N. 302 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 ottobre 2012
Ordinanza del 24 ottobre 2012 emessa dal Tribunale di Roma nel procedimento civile promosso da Caramazza Giuseppe contro Poste italiane Spa. Lavoro e occupazione - Termine di decadenza per l'impugnazione del licenziamento di cui al riformato art. 6 della legge n. 604/1966 - Prevista applicabilita' anche ai contratti a termine "gia' conclusi" alla data di entrata in vigore della legge censurata - Violazione del principio di uguaglianza sotto i profili dell'irragionevolezza, della lesione dei principi di certezza giuridica e di affidamento e della disparita' di trattamento. - Legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 4, lett. b). - Costituzione, art. 3.(GU n.3 del 16-1-2013 )
Causa n. 6196/2012 R.G.A.C. promossa da Caramazza Giuseppe (avv. Sergio Galleano), nei confronti di Poste Italiane s.p.a. (avv. Gianfranco Dell'Aglio), avente ad oggetto: nullita' del termine apposto a contratto di lavoro subordinato e conversione dello stesso in contratto a tempo indeterminato. Il giudice del lavoro designato, dott. Michele Forziati, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 9 ottobre 2012; Letti gli atti di causa, esaminati i documenti prodotti e viste le richieste ed eccezioni delle parti; Premesso: che, con atto di ricorso depositato in Cancelleria il 29 febbraio 2012, il ricorrente in epigrafe ha agito in questa sede per sentir accertare la nullita' del termine finale di durata apposto al contratto di lavoro stipulato ai sensi dell'art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, cosi' come modificato dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266, ed intercorso con Poste Italiane s.p.a. dal 1° aprile 2009 al 30 giugno 2009 (con inquadramento al livello E e mansioni di addetto allo smistamento con figura professionale di addetto CRP junior), la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato fin dalla data di stipulazione del contratto e la condanna della societa' resistente alla sua riammissione in servizio ed al pagamento (anche a titolo risarcitorio) delle retribuzioni a far data dalla data della messa in mora, oltre agli accessori di legge; che Poste Italiane s.p.a., costituitasi tempestivamente in giudizio con memoria difensiva del 1° giugno 2012, dopo aver eccepito in via preliminare la decadenza dall'azione di nullita' del termine per mancata impugnazione del contratto nel termine previsto dall'art. 32 della legge n. 183/2010, ha contestato nel merito la fondatezza delle avverse pretese chiedendone il rigetto; che all'udienza del 12 giugno 2012, ritenuta la causa matura per la decisione allo stato degli atti, e' stata fissata l'udienza del 9 ottobre 2012 per la discussione anche sui «dubbi in merito alla legittimita' costituzionale della norma dell'art. 32, comma 4, lett. b), legge n. 183/2010 - nella parte in cui prevede l'applicazione del termine di decadenza di cui al riformato art. 6 della legge n. 604/1966 anche ai contratti a termine «gia' conclusi» alla data di entrata in vigore della medesima legge - in relazione al disposto dell'art. 3 della Costituzione»; Rilevato: che, a norma dell'art. 32, comma 4, della legge 4 novembre 2010, n. 183, «Le disposizioni di cui all'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo» - in forza del quale «il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale (...). L'impugnazione e' inefficace se non e' seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato (...)» «si applicano anche: (...) b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e gia' conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge» (ovverosia dal 24 novembre 2010); che, nel caso di specie, nonostante il contratto intercorso tra le parti fosse pacificamente cessato in data 30 giugno 2009 (ovverosia ben prima dell'entrata in vigore della norma da ultimo citata), parte ricorrente ha per la prima volta contestato la legittimita' dell'apposizione del termine di durata allo stesso con lettera spedita in data 9 novembre 2011, ovverosia ben oltre la scadenza del termine decadenziale introdotto dalla norma in esame; Considerato: che, a norma del comma 1-bis del citato art. 32 - introdotto dall'art. 1, comma 2, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, intervenuta a convertire con modificazioni il d.l. 29 dicembre 2010, n. 225 (ed in particolare, per quanto in questa sede occupa, l'art. 2, comma 54, di tale decreto) - «In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all'art. 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011»; che tuttavia tale differimento dell'efficacia del termine decadenziale per l'impugnativa dei licenziamenti - da ritenersi in realta' applicabile (nonostante il tenore letterale della norma e le autorevoli opinioni in senso contrario espresse anche in dottrina) a tutte le ipotesi contrattuali indicate nell'art. 32 della legge n. 183/2010, in considerazione sia degli espressi richiami contenuti nei successivi commi 3 e 4 della medesima legge al riformato art. 6 della legge n. 604/1966, sia della chiara ratio della norma stessa, introdotta al solo fine di evitare che, a seguito dell'introduzione di un termine decadenziale mai previsto fino ad ora, un gran numero di soggetti intenzionati a contestare la legittimita' della cessazione dei rapporti contrattuali o delle altre tipologie di atti datoriali ivi menzionati incorressero in una decadenza inconsapevole, e non certo per introdurre, nel solo anno 2011, una inspiegabile sospensione del termine per l'impugnazione dei licenziamenti esistente fin dal lontano 1966 (e dunque da tutti ampiamente conosciuto e conoscibile) - e' stato previsto quando ormai il termine stesso, decorrente dal 24 novembre 2010 e della durata di 60 giorni, era irrimediabilmente scaduto, con conseguente intangibilita' di ogni fattispecie decadenziale medio tempore verificatasi (in generale, sulla improrogabilita' dei termini successivamente alla loro scadenza, si vedano Cass. civ., sez. lav. 17 novembre 2010, n. 23227 e Cass. civ., II sez. civ., 6 maggio 2003, n. 6895; dell'esistenza di tale principio generale, quale espressione dei superiori principi di certezza del diritto e di tutela dell'affidamento delle parti contrattuali, e' stato per altro sempre ben consapevole lo stesso legislatore, che ogni qual volta ha introdotto disposizioni di sospensione o proroga dei termini di prescrizione o decadenza, lo ha fatto prima della scadenza dei termini stessi e mai dopo; si pensi, tra gli altri, all'art. 4 del d.l. 4 novembre 2002, n. 245, convertito in legge 27 dicembre 2002, n. 286, che aveva sospeso i termini in scadenza nel periodo di vigenza delle dichiarazioni di emergenza conseguenti alle calamita' naturali nelle regioni Molise, Sicilia e Puglia, nonche' all'art. 31, comma 6, della legge n. 448/1998 e all'art. 30, comma 10, della legge n. 488/1999, che avevano senza soluzione di continuita' prorogato il termine di decadenza per la notifica dell'avviso di liquidazione dell'I.C.I. degli anni 1993, 1994 e 1995); Ritenuto: che dunque - che si aderisca o meno all'opzione interpretativa da ultimo sinteticamente prospettata in merito all'applicabilita' a tutte le ipotesi indicate nel citato art. 32 del differimento dell'efficacia del termine decadenziale di impugnazione introdotto dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, nonche' in merito alla non applicabilita' dello stesso a tutte le decadenze a tale data gia' maturate - non vi sia ragione di dubitare che, nel caso di specie, essendo il contratto a termine intercorso tra le parti cessato in data 30 giugno 2009 ed avendo parte ricorrente formalizzato la propria impugnazione con lettera del 9 novembre 2011, la stessa sia incorsa nella decadenza prevista dalla norma in esame ed in questa sede eccepita da parte convenuta; che tuttavia la previsione dell'applicazione del citato termine decadenziale di impugnazione ai soli contratti di lavoro a tempo determinato «gia' conclusi» (rectius: cessati o scaduti) alla data di entrata in vigore della legge n. 183/2010, e non anche a tutte le altre ipotesi previste dall'art. 32, commi 3 e 4, della medesima legge e gia' verificatesi a quella stessa data, sia in contrasto con i principi di parita' di trattamento e ragionevolezza sanciti dall'art. 3 della Costituzione; Considerato: che infatti, quanto al principio di ragionevolezza, se non v'e dubbio che il legislatore ben possa, nell'esercizio della discrezionalita' che gli e' propria, disciplinare in maniera diversa fattispecie diverse - quali sono senza dubbio, ai fini che in questa sede occupano, quelle: 1) della scadenza del termine apposto al contratto di lavoro (citata per ben 4 volte nell'art. 32 in esame, nella formulazione precedente le modifiche da ultimo introdotte dall'art. 1, comma 12, della legge 28 giugno 2012, n. 92 ed applicabile ratione temporis al caso di specie, ed in particolare al comma 3, lett. a) e d), ed al comma 4, lett. a) e b), 2) del «recesso del committente nei rapporti collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalita' a progetto» (comma 3, lett. b), 3) del trasferimento del lavoratore ex art. 2103 c.c. (comma 3, lett. c), 4) della cessione del contratto di lavoro ex art. 2112 c.c. (comma 4, lett. c), nonche' 5) di «ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dall'art. 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto» (comma 4, lett. d) -, non v'e' parimenti dubbio che, nel caso in cui sia per lo stesso legislatore a disciplinare in maniera identica fattispecie diverse in relazione ad un determinato aspetto (quale e' quello che in questa sede interessa del termine di impugnazione), debba necessariamente farlo in maniera intrinsecamente coerente, e, per l'appunto, ragionevole ed uguale per tutte; che dunque, nel caso di specie, per non incorrere nella violazione del principio in esame, il legislatore avrebbe potuto alternativamente prevedere (a propria discrezione) o che per tutte le ipotesi previste dall'art. 32, commi 3 e 4, il termine di decadenza di 60 giorni si applicasse anche ai rapporti «gia' conclusi» (nel caso dei contratti a termine, di collaborazione, di somministrazione) o agli atti gia' compiuti (nel caso del trasferimento dei lavoratori e di cessione dei contratti di lavoro) alla data di entrata in vigore della legge, ovvero che, sempre per tutte le medesime ipotesi, il predetto termine si applicasse solo ai rapporti «non ancora conclusi» (per usare la medesima dizione della lett. b) del comma 4) o agli atti non ancora compiuti a quella stessa data; Ritenuto: che inoltre, prevedendo che solo per i contratti di lavoro a tempo determinato il termine di decadenza si applichi anche ai rapporti «gia' conclusi» alla data di entrata in vigore della legge, il legislatore abbia introdotto una evidente disparita' di trattamento tra i lavoratori intenzionati a contestare in giudizio l'apposizione del termine a tali contratti (costretti ad impugnarli nel termine di 60 giorni a far data dal 24 novembre 2010) e quelli intenzionati a promuovere analoga iniziativa giudiziaria in relazione alle diverse ipotesi contemplate dallo stesso art. 32, commi 3 e 4, «gia' concluse» o comunque verificatesi alla medesima data (i quali potranno continuare ad agire in giudizio senza dover rispettare alcun termine decadenziale); che tale disparita' di trattamento sia inoltre evidente anche dal punto di vista datoriale, non essendovi alcuna ragione per tutelare in maniera differente, all'interno di una medesima norma, l'interesse dei datori di lavoro che abbiano stipulato contratti a tempo determinato di conoscere in tempi rapidi e certi se e quanti dei propri ex dipendenti avranno intenzione di contestarne in giudizio la legittimita', rispetto all'analogo interesse di quegli imprenditori che abbiano invece stipulato contratti di collaborazione coordinata e continuativa, di collaborazione a progetto o di somministrazione, ovvero che abbiano disposto il trasferimento di un lavoratore da una unita' produttiva ad un'altra, ovvero ancora che abbiano ceduto un contratto di lavoro, di conoscere con altrettanta rapidita' e certezza l'esistenza di analoghe intenzioni impugnatorie da parte dei propri ex collaboratori, dipendenti o ex dipendenti; che a diversa conclusione non possa al riguardo condivisibilmente pervenirsi valorizzando la circostanza (per altro meramente fattuale e non giuridica) che, ormai da anni, alcune importanti realta' imprenditoriali italiane (ed in particolare l'odierna convenuta Poste Italiane s.p.a.) abbiano fatto e continuino a fare massiccio ricorso all'assunzione di lavoratori con contratti a tempo determinato, dando cosi' vita ad un «fenomeno sociale» di portata tale da legittimare una sorta di intervento straordinario del legislatore volto a far emergere, una volta per tutte, il contenzioso latente relativo a tale tipologia contrattuale: al riguardo, premesso che tutte le norme che introducono limiti all'accesso del cittadino alla giustizia (quale e senza dubbio quella in esame, che non solo introduce un termine di decadenza dalla facolta' di agire in giudizio, ma ne prevede l'applicazione anche alle fattispecie gia' verificatesi al momento dell'entrata in vigore della legge) hanno natura eccezionale, basti evidenziare - sempre sotto il profilo della parita' di trattamento - sia l'invero dubbia legittimita' di un intervento legislativo palesemente rivolto a favorire, in difetto di «motivi imperiosi di carattere generale», la posizione di uno dei due contraenti, e nella specie della parte datoriale (in termini piu' generali, sul divieto per il potere legislativo di influire su di una determinata categoria di controversie, si vedano Cass. civ., sez, lav., ordinanza 4 settembre 2008, n. 22260, nonche Id., sentenza 16 gennaio 2008, n. 677), sia l'assoluta ingiustificabilita' dello stesso avuto riguardo alla posizione di tutti quei lavoratori che, invece, siano stati assunti con contratti a tempo determinato da piccoli o medi imprenditori e che, pur non essendo direttamente coinvolti nel «fenomeno sociale» sopra citato, si sono visti applicare anche alle fattispecie gia' verificatesi (a differenza dei lavoratori «assunti» con le altre tipologie contrattuali o destinatari degli altri provvedimenti datoriali indicati nell'art. 32, commi 3 e 4) un termine decadenziale mai esistito prima; Considerato: che, dunque, alla luce delle suesposte considerazioni, la norma dell'art. 32, comma 4, lett. b) della legge 4 novembre 2010, n. 183, prevedendo l'applicazione del termine di decadenza di cui al riformato art. 6, comma 1, della legge n. 604/1966 anche ai contratti di lavoro a tempo determinato «gia' conclusi alla data di entrata in vigore» della citata legge e «con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore» della stessa, si ponga in contrasto con l'art. 3 della Costituzione e con i principi di ragionevolezza e parita' di trattamento in esso sanciti; che le suesposte argomentazioni facciano apparire la questione di costituzionalita' della norma sopra citata non manifestamente infondata; che tale questione sia inoltre rilevante ai fini della decisione, in quanto, come gia' evidenziato, ove si applicasse la norma in esame al caso di specie non potrebbe che dichiararsi la decadenza di parte ricorrente dalla facolta' di agire in giudizio per ottenere l'accertamento della nullita' del termine apposto al contratto di lavoro intercorso con la societa' convenuta dal 1° aprile 2009 al 30 giugno 2009; che infine, nel sollevare la presente questione di legittimita' costituzionale, questo giudice del lavoro non intenda certo investire la Corte costituzionale di un (inammissibile) sindacato sull'esercizio della discrezionalita' legislativa, bensi' della sola verifica circa la compatibilita' con i principi di cui alla norma costituzionale sopra citata del sopra citato disposto normativo; che il presente giudizio debba essere dunque sospeso in attesa della decisione della Corte costituzionale sulla questione di costituzionalita' in questa sede sollevata;
P. Q. M. Il giudice del lavoro, dott. Michele Forziati, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 9 ottobre 2012: dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 4, lett. b) della legge 4 novembre 2010, n. 183, in riferimento all'art. 3 della Costituzione; dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale; sospende il presente giudizio; dispone che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, 19 ottobre 2012 Il giudice del lavoro: Forziati