N. 428 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 luglio - 17 settembre 2008
Ordinanza del 17 settembre 2008 emessa dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Vangjelai Fatmir. Processo penale - Restituzione nel termine - Sentenza contumaciale di condanna - Impugnazione gia' proposta dal difensore d'ufficio - Restituzione per l'imputato nel termine per proporre impugnazione - Preclusione - Esercizio del diritto alla prova da parte dell'imputato restituito del termine - Preclusione - Lesione del diritto di difesa e del diritto al giusto processo - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU, come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. - Codice di procedura penale, art. 175, comma 2. - Costituzione artt. 24, 111, primo comma, e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 6.(GU n.1 del 7-1-2009 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da 1) Vangjelai Fatmir nato il 12 marzo 1978, avverso ordinanza del 16 maggio 2007 Corte assise appello di Bologna, sentita la relazione fatta dal Consigliere Siotto Maria Cristina lette le conclusioni del P.G. dott. Wladimiro De Nunzio che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e restituirsi l'istante nel termine per proporre ricorso per cassazione. R i l e v a Con ordinanza del 16 maggio 2007 la Corte di assise di appello di Bologna ha disposto la trasmissione a questa corte, per competenza, della richiesta di restituzione in termini avanzata nell'interesse di Vangjelai Fatmir, condannato - quale responsabile dei reati di omicidio volontario, sequestro di persona ed occultamento di cadavere commessi il 9 dicembre 1999 - con sentenza contumaciale emessa dalla Corte di assise di Piacenza il 22 novembre 2001, confermata - a seguito di impugnazione proposta dal difensore di ufficio dell'imputato contumace - dalla Corte di Assise di Appello di Bologna con sentenza 6 novembre 2002, divenuta irrevocabile il 21 marzo 2003 in difetto di ulteriore impugnazione. La corte di merito ha ritenuto che, in caso di restituzione in termini ex art. 175 c.p.p., si debba, prima di far eventualmente regredire il processo ad una fase gia' esaurita, porre l'imputato in condizione di esperire tutti i mezzi di impugnazione ancora possibili e che, pertanto, essendo stati nella specie celebrati due gradi di giudizio ed essendo il ricorso per cassazione l'unico gravame ancora esperibile, dovesse essere la Corte di cassazione a valutare e decidere l'istanza di remissione in termini. La corte ha altresi' ritenuto che non fosse accoglibile l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 175 comma 2 c.p.p. sia perche' presentata al giudice incompetente sia perche' coinvolgente, nei termini in cui l'eccezione era stata sollevata, altre norme eventualmente suscettibili di esame solo in caso di avvenuta restituzione del Vangjelai in termini per impugnare la sentenza di condanna, l'applicazione di alcune delle quali avrebbe inoltre comportato una inammissibile regressione del processo alla fase dell'udienza preliminare con violazione del principio dell'irretrattabilita' dell'azione penale. Avverso tale decisione ha proposto ricorso il difensore nominato di fiducia dal Vangjelai deducendo, impregiudicata l'eccezione di illegittimita' costituzionale gia' avanzata, inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 175, comma 2, c.p.p. nonche' manifesta illogicita' della motivazione. Il ricorrente ha sottolineato come la corte di merito fosse pervenuta alla propria decisione sulla base dell'erronea considerazione per la quale, essendo stato l'appello gia' esperito dal difensore di ufficio, il Vangjelai non potesse essere restituito in termini per proporre autonomo appello. E cio' senza considerare: che la proposizione di impugnazione avverso una sentenza contumaciale da parte del difensore di ufficio non ha valore preclusivo di quella dell'imputato ignaro del procedimento; che l'esaurimento o meno di tutti i mezzi di gravame e' in tali casi ininfluente ai fini dell'accoglimento della richiesta di restituzione in termini; che le uniche condizioni ostative all'operativita' delle facolta' previste dal novellato art. 175 c.p.p. sono la consapevolezza, da parte dell'istante, del procedimento e del provvedimento a suo carico ovvero la sua volontaria e consapevole rinuncia a comparire ed a proporre impugnazione; che, dopo le intervenute modifiche legislative, il principio dell'unicita' del diritto di impugnazione non puo' piu' essere utilmente richiamato, dovendosi assegnare prevalenza alla normativa - speciale - di cui al secondo comma dell'art. 175 c.p.p. rispetto alle regole generali sulle impugnazioni e ben potendo farsi ricorso al disposto di cui all'art. 669 c.p.p. per rimuovere l'eventuale contrasto fra i giudicati conseguiti alle diverse impugnazioni. Con motivi aggiunti, ed in replica al parere espresso dal p.g. presso questa corte (laddove si precisava che l'istituto della restituzione in termine opera sulla sentenza passata in giudicato e non gia' su quella non definitiva gravata da impugnazione), il difensore dell'imputato ha ribadito la illegittimita' costituzionale dell'art. 175 c.p.p. nella parte in cui non consente la possibilita' di concedere la restituzione in termini per l'esercizio di tutte quelle facolta' difensive da cui l'imputato contumace e' decaduto a causa della completa o parziale ignoranza del percorso processuale, al proposito sottolineando il previsto illegittimo trattamento paritario di situazioni del tutto difformi. Ha altresi' contestato la tesi del p.g. rilevando la ricorrenza nella specie di tutte le condizioni per la rimessione dell'ignaro Vangjelai in termini per proporre impugnazione avvero la sentenza di primo grado. Con provvedimento 14 maggio 2008 questa Corte ha disposto l'acquisizione di documentazione varia necessaria a stabilire la sussistenza delle condizioni legittimanti la richiesta di restituzione nel termine per impugnare avanzata dalla difesa di Vangjelai nonche' la tempestivita' di tale richiesta. Da tale documentazione e' emerso: che ne' il provvedimento restrittivo emesso il 13 giugno 2000, nel corso delle indagini preliminari, dal g.i.p. del Tribunale di Piacenza ne' l'ordine di esecuzione emesso il 23 aprile 2003, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, avevano avuto esecuzione a causa della irreperibilita' del destinatario dei provvedimenti; che il Vangjelai non era stato mai sentito ne' tratto in arresto in relazione ai fatti per cui e' processo; che il medesimo, del quale pur erano state diramate ricerche in campo internazionale, non risultava essere stato tratto in arresto in relazione ad alcuna procedura estradizionale. O s s e r v a La Corte di appello di Bologna, sia pure senza esplicitamente enunciarlo nel dispositivo del proprio provvedimento, ha ritenuto inammissibile la richiesta, avanzata in via principale dall'attuale difensore di fiducia del Vangjelai, di restituzione nel termine per proporre appello avverso la sentenza contumaciale di primo grado emessa in data 22 novembre 2001 dalla Corte di Assise di Piacenza; e cio' sulla base della sola argomentazione della avvenuta consumazione del diritto di impugnazione spettante all'imputato in conseguenza dell'appello proposto dal difensore di ufficio del medesimo, nulla rilevando in siffatta situazione, secondo la Corte bolognese, la sussistenza delle condizioni richieste dall'art. 175 comma 2 c.p.p. (mancanza dell'effettiva conoscenza del procedimento e della volontaria rinuncia a comparire in giudizio dell'imputato). Correttamente pertanto, il ricorso per cassazione proposto dal difensore del Vangjelai e' stato diretto contro la pronuncia di inammissibilita' dell'istanza di ripristino della facolta' di appellare e non gia' verso la statuizione adottata ai sensi del comma 4 dell'art. 175 c.p.p. con riferimento alla subordinata istanza di restituzione nel termine per proporre ricorso per cassazione. Ebbene, al fine di stabilire la legittimita' di tale pronuncia di inammissibilita' della principale istanza di restituzione nel termine per proporre appello, si impone il richiamo alla recente sentenza resa da questa Corte a sezioni unite (sent. n. 6026 del 31 gennaio 2008, rv. 238472) con la quale si e' esplicitamente affrontata la questione che qui interessa, pervenendo alla conclusione «che la impugnazione proposta dal difensore, di fiducia o di ufficio, nell'interesse dell'imputato contumace, una volta che sia intervenuta la relativa decisione, preclude all'imputato la possibilita' di ottenere la restituzione nel termine per proporre a sua volta impugnazione». A sostegno di tale decisione si e', in particolare, sottolineato: che, pur in presenza del ruolo pregnante assegnato dal legislatore al difensore dell'imputato ed ancorche' il difensore risulti normativamente legittimato a proporre personalmente l'atto di impugnazione, l'impugnazione continua ad essere «dell'imputato» (cfr. rubrica dell'art. 571, c.p.p.) che rimane l'unico «destinatario e fruitore» del giudizio di impugnazione; che in ragione di cio' la giurisprudenza di legittimita' ha piu' volte enunciato il principio secondo il quale una volta che l'impugnazione sia stata proposta da uno qualsiasi dei soggetti legittimati, vale a dire l'imputato o il suo difensore, e sia intervenuta la decisione sul merito della medesima impugnazione, il diritto «si consuma», con l'effetto di precluderne l'esercizio da parte dell'altro soggetto legittimato; che, infatti, prevenendo e reprimendo il sistema nel suo complesso qualsiasi forma di duplicazione del giudicato, del processo e della azione, non puo' che derivarne un corrispondente effetto impeditivo anche sul versante della azione di impugnazione, posto che la domanda di gravame, una volta espressa dai soggetti a cio' legittimati, esaurisce - consumandolo - il corrispondente potere in capo al soggetto che ne e' il portatore «sostanziale», non potendosi postulare che il difensore eserciti un differente «potere» impugnazione rispetto a quello attribuito all'imputato, ne' potendosi riconoscere ai due mezzi impugnatori diversi e alternativi; che la tesi della specialita' dell'ipotesi delineata dall'art. 175, comma 2, c.p.p. rispetto all'ordinario regime delle impugnazioni e' contrastata dalla assenza di una espressa ed innovativa disciplina atta a regolare la sorte del processo evolutosi nei gradi di impugnazione per iniziativa del difensore e dalla incongruenza, anche a voler ammettere in capo al contumace «restituito» nel termine uno statuto impugnatorio extra ordinem, di una impugnazione sostanzialmente revocatoria della impugnazione gia' celebratasi su «azione» del difensore, ma senza alcuna ricaduta sul relativo giudicato se non in executivis attraverso il rimedio di cui all'art. 669, c.p.p.; che le altalenanti scelte compiute dal Parlamento nel corso dei lavori preparatori relativi alla conversione in legge del d.l. n. 17/2005 non dimostrano affatto che il silenzio serbato circa la preclusione alla restituzione nel termine per il contumace derivante dalla impugnazione proposta dal difensore sia indicativo della eliminazione di tale preclusione, essendo esso piuttosto indicativo della ritenuta superfluita' di una regola gia' insita nelle disposizioni generali sulle impugnazioni; che avendo il legislatore ritenuto di affidare alle autonome scelte del difensore del contumace -sia esso di fiducia che di ufficio- il diritto di proporre impugnazione, l'esercizio di tale potere non puo' considerarsi un «nulla» per la parte in favore della quale l'azione di impugnazione e' stata esercitata e dei cui effetti e' messa in condizione di beneficiare. Condivisa dal Collegio, soprattutto per le sottolineate ragioni di ordine logico e sistematico, la su esposta interpretazione della portata della normativa di cui al comma 2 dell'art. 175 c.p.p. quindi, convenendosi sulla sussistenza della preclusione derivante dalla «consumazione» del diritto di impugnazione in caso di esercizio da parte di uno dei soggetti legittimati, dovrebbe di conseguenza pervenirsi senz'altro al rigetto del ricorso proposto dalla difesa del Vangjelai avverso la decisione della Corte di assise di Appello di Bologna che ha negato la possibilita' di restituzione nel termine per appellare (avendo il precedente difensore, di ufficio, gia' proposto appello ed essendosi su tale impugnazione gia' definitivamente deciso). Ma proprio in ragione della interpretazione data della norma in questione e delle conseguenze che ne derivano appare, all'evidenza, rilevante la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal difensore del ricorrente, tenuto in proposito conto anche di quanto risultante dalla documentazione acquisita da questa corte, della non contestata inconsapevolezza del processo e dei provvedimenti da parte dell'imputato e della parimenti non contestata Osservanza del termine di cui al comma 2-bis dell'art. 175 c.p.p. Tanto premesso e precisato deve dunque il Collegio farsi carico di valutare il fumus della predetta questione di legittimita', i cui termini saranno appresso valutati, tenendo ovviamente conto delle considerazioni che anche al proposito sono state formulate dalla citata pronuncia resa da questa corte a sezioni unite. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo riconosce - al paragrafo 3 dell'art. 6 - ad ogni imputato una serie di diritti tali da garantirgli «un equo processo»; fra di essi vanno compresi, secondo le pronunzie che si sono susseguite in proposito (cfr. ex multis: sent. 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia; sent. 23 novembre 1993, Poitrimol c. Francia; sent. 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia; sent. 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia;) il diritto dell'imputato ad essere presente al proprio processo o comunque ad una celebrazione di esso in absentia solo con assicurate garanzie, il diritto di difendersi personalmente, il diritto di interrogare o fare interrogare i testimoni, il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza, il diritto alla verifica delle proprie dichiarazioni ed al confronto di esse con quelle della vittima, il diritto, ove celebrato il processo in contumacia, a misure ripristinatorie che rendano effettivo il diritto di difesa. Ma, poiche' alle norme C.E.D.U. va assegnato il rango di «fonti interposte» integratrici del precetto costituzionale imposto dall'art. 117, primo comma, Cost., se e' esclusa - cosi' come precisato nella citata sentenza n. 6026/2008 allorquando ha richiamato i recenti approdi cui e' pervenuta la giurisprudenza costituzionale (cfr. sentenze n. 348 e 349 del 2007) - la disapplicazione sic et simpliciter della disposizione di legge da parte del giudice che reputi una determinata disciplina non conforme alle previsioni della C.E.D.U., e' di contro ammesso che la norma C.E.D.U, cosi' come interpretata dalla Corte Europea, svolga il ruolo di fonte interposta succitato: e cio' a condizione che detta norma sia essa stessa conforme a Costituzione e sia altresi' compatibile con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della Costituzione, cosi' da realizzare un corretto bilanciamento tra l'esigenza di garantire il rispetto degli obblighi internazionali voluto dalla Costituzione e quella di evitare che cio' possa comportare per altro verso un vulnus alla Costituzione stessa (cfr. sentenze nn. 348-349 Corte cost. citate). Ebbene, tenuto presente quanto sopra, occorre nella specie interrogarsi sulla idoneita' delle norme C.E.D.U. in questione a costituire «fonte interposta» dell'art. 117, primo comma, cost. alla quale «confrontare» la legittimita' costituzionale del disposto dell'art. 175, comma 2, c.p.p.: ed al proposito non ritiene il Collegio di pienamente consentire con le valutazioni formulate dalle sezioni unite di questa Corte alla conclusione del complesso argomentare della citata sentenza, quelle, cioe', per le quali la pur costante e chiarissima giurisprudenza della Corte europea delineante il diritto dell'imputato all'esercizio personale e diretto alla prova non puo' considerarsi fonte di integrazione dell'art. 117 Cost. perche' a cio' farebbe ostacolo la compresenza di prevalenti interessi di primario rilievo costituzionale, interessi che la sentenza delle sezioni unite pare individuare nel principio della unicita' delle impugnazioni (con il suo corollario costituito da quello dello «assorbimento»), principio ricavato, a sua volta, dal precetto costituzionale della ragionevole durata del processo. Orbene ritiene il Collegio che, integrando e sviluppando il sopra sintetizzato argomentare esposto nella citata sentenza n. 6026/2008, si debba pervenire alla diversa conclusione di escludere che il diritto alla prova statuito dalle decisioni C.E.D.U. possa ritenersi impedito alla sua funzione di norma interposta in quanto subvalente rispetto a modelli processuali in tesi espressivi di primarie norme costituzionali. Da un canto, infatti, le regole processuali dirette ad assicurare l'esigenza di unicita' delle impugnazioni non ricevono alcuna diretta copertura costituzionale ma godono, soltanto, della tutela offerta dalla norma che divieta la irragionevole articolazione di atti che cagioni ictus alla esigenza di una durata ragionevolmente celere del processo. Dall'altro canto, poi, non si scorge come possa predicarsi la razionalita' di un sistema che assegni efficacia assorbente e preclusiva alla impugnazione proposta dal difensore di ufficio che sia privo di alcun collegamento con l'imputato che, nessuna notizia avendo mai avuto del processo e delle sentenze emesse, non abbia mai potuto addurre fatti ed atti a sostegno delle sue difese. Emerge invece - nella sua chiarezza (integratrice, per quello che rileva, del fumus di illegittimita' costituzionale in parte qua dell'art. 175, comma 2, c.p.p.) - la assoluta prevalenza dell'interesse dell'imputato contumace ad esercitare in ogni tempo e luogo e con ricorso diretto all'impugnazione il proprio diritto alla prova incolpevolmente non esercitato a cagione della sua ignoranza del processo stesso, un interesse che in nessun modo puo' vedersi limitato e compresso da quello - a lui nella specie totalmente estraneo - alla unicita' delle impugnazioni ed alla celere definizione del processo sulla base di «tecniche di concentrazione ed accelerazione» la cui condizione, necessaria e sufficiente, di conformita' a costituzione e' proprio quella di assicurare un risultato «giusto». In conclusione, il risultato dell'interpretazione accolta dal Collegio sulla scia della piu' volte richiamata decisione delle Sezioni Unite finisce per attribuire alla disciplina posta dall'art. 175, secondo comma, c.p.p. un contenuto precettivo che, col privilegiare il principio di unicita' dell'impugnazione e della consumazione della stessa, sembra risolversi in una ingiustificata limitazione del diritto al giusto processo, il cui referente risiede direttamente nell'art. 111, comma 1, della Carta fondamentale prima ancora che nella disposizione della convenzione europea e nell'obbligo internazionale presidiato dall'art. 117, primo comma, Cost. Ne segue che, poiche' la nozione di manifesta infondatezza di cui all'art. 23 della legge n. 87 del 1953 implica il dovere del giudice di rimettere al vaglio della Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale ogni volta che, in base ad una valutazione delibativa, essa non risulti inconsistente prima facie o ictu oculi, non puo' negarsi la devoluzione della questione al sindacato della Corte, per la ragione che gli argomenti addotti dal difensore del ricorrente prospettano dubbi seri e plausibili sulla compatibilita' della normativa con gli esaminati parametri costituzionali e che non e' possibile una interpretazione adeguatrice o secundum constitutionem mediante l'uso degli ordinari strumenti ermeneutici indicati dall'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale. Alla stregua di quanto sopra appare dunque non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 24-111-117, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 175, comma 2, c.p.p. nella parte in cui preclude all'imputato la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di condanna quando l'impugnazione sia stata proposta dal difensore di ufficio e nella parte in cui non consente all'imputato restituito nel termine l'esercizio del diritto alla prova. Si impone pertanto la rimessione della questione alla Corte costituzionale per la sua decisione ai sensi degli artt. 1, legge Cost. 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 l. 11 marzo 1953 n. 87.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24-111-117 primo comma Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 175, comma 2, c.p.p. nella parte in cui preclude all'imputato di essere restituito nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di condanna quando l'impugnazione sia stata proposta dal difensore di ufficio e nella parte in cui non consente all'imputato restituito nel termine l'esercizio del diritto alla prova. Manda alla cancelleria per gli adempimenti previsti dall'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87. Cosi' deciso in Roma, il 2 luglio 2008. Il Presidente: Silvestri Il consigliere estensore: Siotto