N. 28 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 11 maggio 1991
N. 28 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria l'11 maggio 1991 (della regione Emilia-Romagna) Agricoltura - Regolamento recante disposizioni di adattamento alla realta' nazionale del regime di aiuti per il ritiro di seminativi dalla produzione, di cui al regolamento CEE del Consiglio della Comunita' europea n. 797/1985 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 52 del 2 marzo 1991) - Previsione di proposta delle regioni per la individuazione delle aree preferenziali e di intesa con le regioni per la limitazione della superficie di dette zone preferenziali ove e' consentito il cumulo di aiuti, ma mancata attivazione di tale meccanismo per il ritardo con cui e' stato emanato il d.m. - Asserita indebita invasione della sfera di competenza della regione, cui spetterebbe, secondo la ricorrente, individuare, nell'ambito delle proprie competenze in materia di agricoltura, le zone preferenziali ai fini del cumulo di aiuti a favore dell'imboschimento in luogo della cultura agricola, in ragione di specifiche esigenze agricole e produttive del territorio regionale - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 177/1988 e 284/1989. (Decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste 19 febbraio 1991, n. 63). (Cost., artt. 117 e 118, in relazione all'art. 6 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, all'art. 5 della legge 8 novembre 1986, n. 752, all'art. 11 della legge 16 aprile 1987, n. 183 e agli artt. 4, settimo e ottavo comma, e 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86).(GU n.21 del 29-5-1991 )
Ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della giunta regionale pro- tempore dott. Enrico Boselli, autorizzato con deliberazione g.r. n. 732 in data 9 aprile 1991 rappresentata e difesa per mandato a margine, dal prof. avv. Franco Mastragostino del Foro di Bologna ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Adriano Giuffre', in Roma, via Collina n. 36, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore in relazione al decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste 19 febbraio 1991, n. 63, avente ad oggetto "Regolamento recante disposizioni di adattamento alla realta' nazionale del regime di aiuti per il ritiro di seminativi dalla produzione, di cui al regolamento CEE del consiglio delle Comunita' europee n. 797/1985" pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 52 del 2 marzo 1991, suppl. ord., e in particolare degli artt. 1 e 7. PREMESSE DI FATTO 1. - Con il decreto Ministero agricoltura e foreste 19 febbraio 1991, n. 63, e' stato approvato il "Regolamento recante disposizioni di adattamento alla realta' nazionale del regime di aiuti per il ritiro di seminativi dalla produzione di cui al regolamento CEE del consiglio delle Comunita' europee n. 797/1985". Come e' dichiarato nell'art. 1 del d.m., la nuova disciplina viene assunta per "adattare alla realta' nazioale le disposizioni contenute nel regolamento CEE n. 797/1985.. .. .... limitatamente al previsto regime di aiuti per il ritiro dei seminativi dalla produzione", essendo stabilito che l'intervento "e' attuato dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste, dal Ministero del tesoro, dalle regioni a statuto ordinario e speciale, dalla provincia autonoma di Bolzano e dall'A.I.M.A". Senonche', vi e' subito da notare che tali nuove disposizioni modificano profondamente il quadro delle disposizioni nazionali di attuazione del regolamento CEE n. 797/1985 - contenute nei decreti ministeriali 12 e 26 settembre 1985, 26 marzo 1986 e 34 del 16 gennaio 1989 (quest'ultimo, sostituito con il d.m. n. 35/1990 e, a sua volta, sostituito con il decreto n. 63/1991, oggi impugnato - alterando sensibilmente il regime delle competenze, con modalita' e forme che alla regione Emilia-Romagna appaiono incostituzionali, come sara' meglio evidenziato in prosieguo. 2. - Il d.m. n. 63 del 19 febbraio 1991 afferisce alla disciplina, di matrice essenzialmente comunitaria, diretta al miglioramento della efficenza delle strutture agricole. Norme base di riferimento in materia sono, oltre al gia' citato regolamento CEE n. 797/1985, il regolamento del consiglio n. 1094/1988, i regolamenti della commissione nn. 1272 e 1273 del 1988 e il regolamento del consiglio n. 1609/1989. Vi e' da osservare che fino ad ora gli interventi di attuazione della disciplina comunitaria sono stati correttamente attribuiti nel rispetto delle competenze istituzionali previste dall'art. 6 del d.P.R. n. 616/1977 (che trasferisce alle regioni le funzioni amministrative relative all'applicazione dei regolamenti delle Comunita' europee, nelle materie di loro competenza), e dell'art. 5 della legge 8 novembre 1986, n. 752 - "Legge pluriennale per l'attuazione degli interventi programmati in agricoltura - norma che riguarda specificamente gli interventi previsti dal regolamento CEE numero 797/1985. Il primo decreto ministeriale di attuazione interna, il d.m. 12 settembre 1985 e successive modificazioni (26 settembre 1985 e 26 marzo 1986) stabilisce, infatti, che gli interventi nei diversi settori sono attuati dalle regioni a statuto ordinario, in conformita' alle disposizioni contenute nei dd.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 e 24 luglio 1977, n. 616 e dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome nell'ambito dei rispettivi statuti. Addirittura le regioni possono apportare modifiche al contenuto nello schema di piano (piano di miglioramento) di cui all'allegato 1 al decreto per "adattarlo alle diverse realta' agricole", provvedendo a comunicare le modifiche alla CEE per il tramite del Ministero dell'agricoltura e foreste (cfr. art. 3 del d.m. 12 settembre 1985). Parimenti, il d.m. 16 gennaio 1989, n. 34, affida in prima istanza alle regioni l'attuazione dell'intervento in ordine al previsto re- gime di aiuti per il ritiro di seminativi dalle produzioni, demandando alle regioni l'individuazione "delle zone per le quali l'Italia puo' essere autorizzata dalla commissione alla esenzione dal regime di ritiro di seminativi dalla produzione" (art. 1, secondo e terzo comma). 3. - Tale quadro normativo ed operativo e' stato, poi, ribadito e meglio precisato a seguito della entrata in vigore della legge 16 aprile 1987, n. 183 (concernente il coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee) che ha istituito il Fondo di rotazione ad amministrazione autonoma per l'attuazione delle politiche comunitarie (la cui organizzazione e le cui pocedure sono ora regolate con il d.P.R. 29 dicembre 1988, n. 568, mentre il fabbisogno finanziario statale e regionale e' stato definito dal CIPE con delibera in data 12 settembre 1989 che ha altresi' provveduto a stabilire le linee di intervento e i connessi volumi finanziari per il settore "agricoltura" con deliberazione in data 15 marzo 1990). La stessa legge n. 183/1987 e, piu' organicamente, la legge 9 marzo 1989, n. 86 (norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), agli artt. 9 e 4, primo e ottavo comma, hanno, poi, esteso le competenze delle regioni, sia speciali che ordinarie, per l'attuazione, in via amministrativa delle direttive comunitarie e degli atti normativi comunitari. Sicche', dall'attuale sistema legislativo risulta inequivocabilmente: a) la competenza regionale in ordine all'applicazione dei regolamenti comunitari, nel caso, in materia di agricoltura; b) la specifica responsabilita' regionale per l'attuazione del regolamento CEE n. 797/1985, ivi compresi gli interventi finanziari attraverso l'individuazione della quota di spettanza regionale del Fondo di rotazione; c) l'insussistenza di alcuna delle situazioni che in base all'art. 71 del d.P.R. n. 616/1977 giustificherebbe la permanenza di una riserva statale; d) l'insussistenza di alcun mutamento nella normativa comunitaria e nazionale tale da consentire l'attuato sovvertimento dell'assetto delle competenze relativamente al regime degli aiuti per il ritiro dei seminativi dalla produzione. Conseguentemente, rispetto ai profili delineati, il d.m. n. 63/1991, in base ad una motivazione del tutto generica, non idonea ad alterare l'ordine istituzionale delle competenze (come si vedra' in prosieguo) appare in realta' ispirato ad un modello organizzativo e procedimentale non conforme al disegno costituzionale del riparto di competenza fra Stato e regioni. In particolare, il d.m. in esame e' da ritenere illegittimo nelle disposizioni di cui all'art. 1 e all'art. 7, terzo comma, per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - Illegittimita' dell'art. 1, secondo comma, del d.m. 19 febbraio 1991, n. 63, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione in riferimento all'art. 6 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, all'art. 5 della legge 8 novembre 1986, n. 752, nonche' ai principi di cui all'art. 11 della legge 16 aprile 1987, n. 183, e agli artt. 4, settimo e ottavo comma, e 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86. Violazione del principio della leale cooperazione Stato-regioni. La Corte costituzionale, in diverse occasioni e con copiosa giurisprudenza, ha dichiarato l'ampio margine riconosciuto agli interventi regionali nella materia "agricoltura". In particolare, allorche' detta materia comprende tutti gli interventi sulla produzione e le strutture produttive, la programmazione della produzione, gli interventi sulle dimensioni produttive, le riconversioni ecc., da tenere ben distinti e separati rispetto alla politica o "regolazione" dei prezzi e dei termini del mercato agricolo (Corte costituzionale n. 433/1987). Alle regioni ordinarie, poi, sono state prima attribuite (art. 6 del d.P.R. n. 616/1977) e successivamente ampliate le funzioni amministrative relative all'applicazione dei regolamenti CEE nelle materie di loro competenza, con ampia possibilita' di attuare direttamente, in via amministrativa, gli atti normativi comunitari (art. 11 della legge n. 183/1987; artt. 4, settimo e ottavo comma, e 9 della legge n. 86/1989). Con specifico riferimento all'attuazione del regolamento CEE n. 797/1985, la competenza regionale e' stata altresi' confermata costantemente dalla legislazione nazionale che ha attribuito alle regioni un ruolo di primaria importanza. Si veda la legge 8 novembre 1986, n. 752 (art. 5) in base alla quale le regioni e le province autonome sono i soggetti attuatori della politica comunitaria relativa al miglioramento della efficienza delle strutture agricole. Si vedano, altresi', gli stessi decreti del Ministro dell'agricoltura inizialmente emanati (dd.mm. 12 e 26 settembre 1985 e 16 gennaio 1989, n. 34), fino a quello oggi impugnato, che hanno sempre attribuito e riconosciuto alle regioni (e alle province autonome) una indiscussa competenza nell'attuazione di tali interventi (come specificato nelle premesse ai decreti). Conseguentemente l'intera procedura - istruzione, decisione, controllo sulle aziende e i soggetti beneficiari, liquidazione - era affidata alle regioni, che erano tenute a trasmettere i dati al Ministero per mera informazione. Cosicche', rispetto a tale assetto comunitario e istituzionale, il d.m. n. 63/1991, il quale dispone che "l'intervento e' attuato dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste, dal Ministero del tesoro, dalle regioni a statuto ordinario ecc.", sovverte l'ordine legittimo delle competenze, senza che il riferimento - contenuto nella premessa - a generiche "esperienze acquisite", a non precisate e individuate "modifiche intervenute nella normativa comunitaria (?).. .. ....", ad oscuri ".. .. .... chiarimenti interpretativi verificatisi.. .. ...." - che avrebbero altresi' determinato la necessita' di sostituire il precedente d.m. n. 35/1990 (impugnato dalla regione Emilia-Romagna in sede di giurisdizione amministrativa e in sede di conflitto di attribuzioni da altre regioni, come la Toscana) - possa fornire un accettabile supporto al nuovo ruolo di intervento diretto del Ministero dell'agricoltura e del Ministero del tesoro. Il quale e' affermato in evidente contrasto con la richiamata normativa e soprattutto non risponde ad alcun mutamento della disciplina comunitaria e del quadro di riparto. A) In primo luogo deve osservarsi, infatti, che del tutto assenti sono i motivi derivanti dal dichiarato mutamento di norme CEE, laddove difetta completamente la "copertura" di principi comunitari, e laddove il Ministero agisce invece sulla base di una lettura dei rapporti interni fra Stato e regioni che trova fondamento in una concezione di pretesa quanto non dimostrata prevalenza di interessi unitari nazionali. La concentrazione dei poteri di normazione e attuazione della normativa CEE in tema di aiuti per il ritiro dei seminativi dalla produzione in capo allo Stato - e fra l'altro di poteri rilevanti e incidenti su diversi aspetti: il territorio, la programmazione, le politiche agrarie - non e' cioe' motivabile sulla scorta di obblighi comunitari, che non richiedono - a fronte, altresi', dell'esplicito riconoscimento, da parte della stessa normativa nazionale, in capo alle regioni del ruolo di soggetti responsabili per l'attuazione delle politiche comunitarie, e, in particolare, del regolamento CEE n. 797/1985 - alcuna assunzione, da parte dell'amministrazione centrale, di posizioni di garanzia di particolari interessi nazionali. B) E' palese, in secondo luogo, che l'oggetto del presente regolamento non ha alcuna attinenza con la situazione definita di "interventi di interesse nazionale" per la regolazione del mercato, in virtu' della quale soltanto apparirebbe giustificabile la primaria e principale interposizione statale. Come e' stato piu' volte precisato dalla stessa Corte, la riserva di tali attribuzioni alla sfera dell'amministrazione centrale e' legittima con riguardo a funzioni che solo marginalmente possono essere valutate come attinenti all'agricoltura o che comportino l'impiego di mezzi in misura tale da superare le concrete possibilita' di azione regionale. E, segnatamente, di quelle attivita' che hanno a che fare con interventi immediatamente incisivi sulla regolazione fra domanda e offerta, oltreche' ai relativi termini e prezzi (costi di produzione, prezzi finali) (cfr. Corte costituzionale n. 433/1987). Prospettiva da cui e' evidente che esulano completamente il regolamento CEE n. 797/1985 e la connessa normativa di attuazione in quanto finalizzati ad interventi strutturali che involgono la programmazione e la produzione, e che non possono e non devono in alcun modo essere confusi con interventi relativi a prezzi e a termini del mercato agricolo. C) Si puo', pertanto, affermare con sufficiente certezza che l'esigenza di coordinamento delle azioni delle regioni in materia non ha stretta e strumentale attinenza con impegni comunitari, ne' con impegni derivanti dal sistema istituzionale interno di riparto delle competenze. Tant'e' vero che - costante la normativa CEE - in precedenza tutti i poteri di intervento erano affidati alle regioni, da quelli istruttori e decisori in ordine ai requisiti dei soggetti beneficiari, a quelli inerenti alla modifica dei piani di miglioramento (cfr. art. 3 del d.m. 12 settembre 1985), a quelli inerenti alla individuzione delle zone per le quali l'Italia puo' essere autorizzata dalla commissione, all'esenzione dal regime di ritiro di seminativi dalla produzione (art. 1, terzo comma, del d.m. 16 gennaio 1989, n. 34). Al d.m. n. 63/1991 deve imputarsi, dunque, una centralizzazione ingiustificata delle funzioni in materia, con deterioramento ingiustificato delle attribuzioni regionali devolute ai sensi del d.P.R. n. 616/1977. D) Di fatto, poi, il cronico ritardo con cui agiscono gli organi dell'amministrazione centrale impedisce il funzionamento dei canali di "leale cooperazione". Infatti, benche' nel decreto impugnato siano previste forme di consultazione con le regioni (art. 7, terzo comma: proposte delle regioni per la individuazione delle aree preferenziali, intese con le regioni per la limitazione della superficie di dette zone preferenziali, ove e' consentito il cumulo di aiuti) e' altrettanto vero che nella realta' tale meccanismo non e' stato attivato (per il ritardo con cui e' stato emanato il d.m.), cosicche' non sono state affatto sentite le regioni, come invece si afferma nel decreto qui impugnato, e come e' stato affermato nel decreto precedente (35/1990) peraltro anch'esso impugnato innanzi a codesta Corte, con lo stesso mezzo, dalla regione Toscana. 2. - Illegittimita' dell'art. 7, terzo comma, del d.m. n. 63/1991 per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione all'art. 4 del d.P.R. n. 616/1977 e dell'art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382. Ma, anche a prescindere per un momento dalla illegittimita' dell'intero contesto organizzativo e procedimentale del d.m. n. 63/1991, finora illustrata, vi e' senz'altro una disposizione del decreto che risulta particolarmente paralizzante e limitativa della sfera di attribuzioni e di conseguente azione normativa che dovrebbe essere garantita alle regioni. Si tratta dell'art. 7 che disciplina, ai fini della incentivazione dell'imboschimento, la cumulabilita' dell'aiuto previsto per il ritiro di seminativi dalla produzione (artt. 1 e 6, secondo comma) con gli altri aiuti previsti dalle normative comunitarie e nazionali. In particolare, il terzo e quarto comma del predetto art. 7 prevedono che nelle aree c.d. "preferenziali" sia possibile cumulare, con l'aiuto per l'imboschimento di cui all'art. 6, secondo comma, l'aiuto e il premio previsti dagli artt. 20 e 20- bis del regolamento CEE n. 797/1985 (che prevedono, appunto, ulteriori benefici per l'imboschimento di superfici agricole) essendone stabilita l'erogazione nella misura massima rispettivamente (per l'aiuto di cui all'art. 20) di 3000 ECU per ettaro e (art. 20- bis) di 50 ECU per ettaro all'anno. Senonche' il citato art. 7, terzo e quarto comma, allorche' vincola la regione all'applicazione di tale regime sulla base di una ripartizione territoriale delle zone preferenziali demandata all'autorita' centrale in forma cosi' dettagliata e analitica da non lasciare alle regioni (e alle province autonome) il necessario spazio di autonomia entro il quale poter legittimamente svolgere la propria competenza legislativa e/o la propria azione amministrativa, appare palesemente lesivo delle prerogative, delle competenze e dei poteri regionali e, dunque, costituzionalmente illegittimo. A) Si evidenzia, infatti, l'assoluta ed arbitraria rigidita' della previsione del d.m. che stabilisce le zone preferenziali non come indicazioni - e quindi evidentemente derogabili dalla regioni almeno per quanto concerne le zone sub f), g), h) e l) che si riferiscono a delimitazioni ed ambiti territoriali prettamente regionali o ad opera delle province a cio' delegate - ma come determinazione di zone limitabili esclusivamente dal Ministro, sia pure previa intesa. Dove, rispetto a quest'ultima previsione, mancano pero' totalmente garanzie per quanto si e' sopra esposto nel primo motivo in ordine all'attivazione delle procedure di consultazione con le regioni. B) La rigidita' delle determinazioni suddette concentrate in capo all'autorita' centrale annienta, in definitiva, il potere delle regioni di collegare l'azione comunitaria alla propria programmazione generale e di settore, che viene svolta tenendo conto - come doveroso - della specificita' delle condizioni economico-agricole del territorio regionale. Sicche' la regione e' costretta a subire l'applicazione di un re- gime che incide su attivita', sia produttive che di organizzazione economica del territorio, al di fuori dei propri piani e programmi di sviluppo. C) Soprattutto, infine, occorre sottolineare che non e' un fondamento della normativa comunitaria una suddivisione del territorio cosi' tassativa e sistematica. La normativa CEE parla di zone sensibili dal punto di vista della protezione dell'ambiente e delle risorse naturali e del mantenimento dello spazio naturale e del paesaggio (cfr. artt. 19, 19- bis e 19- ter del regolamento CEE n. 797/1985) e rispetto a questi obiettivi impegna lo Stato membro a determinare le zone. Il che importa che nessun obbligo diretto sussiste, quanto alla individuazione delle zone preferenziali per l'incentivazione all'imboschimento, e che la individuazione per tipologie, fatta dallo Stato, deve valere - e non puo' essere diversamente - al massimo come indicazione di indirizzo. Il che significa primariamente - e cio' in base ad una corretta definizione della funzione di indirizzo e coordinamento, la quale deve essere aliena dal fornire espressioni cosi' analitiche e dettagliate, ovvero da provocare il totale assorbimento di ogni possibile spazio per l'ulteriore normazione (cfr. Corte costituzionale sentenza 10-18 febbraio 1988, n. 177) - che la regione deve potersene discostare, se la propria realta' territoriale non consente una applicazione tout court delle disposizioni prescritte dal Ministero. Come e', del resto, per la regione Emilia-Romagna, laddove l'assoggettamento integrale delle aree costituite da A.F.V., T.G.S.C., zone di protezione (lettere f), g) e h)), al regime delle zone preferenziali, importerebbe uno squilibrio nel contesto ambientale agricolo e naturale del territorio regionale, dato che si tratta del 70% di terreni di pianura, dove favorire l'imboschimento implicherebbe una riconversione inopportuna di terreno fertile, per lo piu' coltivato a frutteto, non consona con lo sviluppo impresso dalla regione Emilia-Romagna alla propria economia agricola. Senza considerare, poi, che nella fattispecie, in assenza di un obbligo direttamente ricollegabile alla disciplina comunitaria, e a fronte, quindi, della ritenuta esigenza da parte dello Stato di emanare disposizioni uniformi nell'interesse nazionale, la funzione di indirizzo e coordinamento avrebbe dovuto essere esercitata nelle forme dovute, vale a dire con legge o atto equiparato, o mediante deliberazione del Consiglio dei Ministri, ai sensi di quanto disposto dal quinto e sesto comma dell'art. 9 della legge n. 86/1989. Con la conseguenza che il d.m. e', altresi', mezzo inidoneo sotto il profilo della gerarchia delle fonti, ad esprimere indicazioni vincolanti (su cui cfr. Corte costituzionale n. 284/1989). D) In definitiva, occorre altresi' osservare che sarebbe sufficiente - rispetto allo specifico problema delle zone preferenziali - rimuovere dal contesto dell'art. 7, terzo comma, ultimo capoverso, l'inciso ".. .. .... il Ministero potra' limitare la superficie delle zone preferenziali.. .. ...." che e' la disposizione che centralizza e sottordina illegittimamente scelte e poteri di esclusiva e pacifica spettanza regionale e fatti salvi dalla normativa comunitaria.
P. Q. M. Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale dichiarare che spetta alla regione il ruolo primario di responsabile dell'attuazione degli interventi derivanti dalle disposizioni contenute nel regolamento CEE n. 797/1985 e successive modificazioni; che spetta alla regione e non allo Stato provvedere ad individuare le zone preferenziali ai fini del cumulo di aiuti a favore dell'imboschimento in luogo delle colture agricole, in ragione delle specifiche esigenze agricole e produttive del territorio regionale; conseguentemente annullare le disposizioni del d.m. 19 febbraio 1991, n. 63, impugnate, siccome illegittime. Bologna-Roma, addi' 19 aprile 1991 Il presidente: (firma illeggibile) 91C0611