N. 75 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 21 dicembre 1990

                                 N. 75
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 21 dicembre 1990 (della regione Toscana)
 Sanita'  pubblica  -  Misure  urgenti  per il finanziamento del saldo
 della maggiore spesa sanitaria relativa  agli  anni  1987  e  1988  e
 disposizioni  per  il  finanziamento  della  maggiore spesa sanitaria
 relativa all'anno 1990 - Accollo alla  regione  dell'onere  economico
 della  relativa  spesa,  cui  la  regione e' autorizzata a provvedere
 mediante alienazione di beni od utilizzazione del provento di tributi
 -  Sostanziale  conferma con la legge di conversione di detto accollo
 di oneri alla regione  anche  se  con  riduzione  dell'entita'  dello
 stesso  a  causa  dell'ammortamento  parziale  a carico dello Stato -
 Indebita invasione della sfera  di  competenza  regionale  e  lesione
 dell'autonomia  finanziaria  della regione nonche' dei principi della
 copertura finanziaria e del buon andamento della p.a.
 (Legge 19 novembre 1990, n. 334).
 (Cost.,  artt.  117,  118,  119, e il combinato disposto dei predetti
 articoli e degli artt. 3, primo comma, 41, terzo comma, 81 e 97).
(GU n.2 del 9-1-1991 )
   Ricorso  per  la  regione  Toscana, in persona del presidente della
 giunta regionale Marco Marcucci, rappresentata e difesa per procura a
 margine del presente atto dall'avv. Alberto Predieri ed elettivamente
 domiciliata presso il suo studio in Roma, via G. Carducci  n.  4,  in
 forza di deliberazione di giunta n. 10531 del 3 dicembre 1990, contro
 il Presidente del Consiglio dei  Ministri  per  la  dichiarazione  di
 illegittimita'  costituzionale  della legge 19 novembre 1990, n. 334,
 di conversione del d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, pubblicata  nella
 Gazzetta Ufficiale n. 270 del 19 novembre 1990.
    1.  -  La  legge  di  conversione  del  d.-l.  n. 262/1990, la cui
 illegittimita' e' stata tempestivamente denunciata alla Corte, non ha
 eliminato   le   invasioni   di  competenza  e  le  violazioni  della
 costituzione denunciate. Sussiste ancora il pervicace  contrasto  con
 le  linee  additate dalla Corte nelle sentenze nn. 245 e 452 del 1989
 che e' alla base della imposizione di  quote  sempre  maggiori  della
 spesa sanitaria a carico delle regioni: la legge finge di dimenticare
 quello che le regioni - e'  piu'  autorevolmente  la  Corte  -  hanno
 sempre fatto presente sull'illegittimita' di un addossamento di spesa
 quando ne' vi e' la predisposizione di mezzi finanziari ne' vi e' una
 normazione  sui  poteri regionali che consenta un governo della spesa
 sanitaria.
    2. - Di tutto cio' e' stato scritto - ricordando le sentenze della
 Corte  -  nel  ricorso  contro  il  d.-l.   n.   262/1990,   le   cui
 argomentazioni  e domande debbono considerarsi tuttora valide, per la
 parte del decreto legge non sostituita, modificata o  innovata  dalla
 legge  n.  334/1990.  Conseguentemente,  quello  che e' stato detto a
 proposito delle illegittimita'  dell'art.  1  -  che  non  ha  subito
 modificazioni  - resta fermo, per quanto riguarda le violazioni degli
 artt. 117, 118, 119 della Costituzioine e 81 della  Costituzione  per
 avere  lo Stato posto a carico della Regione un onere di copertura di
 disavanzi altrui.
    3.  -  L'art. 3 nel nuovo testo della legge di conversione prevede
 un ammortamento a carico dello Stato che mancava nel precedente  art.
 3  del  decreto legge; ma tale ammortamento e' parziale, cosicche' le
 norme poste  dal  decreto  legge  sono  in  parte  mantenute  per  la
 differenza  residua, con le stesse violazioni, che se anche sono meno
 onerose e gravi dal punto di vista quantitativo, dal punto  di  vista
 del  diritto  sono  immutate, sia per quanto riguarda la ripartizione
 delle  spese  fra  Stato  e  regioni,   sia   per   quanto   riguarda
 l'illegittima  intromissione nell'autonomia finanziaria regionale con
 norme che autorizzano  l'impiego  dei  mezzi  propri  della  Regione,
 l'alienazione  dei  beni disponibili della Regione: che se tali sono,
 non hanno istituzionalmente nessun bisogno di interventi  legislativi
 dello  Stato  per autorizzarne la vendita e l'allocazione del ricavo.
 Puo' sembrare superfluo aggiungere che  nella  realta'  non  esistono
 beni  disponibili  delle  Regioni  cosi'  come  non  esistono entrate
 previste dalla legge n. 158/1990.
    4. - L'avvocatura dello Stato dira' che le regioni possono evitare
 gli oneri previsti dall'art. 3, comma 3-bis, perche' esse  potrebbero
 negare  alle  u.s.l.  l'autorizzazione  ad assumere impegni per spese
 improcrastinabili e di assoluta urgenza; in tal modo si sottrarebbero
 all'assunzione  di  anticipazioni di cassa oppure alla contrazione di
 mutui  e  alle  implicazioni  dell'uno  o  dell'altro  comportamento.
 Siffatto  ragionamento,  pero', non tien conto ne' della disposizione
 nel suo complesso ne' della realta' dell'effettivita' del sistema.
    Dalla  disposizione  risulta  che l'autorizzazione dovrebbe essere
 data dalle regioni entro limiti prequantificati  per  ogni  ente  per
 l'esercizio  finanziario  1990. La legge e' pubblicata nella Gazzetta
 del  19  novembre  1990,  cioe'  a  pochi   giorni   dalla   chiusura
 dell'esercizio,  ma se anche ci riferissimo a quella di pubblicazione
 del decreto n. 262/1990 che e' il 20 settembre 1990 non arriveremmo a
 conclusioni diverse. I termini posti dalla legge testimoniano che non
 si tratta ne' si puo' trattare  di  una  autorizzazione  ad  assumere
 impegni  nell'esercizio  1990,  perche'  non vi e' la possibilita' di
 prequantificare i limiti per ogni  ente,  di  esaminare  i  casi,  di
 autorizzare l'assunzione di impegni per l'esercizio 1990.
    L'autorizzazione  altro  non  e'  se non una presa d'atto di spese
 gia' fatte per le quali, trattandosi di spese  improcrastinabili,  le
 regioni  non  possono  far  altro  che  constatare l'avvenuta spesa e
 autorizzare gli impegni per coprire spese gia' fatte nella  sostanza,
 evitando, in tal modo, di far perdere alla u.s.l. il contributo dello
 Stato e obbligandosi, percio', a contribuire al ripiano della  spesa,
 senza  aver  poputo,  di  fatto,  provvedere  al governo della spesa.
 Questo infatti consiste non nel  riparare  le  perdite  subite  nella
 gestione,  ma  nell'esercitare  i  poteri  necessari  perche'  quelle
 perdite non si producano o quanto meno vengano  ridotte.  Allorquando
 si prevede un ammortamento a carico dello Stato in misura superiore a
 quello delle regioni, la norma mette in moto un meccanismo di domande
 cospicue  basate  sulla  improcrastinabilita' e sull'assoluta urgenza
 che non consente alle regioni, da nessun punto di  vista,  di  negare
 un'autorizzazione.
    Di  fronte a spese che sono improcrastinabili l'autorizzazione non
 puo' essere negata. Cosi' si ritorna al punto da cui eravamo partiti,
 e  che  resta  il  punto  fondamentale  della  questione,  e cioe' un
 addossamento di spesa sanitaria alle regioni attraverso  un  congegno
 che  e'  una vera trappola, troppo scopertamente adottata per cercare
 di aggirare le sentenze nn. 245 e 452 del 1989. Esse  hanno  rilevato
 la  violazione della costituzione quando vengono poste a carico delle
 regioni   maggiori,   spese,   peraltro    non    quantificate    ne'
 quantificabili,  senza  contestualmente disporre l'assegnazione delle
 risorse finanziarie necessarie a farvi fronte, sempre per  oneri  che
 sfuggono  alla diretta responsabilita' regionale. E' troppo noto che,
 ad esempio, la spesa farmaceutica e' disposta dai medici  sulla  base
 di un prontuario predisposto dal Ministero della sanita', in cui sono
 inseriti farmaci i cui prezzi sono stabiliti dal Governo;  i  tickets
 ed  il  sistema di esenzioni sono fissati per legge statale; la spesa
 per il personale del servizio sanitario  nazionale  e'  frutto  della
 contrattazione  collettiva nazionale; le convenzioni per l'assistenza
 generica  e  specialistica  sono   definite   a   livello   centrale.
 Testualmente  la  Corte  nella  sentenza  n.  452/1989 diceva che "la
 disciplina legislativa  intervenuta  successivamente  alle  norme  di
 legge  giudicate  con  la  sentenza  appena  ricordata  non  ha certo
 spostato a  favore  delle  regioni  la  responsabilita'  della  spesa
 sanitaria,   ivi   compresa  quella  per  le  spese  derivanti  dalle
 prescrizioni mediche. In particolare, il legislatore statale, al fine
 di  tentare  di far fronte a un considerevole aumento delle spese per
 prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento  esterno  in
 seguito all'abolizione (a partire dal 1› gennaio 1987) dei ticket, ha
 provveduto, per un verso, a reintrodurre questi ultimi e,  per  altro
 verso, ad affidare, con la legge impugnata, al Ministro della sanita'
 nuovi poteri finalizzati al contenimento della predetta spesa, fra  i
 quali  l'adozione  di  varie  misure  dirette  ad eliminare gli oneri
 derivanti dalla prescrizione incongrua  di  prestazioni  diagnostiche
 (art.  2, secondo comma) e il potere di vigilare sulla gestione delle
 unita' sanitarie locali utilizzando anche il  mezzo  delle  ispezioni
 amministrative (art. 4, secondo comma). In breve, la legge n. 37/1989
 conferma che, anche nella specifica materia sulla quale insistono  le
 norme  oggetto della contestazione ora in esame, si e' in presenza di
 un complesso di responsabilita' in ordine  alle  decisioni  pubbliche
 incidenti  sulla  spesa  che  coinvolge  tanto gli organi centrali di
 governo e, in particolare,  il  Ministro  della  sanita',  quanto  le
 regioni e le unita' sanitarie locali.
    Pertanto,  in  base  ai  principi  gia'  affermati da questa Corte
 (sentenza n. 245/1984), la previsione contenuta  nell'art.  2,  comma
 primo,  della  legge  n.  37/1989,  la quale espressamente esclude di
 porre comunque a carico dello Stato le spese eventualmente  eccedenti
 il testo fissato dallo stesso articolo di legge, e' irragionevolmente
 lesiva dell'autonomia finanziaria  delle  regioni  e  delle  province
 autonome",  e  proseguiva:  "la  garanzia di tale autonomia, infatti,
 comporta che non possano essere addossati al  bilancio  regionale  (o
 provinciale)  gli  oneri  derivanti  da decisioni non imputabili alla
 regione stessa (o alla provincia autonoma) o che, comunque, dipendono
 dall'esigenza di tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali
 dei cittadini, la cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in
 parte - e non certo quella essenziale - alla regione".
    5. - Tutto quello che la Corte ha detto a proposito della legge n.
 37/1989, con la conseguente  illegittimita'  costituzionale  del  suo
 art. 2, puo' essere ripetuto parola per parola.
    Anche  in  questo caso, nonostante il mascheramento della fittizia
 autorizzazione  in  un   quadro   di   predeterminazioni   umanamente
 irrealizzabili  entro  il termine dell'esercizio finanziario 1990, la
 realta' resta quella di un'imposizione di  una  quota  del  disavanzo
 della  spesa  sanitaria  a  carico delle regioni che sopravviene alla
 vigilia  della  chiusura  dell'esercizio.  Con  cio'  si  viola  ogni
 principio  di  bilancio, di buona amministrazione, di programmazione,
 perpetuando un  andazzo  legislativo  di  provvedimenti  scoordinati,
 incoerenti se non nel disegno di diminuire l'autonomia regionale e di
 addossare alle regioni spese per attivita'  che  non  possono  essere
 considerate loro imputabili.
    L'irragionevolezza   e  l'incoerenza  -  e  quindi  la  violazione
 dell'art. 3, primo comma, della Costituzione - sono appalesate  tanto
 dall'emanare  una  norma  che,  cosi' come appare formulata, non puo'
 avere attuazione e, quindi, realmente dice cosa diversa da quella che
 fittiziamente  pare  dire  (il  che  e'  rilevante  anche nell'ottica
 dell'eccesso di potere), quanto dal modificare senza motivazione, ne'
 ragione,  i  criteri  posti  dalla  recente legislazione: invero alle
 Regioni era stata assicurata una determinata previsione  di  concorso
 statale,  che per l'anno 1990 viene ridotta, senza motivazione alcuna
 e senza ragione.
    Non e' sopravvenuta, dopo il 25 gennaio 1990 - data della legge di
 conversione -, nessuna ragione che imponga, nel giro di sette mesi, o
 neppure  consenta allo Stato di diminuire il suo concorso nella spesa
 sanitaria, tanto piu' quando una  sua  legge  ha  determinato  questa
 misura.  Tutto  quel  che  la  Corte ha detto resta pienamente vero e
 valido e se, nonostante i provvedimenti assunti dallo Stato, (fra cui
 l'introduzione  del  ticket  con  il  d.-l.  n.  382/1989)  la  spesa
 sanitaria  cresce,  dobbiamo  ripetere  le  parole  della  Corte:  la
 garanzia   dell'autonomia,  regionale  sancita  dall'art.  119  della
 Costituzione "infatti, comporta che non possano essere  addossati  al
 bilancio  regionale  (o provinciale) gli oneri derivanti da decisioni
 non imputabili alla regione stessa (o alla provincia autonoma) o che,
 comunque,  dipendono  dall'esigenza  di tutelare interessi pubblici o
 diritti costituzionali dei cittadini, la cui cura  e'  affidata  alla
 Costituzione soltanto in parte - e non certo quella essenziale - alla
 regione".
    6.  -  Il  d.-l. n. 262/1990 e la legge di conversione n. 334/1990
 hanno modificato l'assetto precedente, senza che vi  fossero  ragioni
 sopravvenute che imponessero una diversa ripartizione delle spese fra
 lo Stato e le regioni. Invero  va  aggiunto  che  le  misure  di  cui
 parliamo  non  riguardano  il contenimento della spesa sanitaria (che
 viene sempre addotto nelle difese della Presidenza del Consiglio come
 motivo  della  legislazione  di cui viene contestata l'episodicita' e
 l'incoerenza): riguarda solo la ripartizione fra Stato e regione, per
 la  quale nulla di nuovo e' avvenuto se non il desiderio di scaricare
 il piu' possibile  la  spesa  sanitaria  e  di  alterare  i  principi
 costituzionali  e  le  garanzie  poste  per evitare l'invasione delle
 competenze garantite dall'art. 119  della  Costituzione.  Il  che  e'
 rilevante  tanto  sotto il profilo dell'irragionevolezza quanto sotto
 quello dell'eccesso di potere.
                                P. Q. M.
 si   conclude   chiedendo   che   la  Corte  costituzionale  dichiari
 l'illegittimita' della legge 19 novembre 1990 n. 334, per  violazione
 degli artt. 117, 118, 119 della Costituzione e del combinato disposto
 dei predetti articoli e degli artt. 3, primo comma, 41, terzo  comma,
 81, e 97 della Costituzione.
      Roma addi', 11 dicembre 1990
 91C0007