N. 28 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 11 maggio 1991

                                 N. 28
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria l'11
                              maggio 1991
                    (della regione Emilia-Romagna)
 Agricoltura - Regolamento recante disposizioni di adattamento alla
    realta' nazionale del regime di aiuti per il ritiro di  seminativi
    dalla  produzione,  di  cui al regolamento CEE del Consiglio della
    Comunita' europea n. 797/1985 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.
    52 del 2 marzo 1991) - Previsione di proposta delle regioni per la
    individuazione delle aree preferenziali e di intesa con le regioni
    per la limitazione della superficie di  dette  zone  preferenziali
    ove  e'  consentito  il cumulo di aiuti, ma mancata attivazione di
    tale  meccanismo per il ritardo con cui e' stato emanato il d.m. -
    Asserita  indebita  invasione  della  sfera  di  competenza  della
    regione,  cui  spetterebbe,  secondo  la  ricorrente, individuare,
    nell'ambito delle proprie competenze in materia di agricoltura, le
    zone  preferenziali  ai  fini  del  cumulo  di  aiuti   a   favore
    dell'imboschimento  in luogo della cultura agricola, in ragione di
    specifiche esigenze agricole e produttive del territorio regionale
    -  Riferimento  alle  sentenze  della  Corte  costituzionale   nn.
    177/1988 e 284/1989.
 (Decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste 19 febbraio
    1991, n. 63).
 (Cost., artt. 117 e 118, in relazione all'art. 6 del d.P.R. 24 luglio
    1977,  n.  616,  all'art.  5  della legge 8 novembre 1986, n. 752,
    all'art. 11 della legge 16 aprile 1987, n. 183  e  agli  artt.  4,
    settimo e ottavo comma, e 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86).
(GU n.21 del 29-5-1991 )
   Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  promosso  dalla  regione
 Emilia-Romagna, in persona del presidente della giunta regionale pro-
 tempore dott. Enrico Boselli, autorizzato con deliberazione g.r.   n.
 732  in  data  9  aprile  1991  rappresentata  e difesa per mandato a
 margine, dal prof. avv. Franco Mastragostino del Foro di  Bologna  ed
 elettivamente   domiciliata   presso   lo  studio  dell'avv.  Adriano
 Giuffre', in Roma, via  Collina  n.  36,  contro  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  pro-tempore  in  relazione  al  decreto del
 Ministro dell'agricoltura e delle foreste 19 febbraio  1991,  n.  63,
 avente  ad  oggetto  "Regolamento recante disposizioni di adattamento
 alla  realta'  nazionale  del  regime  di  aiuti  per  il  ritiro  di
 seminativi  dalla produzione, di cui al regolamento CEE del consiglio
 delle Comunita' europee n. 797/1985" pubblicato in Gazzetta Ufficiale
 n. 52 del 2 marzo 1991, suppl. ord., e in particolare degli artt. 1 e
 7.
                           PREMESSE DI FATTO
    1. - Con il decreto Ministero agricoltura e  foreste  19  febbraio
 1991,  n. 63, e' stato approvato il "Regolamento recante disposizioni
 di adattamento alla realta' nazionale del  regime  di  aiuti  per  il
 ritiro  di  seminativi dalla produzione di cui al regolamento CEE del
 consiglio delle Comunita' europee n. 797/1985".
    Come e' dichiarato nell'art. 1 del d.m., la nuova disciplina viene
 assunta per "adattare alla realta' nazioale le disposizioni contenute
 nel regolamento CEE n. 797/1985.. .. .... limitatamente  al  previsto
 regime  di  aiuti  per  il  ritiro  dei seminativi dalla produzione",
 essendo  stabilito  che  l'intervento  "e'  attuato   dal   Ministero
 dell'agricoltura  e  delle  foreste,  dal Ministero del tesoro, dalle
 regioni a statuto ordinario e speciale, dalla provincia  autonoma  di
 Bolzano e dall'A.I.M.A".
    Senonche',  vi  e'  subito  da  notare che tali nuove disposizioni
 modificano profondamente il quadro delle  disposizioni  nazionali  di
 attuazione  del  regolamento  CEE n. 797/1985 - contenute nei decreti
 ministeriali 12 e 26 settembre 1985,  26  marzo  1986  e  34  del  16
 gennaio  1989  (quest'ultimo,  sostituito con il d.m. n. 35/1990 e, a
 sua volta, sostituito con il decreto n.  63/1991,  oggi  impugnato  -
 alterando  sensibilmente  il regime delle competenze, con modalita' e
 forme che alla regione Emilia-Romagna appaiono incostituzionali, come
 sara' meglio evidenziato in prosieguo.
    2. - Il d.m. n. 63 del 19 febbraio 1991 afferisce alla disciplina,
 di matrice essenzialmente comunitaria, diretta al miglioramento della
 efficenza  delle  strutture  agricole.  Norme  base di riferimento in
 materia sono, oltre al gia' citato regolamento CEE  n.  797/1985,  il
 regolamento   del   consiglio   n.  1094/1988,  i  regolamenti  della
 commissione nn. 1272 e 1273 del 1988 e il regolamento  del  consiglio
 n. 1609/1989.
    Vi  e'  da  osservare che fino ad ora gli interventi di attuazione
 della disciplina comunitaria sono stati correttamente attribuiti  nel
 rispetto  delle  competenze  istituzionali  previste  dall'art. 6 del
 d.P.R.  n.  616/1977  (che  trasferisce  alle  regioni  le   funzioni
 amministrative   relative   all'applicazione  dei  regolamenti  delle
 Comunita' europee, nelle materie di loro competenza), e  dell'art.  5
 della  legge  8  novembre  1986,  n.  752  -  "Legge  pluriennale per
 l'attuazione degli interventi programmati in agricoltura - norma  che
 riguarda  specificamente  gli interventi previsti dal regolamento CEE
 numero 797/1985.
    Il primo decreto ministeriale di attuazione interna,  il  d.m.  12
 settembre  1985  e  successive  modificazioni (26 settembre 1985 e 26
 marzo 1986) stabilisce,  infatti,  che  gli  interventi  nei  diversi
 settori   sono   attuati   dalle  regioni  a  statuto  ordinario,  in
 conformita' alle disposizioni contenute nei dd.P.R. 15 gennaio  1972,
 n.  11  e 24 luglio 1977, n. 616 e dalle regioni a statuto speciale e
 dalle province autonome nell'ambito dei rispettivi statuti.
    Addirittura le regioni possono apportare  modifiche  al  contenuto
 nello  schema di piano (piano di miglioramento) di cui all'allegato 1
 al decreto per "adattarlo alle diverse realta' agricole", provvedendo
 a comunicare le modifiche alla  CEE  per  il  tramite  del  Ministero
 dell'agricoltura e foreste (cfr. art. 3 del d.m. 12 settembre 1985).
    Parimenti, il d.m. 16 gennaio 1989, n. 34, affida in prima istanza
 alle  regioni  l'attuazione dell'intervento in ordine al previsto re-
 gime  di  aiuti  per  il  ritiro  di  seminativi  dalle   produzioni,
 demandando  alle  regioni  l'individuazione  "delle zone per le quali
 l'Italia puo' essere autorizzata dalla commissione alla esenzione dal
 regime di ritiro di seminativi dalla produzione" (art. 1,  secondo  e
 terzo comma).
    3.  - Tale quadro normativo ed operativo e' stato, poi, ribadito e
 meglio precisato a seguito della entrata in  vigore  della  legge  16
 aprile  1987,  n.  183  (concernente il coordinamento delle politiche
 riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee) che ha
 istituito il Fondo  di  rotazione  ad  amministrazione  autonoma  per
 l'attuazione  delle politiche comunitarie (la cui organizzazione e le
 cui pocedure sono ora regolate con il d.P.R.  29  dicembre  1988,  n.
 568,  mentre  il  fabbisogno finanziario statale e regionale e' stato
 definito dal CIPE con delibera in  data  12  settembre  1989  che  ha
 altresi'  provveduto  a stabilire le linee di intervento e i connessi
 volumi finanziari per il settore "agricoltura" con  deliberazione  in
 data 15 marzo 1990).
    La  stessa  legge  n.  183/1987  e, piu' organicamente, la legge 9
 marzo 1989, n. 86 (norme generali sulla partecipazione dell'Italia al
 processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione  degli
 obblighi  comunitari), agli artt. 9 e 4, primo e ottavo comma, hanno,
 poi, esteso le competenze delle regioni, sia speciali che  ordinarie,
 per l'attuazione, in via amministrativa delle direttive comunitarie e
 degli atti normativi comunitari.
    Sicche',      dall'attuale     sistema     legislativo     risulta
 inequivocabilmente:
      a)  la  competenza  regionale  in  ordine  all'applicazione  dei
 regolamenti comunitari, nel caso, in materia di agricoltura;
      b)  la  specifica responsabilita' regionale per l'attuazione del
 regolamento CEE n. 797/1985, ivi compresi gli  interventi  finanziari
 attraverso  l'individuazione  della  quota di spettanza regionale del
 Fondo di rotazione;
      c) l'insussistenza  di  alcuna  delle  situazioni  che  in  base
 all'art.  71 del d.P.R. n. 616/1977 giustificherebbe la permanenza di
 una riserva statale;
      d)  l'insussistenza   di   alcun   mutamento   nella   normativa
 comunitaria  e  nazionale  tale da consentire l'attuato sovvertimento
 dell'assetto delle competenze relativamente al regime degli aiuti per
 il ritiro dei seminativi dalla produzione.
    Conseguentemente,  rispetto  ai  profili  delineati,  il  d.m.  n.
 63/1991, in base ad una motivazione del tutto generica, non idonea ad
 alterare  l'ordine  istituzionale delle competenze (come si vedra' in
 prosieguo) appare in realta' ispirato ad un modello  organizzativo  e
 procedimentale  non conforme al disegno costituzionale del riparto di
 competenza fra Stato e regioni.
    In particolare, il d.m. in esame e' da ritenere illegittimo  nelle
 disposizioni  di  cui  all'art.  1  e  all'art. 7, terzo comma, per i
 seguenti motivi di
                             D I R I T T O
    1. - Illegittimita'  dell'art.  1,  secondo  comma,  del  d.m.  19
 febbraio  1991,  n.  63,  per  violazione degli artt. 117 e 118 della
 Costituzione in riferimento all'art. 6 del d.P.R. 24 luglio 1977,  n.
 616,  all'art.  5  della  legge  8  novembre 1986, n. 752, nonche' ai
 principi di cui all'art. 11 della legge 16 aprile  1987,  n.  183,  e
 agli  artt.  4, settimo e ottavo comma, e 9 della legge 9 marzo 1989,
 n. 86.
    Violazione del principio della leale cooperazione Stato-regioni.
    La Corte  costituzionale,  in  diverse  occasioni  e  con  copiosa
 giurisprudenza,  ha  dichiarato  l'ampio  margine  riconosciuto  agli
 interventi regionali nella  materia  "agricoltura".  In  particolare,
 allorche'   detta   materia  comprende  tutti  gli  interventi  sulla
 produzione  e  le  strutture  produttive,  la  programmazione   della
 produzione,   gli   interventi   sulle   dimensioni   produttive,  le
 riconversioni ecc., da tenere ben distinti e separati  rispetto  alla
 politica  o  "regolazione"  dei  prezzi  e  dei  termini  del mercato
 agricolo (Corte costituzionale n. 433/1987).
    Alle regioni ordinarie, poi, sono state prima attribuite  (art.  6
 del  d.P.R.  n.  616/1977)  e  successivamente  ampliate  le funzioni
 amministrative relative all'applicazione dei  regolamenti  CEE  nelle
 materie  di  loro  competenza,  con  ampia  possibilita'  di  attuare
 direttamente, in via amministrativa, gli  atti  normativi  comunitari
 (art.  11 della legge n. 183/1987; artt. 4, settimo e ottavo comma, e
 9 della legge n. 86/1989).
    Con specifico riferimento all'attuazione del  regolamento  CEE  n.
 797/1985,  la  competenza  regionale  e'  stata  altresi'  confermata
 costantemente dalla legislazione nazionale  che  ha  attribuito  alle
 regioni  un ruolo di primaria importanza. Si veda la legge 8 novembre
 1986, n. 752 (art. 5) in base alla quale le  regioni  e  le  province
 autonome   sono  i  soggetti  attuatori  della  politica  comunitaria
 relativa al miglioramento della efficienza delle strutture agricole.
    Si   vedano,   altresi',   gli   stessi   decreti   del   Ministro
 dell'agricoltura  inizialmente emanati (dd.mm. 12 e 26 settembre 1985
 e 16 gennaio 1989, n. 34), fino a quello oggi  impugnato,  che  hanno
 sempre  attribuito  e  riconosciuto  alle  regioni  (e  alle province
 autonome)  una  indiscussa   competenza   nell'attuazione   di   tali
 interventi    (come   specificato   nelle   premesse   ai   decreti).
 Conseguentemente  l'intera   procedura   -   istruzione,   decisione,
 controllo  sulle aziende e i soggetti beneficiari, liquidazione - era
 affidata alle regioni, che erano  tenute  a  trasmettere  i  dati  al
 Ministero per mera informazione.
    Cosicche', rispetto a tale assetto comunitario e istituzionale, il
 d.m.  n.  63/1991,  il quale dispone che "l'intervento e' attuato dal
 Ministero dell'agricoltura e delle foreste, dal Ministero del tesoro,
 dalle regioni a statuto ordinario ecc.", sovverte l'ordine  legittimo
 delle competenze, senza che il riferimento - contenuto nella premessa
 -  a  generiche "esperienze acquisite", a non precisate e individuate
 "modifiche intervenute nella normativa comunitaria (?).. .. ....", ad
 oscuri ".. .. .... chiarimenti interpretativi verificatisi.. .. ...."
 - che avrebbero altresi' determinato la necessita' di  sostituire  il
 precedente d.m. n. 35/1990 (impugnato dalla regione Emilia-Romagna in
 sede  di  giurisdizione  amministrativa  e  in  sede  di conflitto di
 attribuzioni da altre regioni, come la Toscana) -  possa  fornire  un
 accettabile  supporto  al  nuovo  ruolo  di  intervento  diretto  del
 Ministero dell'agricoltura e del Ministero del tesoro.  Il  quale  e'
 affermato  in  evidente  contrasto  con  la  richiamata  normativa  e
 soprattutto  non  risponde  ad  alcun  mutamento   della   disciplina
 comunitaria e del quadro di riparto.
    A)  In primo luogo deve osservarsi, infatti, che del tutto assenti
 sono i motivi  derivanti  dal  dichiarato  mutamento  di  norme  CEE,
 laddove  difetta completamente la "copertura" di principi comunitari,
 e laddove il Ministero agisce invece sulla base di  una  lettura  dei
 rapporti  interni  fra  Stato  e  regioni che trova fondamento in una
 concezione di pretesa quanto non dimostrata prevalenza  di  interessi
 unitari nazionali.
    La  concentrazione  dei  poteri  di  normazione e attuazione della
 normativa CEE in tema di aiuti per il  ritiro  dei  seminativi  dalla
 produzione  in  capo allo Stato - e fra l'altro di poteri rilevanti e
 incidenti su diversi aspetti: il territorio,  la  programmazione,  le
 politiche  agrarie - non e' cioe' motivabile sulla scorta di obblighi
 comunitari, che non richiedono - a fronte,  altresi',  dell'esplicito
 riconoscimento,  da  parte  della stessa normativa nazionale, in capo
 alle regioni del ruolo  di  soggetti  responsabili  per  l'attuazione
 delle  politiche  comunitarie, e, in particolare, del regolamento CEE
 n.  797/1985  -  alcuna  assunzione,  da  parte  dell'amministrazione
 centrale,   di   posizioni   di  garanzia  di  particolari  interessi
 nazionali.
    B) E'  palese,  in  secondo  luogo,  che  l'oggetto  del  presente
 regolamento  non  ha  alcuna  attinenza con la situazione definita di
 "interventi di interesse nazionale" per la regolazione  del  mercato,
 in virtu' della quale soltanto apparirebbe giustificabile la primaria
 e principale interposizione statale.
    Come  e' stato piu' volte precisato dalla stessa Corte, la riserva
 di tali attribuzioni  alla  sfera  dell'amministrazione  centrale  e'
 legittima  con  riguardo  a  funzioni  che solo marginalmente possono
 essere valutate  come  attinenti  all'agricoltura  o  che  comportino
 l'impiego   di   mezzi   in  misura  tale  da  superare  le  concrete
 possibilita' di azione regionale.
    E, segnatamente, di quelle attivita' che  hanno  a  che  fare  con
 interventi  immediatamente  incisivi  sulla regolazione fra domanda e
 offerta, oltreche' ai relativi termini e prezzi (costi di produzione,
 prezzi finali) (cfr. Corte costituzionale n. 433/1987).
    Prospettiva da  cui  e'  evidente  che  esulano  completamente  il
 regolamento  CEE n. 797/1985 e la connessa normativa di attuazione in
 quanto  finalizzati  ad  interventi  strutturali  che  involgono   la
 programmazione  e  la  produzione,  e che non possono e non devono in
 alcun modo essere confusi  con  interventi  relativi  a  prezzi  e  a
 termini del mercato agricolo.
    C)  Si  puo',  pertanto,  affermare  con  sufficiente certezza che
 l'esigenza di coordinamento delle azioni delle regioni in materia non
 ha stretta e strumentale attinenza con impegni  comunitari,  ne'  con
 impegni  derivanti dal sistema istituzionale interno di riparto delle
 competenze.
    Tant'e' vero che - costante la normativa CEE - in precedenza tutti
 i poteri  di  intervento  erano  affidati  alle  regioni,  da  quelli
 istruttori   e   decisori   in   ordine  ai  requisiti  dei  soggetti
 beneficiari,  a  quelli  inerenti  alla   modifica   dei   piani   di
 miglioramento  (cfr.  art.  3  del  d.m. 12 settembre 1985), a quelli
 inerenti alla individuzione delle zone per  le  quali  l'Italia  puo'
 essere  autorizzata  dalla  commissione,  all'esenzione dal regime di
 ritiro di seminativi dalla produzione (art. 1, terzo comma, del  d.m.
 16  gennaio  1989, n. 34). Al d.m. n. 63/1991 deve imputarsi, dunque,
 una centralizzazione ingiustificata delle funzioni  in  materia,  con
 deterioramento  ingiustificato  delle attribuzioni regionali devolute
 ai sensi del d.P.R. n. 616/1977.
    D) Di fatto, poi, il cronico ritardo con cui agiscono  gli  organi
 dell'amministrazione  centrale  impedisce il funzionamento dei canali
 di "leale cooperazione".
    Infatti, benche' nel decreto impugnato  siano  previste  forme  di
 consultazione  con  le  regioni  (art. 7, terzo comma: proposte delle
 regioni per la individuazione delle aree preferenziali, intese con le
 regioni  per  la  limitazione  della   superficie   di   dette   zone
 preferenziali,  ove  e' consentito il cumulo di aiuti) e' altrettanto
 vero che nella realta' tale meccanismo non e' stato attivato (per  il
 ritardo  con  cui e' stato emanato il d.m.), cosicche' non sono state
 affatto sentite le regioni, come invece si afferma  nel  decreto  qui
 impugnato, e come e' stato affermato nel decreto precedente (35/1990)
 peraltro  anch'esso  impugnato innanzi a codesta Corte, con lo stesso
 mezzo, dalla regione Toscana.
    2. - Illegittimita' dell'art. 7, terzo comma, del d.m. n.  63/1991
 per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione
 all'art. 4 del d.P.R. n. 616/1977 e dell'art. 3 della legge 22 luglio
 1975, n. 382.
    Ma,  anche  a  prescindere  per  un  momento  dalla illegittimita'
 dell'intero contesto  organizzativo  e  procedimentale  del  d.m.  n.
 63/1991,  finora  illustrata,  vi  e' senz'altro una disposizione del
 decreto che risulta particolarmente paralizzante e  limitativa  della
 sfera  di attribuzioni e di conseguente azione normativa che dovrebbe
 essere garantita alle regioni.
    Si tratta dell'art. 7 che disciplina, ai fini della incentivazione
 dell'imboschimento,  la  cumulabilita'  dell'aiuto  previsto  per  il
 ritiro  di  seminativi  dalla produzione (artt. 1 e 6, secondo comma)
 con gli altri aiuti previsti dalle normative comunitarie e nazionali.
    In particolare, il terzo  e  quarto  comma  del  predetto  art.  7
 prevedono che nelle aree c.d. "preferenziali" sia possibile cumulare,
 con  l'aiuto  per  l'imboschimento  di cui all'art. 6, secondo comma,
 l'aiuto e il premio previsti dagli artt. 20 e 20- bis del regolamento
 CEE n. 797/1985  (che  prevedono,  appunto,  ulteriori  benefici  per
 l'imboschimento    di   superfici   agricole)   essendone   stabilita
 l'erogazione nella misura massima rispettivamente (per l'aiuto di cui
 all'art. 20) di 3000 ECU per ettaro e (art. 20- bis) di  50  ECU  per
 ettaro all'anno.
    Senonche'  il  citato  art.  7,  terzo  e  quarto comma, allorche'
 vincola la regione all'applicazione di tale regime sulla base di  una
 ripartizione   territoriale   delle   zone   preferenziali  demandata
 all'autorita' centrale in forma cosi' dettagliata e analitica da  non
 lasciare alle regioni (e alle province autonome) il necessario spazio
 di  autonomia entro il quale poter legittimamente svolgere la propria
 competenza legislativa e/o la propria azione  amministrativa,  appare
 palesemente  lesivo  delle prerogative, delle competenze e dei poteri
 regionali e, dunque, costituzionalmente illegittimo.
    A) Si evidenzia, infatti, l'assoluta ed arbitraria rigidita' della
 previsione del d.m. che stabilisce le  zone  preferenziali  non  come
 indicazioni  - e quindi evidentemente derogabili dalla regioni almeno
 per quanto concerne le zone sub f), g), h) e l) che si riferiscono  a
 delimitazioni ed ambiti territoriali prettamente regionali o ad opera
 delle  province  a  cio'  delegate  -  ma come determinazione di zone
 limitabili esclusivamente dal Ministro, sia pure previa intesa. Dove,
 rispetto a quest'ultima previsione, mancano pero' totalmente garanzie
 per  quanto  si  e'  sopra  esposto  nel  primo  motivo   in   ordine
 all'attivazione delle procedure di consultazione con le regioni.
     B) La rigidita' delle determinazioni suddette concentrate in capo
 all'autorita'  centrale  annienta,  in  definitiva,  il  potere delle
 regioni di collegare l'azione comunitaria alla propria programmazione
 generale e di settore, che viene svolta tenendo conto - come doveroso
 -  della  specificita'  delle   condizioni   economico-agricole   del
 territorio regionale.
    Sicche'  la regione e' costretta a subire l'applicazione di un re-
 gime che incide su attivita', sia produttive  che  di  organizzazione
 economica del territorio, al di fuori dei propri piani e programmi di
 sviluppo.
    C)  Soprattutto,  infine,  occorre  sottolineare  che  non  e'  un
 fondamento  della  normativa   comunitaria   una   suddivisione   del
 territorio cosi' tassativa e sistematica.
    La  normativa CEE parla di zone sensibili dal punto di vista della
 protezione dell'ambiente e delle risorse naturali e del  mantenimento
 dello  spazio  naturale e del paesaggio (cfr. artt. 19, 19- bis e 19-
 ter del regolamento CEE n. 797/1985) e rispetto  a  questi  obiettivi
 impegna lo Stato membro a determinare le zone.
    Il  che  importa  che nessun obbligo diretto sussiste, quanto alla
 individuazione  delle   zone   preferenziali   per   l'incentivazione
 all'imboschimento, e che la individuazione per tipologie, fatta dallo
 Stato, deve valere - e non puo' essere diversamente - al massimo come
 indicazione di indirizzo.
    Il  che  significa  primariamente - e cio' in base ad una corretta
 definizione della funzione di indirizzo  e  coordinamento,  la  quale
 deve  essere  aliena  dal  fornire  espressioni  cosi'  analitiche  e
 dettagliate, ovvero da  provocare  il  totale  assorbimento  di  ogni
 possibile    spazio    per   l'ulteriore   normazione   (cfr.   Corte
 costituzionale sentenza 10-18 febbraio 1988, n. 177) - che la regione
 deve potersene discostare, se la  propria  realta'  territoriale  non
 consente  una  applicazione  tout court delle disposizioni prescritte
 dal Ministero.
    Come  e',  del  resto,  per  la  regione  Emilia-Romagna,  laddove
 l'assoggettamento   integrale   delle   aree  costituite  da  A.F.V.,
 T.G.S.C., zone di protezione (lettere f), g) e h)), al  regime  delle
 zone   preferenziali,   importerebbe   uno  squilibrio  nel  contesto
 ambientale agricolo e naturale del territorio regionale, dato che  si
 tratta  del  70% di terreni di pianura, dove favorire l'imboschimento
 implicherebbe una riconversione inopportuna di terreno  fertile,  per
 lo  piu'  coltivato  a frutteto, non consona con lo sviluppo impresso
 dalla regione Emilia-Romagna alla propria economia agricola.
    Senza considerare, poi, che nella fattispecie, in  assenza  di  un
 obbligo  direttamente  ricollegabile alla disciplina comunitaria, e a
 fronte, quindi, della ritenuta  esigenza  da  parte  dello  Stato  di
 emanare  disposizioni  uniformi nell'interesse nazionale, la funzione
 di indirizzo e coordinamento avrebbe dovuto essere  esercitata  nelle
 forme  dovute,  vale  a  dire con legge o atto equiparato, o mediante
 deliberazione del Consiglio dei Ministri, ai sensi di quanto disposto
 dal quinto e sesto comma dell'art. 9 della legge n. 86/1989.
    Con la conseguenza che il d.m. e', altresi', mezzo inidoneo  sotto
 il  profilo  della  gerarchia  delle  fonti, ad esprimere indicazioni
 vincolanti (su cui cfr. Corte costituzionale n. 284/1989).
     D)  In  definitiva,  occorre  altresi'  osservare   che   sarebbe
 sufficiente   -   rispetto   allo   specifico   problema  delle  zone
 preferenziali - rimuovere dal  contesto  dell'art.  7,  terzo  comma,
 ultimo  capoverso,  l'inciso ".. .. .... il Ministero potra' limitare
 la  superficie  delle  zone  preferenziali..  ..  ...."  che  e'   la
 disposizione  che  centralizza e sottordina illegittimamente scelte e
 poteri di esclusiva e pacifica  spettanza  regionale  e  fatti  salvi
 dalla normativa comunitaria.
                               P. Q. M.
    Voglia  l'ecc.ma  Corte  costituzionale dichiarare che spetta alla
 regione il  ruolo  primario  di  responsabile  dell'attuazione  degli
 interventi derivanti dalle disposizioni contenute nel regolamento CEE
 n. 797/1985 e successive modificazioni; che spetta alla regione e non
 allo  Stato  provvedere  ad individuare le zone preferenziali ai fini
 del cumulo di  aiuti  a  favore  dell'imboschimento  in  luogo  delle
 colture  agricole,  in  ragione  delle specifiche esigenze agricole e
 produttive del territorio regionale;  conseguentemente  annullare  le
 disposizioni  del  d.m.  19  febbraio 1991, n. 63, impugnate, siccome
 illegittime.
      Bologna-Roma, addi' 19 aprile 1991
                  Il presidente: (firma illeggibile)

 91C0611