N. 250 SENTENZA 22 maggio - 6 giugno 1991
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Procedimento a carico di minorenne - Indagini preliminari - Ritenuta tenuita' del fatto e occasionalita' del del comportamento - Proscioglimento per irrilevanza del fatto - Denunciata introduzione di una nuova causa di non punibilita'- Prospettata attribuzione al p. m. di un potere di disposizione dell'azione penale con violazione del principio di obbligatorieta'- Ritenuto eccessivo favor minoris senza garanzie di pari applicazione Creazione di un nuovo istituto, con natura di diritto sostanziale, estraneo ai principi direttivi della legge di delegazione - Eccesso d delega - Illegittimita' costituzionale. (D.P.R. 22 agosto 1988, n. 448, art. 27). (Cost., artt. 3, 76 e 112). Processo penale - Procedimento a carico di minore - Udienza preliminare - Ritenuta tenuita' del fatto e occasionalita' del comportamento - Proscioglimento per irrilevanza del fatto - Illegittimita' costituzionale conseguenziale. (D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 32, primo comma, come nuovo d.lgs 14 gennaio 1991, n. 12, art. 46). (Legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27). Processo penale - Procedimento a carico di minore - Udienza preliminare - Ritenuta tenuita' del fatto e occasionalita' del comportamento - Proscioglimento per irrilevanza del fatto - Illegittimita' costituzionale conseguenziale. (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 272, artt. 26 e 30, primo comma). (Legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27).(GU n.23 del 12-6-1991 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Aldo CORASANITI; Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 27 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), promosso con ordinanza emessa il 23 ottobre 1990 dal Tribunale per i minorenni di Bologna nel procedimento penale a carico di Galassi Massimo ed altro, iscritta al n. 8 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1991; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 20 marzo 1991 il Giudice relatore Mauro Ferri; RITENUTO IN FATTO 1. - Nel corso del giudizio conseguente ad opposizione proposta dal pubblico ministero avverso sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto emessa dal giudice per l'udienza preliminare nei confronti di Galassi Massimo ed altro, il Tribunale per i minorenni di Bologna ha sollevato, con ordinanza del 23 ottobre 1990, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 27 delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni (testo approvato con d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448), in riferimento agli artt. 76, 112 e 3 della Costituzione. Osserva il giudice remittente che il proscioglimento per irrilevanza del fatto - previsto dalla norma impugnata -, sebbene nominalmente profilato come formula di carattere processuale, ha chiaro contenuto sostanziale, in quanto implica un giudizio sull'evento ("tenuita' del fatto") e sulla condotta ("occasionalita' del comportamento"). Si tratta, cioe', di una fattispecie di non punibilita' del fatto introdotta al fine di perseguire per via giudiziaria una decriminalizzazione dei minori ricorrendo anche a elementi desumibili da un giudizio di opportunita' in concreto ("quando l'ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative"): si richiede, pertanto, un'attivita' di cognizione e una valutazione discretiva. Cio' comporta, innanzitutto, ad avviso del remittente, la violazione dell'art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega, poiche' i poteri conferiti al legislatore delegato di adeguare i principi fissati nel nuovo processo penale alle esigenze evolutive dei minori, al fine di dettare le nuove disposizioni sul processo penale nei loro confronti (art. 3 della legge-delega), ineriscono alla materia processuale e non a quella sostanziale, implicante scelte di politica criminale. In secondo luogo, la formula di proscioglimento di cui all'art. 27 conferisce al pubblico ministero un potere dispositivo sull'azione penale, con violazione dell'art. 112 della Costituzione; e il fatto che il legislatore abbia optato, dopo un ripensamento, per una "sentenza", anziche' per una "archiviazione", non elimina questo aspetto della questione. Nel sistema del nuovo processo penale, l'esercizio dell'azione penale non e' piu' una richiesta di decisione fatta dal pubblico ministero al giudice, ma una richiesta di punizione, la cui alternativa e' la richiesta di archiviazione: nella specie, sia l'iter processuale, sia i poteri riservati al giudice nella norma impugnata presentano significativa analogia con quelli previsti nell'istituto dell'archiviazione.In definitiva, anche in questo caso il pubblico ministero decide di non richiedere la punizione, ma lo fa non gia' in forza di considerazioni attinenti alla prova della responsabilita' penale, bensi' all'opportunita' della persecuzione penale. Inoltre, prosegue il giudice a quo, l'aver introdotto la categoria della "irrilevanza del fatto", ancorata a valutazioni oggettive assolutamente generiche, oltre che a stime prognostiche di ordine psicopedagogico, e averla finalizzata al proscioglimento (e non alla sola determinazione del trattamento conseguente al reato), sembra sacrificare il principio di uguaglianza (art. 3, primo comma, della Costituzione) ad un favor minoris privo di garanzie di paritaria applicazione, in quanto realizzato rinviando a criteri tanto suscettibili di disomogenea adozione da approssimarsi al "diritto libero". In ordine, infine, alla rilevanza della questione, il giudice remittente rileva che dalla sua definizione puo' dipendere direttamente il tenore della pronuncia. 2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. In ordine al denunciato eccesso di delega, l'Avvocatura dello Stato osserva che i criteri direttivi di cui agli artt. 2 e 3 della legge n. 81 del 1987 involgono molteplici aspetti di natura sostanziale, connessi con le esigenze del nuovo processo, anche a scopo meramente deflattivo. Tale finalita' deflattiva assume nel processo minorile specifiche connotazioni, fondendosi con quella di limitare i possibili effetti dannosi del processo sulla personalita' in fieri del minorenne. In conclusione, la norma denunciata non puo' ritenersi estranea alla materia delegata sol perche' presenta un profilo di diritto sostanziale, specie se si tiene conto dell'ampia delega contenuta nel preambolo dell'art. 3 della citata legge n. 81/87. Quanto alla presunta violazione dell'art. 112 della Costituzione, l'Avvocatura osserva che la richiesta del pubblico ministero non elude il principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale, essendo comunque rivolta a provocare una pronuncia giurisdizionale sul fatto- reato. In merito, infine, alla denunciata violazione del principio di eguaglianza, l'interveniente rileva che essa non sussiste, ne' con riferimento al diverso trattamento riservato in casi analoghi agli adulti - per le evidenti esigenze di tutela dei minori che fanno del processo a loro carico un sistema del tutto peculiare -, ne' con riferimento agli stessi minori, in relazione all'ampia discrezionalita' attribuita al giudice nella valutazione dei presupposti applicativi della norma de qua, in quanto eventuali diseguaglianze non discendono dalla norma, bensi' conseguono fisiologicamente all'esercizio del potere discrezionale del giudice. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. - La questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Tribunale per i minorenni di Bologna investe l'art. 27 del testo delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni approvato con d.P.R 22 settembre 1988, n. 448. Tale norma prevede che il giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, quando l'ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne, se risulta la tenuita' del fatto e la occasionalita' del comportamento. Il giudice remittente ha fatto riferimento all'art. 76 della Costituzione, ritenendo che possa esser stata "ecceduta la sfera di delegazione legislativa", all'art. 112 perche' sarebbe stato conferito al pubblico ministero un potere dispositivo sull'azione penale legato a considerazioni di "opportunita' della persecuzione penale" e all'art. 3 in quanto verrebbe sacrificato "il principio di uguaglianza a un favor minoris privo di garanzie di paritaria applicazione". 2. - Con la norma censurata, - come e' stato messo in luce dalla dottrina e dalla giurisprudenza dei giudici di merito -, e' stato introdotto nel sistema penale minorile un nuovo istituto: non si procedera' contro l'imputato minorenne "per irrilevanza del fatto" quando si verifichino due condizioni, una oggettiva, vale a dire che il fatto sia tenue ed il comportamento occasionale, l'altra soggettiva e cioe' che l'ulteriore corso del procedimento pregiudichi le esigenze educative del minorenne. Il testo dell'art. 27 delle disposizioni approvate col citato d.P.R. n. 448 del 1988 presenta notevoli differenze rispetto alla redazione del progetto preliminare. Quest'ultimo aveva previsto, all'art. 23, la pronuncia di un decreto di archiviazione del giudice su richiesta del pubblico ministero, quando "per la tenuita' del fatto e per l'occasionalita' del comportamento, l'ulteriore corso del procedimento non risponde alle esigenze educative del minorenne e a quelle di tutela della collettivita'". La relazione al progetto preliminare sottolineava in proposito: "Il meccanismo processuale prescelto non incide sulla fattispecie sostanziale del reato, (cioe' sui suoi elementi costitutivi o sulle condizioni di punibilita'), e quindi non esclude il promovimento dell'azione penale, ma si limita a consentire l'anticipata conclusione del processo con una pronuncia fondata sulla valutazione comparativa degli effetti positivi e negativi dello svolgimento del normale iter processuale, in considerazione delle concrete caratteristiche del fatto e della personalita' del minore imputato". Nel testo definitivo, divenuto art. 27, la pronuncia ha luogo con sentenza, e la condizione "quando l'ulteriore corso del procedimento non risponde alle esigenze educative del minorenne e a quelle di tutela della collettivita'" e' divenuta "(quando) pregiudica le esigenze educative del minorenne", essendo stato eliminato il riferimento alla "tutela della collettivita'". La relazione chiarisce che e' stato accolto il suggerimento della Commissione parlamentare, prevedendosi la sentenza anziche' il decreto di archiviazione, "tenuto conto delle perplessita' da alcune parti manifestate circa la compatibilita' dell'archiviazione con il principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale sancito dall'art. 112 della Costituzione". E' appena il caso di aggiungere che, in forza dell'art. 32 del testo delle disposizioni approvate col d.P.R. n. 448 del 1988 - ora modificato dall'art. 46 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12 - e dell'art. 26 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto puo' essere pronunciata o dal giudice per le indagini preliminari su richiesta del pubbblico ministero se "fin dalle prime indagini risulta che sussistono le condizioni previste dall'art. 27", o dal giudice dell'udienza preliminare (nella composizione collegiale prevista dall'art. 50-bis, secondo comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, introdotto dall'art. 14 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449). 3. - Cosi' sommariamente richiamato l'iter legislativo della norma, risultano del tutto evidenti le caratteristiche del nuovo istituto: si tratta in sostanza di una sorta di depenalizzazione che, sul presupposto della tenuita' del fatto e dell'occasionalita' del comportamento, e' condizionata alla verifica, da valutarsi necessariamente in rapporto al singolo soggetto, del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento rechi alle esigenze educative del minore. Quest'ultimo aspetto e' stato posto in particolare evidenza dalla dottrina, che ha identificato la ratio della norma nella estromissione immediata, o quanto meno la piu' possibile sollecita, dal circuito penale di condotte devianti, le quali siano prive di allarme sociale per la loro tenuita' ed occasionalita' ed appaiano destinate a rimanere nella vita del minore un fatto episodico e ad essere autonomamente riassorbite. In simili casi le dottrine criminologiche e psicologiche ritengono il contatto del minore con la giustizia non soltanto privo di ogni utilita' sociale, ma anzi foriero di possibili danni, di guisa che sarebbe preferibile, evitando ogni forma di intervento, che il sistema della giustizia penale rimanga assolutamente inerte. La medesima dottrina ha rilevato come questi principi e finalita', che troverebbero fondamento in dichiarazioni e raccomandazioni internazionali (Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, o "regole di Pechino", approvate nel 1985 dall'Assemblea delle Nazioni Unite, e Raccomandazione sulle "reazioni sociali alla delinquenza minorile" approvata nel 1987 dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa), siano stati solo in parte applicati nella norma in esame. Infatti l'intento di estromettere rapidamente il minore dal circuito processuale e' sostanzialmente vanificato, una volta che la improcedibilita' per irrilevanza del fatto deve essere pronunciata, anziche' con decreto di archiviazione, con sentenza - soggetta ovviamente ad impugnazione - previa audizione del minore, dell'esercente la potesta' dei genitori e della parte offesa. Sulla base degli elementi sopra richiamati sui quali la dottrina e' concorde, - del resto essi si ricavano senza alcuna incertezza dalla lettura testuale della norma, a partire dal progetto preliminare fino alla formulazione definitiva, - emergono chiaramente due essenziali connotazioni. La prima e' che l'istituto della "irrilevanza del fatto" e' assolutamente nuovo nel nostro sistema penale; la seconda e' che esso, pur presentando, - e non potrebbe essere altrimenti -, implicazioni di carattere processuale, attiene al diritto sostanziale, in quanto viene a dar vita ad una causa di non punibilita', mai fino ad ora prevista ne' in linea generale, ne' limitatamente agli imputati minorenni. 4. - In ordine logico la questione va in primo luogo esaminata sotto il profilo della prospettata violazione dell'art. 76 della Costituzione. In riferimento a tale parametro la questione e' fondata. Il giudice a quo dubita in sostanza che il Governo abbia ecceduto la sfera di delegazione conferitagli emanando una norma che non attiene alla materia processuale bensi' a quella sostanziale. Inoltre - sempre secondo il Tribunale remittente - la legge di delegazione non conteneva "determinazione di principi e criteri direttivi esprimenti scelte di politica criminale". Prendendo in esame l'oggetto della delega, la cui definizione, secondo il dettato dell'art. 76 della Costituzione, e' indicata come un limite necessario per la delegazione al Governo della funzione legislativa, si rileva dalla lettura della legge 16 febbraio 1987 n. 81 che il Governo e' stato delegato con l'art. 1 "ad emanare il nuovo codice di procedura penale", e con l'art. 3, che qui piu' direttamente interessa, "a disciplinare il processo a carico di imputati minorenni al momento della commissione del reato". E' chiaro quindi che dalla definizione dell'oggetto la delega contenuta nella citata legge n. 81 e' limitata alla riforma del processo penale, sia nella sua disciplina generale, sia nelle norme particolari che regolano specificamente il processo minorile. A tale constatazione l'Avvocatura dello Stato ha opposto che nel sistema penale la distinzione fra norme e istituti di natura sostanziale e norme e istituti di natura processuale non e' cosi' rigida, e che nei principi direttivi enunciati nell'art. 2 e nell'art. 3 della citata legge di delegazione sussistono previsioni di natura sostanziale: di conseguenza, il fatto che la norma emanata dal legislatore delegato abbia una prevalente valenza di diritto sostanziale non autorizzerebbe a ritenere che siano stati travalicati i limiti della delega cosi' da integrare una violazione dell'art. 76 della Costituzione. Siffatte argomentazioni sono da ritenersi valide quando, a prescindere dalla definizione dell'oggetto della delega, la norma adottata dal legislatore delegato sia sorretta da una esplicita previsione enunciata nei principi direttivi, o trovi quanto meno in essi una indicazione cui la norma stessa possa riferirsi, cosi' da esserne considerata il coerente sviluppo e la concreta applicazione. E cio' e' tanto piu' vero, in quanto il Parlamento, approvando una legge di delegazione, non e' certo tenuto a rispettare regole metodologicamente rigorose, e puo' bene con la espressa enunciazione di un determinato principio direttivo estendere la delega ad una normativa che altrimenti non sarebbe di per se' compresa nella definizione dell'oggetto. 5. - Orbene la norma in esame, che, come si e' visto, ha posto in essere una nuova causa di non punibilita' dell'imputato minorenne, non trova di per se' collocazione all'interno dell'oggetto della legge-delega in ragione della sua preminente natura di diritto sostanziale. Tuttavia, come si e' detto sopra, il vizio di eccesso di delega per esorbitanza dall'oggetto non sussisterebbe ove la norma delegata trovasse il suo supporto nei principi direttivi. Che vi sia questo supporto e' stato affermato in dottrina ed e' pure quanto sostiene nel suo atto di intervento l'Avvocatura generale dello Stato. Occorre dunque procedere ad una attenta disamina dei principi stessi, a partire da quelli contenuti nell'art. 3 che si riferisce alla disciplina del processo a carico di imputati minorenni. In tale articolo e' enunciata, dalla lettera a) alla lettera p), una serie di criteri formulati in modo dettagliato: fra questi non si trova alcuna previsione di una nuova causa di non punibilita', ne' alcun elemento indicativo da cui tale istituto possa trovare derivazione. Vi e' poi un ulteriore rilievo: alla lettera l) la delega prevede espressamente che "il giudice nell'udienza preliminare possa prosciogliere anche per la non imputabilita', ai sensi dell'articolo 98 del codice penale, e per la concessione del perdono giudiziale". Ove percio' il legislatore avesse voluto, sconfinando per cosi' dire dall'oggetto, prevedere una ipotesi quale quella della non punibilita' per irrilevanza del fatto, avrebbe dovuto in questa sede inserire una specifica indicazione; poiche' non ve n'e' traccia, si deve dedurne che la norma emanata dal legislatore delegato fuoriesce dai limiti della delega, a meno che non si trovi in altra parte della legge un principio cui ancorarla. 6. - In tal senso si sostiene che il legislatore delegato avrebbe correttamente usato dei suoi poteri fondando la previsione del nuovo istituto sulla prima parte dell'art. 3 della legge di delegazione, la quale enuncia, prima dei criteri contenuti sotto le lettere dall' a) alla p), il principio direttivo, per cosi' dire generale, in base al quale il processo minorile deve essere disciplinato "secondo i principi generali del nuovo processo penale, con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturita' e dalle esigenze della sua educazione". Ora, e' agevole osservare che il principio anzidetto si riduce alla enunciazione sintetica delle ragioni stesse che giustificano la peculiarita' del processo penale a carico di imputati minorenni, e la conseguente esigenza di una normativa speciale. Tale processo deve comunque essere ancorato al nuovo processo penale cui possono essere apportate le opportune modificazioni ed integrazioni; vale a dire che la normativa regolatrice del processo minorile, per rimanere nell'ambito della delega, va sempre collegata alle norme del nuovo processo penale. Del nuovo istituto della non punibilita' dell'imputato per irrilevanza del fatto non e' dato rinvenire alcuna traccia nei principi e criteri del nuovo processo penale, enunciati del resto quasi sempre in forma dettagliata dal numero 1 al 105 dell'art. 2. Quanto alla prima parte del citato art. 2, essa menziona soltanto "i principi della Costituzione" e le "norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale", nonche' "i caratteri del sistema accusatorio" da attuarsi secondo i principi ed i criteri successivamente specificati. Le regole minime delle Nazioni Unite per l'amministrazione della giustizia minorile (le cosiddette regole di Pechino) e la raccomandazione n. 20/87 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa - cui la dottrina si richiama - non rientrano certamente nel novero delle convenzioni internazionali ratificate; ne' peraltro di esse o di atti internazionali in genere concernenti i minori vi e' cenno nell'art. 3 della legge-delega. Sarebbe quindi inutile verificare se poi in effetti la norma in esame possa trovare in tali documenti un adeguato supporto. 7. - Si deve percio' necessariamente concludere per la sussistenza del vizio di eccesso di delega prospettato dal Tribunale remittente. Siffatta conclusione e' in armonia con la giurisprudenza di questa Corte, ed in particolare con le recenti sentenze che hanno avuto per oggetto questioni di eccesso di delega relative a norme del nuovo codice di procedura penale e del nuovo processo minorile. In tale materia - che incide su diritti fondamentali della persona - le scelte del legislatore delegato sono state ritenute costituzionalmente illegittime ogni qual volta si sono poste in contrasto con i principi direttivi della legge delega - enunciati come si e' detto in forma di criteri che il piu' delle volte sono vere e proprie norme di dettaglio -, o comunque al di fuori da ogni previsione in essi contenuta (v. sentt. nn. 435, 496 e 529 del 1990, 68 e 176 del 1991). Per quanto attiene invece al processo minorile, la sent. n. 182 del 1991 ha escluso l'illegittimita' costituzionale per eccesso di delega dell'art. 37, secondo comma, del testo approvato con d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, in materia di applicazione di misure di sicurezza, in quanto il legislatore aveva adottato la norma impugnata applicando i criteri enunciati in via generale per il processo minorile dall'art. 3 prima parte, e in particolare dalla lett. e) dello stesso articolo, ancorandola alla direttiva n. 96 dell'art. 2 della legge di delegazione. Ma, come si e' visto sopra, non e' dato rinvenire un supporto analogo per l'istituto della non punibilita' per irrilevanza del fatto, istituto che costituisce oltre tutto - vale la pena di ricordarlo - un'assoluta novita' nel nostro sistema penale, sia dal punto di vista sostanziale che da quello processuale. 8. - Va quindi dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 27 del testo delle disposizioni sul processo minorile approvato con d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, restando assorbiti gli altri parametri costituzionali invocati dal Tribunale remittente. Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 devono di conseguenza subire la medesima sorte l'art. 32, primo comma, del testo citato, come modificato dall'art. 46 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12, limitatamente alle parole "o per irrilevanza del fatto a norma dell'art. 27", nonche' gli artt. 26 e 30, primo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del detto d.P.R. n. 448 del 1988, approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 27 del testo delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni approvato con d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448; Visto l'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 32, primo comma, del medesimo testo approvato col d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, come modificato dall'art. 46 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12, limitatamente alle parole "o per irrilevanza del fatto a norma dell'art. 27"; Dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 26 e 30, primo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1991. Il Presidente: CORASANITI Il redattore: FERRI Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 6 giugno 1991. Il direttore della cancelleria: MINELLI 91C0740