N. 747 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 ottobre 1990

                                 N. 747
 Ordinanza  emessa il 10 ottobre 1990 dal tribunale militare di Napoli
 nel procedimento penale a carico di Sabatino Vittore
 Reati  militari  - Diserzione - Non consentito giudizio in contumacia
 se non per ordine  specifico  del  procuratore  generale  militare  -
 Esclusione,  a  seguito  della  entrata in vigore del nuovo codice di
 procedura penale, della possibilita' di  emettere,  per  i  reati  di
 diserzione   o  di  mancanza  alla  chiamata,  una  qualunque  misura
 cautelare coercitiva -  Conseguenze  -  Ingiustificato  privilegio  a
 favore  di  quanti, astenendosi dal rientrare nel reparto, permangono
 nella arbitraria assenza, sottraendosi cosi' agli obblighi di leva  -
 Procedibilita' rimessa alla valutazione discrezionale del procuratore
 generale militare in contrasto con il principio della obbligatorieta'
 dell'azione penale - Violazione dell'obbligo militare.
 (C.P.M.P., art. 377).
 (Cost., artt. 3 e 112).
(GU n.1 del 2-1-1991 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella causa contro Sabatino
 Vittore, nato il 3 maggio 1969 a Napoli ed  ivi  residente  alla  via
 Vecchia  San  Rocco  n.  36,  celibe,  incensurato,  soldato, libero,
 imputato di diserzione aggravata
 (artt.  148,  n. 2, e 154, n. 1, del c.p.m.p.) perche', al termine di
 un riposo concessogli dal comando provinciale militare  di  Napoli  e
 scaduto l'8 gennaio 1989, ometteva, senza giusto motivo, di rientrare
 al corpo, rimanendo assente per oltre sei mesi e tuttora.
                            FATTO E DIRITTO
    Anteriormente all'apertura del dibattimento il pubblico ministero,
 constatato che l'imputato, ritualmente citato, non e' comparso  senza
 leggittimo  impedimento, ha richiesto il giudizio in contumacia nella
 convinzione  che  la  mancata  cessazione   dell'assenza   arbitraria
 ascritta  al  Sabatino  non  fosse  a cio' di ostacolo, essendo stata
 abrogata dal nuovo codice di rito la norma  contenuta  nell'art.  377
 del  c.p.m.p., secondo cui non e' consentito procedersi in contumacia
 per i reati di cui agli artt. 148 e  151  del  c.p.m.p.  in  caso  di
 mancata  cessazione  della  permanenza degli stessi, salvo che vi sia
 concorso di  altro  delitto  o  che  sia  diversamente  ordinato  dal
 procuratore generale militare della Repubblica.
    La difesa si e' opposta alla dichiarazione di contumacia.
    Questo  tribunale,  pur  essendo  del  parere che con l'entrata in
 vigore del nuovo codice di procedura penale sono state  espressamente
 abrogate  tutte  le norme processuali di natura speciale (artt. 1 del
 c.p.p. e 207 del d-lgs  28  luglio  1989,  n.  271),  ritiene  ancora
 operante  l'art.  377 del c.p.m.p., cio' per effetto dell'art. 50 del
 c.p.p. che, limitando la sospensione  o  interruzione  dell'esercizio
 dell'azione  penale  ai  casi  espressamente  previsti  dalla  legge,
 chiaramente  fa  salve  tutte  quelle  disposizioni   relative   alla
 procedibilita'  contenute  nella  previgente  normativa, ivi compresa
 quella di cui si tratta.
    Questa  interpretazione  non  si  pone affatto in contrasto con il
 principio sopra affermato  della  abrogazione  espressa  delle  norme
 processuali  speciali  ad opera del nuovo codice; prevista come tale,
 ne ribadisce e conferma la correttezza.
    Ne'  vale  a  contestare  l'assunto  qui propugnato l'osservazione
 secondo cui la norma in esame  sarebbe  incompatibile  con  l'attuale
 sistema   processuale   che   prevede   per   il  pubblico  ministero
 l'inevitabile  alternativa  tra  esercizio   dell'azione   penale   e
 archiviazione;  infatti, ponendosi come condizione di proseguibilita'
 dell'azione  penale,  consente  al  Pubblico  Ministero  l'inizio  di
 questa,  ma  ne  inibisce  la prosecuzione al momento di un eventuale
 giudizio contumaciale.
    Nell'impossibilita',    quindi,    di    procedere   al   giudizio
 contumaciale,  questo  tribunale  ritiene  di  dover  effettuare  una
 valutazione globale dell'attuale situazione processuale in cui l'art.
 377 del c.p.m.p. viene ad operare.
    Risultando  pacificamente acquisito che anche ai reati militari si
 applicano le disposizioni  del  nuovo  codice  di  rito  in  tema  di
 liberta'  personale,  occorre  prendere  atto che in nessun caso puo'
 adottarsi a carico del militare, che si trovi in stato di  perdurante
 assenza  arbitraria  dal servizio, un provvedimento restrittivo della
 liberta', in forza del quale venga a cessare la permanenza del reato.
 Ne'  e'  ammissibile attribuire alla polizia giudiziaria il potere di
 porre fine  coattivamente  alla  permanenza  del  reato  (ad  esempio
 mediante l'accompagnamento del disertore al corpo) in adempimento del
 dovere  di  impedire  che  i  reati  vengano  portati  ad   ulteriori
 conseguenze  sancito  dall'art.  55  del  c.p.p., cio' in quanto tale
 norma non e' attributiva di poteri ulteriori a  quelli  previsti  dal
 codice,  come  si evince dalla giurisprudenza formatasi sull'abrogato
 art. 219 del codice di rito del 1930.
    Pertanto,  la  cessazione  della  permanenza  del  reato puo' solo
 avvenire o con il volontario rientro del disertore  o  con  il  venir
 meno degli obblighi militari (normalmente il 31 dicembre dell'anno in
 cui  si  compiono  i  quarantacinque  anni  di  eta',  come  disposto
 dall'art. 9 del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237).
    Il  militare  disertore  puo' quindi, senza alcun condizionamento,
 decidere di non porre fine all'assenza e sottrarsi agli  obblighi  di
 leva,  con la sola remora della possibilita' di ricevere una sanzione
 penale al compimento dei quarantacinque anni di eta'.
    Tale  situazione,  autonomamente  valutata,  non e' fonte di alcun
 dubbio di costituzionalita' per questo tribunale,  nella  convinzione
 che  il  legislatore  e'  senz'altro libero di configurare e tutelare
 l'obbligo della difesa  della  Patria  previsto  dall'art.  52  della
 Costituzione  nei  modi  ritenuti  piu'  opportuni.  Ne' tantomeno e'
 negativamente valutata la mancanza  di  qualsiasi  specialita'  delle
 norme  regolanti  il procedimento penale militare in tema soprattutto
 di liberta' personale.
    Con  estrema  perplessita'  si  osserva, invece, che la perdurante
 vigenza  dell'art.  377  del  c.p.m.p.  comporta   una   macroscopica
 disparita'  di  trattamento  fra  coloro  che,  non ponendo fine alla
 permanenza  del  reato,  si  sottraggono  all'obbligo  del   servizio
 militare  e nel contempo riviano al compimento del quarantacinquesimo
 anno di eta' il giudizio e la  sanzione  per  il  reato  commesso,  e
 coloro   i   quali   pongono   fine  all'assenza  arbitraria  e  sono
 immediatamente giudicati.
    Tale  situazione  suscita  fondati  dubbi  sulla costituzionalita'
 dell'art.  377  del  c.p.m.p.   in   relazione   all'art.   3   della
 Costituzione;   infatti  la  norma  in  questione  fa  scaturire  dal
 protrarsi  di   un   comportamento   antigiuridico   un   regime   di
 improcedibilita',   mentre,   per   contro,   ad   un   comportamento
 positivamente valutabile (quale il rientro al  corpo  e  la  regolare
 ripresa  del  servizio)  lascia  conseguire  il  regolare  giudizio e
 l'irrogazione della pena.
    Vero  e'  che  l'articolo  di  cui  si  contesta  la  legittimita'
 costituzionale prevede la possibilita' di procedere in contumacia  in
 caso di un ordine in tal senso del procuratore generale Militare.
    Peraltro  siffatto  potere  di  carattere politico-amministrativo,
 totalmente discrezionale (cfr.  T.S.M.  19  febbraio  1946  in  Mass.
 sentenze  del  T.S.M.  1942-1951)  attribuito  al capo della pubblica
 accusa risulta in chiaro contrasto con l'art. 112 della  Costituzione
 non  essendo  conforme  al  principio  di obbligatorieta' dell'azione
 penale.
    Infine  non  sembrano  sussistere  dubbi  circa la rilevanza della
 questione,  tenuto  conto  che  la  norma   censurata   inibisce   il
 procedimento  in  contumacia  che dovrebbe essere instaurato a carico
 dell'imputato.
                                P. Q. M.
    Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  non manifestamente infondata e rilevante la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 377 della c.p.m.p. in relazione
 agli artt. 3 e 112 della Costituzione;
    Dispone  la  sospensione  del procedimento e la trasmissione degli
 atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che  la presente ordinanza sia notificata alle parti e al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  dei
 due rami del Parlamento.
      Napoli, addi' 10 ottobre 1990
                   Il presidente: (firma illeggibile)
   Il giudice estensore: (firma illeggibile)
 90C1418