N. 132 SENTENZA 2 - 6 maggio 1985

                                 N. 132
                         SENTENZA 2 MAGGIO 1985
                 Deposito in cancelleria: 6 maggio 1985.
      Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 113 bis del 15 maggio 1985.
                      Pres. ELIA - Rel. LA PERGOLA
     Giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale  -
 Trattati internazionali - Trasporto aereo - Morte  o  lesione  corporea
 del  trasportato in caso di sinistro - Limitazione alla responsabilita'
 del vettore - Leggi 19 maggio 1932, n. 841, art. 1, e 3 dicembre  1962,
 n.  1832,  art.  2  (esecuzione  dell'art.    22/1 della Convenzione di
 Varsavia del 12 ottobre 1929, sostituito dall'art.  XI  del  Protocollo
 dell'Aja  del  28  settembre  1955)  -  Ingiustificata omissione, nella
 specie, di adeguata tutela delle pretese risarcitorie del danneggiato -
 Lesione dei diritti inviolabili della persona - Violazione dell'art.  2
 della Costituzione - Illegittimita' costituzionale in parte qua.
     Giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale  -
 Questione proposta dal giudice a quo - Responsabilita' patrimoniale del
 vettore nel trasporto  aereo  -  Jus  superveniens  -  Ipotesi  di  non
 rilevanza nella specie.
     Diritti  inviolabili  della persona - Costituzione, art. 2 - Ambito
 di applicazione - Danno alla persona  derivante  da  sinistro  aereo  -
 Incidenza  sul  bene  supremo  della  vita  - Tutela costituzionale del
 diritto al  risarcimento  -  Estensione  ai  prossimi  congiunti  della
 vittima  -  Fondamento (Cost., artt.   29, 30, 31 e 36) - Diversita' da
 altra questione decisa (sent.  n. 46/1971).
     Trattati  internazionali  -   Trasporto   aereo   -   Limite   alla
 responsabilita'  del  vettore  -  Tutela  del danneggiato in ipotesi di
 sinistro - Deroga al principio del risarcimento integrale del  danno  -
 Esigenza  di compatibilita' con l'attivita' d'intrapresa del vettore ex
 art.  41  della  Costituzione   -   Consolidamento,   nella   normativa
 internazionale,  del principio di imputazione del sinistro al vettore a
 titolo di responsabilita'  oggettiva  -  Ammissibilita'  di  un  limite
 quantitativo   nell'ammontare  della  liquidazione  del  danno  purche'
 integrato da un congegno di adeguamento - Tutela costituzionale  di  un
 serio  ristoro  del  danneggiato  -  Criteri  per la verifica della sua
 congruita' (cfr. sent. nn. 155/1976 e 160/1981).
     Giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale  -
 Oggetto   -  Legge  di  esecuzione  interna  di  clausole  di  trattati
 internazionali.
(GU n.113 del 15-5-1985 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     composta dai signori:  Prof.  LEOPOLDO  ELIA,  Presidente  -  Prof.
 GUGLIELMO  ROEHRSSEN  - Avv.  ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI
 DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN -  Prof.  ANTONIO
 LA  PERGOLA - Prof.  VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI - Dott.
 FRANCESCO SAJA - Prof. GIOVANNI CONSO - Prof. ETTORE GALLO - Dott. ALDO
 CORASANITI  -  Prof.  GIUSEPPE  BORZELLINO  -  Dott.  FRANCESCO  GRECO,
 Giudici,
     ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 22 della
 Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, come sostituito  dall'art.
 XI  del  Protocollo  dell'Aja  del 28 settembre 1955, resi esecutivi in
 Italia con le leggi 19 maggio 1932, n.  841 e 3 dicembre 1962, n. 1832,
 promosso con ordinanza emessa il 17 gennaio 1983 dal Tribunale di  Roma
 nel  procedimento  civile  vertente  tra  Coccia Ugo ed altra e la soc.
 Turkish  Airlines,  iscritta  al  n.  404 del registro ordinanze 1983 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 260 del 1983.
     Visti gli atti di costituzione della soc.  Turkish  Airlines  e  di
 Coccia  Ugo  nonche'  l'atto di intervento del Presidente del Consiglio
 dei ministri;
     udito  nell'udienza  pubblica  del  12  dicembre  1984  il  Giudice
 relatore Antonio La Pergola;
     uditi  gli  avvocati  Guido  Rinaldi Baccelli per Coccia Ugo, Carlo
 Spani per la soc. Turkish Airlines e l'avvocato dello Stato Dante Corti
 per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Con ordinanza emessa il 17 gennaio 1983 il Tribunale di  Roma,
 nel  procedimento civile vertente tra Coccia Ugo ed altra e la Societa'
 Turkish Airlines, ha sollevato questione di costituzionalita' dell'art.
 22 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929,  come  sostituito
 dall'art.  XI  del  Protocollo  dell'Aja  del  28  settembre 1955, resi
 rispettivamente esecutivi in Italia con le leggi 19 maggio 1932, n. 841
 e 3 dicembre 1962, n. 1832, in relazione agli artt. 2,  32  e  3  della
 Costituzione.
     Il Tribunale, premesso che, con sentenza non definitiva del gennaio
 1979,  aveva  affermato la responsabilita', ai sensi dell'art. 17 della
 detta Convenzione, della Turkish  Airlines  in  relazione  al  disastro
 aereo  avvenuto  in  Turchia il 20 settembre 1976, nel quale era perita
 l'unica figlia degli attori costituitisi per ottenere  dalla  Compagnia
 aerea  il risarcimento dei danni, e ritenuto che ai fini della relativa
 liquidazione si deve applicare l'art. 22 della Convenzione di Varsavia,
 in difetto della prova da  parte  degli  attori  circa  la  piu'  grave
 responsabilita' prevista dall'art. 25 della Convenzione, rileva che gli
 attori  hanno  eccepito  l'incostituzionalita' del suddetto art. 22 per
 presunto contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost..
     Il  giudice  a  quo  ritiene  innanzitutto  che  la  questione  sia
 rilevante,  pur essendo la norma ritenuta incostituzionale contenuta in
 un Trattato internazionale, dato che la relativa  legge  di  esecuzione
 non  puo'  non essere oggetto, al pari delle altre leggi, del sindacato
 di costituzionalita'.
     Tale  questione,  secondo  il  Tribunale  di  Roma,  non   e'   poi
 manifestamente  infondata  sotto  il  profilo  di cui agli artt. 2 e 32
 Cost., in quanto "qualunque sia il  tasso  di  scambio  fra  la  moneta
 italiana   e   quella   parametralmente   prevista   nell'ambito  della
 Convenzione di cui si tratta", il limite di responsabilita' del vettore
 aereo previsto  dalla  norma  denunciata  non  garantirebbe  i  diritti
 inviolabili  dell'uomo, tra cui quello all'incolumita' personale e alla
 conservazione della personalita' e dell'integrita'  fisica  che  ne  fa
 parte,  e non consentirebbe la completa risarcibilita' del danno morale
 e patrimoniale, in violazione dei doveri di  solidarieta'  economica  e
 sociale imposti dalla Costituzione.
     Il  giudice  a  quo ritiene inoltre non manifestamente infondata la
 censura anche sotto il profilo della presunta  violazione  dell'art.  3
 Cost.,  in quanto il suddetto art. 22 non prenderebbe in considerazione
 la diversita' delle condizioni  economiche  e  sociali  dei  passeggeri
 aerei, portando a conseguenze dannose del tutto diverse, in riferimento
 alla differenza di condizioni socio-economiche dei danneggiati; infine,
 i  passeggeri  aerei  sarebbero  discriminati  rispetto  a  quelli  che
 utilizzano altri mezzi di  trasporto,  in  rapporto  ai  quali  non  e'
 previsto alcun limite di responsabilita' per il vettore, senza che tale
 differenziazione possa giustificarsi, come in passato, per una maggiore
 pericolosita'  del  trasporto  aereo,  che  secondo  il  Tribunale  non
 sussisterebbe piu', essendo il tasso di mortalita' relativo  ai  viaggi
 aerei ridotto a 0,08 per 100 milioni di passeggeri chilometro.
     2.  -  I  coniugi  Coccia,  costituitisi  nel  presente giudizio di
 costituzionalita', rilevano attraverso la loro difesa che nessun limite
 di responsabilita' in caso di danni ai passeggeri  e'  previsto  per  i
 trasporti  di  superficie.  Tale  discriminazione  dei passeggeri aerei
 rispetto a quelli superficiari non sarebbe  ragionevole  in  quanto  la
 disciplina  giuridica  della  responsabilita'  del  vettore  aereo  non
 differisce, quanto  ai  criteri  di  imputazione  e  alla  ripartizione
 dell'onere  della  prova,  da  quella stabilita in materia di trasporto
 terrestre, stradale e marittimo: l'art. 1681 del  codice  civile  detta
 criteri  di  responsabilita'  per  tutti i vettori e la formula da esso
 adottata e' analoga a quella degli artt. 17 e 20 della  Convenzione  di
 Varsavia,  poi  riprodotta dall'art.   962 del codice della navigazione
 (per il vettore aereo);  sostanzialmente  non  dissimile,  poi,  e'  la
 formula  adottata  dall'art.  409 di quest'ultimo codice per il vettore
 marittimo.  E' poi giurisprudenza costante che in tutte le  ipotesi  di
 trasporto  il  danno  provocato  da  causa  ignota  resta  a carico del
 vettore.
     La disciplina giuridica della responsabilita' e' quindi comune  per
 tutti i mezzi di trasporto: l'imposizione del limite di responsabilita'
 per  il vettore aereo non comporta pertanto vantaggi per il passeggero,
 ne' di carattere sostanziale, ne' processuale.
     Osserva inoltre la difesa della parte  privata  che  i  presupposti
 invocati  nel 1929 per giustificare un limite della responsabilita' del
 vettore aereo non sembrano piu' valere oggi in  seguito  all'incremento
 del  traffico  aereo  e della sua sicurezza. Il tasso di mortalita' nel
 1980 e' ridotto a 0,08 per ogni 100  milioni  di  passeggeri-chilometri
 trasportati.   Le   entrate   delle  compagnie  dei  141  paesi  membri
 dell'apposita Associazione Internazionale ICAO sono state nel  1980  di
 87.500   milioni  di  dollari.  In  base  a  tali  dati  il  limite  di
 responsabilita' per il vettore aereo appare privo di  ogni  ragionevole
 giustificazione.  Va  notato  peraltro che attualmente solo l'industria
 del trasporto aereo e non anche quella delle costruzioni  aereonautiche
 e  nemmeno  l'organizzazione  delle  infrastrutture  aereoportuali e di
 radioassistenza beneficia del limite di responsabilita'  in  questione.
 Cio'   comporta  una  inammissibile  discriminazione  anche  sul  piano
 assicurativo.
     Rileva ancora la difesa di parte privata che il suddetto limite  al
 risarcimento  violerebbe,  inoltre,  la  tutela  della dignita' umana e
 contrasterebbe sia con l'art. 2 che con l'art.  32 della  Costituzione.
 In  relazione  alla pretesa violazione dell'art. 2 viene ricordato come
 la Corte abbia affermato che tale articolo ha efficacia anche sotto  il
 profilo  patrimoniale  e  in  particolare  con  riguardo  al  campo del
 risarcimento (sentenza n. 46 del 1971).
     La crisi del sistema, fondato sulla Convenzione di Varsavia  si  e'
 manifestata   all'inizio   degli   anni   sessanta,   soprattutto   per
 l'insufficienza del limite di risarcimento, previsto appunto  dall'art.
 22;  negli  Stati  Uniti  la  cifra ivi stabilita e' stata ritenuta del
 tutto inadeguata, anche nella misura prevista dal Protocollo dell'Aja.
     Nel  1965  il  Governo  statunitense ha deciso di non ratificare il
 Protocollo  dell'Aja,  e  di  denunziare  altresi'  la  Convenzione  di
 Varsavia.
     L'aviazione   civile   era   gia'   avviata  a  divenire  mezzo  di
 comunicazione di massa, e la forte  diminuzione  del  rischio  di  volo
 riduceva  di  molto  l'ammontare dei prezzi. Il Governo statunitense ha
 poi ritirato la denunzia della Convenzione, ma  solo  a  seguito  della
 stipulazione  fra  il  Civil  Aeronautics Board e le compagnie aderenti
 alla IATA,  del  cosiddetto  Accordo  di  Montreal,  con  il  quale  le
 compagnie si impegnavano ad elevare il limite di responsabilita' fino a
 75.000  dollari,  e  rinunziavano  altresi' al mezzo di difesa previsto
 dall'art. 20 della Convenzione,  accettando  in  pratica  il  principio
 della  responsabilita'  obiettiva  per  i  voli  che  interessavano  il
 territorio degli Stati Uniti.
     L'Accordo di Montreal ha  peraltro  posto  le  premesse  di  quella
 radicale  trasformazione  del sistema convenzionale uniforme, la quale,
 successivamente adottata mediante il  Protocollo  di  Guatemala  dell'8
 marzo 1971, si basa sui seguenti criteri:
     1)  Il limite di responsabilita' e' elevato a 1.250.000 franchi; 2)
 e' prevista la responsabilita' assoluta a carico del vettore aereo;  3)
 il nuovo limite non puo' essere in alcun caso superato.
     Il  costo necessario alla copertura assicurativa entra a far parte,
 pertanto, del costo generale necessario per produrre la merce e offrire
 il servizio, traducendosi nel prezzo di vendita e  quindi  finendo  per
 ripercuotersi  sul  consumatore. In simili condizioni non ha piu' senso
 mantenere a carico del vettore una responsabilita' per colpa:  in  caso
 di  sinistro  la  vittima  dovra'  essere  in  ogni  caso risarcita. Il
 Protocollo  di  Guatemala  recepisce  pienamente  tale  criterio,   non
 soltanto    per   quanto   concerne   il   profilo   soggettivo   della
 responsabilita' (sopprimendo l'art. 20 della Convenzione) ma anche  per
 quanto  concerne  lo  stesso  nesso  causale, sostituendo, nell'art. 17
 della  Convenzione,  all'espressione  "accident"  quella   di   "danno"
 prodottosi durante il trasporto.
     Il  Protocollo,  infine, introduce sia lo strumento della revisione
 periodica del limite di responsabilita', sia la  possibilita'  per  gli
 Stati  di  stabilire  sul  proprio  territorio  un  piano di indennizzo
 supplementare.
     Non puo', pertanto, sfuggire alla Corte,  prosegue  la  difesa  dei
 coniugi   Coccia,  che  il  Protocollo  di  Guatemala  (sottoscritto  e
 ratificato dall'Italia, ma non ancora  entrato  in  vigore)  supera  la
 originaria  disciplina  della Convenzione di Varsavia, sotto il duplice
 profilo non soltanto dell'adeguamento del limite di responsabilita', ma
 anche in materia di imputazione del  danno,  inducendo  l'interprete  a
 ritenere    che   la   disciplina   preesistente   appaia   doppiamente
 discriminatrice,  oltre  che  in   contrasto   con   l'art.   2   della
 Costituzione.  Detta  disciplina,  conclude  la  difesa,  e' tuttora in
 vigore e continua, come nel caso di specie, ad essere invocata  da  una
 sia pur sparuta minoranza di vettori aerei.
     3.  -  La  Societa'  Turkish  Airlines  si costituisce nel presente
 giudizio.
     Dopo aver osservato che il  giudice  a  quo  non  si  e'  posto  il
 problema della corrispondenza in lire della somma limite in franchi-oro
 di  cui  all'art.  22  della Convenzione di Varsavia, rileva che questa
 Corte si e' gia' in passato pronunciata in merito alla sottoponibilita'
 al suo sindacato di norme contenute in trattati internazionali. Ritiene
 che  nessuno  Stato  che ad essi abbia aderito possa, attraverso i suoi
 organi, disattendere loro  norme,  se  non  ricorrendo  alla  procedura
 prevista   dal   diritto   internazionale:  in  proposito  richiama  la
 Convenzione di Vienna, in base alla quale uno Stato puo' denunciare  un
 trattato solo nel suo complesso.
     Aggiunge  la  difesa  della Societa' che il principio del limite di
 responsabilita'  e'  codificato  del  resto  nel   nostro   ordinamento
 normativo  in via generale all'art. 2740 codice civile e vengono quindi
 elencati  alcuni  casi  di  responsabilita'   limitata   previsti   dal
 legislatore (artt. 2045, 2047, 1680, 1784 c.c.).
     La  difesa  della  compagnia  osserva  poi  che  la norma censurata
 prevede un medesimo limite di responsabilita' per  tutti  i  contraenti
 muniti  di  biglietto  aereo;  percio'  non si potrebbe configurare una
 violazione dell'art. 3 Cost.,  che  puo'  essere  ipotizzata  solo  fra
 soggetti  che  si  trovino  nelle  medesime  condizioni  e che tuttavia
 subiscono un trattamento differenziato.
     La  dichiarazione  di  incostituzionalita'  della  norma  censurata
 porterebbe peraltro a varie conseguenze.
     La  pronuncia  investirebbe la sfera del diritto internazionale con
 lesione del diritto dei paesi che hanno  aderito  alla  Convenzione  di
 esigere  dall'Italia  il  suo  rispetto; si creerebbe una disparita' in
 favore  di  chi  discrezionalmente,  ai  sensi   dell'art.   28   della
 Convenzione opti per la giurisdizione italiana.
     Viene  inoltre  osservato  che, ove si seguissero le normali regole
 sulla responsabilita'  in  un  sinistro  che  comporti  il  decesso  di
 centinaia di persone, il vettore si troverebbe indebitato per centinaia
 di  miliardi  che non sarebbe certo in grado di corrispondere. Ne' sono
 ipotizzabili assicurazioni per cifre tanto esorbitanti.
     La difesa della compagnia  turca  rileva  peraltro  come  la  norma
 convenzionale  de qua presuma la responsabilita' del vettore (art. 17),
 pertanto il limite di responsabilita' costituisce un contemperamento di
 tale previsione.
     Osserva ancora la difesa che il giudice a quo non ha  correttamente
 inteso  il  contenuto dell'art. 2 Cost.. In concreto la norma che fissa
 il limite di responsabilita' esprime  una  valutazione  comparativa  di
 interessi  in  conflitto,  e  in ogni caso non sussisterebbe un diritto
 costituzionale all'intero risarcimento del danno. Inconferente  sarebbe
 nel  caso  anche  il  richiamo  all'art.  3  Cost..  Infatti  non  puo'
 ravvisarsi violazione del principio di eguaglianza nell'ipotesi in  cui
 il  soggetto  economicamente  piu'  debole viene ad essere maggiormente
 protetto.
     Viene infine rilevato che, poiche' con legge 6  febbraio  1981,  n.
 43, l'Italia ha ratificato gli accordi del Guatemala, i quali elevano i
 limiti  di  responsabilita'  ma pur sempre li prevedono, l'accoglimento
 della questione cosi' come posta dal Tribunale  di  Roma,  dovrebbe  di
 conseguenza  portare  alla  dichiarazione  di incostituzionalita' della
 stessa legge n.  43/1981.
     In  base  a  tutte  le  suddette  considerazioni  si  conclude  per
 l'infondatezza della questione sollevata.
     4.  - Interviene nel presente giudizio, per tramite dell'Avvocatura
 dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri.
     L'Avvocatura rileva, in punto di  ammissibilita',  che  la  Turkish
 Airlines  ha aderito alla Convenzione di Varsavia solo nel 1978, mentre
 l'incidente nel quale e' deceduta la figlia degli  attori  e'  avvenuto
 nel  1976:  ai  fini  della  Convenzione  l'incidente  non  e' pertanto
 qualificabile come internazionale e, quindi, ad avviso dell'Avvocatura,
 la presente questione appare irrilevante.
     L'ordinanza  avrebbe  mancato,  peraltro,  di motivare la rilevanza
 sotto altro profilo e cioe' in relazione all'effettivo superamento  del
 tetto  previsto  dalla  norma  impugnata nella fattispecie concreta. La
 suddetta valutazione  andrebbe  peraltro  operata  avendo  presente  la
 sopravvenuta  legge  26  marzo  1983,  n.  84,  che  ha sostituito come
 parametro del tetto di responsabilita' al franco-oro i diritti speciali
 di prelievo del Fondo monetario internazionale: vero e' che il  giudice
 a   quo   ha   denunciato   l'incostituzionalita'   di   un  limite  di
 responsabilita' qualsiasi esso sia, ma proprio la conseguente  mancanza
 di  collegamento  con i termini del giudizio principale sembrerebbe far
 propendere per l'irrilevanza della questione.
     Nel merito, in riferimento alla presunta violazione dell'art.    32
 Cost.,  l'Avvocatura  osserva  che  il  richiamo a tale precetto e' del
 tutto inconferente, in quanto nel giudizio a quo il risarcimento non e'
 stato chiesto da un passeggero per  lesioni  da  esso  subite,  ma  dai
 congiunti  di  un  passeggero  deceduto,  che agiscono iure proprio per
 essere ristorati del danno patito.
     Per quanto riguarda poi la presunta violazione dell'art.  2  Cost.,
 essa  si potrebbe porre solo con riguardo all'entita' del risarcimento,
 ove si assumesse che il  diritto  soggettivo  al  risarcimento  risulti
 svuotato   di   contenuto,   ma   non   potrebbe  certo  sostenersi  la
 illegittimita' della previsione di un qualsiasi limite ad esso. Per cui
 e' mancato, anche in relazione a tale questione, ogni giudizio concreto
 sulla rilevanza.
     Infine, per quanto  riguarda  la  pretesa  violazione  dell'art.  3
 Cost.,  rileva  l'Avvocatura  che  la  Convenzione  in  esame impone al
 vettore  di  indicare  nel  biglietto   di   viaggio   il   limite   di
 responsabilita',  cosi'  da  consentire  al  passeggero  di  provvedere
 eventualmente ad una maggiore copertura  assicurativa,  anche  mediante
 accordo   particolare   con   lo   stesso   vettore:   il   "tetto"  di
 responsabilita'   risulta   pertanto   accettato   negozialmente   come
 condizione del contratto di trasporto.
     Appare inconferente poi, a giudizio dell'Avvocatura, il richiamo al
 regime  dei  trasporti  di  superficie,  operato  senza  riferimento  a
 parametri precisi inerenti a dati e discipline dei trasporti stessi  di
 carattere internazionale, e diversi essendo tuttora i presupposti della
 responsabilita' nei due tipi di trasporto. La diversita' di situazioni,
 che legittima l'asserita diversita' di disciplina, oltre che dalle piu'
 gravi  conseguenze dei disastri aerei, deriverebbe anche dai differenti
 rapporti esistenti nel trasporto aereo fra i costi  di  gestione  e  le
 tariffe praticabili.
     L'Avvocatura,  sulla  base di tutte le suddette motivazioni, chiede
 che la questione sollevata  sia  dichiarata  inammissibile  o  comunque
 infondata.
     5.  -  Nell'imminenza  dell'udienza pubblica del 15 maggio 1984, la
 difesa dei coniugi Coccia ha presentato due memorie aggiuntive.
     In esse, ribaditi i termini della questione, vengono  singolarmente
 contestate  le  varie  eccezioni  di  inammissibilita'  sollevate dalla
 Societa' Turkish Airlines e dall'Avvocatura dello Stato,  ribadendo  il
 carattere   internazionale  del  volo,  l'interesse  degli  attori  del
 giudizio principale al superamento del limite  di  responsabilita',  la
 natura  non  convenzionale  del limite stesso, l'inapplicabilita' della
 Convenzione di Vienna.
     Vengono poi contestate le tesi secondo la quali la  previsione  del
 limite di responsabilita' costituirebbe condizione di sopravvivenza del
 trasporto  aereo  e  la  dichiarazione di illegittimita' costituzionale
 della Convenzione di Varsavia violerebbe l'uniformita'  internazionale:
 la difesa ribadisce, invece, ripetendo quella che e' stata l'evoluzione
 della  normativa internazionale in materia che la Convenzione suddetta,
 emendata dal  Protocollo  dell'Aja  e'  stata  da  oltre  un  ventennio
 considerata   iniqua  ed  inacettabile  da  tutti  i  Paesi  del  mondo
 occidentale,  oltre  che  dagli  Stati  Uniti  e  dal  Canada,  ed   e'
 praticamente inapplicata.
     La  difesa, infine, rileva che la sopravvenuta legge 26 marzo 1983,
 n. 84, che ha sostituito al franco-oro Poincare' i diritti speciali  di
 prelievo   del   Fondo   monetario   internazionale,  ha  aggravato  la
 situazione, travolgendo la giurisprudenza che  valutava  il  franco-oro
 previsto dalla Convenzione in base al valore dell'oro al mercato libero
 al  momento  della decisione: la nuova legge riconduce, ad avviso della
 difesa, il limite  del  risarcimento  ai  valori  del  1955,  ignorando
 l'Accordo di Montreal e il Protocollo di Guatemala.
     La  difesa conclude, pertanto, nel senso che, ove la legge del 1983
 fosse dalla  Corte  ritenuta  applicabile  ai  giudizi  in  corso,  non
 potrebbe che essere dichiarata anch'essa incostituzionale.
     6.  -  A  seguito  del  decesso  del Giudice costituzionale Arnaldo
 Maccarone, che faceva parte del Collegio  giudicante,  la  causa,  gia'
 assegnata  all'udienza del 15 maggio 1984, e' stata nuovamente discussa
 nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1984, nel corso  della  quale  il
 Giudice  La  Pergola ha svolto la relazione e i difensori delle parti e
 l'Avvocatura dello Stato hanno ribadito le conclusioni gia' adottate.
                         Considerato in diritto:
     1.  -  La  presente  questione  ha  per  oggetto  l'art.  22  della
 Convenzione di Varsavia (12 ottobre 1929), come modificato dall'art. XI
 del   Protocollo  dell'Aja  (28  settembre  1955).  Per  quel  che  qui
 interessa, detta  disposizione  cosi'  testualmente  recita:  "Dans  le
 transport  des  personnes,  la  responsabilite'  du transporteur envers
 chaque vojageur est limitee a'  la  somme  de  cent  vingt  cinq  mille
 francs".  L'ammontare del limite posto alla responsabilita' del vettore
 e'  stato  successivamente  raddoppiato,  in  forza  dell'art.  XI  del
 Protocollo dell'Aja. L'unita' monetaria  prevista  dall'uno  e  l'altro
 accordo e' il cd. franco-oro Poincare'.
     Il giudice a quo censura la norma teste' citata - in quanto essa e'
 stata  resa  efficace  mediante  disposizioni di legge nell'ordinamento
 interno (cfr. la l. n. 841 del 19 maggio 1932 e la l.  n.  1832  del  3
 dicembre   1962,  con  riguardo  rispettivamente  alla  Convenzione  di
 Varsavia ed al Protocollo dell'Aja) - per contrasto con gli artt. 2,  3
 e 32 Cost.. La denunzia e', in sostanza, cosi' formulata:
     a)  Il  limite  in  questione  opera,  in relazione ai sinistri che
 colpiscono  la  persona,  nel  senso  di  escludere,  sempre   che   la
 responsabilita'  del  vettore non sia dovuta a dolo o colpa grave (cfr.
 art. 25 della Convenzione di Varsavia come  modificato  dall'art.  XIII
 del  Protocollo  dell'Aja), la piena risarcibilita' del danno, morale e
 patrimoniale. Si  assume  che  per  questa  via  risultino  privati  di
 garanzia  i  diritti  inviolabili dell'uomo: prima di tutto, il diritto
 all'incolumita'  personale  e  il  diritto  alla  conservazione   della
 personalita',  inteso anche quale diritto all'integrita' fisica. Di qui
 si fa discendere la prospettata lesione degli artt. 2 e  32  Cost..  La
 violazione  dell'art.  2 Cost. e' dedotta anche sotto il riflesso della
 mancata osservanza dei doveri inderogabili di solidarieta' economica  e
 sociale ivi sanciti.
     b)    La disposizione censurata offenderebbe, altresi', il precetto
 dell'art. 3 Cost.. Cio' sotto un duplice riflesso:
     1) l'aver posto lo stesso limite, in  ordine  alla  responsabilita'
 del vettore, senza riguardo alle differenti condizioni socio-economiche
 dei   danneggiati,   concreterebbe   un'infrazione   al   principio  di
 eguaglianza  "attraverso  un'identita'  di  disciplina  per  situazioni
 oggettivamente diverse";
     2)  altra ingiustificata disparita' di trattamento discenderebbe da
 cio', che il contestato limite della responsabilita' del vettore non e'
 previsto in relazione al  trasporto  per  via  terrestre  o  marittima.
 Ritiene,  infatti,  il giudice a quo che oggi non sussistano differenze
 di rischio del traffico aereo - in cui il mezzo di trasporto ha un alto
 grado di sicurezza, e l'indice di incidenti o mortalita' e'  pressoche'
 nullo - rispetto a quello di superficie.
     2.  -  La difesa del Presidente del Consiglio prospetta sotto vario
 riguardo l'inammissibilita' della questione. I rilievi dedotti a questo
 fine  non  possono  essere  tuttavia  condivisi,  com'e'   di   seguito
 precisato.
     2.a)  L'Avvocatura ritiene che l'incidente aereo, di cui si discute
 nella causa di merito, non possa essere qualificato come internazionale
 ai  sensi  della  Convenzione  di  Varsavia,   avendo   il   paese   di
 destinazione,   la   Turchia,  aderito  allo  strumento  pattizio  solo
 successivamente al verificarsi del sinistro. Di conseguenza, rimarrebbe
 escluso che le norme della Convenzione, compresa  quella  che  dovrebbe
 interessare  ai  fini del presente giudizio, trovino applicazione nella
 specie. Comunque, il Tribunale di  Roma  avrebbe  mancato  di  delibare
 sotto   questo   profilo   la  rilevanza  della  questione.  Senonche',
 l'applicabilita' alla specie della norma denunziata non e' condizionata
 alla circostanza che si tratti di un volo  dall'uno  all'altro  di  due
 paesi  aderenti alla Convenzione di Varsavia. A norma dell'art. 1 della
 Convenzione, il volo e' internazionale anche quando si svolge  fra  due
 localita'  di un solo Stato contraente, purche' sia prevista almeno una
 sosta intermedia all'estero. Il Tribunale di Roma ha ritenuto che  tale
 requisito risulti nel caso in esame puntualmente soddisfatto. Per vero,
 l'itinerario del volo (Roma - Instanbul - Antalaya e ritorno) prevedeva
 il  punto  di  partenza,  e rispettivamente quello di destinazione, nel
 territorio del nostro Stato, che e' parte  dell'accordo,  ma  lo  scalo
 intermedio  all'estero:  e  cioe'  in  altro  paese,  non aderente alla
 Convenzione, quale, allora, era la Turchia.  Questa Corte  non  ravvisa
 ragioni  per  disattendere la qualificazione data al fatto di causa dal
 giudice a quo.
     2.b) Il Tribunale di Roma, deduce poi l'Avvocatura, non ha  nemmeno
 accennato  se  il  risarcimento  spettante  alla  parte  attrice superi
 l'ammontare consentito dall'art. 22 della Convenzione, laddove il punto
 doveva essere chiarito per stabilire se la censurata limitazione  della
 responsabilita'  del vettore rilevasse nella definizione della causa di
 merito.  La  Corte  ritiene  invece  che  il  giudice   a   quo   abbia
 adeguatamente  delibato  la  rilevanza della questione. Com'e' spiegato
 nell'ordinanza di rinvio, il vettore  non  ha  fornito  la  prova,  che
 l'avrebbe  esonerato  da  responsabilita',  dell'adozione  di  tutte le
 misure possibili e necessarie per  evitare  il  danno  (art.  20  della
 Convenzione);  gli attori hanno, dal canto loro, mancato di provare che
 ricorre l'ipotesi del danno derivante dal comportamento doloso o  dalla
 colpa  grave  (secondo il Protocollo dell'Aja, della wilful misconduct)
 del vettore, nella quale questi non puo' avvalersi del previsto  limite
 di risarcimento (cfr. art. 25 della Convenzione di Varsavia e art. XIII
 del  Protocollo dell'Aja).  Cosi' atteggiandosi la specie, viene quindi
 in rilievo, secondo Convenzione, il  disposto  dell'art.  22.  Ora,  la
 richiesta di parte attrice nel giudizio principale eccede, in ordine al
 quantum  risarcitorio,  la  misura  stabilita  in  quest'ultima  norma.
 Un'eventuale pronunzia di fondatezza priverebbe di efficacia  la  norma
 pattizia  che,  limitando  la  responsabilita' del vettore, preclude al
 giudice a quo di  liquidare  il  danno  richiesto  dagli  attori  oltre
 l'ammontare  consentito  dalla  disciplina  regolatrice  della  specie.
 Sussiste, dunque,  il  necessario  nesso  di  pregiudizialita'  fra  la
 questione  sollevata  in  questa  sede  e quella oggetto della causa di
 merito.
     3.  -  A  parte  le  osservazioni  sopra  esaminate,  e'   opinione
 dell'Avvocatura  che la rilevanza della questione debba essere di nuovo
 controllata dal  collegio  rimettente,  sempre  in  ordine  al  quantum
 risarcitorio,  alla  stregua  delle  disposizioni  della legge 26 marzo
 1983, n. 84, intervenute dopo la pronunzia  dell'ordinanza  di  rinvio.
 Sta  di  fatto,  pero', che la legge teste' citata si limita a disporre
 che le somme indicate in franchi-oro Poincare', cui  fanno  riferimento
 l'art.  22  della  Convenzione  di  Varsavia e l'art. XI del Protocollo
 dell'Aja, sono sostituite dai corrispondenti importi  in  altra  unita'
 monetaria,  e cioe' in diritti speciali di prelievo, quali definiti dal
 Fondo  monetario  internazionale.  Le  norme  in  essa  contenute   non
 incidono,  sotto  alcuno  dei  profili  dedotti in giudizio, sul regime
 della responsabilita' del  vettore,  ma  concernono  esclusivamente  il
 parametro adottato in sede convenzionale (cfr. i protocolli addizionali
 n.  1  e  2 di Montreal del 25 settembre 1975, ratificati dall'Italia e
 resi esecutivi con la legge 6 febbraio 1981, n. 43),  per  indicare  la
 somma  entro  la  quale  il vettore risponde, da convertire nel caso di
 azione giudiziaria in valuta nazionale. D'altronde, lo stesso giudice a
 quo denunzia la previsione del limite della  responsabilita',  qual  e'
 qui  configurato,  prescindendo  dal  "tasso  di  scambio tra la moneta
 italiana  e   quella   parametralmente   prevista   nell'ambito   della
 Convenzione".    Cosi' posta, la questione puo' essere dunque esaminata
 nel merito indipendentemente da quanto prevede la legge n.  84/1983.
     4. - Va considerata, anzitutto,  la  censura  formulata  per  prima
 nell'ordinanza  di  rinvio.  A  prescindere dal riferimento all'art. 32
 Cost.,  adombrato  senza  alcun  cenno  di  sviluppo,  essa  s'incontra
 sostanzialmente  in  quest'assunto: dove, come qui avviene, il sinistro
 investe l'incolumita', e la stessa conservazione dell'integrita' fisica
 della persona, il risarcimento integrale del danno sarebbe imposto  dal
 precetto  costituzionale  dell'art.  2  Cost.,  che  sancisce i diritti
 inviolabili dell'uomo ed i doveri inderogabili di solidarieta'.
     4.1.  -  La  Corte  ritiene,  anche  sulla  base  della   pregressa
 giurisprudenza (cfr. da ultimo sent. n. 188/80), di poter correttamente
 esercitare  il  suo sindacato delle disposizioni censurate in relazione
 alla norma che qui si assume lesa.  Nella presente controversia,  giova
 al  riguardo avvertire, non si tratta di dischiudere la sfera dell'art.
 2  Cost.  a  situazioni  soggettive  che il testo fondamentale manca di
 prevedere. Si prospetta, infatti, la  lesione  di  valori,  oggetto  di
 autonoma e specifica tutela costituzionale, che la statuizione invocata
 richiama,  quando  contempla  la categoria dei diritti inviolabili, nel
 suo generale ambito di applicazione. Il diritto al  risarcimento  viene
 in rilievo, per l'appunto, in quanto il danno incide sulla salvezza del
 bene  supremo  della vita e si riflette sul rapporto che correva fra la
 vittima del sinistro ed i prossimi congiunti,  attori  nella  causa  di
 merito; il rapporto fra i componenti del nucleo familiare, con la serie
 dei  diritti  e doveri reciproci da esso scaturenti, tocca poi per piu'
 versi, nel disegno della Costituzione, la tutela di cui gode la persona
 (artt. 29, 30, 31 e 36 Cost.): ed e' sempre la  persona,  che  troviamo
 circondata  dalle  garanzie configurate dall'art. 2 Cost.. Del resto, i
 diritti  che  s'inquadrano  nello   schema   di   questa   disposizione
 costituzionale sono riconosciuti non solo al singolo, ma all'uomo nelle
 formazioni  sociali  in  cui si svolge la sua personalita', ivi inclusa
 quella naturale societa',  fondata  sul  matrimonio,  che,  secondo  la
 definizione dello stesso costituente, e' la famiglia.
     4.2. - Come la difesa di parte privata ha ricordato, la Corte si e'
 occupata,  proprio  in  relazione  al  disposto  dell'art. 2 Cost., del
 regime  dettato  dalla  legge  9  gennaio  1951,  n.  10,  in   materia
 d'indennizzo   per   danni   causati   alle  persone  da  atti  non  di
 combattimento, dolosi e colposi, dalle Forze armate alleate (cfr. sent.
 n. 46/71). Secondo la tesi allora avanzata dal giudice  rimettente,  la
 legge  anzidetta  avrebbe,  anche per via del mutamento intervenuto nel
 valore della moneta fra il verificarsi del  danno  e  la  liquidazione,
 praticamente  vuotato di consistenza il diritto al risarcimento, con il
 risultato  di  sopprimere   la   garanzia   del   diritto   inviolabile
 all'integrita'  fisica  della persona. La questione e' stata dichiarata
 non fondata con la sentenza n. 46/71, avendo la Corte ritenuto di dover
 escludere la violazione dell'art. 2 Cost., in presenza  di  un  ristoro
 che  non  spogliava  di  ogni  contenuto  il  diritto  al risarcimento.
 Senonche', la censura respinta con quella decisione  gravava,  data  la
 rinunzia dell'Italia ai reclami nei confronti delle potenze alleate, su
 una  legge  appositamente  emanata  perche', in caso di lesioni fisiche
 alle persone, non fosse  negata  una  qualche  riparazione  del  danno,
 compatibile   con   il   sacrificio  addossato  all'intera  nazione  in
 conseguenza degli eventi bellici. Il caso in esame e' diverso. A  tacer
 d'altro,  la  posizione  del  danneggiato  va  valutata  in rapporto al
 trattamento riservato al vettore, che risponde, come si diceva, se  non
 dimostra  di aver adottato le misure necessarie e possibili per evitare
 il danno, ma solo nei limiti dell'ammontare  previsto  in  Convenzione.
 Cio'  significa  che  da  un  canto  vi  e'  l'istanza del risarcimento
 integrale, quando il bene leso dal sinistro e' la vita di  un  prossimo
 congiunto; dall'altro, quella dell'iniziativa economica connessa con il
 traffico aereo, la quale riveste indubbia e crescente utilita' sociale,
 ed  e'  anch'essa  costituzionalmente  protetta,  fin  dove  giunge  la
 guarentigia dell'art. 41 Cost..  Nel  presente  caso  non  puo'  dunque
 soccorrere  la  pronunzia  sopra ricordata. Il problema ora considerato
 esige, per i termini in cui si delinea l'asserita lesione  del  diritto
 al risarcimento, altro criterio di giudizio, che va subito enunciato.
     4.3.  - Questo collegio e' chiamato in definitiva ad esaminare come
 si conciliano le confliggenti istanze del vettore e del danneggiato. Si
 puo' intanto precisare che  l'aver  comunque  sancito  un  limite  alla
 responsabilita'  del  vettore  non  basta  ad  integrare la prospettata
 ipotesi di illegittimita' costituzionale, sebbene importi una deroga al
 principio  del  risarcimento  integrale  del  danno;  principio che, in
 stretta  connessione  con  l'altro  della  responsabilita'   colpevole,
 informa  la  disposizione  dettata  in  via  generale,  per  quanto qui
 interessa,  dall'art.  1681  del  codice  civile,  sotto  il  capo  del
 contratto  di  trasporto.  Ma  tale  rilievo  non  esaurisce l'indagine
 rimessa alla Corte. Occorre vedere, piu' da vicino, se  la  limitazione
 dell'obbligo   risarcitorio  sia  giustificata  dallo  stesso  contesto
 normativo  in  cui  essa  si  colloca,  nel  senso  che  la  denunciata
 disciplina  pattizia riesca a comporre gli interessi del vettore con un
 sistema di ristoro del danno non lesivo della norma  costituzionale  di
 raffronto.    L'esigenza  di  tutela  del danneggiato, che qui viene in
 considerazione, va peraltro puntualizzata, tenendo conto delle  ragioni
 che   hanno   ispirato   il   regime   della  responsabilita'  in  sede
 internazionale e ne hanno promosso l'evoluzione. E', allora, in  questa
 prospettiva,   che   risulta   quale   assetto  della  limitazione  del
 risarcimento possa soddisfare  gli  estremi  della  compatibilita'  con
 l'art. 2 Cost..  Ad avviso della Corte, deve trattarsi di una soluzione
 normativa atta ad assicurare l'equilibrato componimento degli interessi
 in  giuoco:  e  dunque,  per un verso sostenuta dalla necessita' di non
 comprimere indebitamente la sfera di iniziativa economica del  vettore,
 per  l'altro  congegnata secondo criteri che, in ordine all'imputazione
 della responsabilita'  o  alla  determinazione  della  consistenza  del
 limite  in  discorso,  comportano  idonee e specifiche salvaguardie del
 diritto fatto valere da chi subisce il danno.
     Sotto  l'uno  e  l'altro  dei  profili  teste'  individuati  cadono
 opportune le seguenti riflessioni.
     5. - La normativa denunziata e' inserita in una disciplina uniforme
 del  trasporto  aereo,  necessariamente affidata, per quanto concerne i
 voli internazionali, agli strumenti pattizi, dei quali  il  legislatore
 ha disposto l'esecuzione (vedi sopra n.  1). La Convenzione di Varsavia
 risale  al  1929;  quella  di  Parigi,  che  di  essa  aveva  preparato
 l'adozione, e' del 1925. Il limite qui contestato traeva in quell'epoca
 evidente supporto  dalla  circostanza  che  l'industria  del  trasporto
 aereo,  ancora  all'inizio  ed  esposta a sensibile rischio, richiedeva
 misure protettive, indispensabili per l'economicita' della sua gestione
 e per lo sviluppo dell'intero settore  di  intrapresa.  Il  ricorso  al
 criterio  del  risarcimento  integrale del danno derivante dal sinistro
 aeronautico avrebbe, infatti, ben spesso costretto il vettore a  pagare
 somme  assai  elevate,  con  la conseguente difficolta' di reperire una
 copertura  assicurativa  idonea  a  tener  salvo  il   suo   patrimonio
 personale.  Il  criterio  della  limitazione  del risarcimento, sia pur
 temperato dalla previsione della responsabilita' piena del  vettore  in
 caso  di dolo o colpa grave, serviva, dal canto suo, a quantificare con
 esattezza gli oneri dell'assicurazione e a circoscrivere il rischio che
 andava assicurato.
     Il  teste'  accennato  ordine  di  giustificazioni  avrebbe  potuto
 rilevare,  nei  termini sopra precisati (cfr. n. 4.3), sotto il profilo
 della tutela costituzionale che, secondo il nostro ordinamento,  merita
 la  posizione del vettore. Esso e' pero' venuto meno con la continua ed
 imponente  crescita  del  traffico  aereo,  il  livello  di   sicurezza
 conseguito  nel  suo svolgimento e la flessione dei costi assicurativi,
 dovuta alla riduzione del rischio.
     5.1.  -  Quest'ultimo  rilievo spiega, peraltro, come tra gli Stati
 aderenti  alla  Convenzione  di  Varsavia,  e  gli   stessi   operatori
 economici,  sia  venuto  radicandosi il convincimento che gli schemi in
 origine  adottati  da  quell'accordo  internazionale  per  ridurre   la
 responsabilita'   del   vettore  andassero  riveduti.  In  effetti,  la
 disciplina in parola e' stata modificata con  due  distinti  strumenti:
 l'accordo  registrato  presso  il  Civil  Aeronautics Board degli Stati
 Uniti e concluso il 6 maggio  1966  a  Montreal  tra  i  vettori  aerei
 I.A.T.A.  (International  Air  Transport Association), limitatamente ai
 voli internazionali che interessano, quanto  al  punto  di  partenza  o
 arrivo  o  scalo,  l'area  spaziale  di  quella  nazione; il Protocollo
 adottato a Citta' del Guatemala l'8 marzo  1971,  che  e'  un  trattato
 concernente  il  trasporto  internazionale  in tutta l'area degli Stati
 contraenti. La autorizzazione alla ratifica del Protocollo in parola ed
 il relativo ordine di esecuzione sono contenuti nella sopra  menzionata
 legge  del  6  febbraio  1981, n. 43. Le disposizioni in esso poste non
 dispiegano ancora effetto, per il  mancato  adempimento  dei  requisiti
 all'uopo prescritti nelle clausole protocollari. Importa pero' rilevare
 come il Protocollo di Citta' del Guatemala recepisca il regime pattuito
 fra  i  vettori  a  Montreal  e  ne svolga con piu' compiuta e rigorosa
 formulazione i  principi,  di  cui  va  fatto  cenno  in  questa  sede.
 Precisamente:
     a)  il  principio  di  imputazione  di responsabilita' basato sulla
 colpa  e'  sostituito  dall'altro  della  responsabilita'  assoluta  (o
 oggettiva): il vettore non dispone piu' della prova liberatoria, com'e'
 prevista  nell'art.  20  della Convenzione di Varsavia, che concerne le
 misure necessarie e possibili per evitare il danno (cfr.  art.  VI  del
 Protocollo).  Di  conseguenza  e'  stata modificata anche la previsione
 dello stesso nesso causale che, ai sensi dell'art. 17 della Convenzione
 di Varsavia, collega il danno risarcibile con un'anomalia del servizio;
 il vettore risponde ora "del pregiudizio occorso in caso di morte o  di
 ogni  lesione  personale  subita dal passeggero per la sola circostanza
 che il fatto, che ha causato la morte o la  lesione  personale,  si  e'
 prodotto a bordo dell'aeromobile (o nel corso di tutte le operazioni di
 imbarco o di sbarco)" (art. IV del Protocollo). Alla nozione originaria
 di  sinistro  (accident)  subentra  cosi'  quella  di un evento dannoso
 individuato esclusivamente in relazione alla durata del trasporto.
     b) Il criterio di prevedere un limite di risarcimento e'  per  vero
 tenuto  fermo  (cfr.  art.  VIII  del  Protocollo); anzi tale limite e'
 configurato come invalicabile anche  nelle  ipotesi  di  dolo  o  colpa
 grave,  per  le quali la Convenzione di Varsavia preclude al vettore di
 giovarsi  delle  disposizioni  che  escludono   o   riducono   la   sua
 responsabilita'  (cfr. art. XI del Protocollo, che sopprime l'art. 25.1
 di detta Convenzione).  In compenso, l'ammontare della somma  entro  la
 quale il vettore risponde, sempre in caso di morte o lesioni personali,
 e'  accresciuta (fino ad 1.200.000 franchi-oro Poincare') rispetto agli
 importi  che  figurano,  del  resto  gia'  in  ordine  di  progrediente
 consistenza,  prima  nella Convenzione di Varsavia (125.000 franchi-oro
 Poincare'),  e  successivamente  nel   Protocollo   dell'Aja   (250.000
 franchi-oro  Poincare')  e  nell'Accordo  di  Montreal  (75.000 dollari
 statunitensi, onorari di avvocati e spese comprese; 58.000 dollari,  se
 l'azione  di risarcimento e' promossa in uno Stato ove sia previsto che
 gli onorari di avvocati e  le  spese  siano  liquidate  separatamente).
 Inoltre,   il   Protocollo   introduce   lo   strumento  del  periodico
 aggiornamento  del  limite di responsabilita', alle scadenze temporali,
 con le modalita' e nelle misure massime indicate dall'art.  XV;  mentre
 l'art. XIV consente a ciascuno Stato contraente di stabilire, per parte
 sua   e   alle   condizioni   ivi  previste,  un  piano  di  indennizzo
 supplementare, in favore di coloro che agiscono in giudizio in caso  di
 morte o lesione personale di un passeggero.
     5.2.  -  Ecco allora, in sintesi, quali garanzie di congruo ristoro
 offre, per il caso in  considerazione,  la  disciplina  uniforme  della
 materia, cosi' com'e' venuta atteggiandosi in sede internazionale:
     a)  il principio della responsabilita' assoluta del vettore implica
 che  ogni  qual  volta  trova  applicazione  la  previsione   normativa
 dell'evento  che  ha  causato la morte, o la lesione corporea, il danno
 deve essere comunque risarcito; dal canto suo, il  vettore  fruisce  di
 coperture  assicurative  idonee a risarcire le vittime, tenendo indenne
 il suo patrimonio;
     b) l'altro strumento, che consiste  nell'aggiornare  il  limite  di
 responsabilita'  del  vettore,  volta  a  volta fissato in Convenzione,
 costituisce una salvaguardia della pretesa risarcitoria di fronte  alla
 possibile  diminuzione  dei valori monetari: fenomeno che si e' infatti
 verificato,  nel  corso  del  periodo  in  cui   sono   successivamente
 intervenuti   gli   atti  internazionali  prodotti  per  modificare  la
 Convenzione di Varsavia. Si puo', in proposito, utilmente ricordare  il
 criterio  enunciato  dalla  Corte con riguardo al ristoro spettante, ex
 art. 42, terzo comma, Cost., al soggetto espropriato, la' dove  tra  il
 momento dell'esproprio e quello preso in considerazione dal legislatore
 per  determinare  l'ammontare  della  liquidazione  corre  un  distacco
 temporale che puo' pregiudicare  la  congruita'  dell'indennizzo  (cfr.
 sentt.  nn.    155/76  e 160/81). Quando ricorre tale ipotesi, e' stato
 appunto ritenuto, il regime indennitario risulta conforme  al  disposto
 costituzionale  teste'  menzionato  solo  se  esso  contiene un qualche
 congegno correttivo degli effetti prodotti,  durante  la  sua  vigenza,
 dallo  slittamento  del  valore  della  moneta,  per modo che la misura
 dell'indennizzo  possa  adeguatamente  accostarsi   alla   realta'   ed
 attualita'  dei  valori  economici.  Nella  specie, l'aggiornamento del
 limite che osta al ristoro  integrale  del  danno  s'impone  a  maggior
 ragione:  ci troviamo, dopotutto, di fronte alla sospetta lesione della
 sfera  costituzionalmente  garantita  non   alla   proprieta',   bensi'
 all'integrita' fisica della persona.
     5.3.  -  Deve  aggiungersi che il nostro legislatore non e' rimasto
 insensibile all'esigenza di  introdurre  previsioni  del  genere  sopra
 descritto  nella  disciplina  posta  dal  codice  della navigazione con
 riferimento ai voli nazionali. Tale  codice  adotta  lo  stesso  schema
 della  responsabilita'  colpevole  e limitata al vettore aereo, sancito
 nella Convenzione di Varsavia  (artt.  941,  942  e  943  codice  della
 navigazione).   Il   limite  del  risarcimento  che  qui  interessa  e'
 stabilito, nella misura di lire 5.200.000 per  persona,  dall'art.  943
 del  codice.  Ora, pero', l'art. 19 della legge 13 maggio 1983, n. 213,
 prescrive l'aggiornamento del limite  anzidetto  (come  di  ogni  altro
 limite  di responsabilita', previsto nel codice della navigazione) e lo
 demanda ad un decreto del  Presidente  della  Repubblica,  adottato  su
 proposta del Ministro dei trasporti, previa deliberazione del Consiglio
 dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato. E' previsto che
 l'aggiornamento  sia operato in base ai parametri puntualmente indicati
 nella  legge:  le  convenzioni  internazionali  in  materia,   l'indice
 generale  dei  prezzi  di  mercato,  quello  delle retribuzioni desunte
 dall'Istituto Centrale di Statistica, nonche' dei livelli  assicurativi
 praticati nei vari Stati in materia di assicurazione civile. L'espresso
 ed  attuale riferimento alle convenzioni internazionali del settore sta
 a dimostrare che il limite posto alla responsabilita'  del  vettore  va
 riveduto  anche  alla stregua della disciplina pattizia posteriore alla
 Convenzione di Varsavia e al Protocollo dell'Aja. I  concessionari  del
 servizio  di  linea  si  sono,  d'altronde,  spontaneamente adeguati al
 livello massimo  del  risarcimento  stabilito  nel  citato  Accordo  di
 Montreal   (cfr.   sopra   n.   5.1).  Il  congegno  dell'aggiornamento
 predisposto nell'art. 19 della citata legge n. 213 del 1983 - e' appena
 il  caso  di  osservare  -  si  collega,  inoltre,   con   il   sistema
 dell'assicurazione  obbligatoria, accolto dal codice della navigazione.
 Ai sensi dell'art. 941, primo comma, del detto codice,  l'esercente  di
 linee aree regolari dovra' percio' assicurare ciascun passeggero contro
 gli   infortuni  di  volo  per  l'ammontare  che  risulta  dalla  somma
 aggiornata in conformita' della legge; tale  somma  sostituisce  quella
 indicata  nell'art.  943  come  limite  del risarcimento.   L'esercente
 risponde dell'inadempimento di tale obbligo a norma dello  stesso  art.
 941, secondo comma, del codice della navigazione.
     6.  - Le osservazioni fin qui svolte sugli sviluppi della normativa
 pattizia e della nostra  legislazione  interna  conducono  al  seguente
 risultato: la limitazione della responsabilita' del vettore si appalesa
 giustificata  solo in quanto siano al tempo stesso predisposte adeguate
 garanzie di certezza od adeguatezza per il ristoro  del  danno.  Questo
 requisito  e',  dunque,  ormai  considerato  come  irrinunziabile nella
 cerchia dei soggetti che concorrono alla  produzione  della  disciplina
 uniforme del trasporto aereo; esso deve allora, secondo i criteri sopra
 posti (cfr. n. 4.3), risultare soddisfatto anche ai fini della presente
 decisione.  La  scelta  dei  mezzi meglio adatti allo scopo e' rimessa,
 beninteso, alla determinazione delle competenti fonti normative.  Nella
 specie,  pero', difetta del tutto la tutela del danneggiato che poteva,
 e doveva, comunque esser prevista. La disciplina censurata, come si  e'
 detto,  non  e'  piu' sorretta dalle ragioni sottostanti all'originario
 assetto della  Convenzione  di  Varsavia,  e  non  e',  d'altra  parte,
 compensata, o accompagnata, da alcuna misura del tipo dianzi ricordato,
 in punto di salvaguardia della pretesa risarcitoria. Nei termini in cui
 essa  e'  configurata, la norma che di fronte alle lesioni corporee - e
 addirittura, come qui accade, di fronte alla perdita della vita umana -
 esclude il ristoro integrale del danno non e' assistita  da  un  idoneo
 titolo  giustificativo.    Occorre  quindi  concludere che essa lede la
 garanzia eretta dall'art. 2 Cost. a presidio inviolabile della persona.
 Con cio' resta assorbito  ogni  residuo  profilo  della  questione.  La
 pronuncia   della   Corte   concerne,   si   deve   infine   precisare,
 esclusivamente le disposizioni di legge che hanno  conferito  efficacia
 interna  alle  clausole  pattizie  in  esame.  Va  dunque dichiarata la
 illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 19  maggio  1932,
 n.  841 e dell'art. 2 della legge 3 dicembre 1962, n. 1832, nella parte
 in cui danno esecuzione all'art. 22/1 della  Convenzione  di  Varsavia,
 come sostituito dall'art. XI del Protocollo dell'Aja.
                            PER QUESTI MOTIVI
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 19
 maggio 1932, n. 841 e dell'art. 2 della legge 3 dicembre 1962, n. 1832,
 nella parte in cui danno esecuzione all'art.  22/1 della Convenzione di
 Varsavia  del  12  ottobre  1929,  come  sostituito  dall'art.  XI  del
 Protocollo dell'Aja del 28 settembre 1955.
     Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 2 maggio 1985.
                                   F.to:   LEOPOLDO   ELIA  -  GUGLIELMO
                                   ROEHRSSEN - ORONZO REALE  -  BRUNETTO
                                   BUCCIARELLI     DUCCI    -    ALBERTO
                                   MALAGUGINI - LIVIO PALADIN -  ANTONIO
                                   LA  PERGOLA  -  VIRGILIO  ANDRIOLI  -
                                   GIUSEPPE FERRARI - FRANCESCO  SAJA  -
                                   GIOVANNI  CONSO - ETTORE GALLO - ALDO
                                   CORASANITI -  GIUSEPPE  BORZELLINO  -
                                   FRANCESCO GRECO.
                                   GIOVANNI VITALE - Cancelliere