzionale, muove da  un'esegesi  del  citato  art.  16,  da  lui
ritenuta la sola possibile. A suo avviso, la lettera della medesima e
gli  ordinari  criteri  ermeneutici  non  consentirebbero,   infatti,
un'interpretazione costituzionalmente orientata di detta norma. 
    Siffatta premessa richiede, quindi, un  preliminare  esame  della
giurisprudenza formatasi sull'applicabilita' della norma alle ipotesi
di omessa dichiarazione/denuncia a fini ICI  del  valore  di  terreni
edificabili. 
    5.1.  -  L'art.  16  del  d.lgs.  n.  504  del  1992,   rubricato
"indennita' di espropriazione", al comma 1 cosi' disponeva: «In  caso
di espropriazione di area fabbricabile l'indennita' e' ridotta ad  un
importo pari al valore indicato nell'ultima dichiarazione o  denuncia
presentata dall'espropriato ai  fini  dell'applicazione  dell'imposta
qualora il valore  dichiarato  risulti  inferiore  all'indennita'  di
espropriazione  determinata  secondo  i   criteri   stabiliti   dalle
disposizioni vigenti» - articolo poi abrogato dall'art. 58, comma  1,
numero 134), del d.P.R. n. 327 del 2001, come modificato dal  decreto
legislativo 27 dicembre 2002, n. 302 a decorrere dal 30  giugno  2003
(in virtu' dell'art. 3 del decreto-legge  20  giugno  2002,  n.  122,
convertito con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  1°
agosto 2002, n. 185). 
    La norma prevedeva dunque, per le  sole  aree  fabbricabili,  una
riduzione  della  indennita'  di  espropriazione,  quando  il  valore
venale,  dichiarato  o  denunciato  dall'espropriato  ai  fini   ICI,
risultasse inferiore  all'indennita'.  Quale  effetto  ulteriore  era
prevista  (senza  una  distinzione  tra  aree  fabbricabili  e  altri
immobili) una maggiorazione della indennita',  pari  alla  differenza
(con l'aggiunta degli interessi) tra l'importo  della  imposta  (ICI)
pagata dall'espropriato o dal suo avente causa per il medesimo  bene,
negli  ultimi  cinque  anni,  e   quello   risultante   dal   computo
dell'imposta sulla base della indennita' liquidata. 
    5.2. - Questa Corte ha preso in esame la disciplina stabilita dal
citato art. 16 censurato, tra  l'altro,  in  riferimento  all'art.  3
Cost., con la sentenza n. 351 del 2000 e con le ordinanze n. 401  del
2002, n. 539 del 2000 e n.  333  del  1999.  Secondo  tali  pronunce,
nell'interpretazione di detta norma, sarebbe irrilevante accertare se
essa prevedesse o no una misura sanzionatoria, ovvero se  presupposto
della stessa  fosse  una  dolosa  evasione  d'imposta  o  un  errore.
Siffatta disposizione costituiva, infatti, «ragionevole  applicazione
del principio secondo cui il soggetto privato, nei  rapporti  con  la
pubblica  amministrazione,  necessariamente  improntati  a   lealta',
correttezza e collaborazione, in quanto siano in gioco  gli  obblighi
di  solidarieta'  politici,  economici  e  sociali  (art.   2   della
Costituzione), tra i quali quelli in  materia  tributaria,  non  puo'
sottrarsi alle conseguenze di una sua dichiarazione». 
    In particolare, individuata la finalita' della norma nel recupero
dell'evasione fiscale e nella sua disincentivazione, si e'  affermato
che «il fatto che questa  evasione  sia  totale  o  parziale,  ovvero
dipendente o meno da volonta' consapevole  o  da  mero  errore  nella
dichiarazione,   poco   interessa   ai   fini   della    legittimita'
costituzionale», sicche'  le  «varie  ipotesi  di  evasore  totale  o
parziale formulate nelle ordinanze di rimessione sono  tutte  erronee
nei  presupposti».  La   norma   avrebbe   dovuto,   quindi,   essere
correttamente interpretata nel senso che «l'evasore totale non  viene
affatto avvantaggiato, in quanto e' destinato a subire in  ogni  caso
le sanzioni per la omessa dichiarazione,  nonche'  l'imposizione  per
l'ICI che aveva tentato di  evadere».  Soprattutto,  per  quanto  qui
rileva,  la  determinazione  dell'indennita'  di  espropriazione  non
avrebbe potuto essere effettuata se non  dopo  avere  verificato  che
questa  non  eccedeva  il  tetto  massimo  ragguagliato  al  "valore"
denunciato per l'ICI, e, quindi, solo  dopo  la  presentazione  della
relativa  denuncia  ICI  e  la  conseguente  regolarizzazione   della
posizione tributaria, con l'effettivo avvio del recupero dell'imposta
e delle sanzioni. In ogni caso, cio' presupponeva che si trattasse di
area fabbricabile (e tale al momento della dichiarazione)  e  che  il
soggetto   espropriato,   fosse,   alla   data   della   liquidazione
dell'indennita', tenuto al pagamento dell'ICI. 
    5.3. - La giurisprudenza di legittimita' successiva alla sentenza
interpretativa di rigetto n. 351 del 2000 di questa Corte  ha  tenuto
conto in vario modo delle  argomentazioni  nella  stessa  sviluppate,
dando vita a molteplici orientamenti, diversi soprattutto quanto alle
modalita' applicative del meccanismo correttivo elaborato  da  questa
Corte. 
    Le Sezioni Unite civili, con  l'ordinanza  di  rimessione,  hanno
provveduto ad un'analitica ricognizione di tali indirizzi, ricordando
in primo luogo quello coevo alla citata sentenza, orientato a  negare
l'applicabilita' del citato art.  16  del  d.lgs.  n.  504  del  1992
all'ipotesi  di  omessa  presentazione   della   denuncia   o   della
dichiarazione ai fini dell'ICI. 
    Inoltre, esse hanno dato atto che la successiva giurisprudenza di
legittimita', dopo aver ribadito la pregressa  esegesi  della  norma,
anche alla  luce  della  pronuncia  della  Corte  costituzionale,  ha
prevalentemente seguito l'interpretazione fornita  da  questa  Corte,
nel  senso  che  l'evasore  totale   non   perde   il   suo   diritto
all'indennizzo espropriativo, ma e' unicamente destinato a subire  le
sanzioni per l'omessa dichiarazione e  l'imposizione  per  l'ICI  che
aveva tentato di evadere,  potendo  l'erogazione  dell'indennita'  di
espropriazione intervenire solo dopo la verifica che essa non  superi
il tetto massimo  ragguagliato  al  valore  accertato  per  l'ICI,  a
seguito della regolarizzazione della posizione tributaria. 
    6. - Le Sezioni  Unite  civili,  investite  «della  questione  di
massima di particolare importanza, vertente sul tema dei rapporti tra
liquidazione dell'indennita' di esproprio e soggezione all'ICI»,  con
l'ordinanza  di  rimessione  ritengono,  quindi,  che  proprio   tale
orientamento debba essere rivisto, nel senso  che  la  lettera  e  la
ratio  della  norma  impongono  di  ritenere  che  essa  si  applichi
all'evasore totale, senza alcuna possibilita' di evitare il vulnus ai
parametri costituzionali evocati. 
    Pertanto, in presenza di un orientamento non univoco, le  Sezioni
Unite   civili   della   Corte   di   cassazione,   hanno   ritenuto,
nell'esercizio della propria funzione nomofilattica,  di  cui  questa
Corte deve tenere conto,  di  superare  in  tal  modo  il  contrasto.
Siffatta interpretazione costituisce,  pertanto,  «diritto  vivente»,
del quale  si  deve  accertare  la  compatibilita'  con  i  parametri
costituzionali evocati. 
    7. - Posta tale premessa, e ritenuta applicabile la norma sia  ai
casi di  omessa  dichiarazione  a  fini  ICI,  sia  al  caso  di  una
dichiarazione per un valore irrisorio, il rimettente ha concluso  che
l'originario  comportamento   tenuto   a   fini   fiscali   influisce
necessariamente    sulla    quantificazione    dell'indennita'     di
espropriazione. 
    7.1. - Nel delibare le censure prospettate dal rimettente,  giova
ricordare che sia la giurisprudenza di questa Corte che quella  della
Corte  EDU  hanno   individuato   in   materia   di   indennita'   di
espropriazione un nucleo minimo di tutela del diritto di  proprieta',
garantito dall'art. 42, terzo comma, Cost., e dall'art. 1  del  primo
protocollo addizionale della CEDU, in virtu' del  quale  l'indennita'
di espropriazione non puo' ignorare «ogni dato valutativo inerente ai
requisiti specifici del  bene»,  ne'  puo'  eludere  un  «ragionevole
legame» con il valore di mercato (da ultimo sentenza n. 181 del  2011
e prima ancora, sentenza n. 348 del 2007). 
    In applicazione di tale principio,  l'ingerenza  nel  diritto  al
rispetto dei  beni  deve  realizzare,  in  primo  luogo,  un  «giusto
equilibrio» tra le esigenze dell'interesse generale della comunita' e
il   requisito   della   salvaguardia   dei   diritti    fondamentali
dell'individuo. In  secondo  luogo,  nonostante  che  al  legislatore
ordinario spetti un ampio margine, l'acquisizione di  beni  senza  il
pagamento di indennizzo in ragionevole rapporto con  il  loro  valore
costituisce normalmente un'ingerenza sproporzionata. 
    Il  legislatore,  quindi,  sebbene  non  abbia   il   dovere   di
commisurare integralmente l'indennita' di espropriazione al valore di
mercato del bene ablato, non puo' sottrarsi  al  «giusto  equilibrio»
tra l'interesse generale e la salvaguardia dei  diritti  fondamentali
degli individui. 
    Tale principio conserva  validita'  anche  con  riferimento  alle
misure che lo Stato adotta in questa materia al fine  di  «assicurare
il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende»  di
cui al capoverso dell'art. 1 del primo  protocollo  addizionale  alla
CEDU. Questa norma, interpretata anche  alla  luce  dell'orientamento
della giurisprudenza della Corte  di  Strasburgo,  attribuisce  ampia
discrezionalita' ai legislatori nazionali  nel  definire  le  proprie
politiche fiscali e, tuttavia, non  consente  di  ritenere  legittime
misure  di  prevenzione  e  dissuasione  fiscale  qualora  non  siano
prevedibili (ovvero  siano  meramente  eventuali)  o  pretendano  dal
soggetto dichiarante un eccessivo onere  o,  infine,  comportino  una
eccessiva conseguenza sanzionatoria, come nel  caso  in  cui  possano
giungere ad una sostanziale espropriazione senza indennizzo (sentenza
22 settembre 1994, n. 13616188, Hentrich c. Francia). 
    Nel   quadro   di   tali   principi,    la    norma    censurata,
nell'interpretazione offerta dalle Sezioni Unite  civili,  viola  sia
l'art. 42, terzo comma, Cost., sia l'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 1 del primo protocollo addizionale alla  CEDU.  La
disciplina stabilita dall'art. 16 non e', infatti, compatibile con il
citato nucleo minimo di tutela del diritto di proprieta',  in  quanto
non   contempla   alcun   meccanismo   che,   in   caso   di   omessa
dichiarazione/denuncia ICI, consenta di porre un limite  alla  totale
elisione di  tale  indennita',  garantendo  comunque  un  ragionevole
rapporto tra il valore venale del  suolo  espropriato  e  l'ammontare
della indennita'. Peraltro, tale vulnus si  determina  anche  per  il
caso di dichiarazione/denuncia di valori irrisori, o  di  valori  che
potrebbero condurre comunque ad  elidere  il  necessario  vincolo  di
ragionevolezza e proporzionalita'  fra  il  comportamento  tributario
illecito e la sanzione,  e  quindi  la  pronuncia  di  illegittimita'
costituzionale deve necessariamente riguardare anche siffatto profilo
della disciplina. Resta ferma la discrezionalita' del legislatore  di
stabilire sanzioni che, eventualmente, incidano anche sull'indennita'
di espropriazione, purche' non realizzino  una  sostanziale  confisca
del bene, sacrificando  illegittimamente  il  diritto  di  proprieta'
all'esclusivo interesse finanziario  leso  dal  contribuente,  tenuto
conto  della  diversita'  di   procedimenti   e   di   garanzie   che
sovrintendono all'accertamento tributario ed alle relative  sanzioni,
peraltro gia' autonomamente previste dal d.lgs. n. 504 del 1992. 
    8. - In definitiva, va dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992. 
    9. - Ai sensi dell'art. 27 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87
(Norme  sulla  costituzione   e   sul   funzionamento   della   Corte
costituzionale),    deve    essere    dichiarata     l'illegittimita'
costituzionale, in via consequenziale, anche dell'art. 37,  comma  7,
del  d.P.R.  n.  327  del   2001,   che   disciplina   la   riduzione
dell'indennita' a decorrere dal 30 giugno 2003. Tale norma,  infatti,
contiene una disciplina che riproduce quella dichiarata in  contrasto
con la Costituzione dalla presente sentenza. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  16,
comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  504  (Riordino
della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4  della
L. 23 ottobre 1992, n. 421); 
    2) dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953,  n.
87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte
costituzionale),    l'illegittimita'    costituzionale,    in     via
consequenziale, dell'articolo 37, comma 7, del decreto del Presidente
della  Repubblica  8  giugno  2001,  n.  327   (Testo   unico   delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione
per pubblica utilita'); 
    3)  dichiara  manifestamente  inammissibile   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'articolo 16, comma  1,  del  decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino  della  finanza  degli
enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della L. 23 ottobre  1992,
n. 421), sollevata dalla Corte di cassazione, Sezioni  Unite  civili,
con ordinanza del 14 aprile 2011 (reg. ord.  n.  158  del  2011),  in
riferimento agli artt. 42, terzo comma, e  117,  primo  comma,  della
Costituzione. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2011. 
 
                       Il Presidente: Quaranta 
 
 
                        Il redattore: Tesauro 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria il 22 dicembre 2011. 
 
               Il direttore della cancelleria: Melatti