N. 427 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 ottobre 2008

Ordinanza del 2 ottobre 2008 emessa dalla Corte d'appello  di  Torino
nel procedimento civile promosso dalla Compagnia Internazionale delle
Carrozze Letti e del Turismo S.a. contro Arrigo Orazio ed altro. 
 
Lavoro e  occupazione  -  Apposizione  di  termini  alla  durata  del
  contratto di lavoro subordinato - Violazione delle norme in materia
  di apposizione e di proroga del termine - Previsione, per i giudizi
  in corso alla data di entrata in vigore della norma  censurata,  di
  un indennizzo a carico  del  datore  di  lavoro  e  in  favore  del
  lavoratore di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed  un  massimo
  di  6  mensilita'  dell'ultima  retribuzione  globale  di  fatto  -
  Denunciata violazione del principio di uguaglianza - Incidenza  sul
  diritto di azione. 
- Decreto  legislativo  6  settembre  2001,  n.  368,   art.   4-bis,
  introdotto dall'art. 21, comma 1-bis, della legge 6 agosto 2008, n.
  133 [recte: art. 21, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008,
  n. 112, inserito dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133]. 
- Costituzione, artt. 3 e 24, primo comma. 
(GU n.1 del 7-1-2009 )
                         LA CORTE D'APPELLO 
    Ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  di  lavoro
iscritta al n. R.G.L. 658/08  promossa  da  Compagnia  Internazionale
delle Carrozze e del Turismo appellante, avv. Pacchiana Parravicini; 
    Contro Arrigo Orazio e Arrigo Giuseppe, appellati avv. Berardi. 
    Premesso che i signori Arrigo Orazio ed Arrigo Giuseppe evocavano
in  giudizio,  avanti  al   Tribunale   di   Torino,   la   Compagnia
Internazionale delle Carrozze e del Turismo S.a., onde far  accertare
la nullita' del termine apposto  ai  contratti  a  tempo  determinato
succedutisi nel tempo (per l'Arrigo Orazio 4 contratti  compresi  nel
periodo dal 20 giugno 2005 a1 14 maggio 2006, per l'Arrigo Giuseppe 8
contratti compresi nel periodo dal 10  dicembre  2004  al  14  luglio
2006),  con  riconoscimento   di   rapporto   di   lavoro   a   tempo
indeterminato, reintegrazione nel  posto  di  lavoro  e  condanna  al
pagamento delle retribuzioni non percepite. 
    Si costituiva la societa' rivendicando la correttezza del proprio
operato. 
    Con sentenza 5 febbraio 2008, il tribunale  adito  dichiarava  la
nullita', ex art. 1, d.lgs.  n.  368/2001,  del  termine  apposto  al
contratto 9 dicembre 2004, quanto ad Arrigo Giuseppe, ed al contratto
20 giugno 2005, quanto ad Arrigo Orazio, dichiarando la  costituzione
di un rapporto di  lavoro  a  tempo  indeterminato  da  tali  date  e
condannando  la  societa'  al  ripristino  della  funzionalita'   del
rapporto ed al pagamento delle retribuzioni a partire dalla  data  di
messa in mora (14 dicembre 2006), oltre alle spese di lite. 
    Avverso  detta  pronuncia  ha  proposto  appello   la   societa',
censurandola la' ove aveva ritenuto continuativo il rapporto e la non
sussistenza delle condizioni legittimanti l'apposizione del termine. 
    Si sono costituiti i  lavoratori  per  la  conferma  della  prima
pronuncia; che, in sede di  discussione  orale,  essendo  intervenuta
novita' legislativa, la difesa dei lavoratori ha sollevato  eccezione
di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis  d.lgs.  n.  368/2001,
quale introdotto dall'art. 21, comma 1-bis, legge n. 133/2008; 
        che i  contratti  a  termine  di  cui  al  presente  giudizio
risultano stipulati nel vigore del d.lgs. n. 368/2001; 
        che alla nullita' del  termine  di  un  contratto  di  lavoro
consegue per giurisprudenza costante (salvo  nel  caso  di  prova  da
parte del datore di  lavoro  che  il  contratto,  senza  termine  non
sarebbe stato concluso, circostanza che, nella presente  fattispecie,
non e' stata neppure allegata) la conversione del rapporto  da  tempo
determinato a tempo indeterminato a far tempo dall'instaurazione  del
rapporto con obbligo di riammissione in servizio e di pagamento delle
retribuzioni a partire dal momento in cui il lavoratore ha offerto la
propria prestazione lavorativa (vedasi, per tutte, la  massima  della
pronuncia della Suprema Corte 21 maggio 2008 n. 12985: «L'art. 1  del
d.lgs. n. 368 del 2001, anche anteriormente alla modifica  introdotta
dall'art. 39 della legge n. 247 del 2007, ha confermato il  principio
generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato e' normalmente
a  tempo  indeterminato,  costituendo   l'apposizione   del   termine
un'ipotesi derogatoria  pur  nel  sistema,  del  tutto  nuovo,  della
previsione di una clausola generale  legittimante  l'apposizione  del
termine «per ragioni di carattere tecnico, produttivo,  organizzativo
o sostitutivo». Pertanto, in  caso  di  insussistenza  delle  ragioni
giustificative del termine,  e  pur  in  assenza  di  una  norma  che
sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni,  in  base  ai
principi generali in materia di nullita' parziale del contratto e  di
eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonche' alla stregua
dell'interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro  delineato
dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita  con  il  richiamato
decreto),  e  nel  sistema  generale  dei  profili  sanzionatori  nel
rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte  cost.  n.  210
del 1992 e n. 283 del 2005, all'illegittimita' del  termine  ed  alla
nullita'  della  clausola  di  apposizione  dello   stesso   consegue
l'invalidita' parziale relativa alla sola clausola e l'instaurarsi di
un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (principio  applicato  in
fattispecie di primo ed unico contratto a termine)»; 
        che, in pendenza del giudizio  di  appello,  nel  supplemento
ordinario n. 196 alla Gazzetta Ufficiale del 21 agosto 2008  n.  195,
e' stata pubblicata la legge 6 agosto 2008 n. 133 di conversione  con
modificazioni del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, il cui articolo  21  ha
introdotto dopo l'art. 4 del d.lgs. n. 368/2001,  l'art.  4-bis,  che
recita:  «(Disposizione  transitoria  concernente  l'indennizzo   per
violazione delle norme in materia di apposizione  e  di  proroga  del
termine)- Con riferimento ai soli  giudizi  in  corso  alla  data  di
entrata in vigore della  presente  disposizione,  e  fatte  salve  le
sentenze  passate  in  giudicato,  in  caso   di   violazione   delle
disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore  di  lavoro  e'
tenuto  unicamente  a  indennizzare  il  prestatore  di  lavoro   con
un'indennita' di importo conipreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo
di sei mensilita' della retribuzione globale di fatto, avuto riguardo
ai criteri indicati nell'art. 8 della legge 15 luglio 1966 n. 604,  e
successive modificazioni)»; 
        che, essendo il presente  giudizio  in  corso  alla  data  di
entrata in vigore di detta disposizione, nel caso  in  cui  l'appello
fosse  respinto  e  confermata  la  prima  pronuncia,  questa  corte,
dovrebbe, in sostituzione alla riconosciuta conversione del contratto
a  termine  in  contratto  a  tempo   indeterminato,   applicare   la
sopracitata disposizione, riconoscendo al lavoratore l'indennizzo  di
cui alla stessa e che pertanto la pronuncia  sulla  costituzionalita'
della disposizione stessa e' rilevante nel giudizio di cui si tratta; 
    che detta disposizione non assume carattere interpretativo di una
norma a valere per il futuro o eventualmente  anche  retroattivamente
(come da tecnica legislativa spesso da ultimo seguita),  per  cui  si
possa dare un giudizio di  ragionevolezza,  soprattutto  la'  ove  la
norma sia  funzionale  ad  un  contenimento  dei  costi  della  spesa
pubblica, bensi' per il suo stesso  titolo,  ha  carattere  meramente
transitorio e riguarda unicamente chi abbia  instaurato  un  giudizio
non ancora definito con sentenza passata in giudicato; 
    che   non   e'   manifestamente   infondata   la   questione   di
costituzionalita' di tale disposizione in relazione agli articoli 3 e
24 della Costituzione italiana; 
    A) in particolare la disposizione appare in contrasto con  l'art.
3,    in    quanto     introduce     irragionevoli     diseguaglianze
nell'individuazione dei propri destinatari; ad esempio disuguaglianza
vi sarebbe tra coloro che, per motivi spesso indipendenti dalla  loro
volonta' (attivita' del sindacato o del legale, durata del processo),
hanno ottenuto una sentenza non piu' oggetto di impugnazione e coloro
che  invece  hanno  ancora  un  giudizio   in   corso,   pur   avendo
ipoteticamente stipulato un contratto a termine con lo stesso  datore
di lavoro e nello stesso periodo; ed  ancora  tra  coloro  che  hanno
depositato il ricorso introduttivo del giudizio il giorno prima della
pubblicazione della legge e coloro che lo depositano il  giorno  dopo
la sua entrata in vigore (a fronte della pubblicazione  della  legge,
ovviamente  un  legale  avra'  atteso  per  il  deposito  il   giorno
successivo all'entrata in vigore onde non ricadere nella disposizione
transitoria);  ed  ancora  si  potrebbe  ipotizzare  l'ipotesi  della
mancata notifica del  ricorso  gia'  depositato,  onde  ottenere  una
dichiarazione di estinzione del processo (vedasi disposizione art. 50
della stessa legge n. 133/2008), onde evitare di ricadere nella norma
transitoria per poi  depositare  un  nuovo  ricorso;  cio'  creerebbe
indubitabilmente profonde disparita' di trattamento tra utenti  della
giustizia, che ex art. 3 dovrebbero invece essere  uguali  di  fronte
alla legge, premiando eventuali escamotage di dubbia correttezza; 
    B) non solo violazione del  principio  di  uguaglianza  ma  anche
violazione dell'art. 24 Cost., primo comma, secondo cui tutti possono
agire in giudizio per la difesa dei propri  diritti;  con  una  norma
transitoria di tale genere  il  diritto  all'azione  viene  leso  nei
confronti di coloro che sono stati piu'  solleciti  nell'esercitarlo,
secondo un criterio  contrario  ad  ogni  ragionevolezza  e  con  una
punitiva intromissione legislativa nei giudizi pendenti. 
    Sottolinea ancora questa corte come la Corte delle leggi, a  cui,
con la presente ordinanza, si rimettono gli atti, ha gia'  dato,  con
sentenza interpretativa di  rigetto  n.  283/2005  un'interpretazione
costituzionalmente orientata di una precedente norma (art. 5, secondo
comma, d.l. n. 726/1984, convertito in legge n. 863/1984, in  materia
contributiva, relativamente al contratto di lavoro a tempo  parziale)
poi abrogata, tracciando i  profili  del  sistema  sanzionatorio  del
rapporto di lavoro subordinato  a  tempo  parziale,  precisando  come
«sarebbe palesemente irrazionale che dalla violazione  di  una  norma
regolante il contenuto del contratto di lavoro  a  tempo  parziale  e
posta proprio al fine di tutelare il lavoratore contro la pattuizione
di clausole vessatorie potesse derivare la liberazione del datore  di
lavoro da ogni vincolo contrattuale»,  applicandosi  la  mera  tutela
risarcitoria  prevista  per  i  licenziamenti  in  regime  di  tutela
obbligatoria, e non invece, come corretto, i principi generali di cui
all'art. 1419 c.c. 
                              P. Q. M. 
    Visti gli art. 134, cost. e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis d.lgs. 6  settembre  2001
n. 368, quale introdotto dall'art. 21, comma  1-bis, legge  6  agosto
2008 n. 133 (legge di conversione del d.l. 25 giugno  2008  n.  112),
per contrasto con  gli  artt.  3  e  24,  primo  comma,  Costituzione
italiana; 
    Sospende il giudizio in corso; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata,  a  cura  della
cancelleria,  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   e   sia
comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica. 
        Torino, addi' 2 ottobre 2008 
                        Il Presidente: Peyron