N. 320 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 novembre 1990

                                N. 320
  Ordinanza emessa il 16 novembre 1990 dalla comissione tributaria di
                        primo grado di Treviso
   sui ricorsi riuniti proposti da Monico Giovanni contro l'ufficio
                           I.V.A. di Treviso
 Imposta sul valore aggiunto (I.V.A.) - Violazioni - Previsione
    congiunta  di  sanzioni  penali  ed amministrative - Deroga per le
    sole infrazioni in materia di I.V.A. al principio  di  specialita'
    sancito   dall'art.   9  della  legge  n.  689/1981  (legge  sulla
    depenalizzazione) applicabile per giurisprudenza consolidata anche
    alle  violazioni  finanziarie  -  Ingiustificata   disparita'   di
    trattamento  fra  coloro  che  violano norme in materia di imposte
    dirette e sul valore aggiunto (assoggettati alla doppia  sanzione)
    e  coloro  che violano norme tributarie diverse assoggettati ad un
    solo tipo di sanzione in virtu' del principio di specialita'.
 (Legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 10).
 (Cost., art. 3).
(GU n.21 del 29-5-1991 )
               LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha pronunciato la  seguente  decisione  sul  ricorso  prodotto  da
 Monico Giovanni avverso avvisi di retifica;
    Letti gli atti;
    Sentito  il procuratore del contribuente, avv. Luigi Dalla Rosa ed
 il rappresentante dell'ufficio I.V.A. dott. Antonio Di Monte;
    Udito il relatore rag. Gianantonio Dal Cin;
                           RITENUTO IN FATTO
    La  difesa  del  contribuente  ha   accepito   la   illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  10  della legge 7 agosto 1982, n. 516, per
 contrasto con l'art.  3,  primo  comma,  della  Costituzione  laddove
 esclude   l'applicabilita'  del  principio  di  specialita'  previsto
 dall'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689, per i motivi che di
 seguito  verranno  illustrati  e  che  la  commissione   ritiene   di
 condividere.
    L'eccezione  apppare  essere  non manifestamente infondata ed anzi
 meritevole  di  attento   esame   ed   accoglimento.   E'   opportuno
 preliminarmente  ricordare  che l'art. 3, primo comma, della legge n.
 689/1981 dispone che "quando  uno  stesso  fatto  e'  punito  da  una
 disposizione  penale  e  da una disposizione che prevede una sanzione
 amministrativa,  ovvero  da  una  pluralita'  di   disposizioni   che
 prevedono   sanzioni   amministrative,  si  applica  la  disposizione
 speciale"; l'art. 10 della legge n. 516/1982, da  parte  sua  recita:
 "l'applicazione  delle pene previste nel presente decreto non esclude
 l'applicazione delle  pene  pecuniarie  previste  dalle  disposizioni
 vigenti in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto". Ora
 e'  pacifico  che la disposizione dell'art. 9 della legge n. 689/1981
 abbia portata generale e si applichi anche alle violazioni  in  campo
 tributario;  su  questo  punto  la  dottrina  e'  concorde e anche la
 giurisprudenza recentemente si e' espressa nel senso che il principio
 di   specialita'  deve  essere  considerato  principio  di  carattere
 generale estendibile alle violazioni finanziarie (Vedansi: Cass. pen.
 17 febbario 1987; Cass. pen. 20 ottobre 1987 e Cass. pen. 14 dicembre
 1987, n. 4859; inoltre: C.A. Trento 19 gennaio 1987). Se non vi fosse
 quindi l'esplicita previsione dell'art. 10 della legge  n.  516/1982,
 il  principio  di  specialita'  avrebbe  pienamente  vigore  anche in
 relazione agli elleciti commessi in materia di imposte sui redditi  e
 sul  valore aggiunto. Anzi l'art. 10 di cui si discute ha un senso ed
 un significato in quanto posto dal legislatore con l'esplicito  scopo
 di  evitare  l'applicazione  del  principio  di  specialita'. Se tale
 principio, posto dall'art. 9 della legge sulla depenalizzazione,  non
 fosse  stato applicabile direttamente ed illimitatamente alla materia
 tributaria, non sarebbe stato necessario predisporre  una  norma  che
 dichiaratamente  ne impedisce l'applicazione a quel campo ed a quella
 materia.
    Secondo  la  norma  posta,  invece,  le  violazioni   in   materia
 tributaria  sono  represse sia da sanzioni di carattere penale sia da
 senzioni di carattere amministrativo e in definitiva vengono represse
 e punite due  volte  posto  che  e'  fuori  di  dubbio  il  carattere
 afflittivo   delle   snzioni   amministrative,  soprattutto  dopo  la
 sistemazione dell'intera materia effettuata dalla legge n. 689/1981.
    La doppia sanzione, penale ed amministrativa, pare  pero'  violare
 il principio costituzionale della eguaglianza dei cittadini di fronte
 alla  legge,  posto all'articolo 3, prio comma, della Costituzione, e
 rende cosi' viziato di illegittimita'  costituzionale  per  contrasto
 con  la detta norma, l'art. 10 della legge n. 516/1982. E' cio' sotto
 un duplice profilo: il primo interno alla materia  tributaria  ed  il
 secondo esterno.
    Sotto il primo profilo, vi e' disparita' di trattamento fra coloro
 che  violano  norme  tributarie  in  materia di imposte dirette e sul
 valore  aggiunto  e  coloro  che  violano  norme  tributarie  diverse
 (registro,  catastali,  indirette,  sugli  affari;  solo i primi sono
 assoggettati al doppio regime sanzionatorio mentre i secondi  saranno
 puniti, in applicazione del principio di specialita', rispettivamente
 con  una sanzione penale o con una amministrativa a seconda che l'una
 o l'altra norma incriminatrice sia ritenuta speciale.  Di  piu',  non
 tutti  coloro  che  violano norme in materia di imposte sui redditi e
 sul valore aggiunto sono puniti con il doppio regime sanzionatorio ma
 soltanto coloro che violano le disposizioni della legge  n.  516/1982
 posto  che l'art. 10 della legge declama:  "l'applicazione delle pene
 previste nel presente decreto"  sicche'  chi  viola  altre  norme  in
 materia  di  imposte  sui  redditi e sul valore aggiunto sara' punito
 esclusivamente  o  con  la  sanzione  penale  e   con   la   sanzione
 amministrativa.
    Non  vi  e'  alcun  motivo, alcuna ragione, alcun interesse, alcun
 bene  giuridico  la  cui  violazione  debba  essere   repressa,   che
 giusitifichino  la disparita' di trattamento nell'ambito stesso delle
 violazioni tributarie, sopra evidenziata.
    Sotto il secondo piu' ampio e  genrale  profilo,  e'  evidente  la
 disparita'  di  trattamento  fra  chi  commette  un fatto, punito con
 sanzione penale e con sanzione amministrativa, in materia di  imposte
 sui  redditi  e  sul  valore  aggiunto,  e  chi  commette  un  fatto,
 altrettanto punito con sanzione penale e con sanzione amministrativa,
 in qualsiasi altro campo e materia. Mentre per il secondo  varra'  il
 principio  di  specialita', il primo si trovera' soggetto alla doppia
 imposizione.
    L'illegittimita' costituzionale di tale  diverso  trattamento  non
 puo'  essere  superata,  e  non  puo' essere di converso sostenuta la
 legittimita' della disciplina  sanzionatoria  differenziata,  con  la
 considerazione  che il legislatore si e' determinato a tale regime in
 considerazione  del  bene  giuridico  tutelato  o  dalla  particolare
 pericolosita'  sociale del comportamento che si vuole reprimere e che
 quindi la  scelta  del  legislatore  e'  insindacabile  e  sfugge  al
 sindacato di legittimita' costituzionale.
    Le   considerazioni  circa  la  particolare  importanza  del  bene
 giuridico tutelato, l'allarme  ed  il  disordine  sociale  che  certa
 condotta  procurano,  entrano  in gioco al momento della formulazione
 del  giudizio  di  disvalore  da  parte  del  legislatore   e   della
 conseguente scelta dal tipo di repressione applicabile.
    Cosi',  il legislatore puo' disporre che in alcuni casi sia sempre
 applicabile la sanzione penale anche se la disposizione  speciale  e'
 quella   che   prevede   la   sanzione   amministrativa,  cosi'  come
 esplicitamente stabilito all'ultimo comma dell'art. 9 della legge  n.
 689/1981  il  quale  deroga  il  principio  di  specialita' in favore
 dell'applicazione delle sanzioni penali.
    Puo' il legislatore ritenere una fattispecie particolarmente grave
 e predisporre che sia repressa con  la  sanzione  penale  appunto  in
 vista  della  sua  gravita'. In altre parole, la maggior gravita' dal
 fatto autorizza la repressione penale ma non mai la doppia  sanzione,
 penale  ed  amministrativa. Cio' e peraltro esplicitamente previsto e
 contemplato  nella  circolare  c.p.c.m.  19  dicembre  1983,  criteri
 orientativi   per   la   scelta   tra   sanzioni  penali  e  sanzioni
 amministrative, ove e' illustrato in materia esaustiva, con  richiamo
 anche  ai  principi  costituzionali,  il  principio  di proporzione e
 quello della sussidiarita' della sanzione penale che  devono  reggere
 la  scelta  e  la graduazione fra la sanzione amministrativa e quella
 penale. In nessun caso, alla luce della circolare,  e'  giustificato,
 consentito  e razionale l'inflizione della doppia sanzione, penale ed
 amministrativa.
    Per concludere, la questione sollevata e' rilevante ai fini  della
 decisione  in  quanto il contribuente e' stato anche denunciato per i
 reati previsti dagli artt. 1, primo comma, 3, secondo comma, e 4,  n.
 7,   della   legge   n.   516/1982  sicche'  occorre  in  ipotesi  di
 applicabilita' del principio di specialita', determinare quale sia la
 norma speciale punitiva della sua condotta illecita, quella penale  e
 quella  amministrativa,  per  la  quale  ultima  e' competente questo
 giudice.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta   non    manifestamente    infondata    l'eccezione    di
 illegittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge 7 agosto 1982,
 n.  516,  per violazioni dell'art. 3, primo comma, della Costituzione
 nella parte in cui eclude l'applicazione del principio di specialita'
 fra sanzioni penali e sanzioni  amministrative,  posto  dall'art.  9,
 primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689;
    Ritenuto    che    il   giudizio   non   possa   essere   definito
 indipendentemente  dalla  risoluzione  della   detta   questione   di
 legittimita' costituzionale;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale e la sospensione del giudizio in corso;
    Ordina che la presente ordinanza di trasmissione degli  atti  alla
 Corte  costituzionale  sia  notificata,  a cura della cancelleria, al
 ricorrente e  all'amministrazione  finanziaria  residente,  parti  in
 causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri.
      Treviso, addi' 16 novembre 1990
                  Il presidente: (firma illeggibile)
                                      Il relatore: (firma illeggibile)
 91C0598