N. 250 SENTENZA 22 maggio - 6 giugno 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Processo penale - Procedimento a carico di minorenne - Indagini
 preliminari - Ritenuta tenuita' del fatto e occasionalita' del
 del comportamento - Proscioglimento per irrilevanza del fatto -
 Denunciata introduzione di una nuova causa di non punibilita'-
 Prospettata attribuzione al p. m. di un potere di disposizione
 dell'azione penale con violazione del principio di obbligatorieta'-
 Ritenuto eccessivo favor minoris senza garanzie di pari applicazione
 Creazione di un nuovo istituto, con natura di diritto sostanziale,
 estraneo ai principi direttivi della legge di delegazione - Eccesso d
 delega - Illegittimita' costituzionale.
 
 (D.P.R. 22 agosto 1988, n. 448, art. 27).
 
 (Cost., artt. 3, 76 e 112).
 
 Processo  penale  -  Procedimento  a  carico  di  minore  -   Udienza
 preliminare  -  Ritenuta  tenuita'  del    fatto e occasionalita' del
 comportamento  -  Proscioglimento  per  irrilevanza   del   fatto   -
 Illegittimita' costituzionale conseguenziale.
 
 (D.P.R.  22  settembre 1988, n. 448, art. 32, primo comma, come nuovo
 d.lgs 14 gennaio 1991, n. 12, art. 46).
 
 (Legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27).
 
 Processo  penale  -  Procedimento  a  carico  di  minore  -   Udienza
 preliminare  -  Ritenuta  tenuita'  del    fatto e occasionalita' del
 comportamento  -  Proscioglimento  per  irrilevanza   del   fatto   -
 Illegittimita' costituzionale conseguenziale.
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 272, artt. 26 e 30, primo comma).
 
 (Legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27).
(GU n.23 del 12-6-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 27 del d.P.R.
 22 settembre  1988,  n.  448  (Approvazione  delle  disposizioni  sul
 processo  penale  a  carico  di  imputati  minorenni),  promosso  con
 ordinanza emessa il 23 ottobre 1990 dal Tribunale per i minorenni  di
 Bologna nel procedimento penale a carico di Galassi Massimo ed altro,
 iscritta  al  n.  8  del  registro  ordinanze 1991 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  5,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio  del  20  marzo  1991  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
                           RITENUTO IN FATTO
    1.  -  Nel  corso del giudizio conseguente ad opposizione proposta
 dal pubblico ministero avverso sentenza di non luogo a procedere  per
 irrilevanza  del  fatto  emessa dal giudice per l'udienza preliminare
 nei confronti di  Galassi  Massimo  ed  altro,  il  Tribunale  per  i
 minorenni di Bologna ha sollevato, con ordinanza del 23 ottobre 1990,
 questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.  27  delle
 disposizioni sul processo  penale  a  carico  di  imputati  minorenni
 (testo   approvato   con  d.P.R.  22  settembre  1988,  n.  448),  in
 riferimento agli artt. 76, 112 e 3 della Costituzione.
    Osserva  il  giudice  remittente  che   il   proscioglimento   per
 irrilevanza  del  fatto  -  previsto dalla norma impugnata -, sebbene
 nominalmente profilato come  formula  di  carattere  processuale,  ha
 chiaro   contenuto   sostanziale,   in  quanto  implica  un  giudizio
 sull'evento ("tenuita' del fatto") e sulla condotta  ("occasionalita'
 del  comportamento").  Si  tratta,  cioe',  di una fattispecie di non
 punibilita' del fatto  introdotta  al  fine  di  perseguire  per  via
 giudiziaria  una  decriminalizzazione  dei  minori ricorrendo anche a
 elementi desumibili  da  un  giudizio  di  opportunita'  in  concreto
 ("quando  l'ulteriore  corso  del procedimento pregiudica le esigenze
 educative"): si richiede, pertanto, un'attivita' di cognizione e  una
 valutazione discretiva.
    Cio'   comporta,   innanzitutto,  ad  avviso  del  remittente,  la
 violazione dell'art. 76 della Costituzione, per  eccesso  di  delega,
 poiche'  i  poteri  conferiti  al  legislatore delegato di adeguare i
 principi fissati nel nuovo processo penale  alle  esigenze  evolutive
 dei  minori,  al  fine  di dettare le nuove disposizioni sul processo
 penale nei loro confronti (art.  3  della  legge-delega),  ineriscono
 alla  materia  processuale  e  non  a  quella sostanziale, implicante
 scelte di politica criminale.
    In secondo luogo, la formula di proscioglimento di cui all'art. 27
 conferisce al pubblico ministero un  potere  dispositivo  sull'azione
 penale,  con  violazione dell'art. 112 della Costituzione; e il fatto
 che il legislatore  abbia  optato,  dopo  un  ripensamento,  per  una
 "sentenza",  anziche'  per  una  "archiviazione",  non elimina questo
 aspetto della questione.  Nel  sistema  del  nuovo  processo  penale,
 l'esercizio dell'azione penale non e' piu' una richiesta di decisione
 fatta  dal  pubblico  ministero  al  giudice,  ma  una  richiesta  di
 punizione, la cui alternativa e' la richiesta di archiviazione: nella
 specie, sia l'iter processuale, sia i  poteri  riservati  al  giudice
 nella  norma  impugnata  presentano significativa analogia con quelli
 previsti nell'istituto  dell'archiviazione.In  definitiva,  anche  in
 questo  caso  il  pubblico  ministero  decide  di  non  richiedere la
 punizione, ma lo fa non gia' in  forza  di  considerazioni  attinenti
 alla  prova  della  responsabilita'  penale,  bensi' all'opportunita'
 della persecuzione penale.
    Inoltre, prosegue il giudice a quo, l'aver introdotto la categoria
 della "irrilevanza  del  fatto",  ancorata  a  valutazioni  oggettive
 assolutamente  generiche,  oltre  che  a stime prognostiche di ordine
 psicopedagogico, e averla finalizzata al proscioglimento (e non  alla
 sola  determinazione  del  trattamento  conseguente al reato), sembra
 sacrificare il principio di uguaglianza (art. 3, primo  comma,  della
 Costituzione)  ad  un  favor  minoris  privo di garanzie di paritaria
 applicazione,  in  quanto  realizzato  rinviando  a   criteri   tanto
 suscettibili  di  disomogenea  adozione  da approssimarsi al "diritto
 libero".
    In  ordine,  infine,  alla  rilevanza  della questione, il giudice
 remittente  rileva  che  dalla   sua   definizione   puo'   dipendere
 direttamente il tenore della pronuncia.
    2.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
    In ordine al denunciato  eccesso  di  delega,  l'Avvocatura  dello
 Stato  osserva  che i criteri direttivi di cui agli artt. 2 e 3 della
 legge  n.  81  del  1987  involgono  molteplici  aspetti  di   natura
 sostanziale,  connessi  con  le  esigenze del nuovo processo, anche a
 scopo meramente deflattivo.  Tale  finalita'  deflattiva  assume  nel
 processo  minorile  specifiche connotazioni, fondendosi con quella di
 limitare i possibili effetti dannosi del processo sulla  personalita'
 in  fieri del minorenne. In conclusione, la norma denunciata non puo'
 ritenersi estranea alla materia  delegata  sol  perche'  presenta  un
 profilo  di  diritto sostanziale, specie se si tiene conto dell'ampia
 delega contenuta nel preambolo dell'art.  3  della  citata  legge  n.
 81/87.
    Quanto  alla presunta violazione dell'art. 112 della Costituzione,
 l'Avvocatura osserva che la  richiesta  del  pubblico  ministero  non
 elude  il  principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale, essendo
 comunque rivolta a provocare una pronuncia giurisdizionale sul fatto-
 reato.
    In merito, infine, alla denunciata  violazione  del  principio  di
 eguaglianza,  l'interveniente  rileva  che essa non sussiste, ne' con
 riferimento al diverso trattamento riservato in  casi  analoghi  agli
 adulti  - per le evidenti esigenze di tutela dei minori che fanno del
 processo a loro carico un sistema del  tutto  peculiare  -,  ne'  con
 riferimento    agli    stessi    minori,   in   relazione   all'ampia
 discrezionalita'  attribuita  al  giudice   nella   valutazione   dei
 presupposti  applicativi  della  norma  de  qua,  in quanto eventuali
 diseguaglianze  non  discendono  dalla   norma,   bensi'   conseguono
 fisiologicamente all'esercizio del potere discrezionale del giudice.
                        CONSIDERATO IN DIRITTO
    1.  -  La  questione  di legittimita' costituzionale sollevata dal
 Tribunale per i minorenni di Bologna  investe  l'art.  27  del  testo
 delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni
 approvato con d.P.R 22 settembre 1988,
 n.   448.   Tale  norma  prevede  che  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari, su richiesta del pubblico ministero,  possa  pronunciare
 sentenza  di  non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, quando
 l'ulteriore corso del procedimento pregiudica le  esigenze  educative
 del  minorenne,  se risulta la tenuita' del fatto e la occasionalita'
 del  comportamento.  Il  giudice  remittente  ha  fatto   riferimento
 all'art.  76  della  Costituzione,  ritenendo  che  possa esser stata
 "ecceduta la sfera di delegazione legislativa", all'art. 112  perche'
 sarebbe  stato  conferito al pubblico ministero un potere dispositivo
 sull'azione penale legato a  considerazioni  di  "opportunita'  della
 persecuzione  penale" e all'art. 3 in quanto verrebbe sacrificato "il
 principio di uguaglianza a un favor  minoris  privo  di  garanzie  di
 paritaria applicazione".
    2.  -  Con la norma censurata, - come e' stato messo in luce dalla
 dottrina e dalla giurisprudenza dei giudici di  merito  -,  e'  stato
 introdotto  nel  sistema  penale  minorile  un nuovo istituto: non si
 procedera' contro l'imputato minorenne "per  irrilevanza  del  fatto"
 quando  si verifichino due condizioni, una oggettiva, vale a dire che
 il  fatto  sia  tenue  ed  il  comportamento   occasionale,   l'altra
 soggettiva e cioe' che l'ulteriore corso del procedimento pregiudichi
 le esigenze educative del minorenne.
    Il  testo  dell'art.  27  delle  disposizioni approvate col citato
 d.P.R. n. 448 del 1988 presenta  notevoli  differenze  rispetto  alla
 redazione  del  progetto  preliminare.  Quest'ultimo  aveva previsto,
 all'art. 23, la pronuncia di un decreto di archiviazione del  giudice
 su  richiesta  del  pubblico  ministero,  quando "per la tenuita' del
 fatto e per l'occasionalita' del comportamento, l'ulteriore corso del
 procedimento non risponde alle esigenze educative del minorenne  e  a
 quelle di tutela della collettivita'".
    La  relazione  al  progetto preliminare sottolineava in proposito:
 "Il meccanismo processuale prescelto  non  incide  sulla  fattispecie
 sostanziale  del  reato, (cioe' sui suoi elementi costitutivi o sulle
 condizioni di punibilita'), e  quindi  non  esclude  il  promovimento
 dell'azione   penale,   ma   si   limita  a  consentire  l'anticipata
 conclusione del processo con una pronuncia fondata sulla  valutazione
 comparativa  degli  effetti positivi e negativi dello svolgimento del
 normale  iter   processuale,   in   considerazione   delle   concrete
 caratteristiche del fatto e della personalita' del minore imputato".
    Nel  testo definitivo, divenuto art. 27, la pronuncia ha luogo con
 sentenza, e la condizione "quando l'ulteriore corso del  procedimento
 non  risponde  alle  esigenze  educative  del minorenne e a quelle di
 tutela della  collettivita'"  e'  divenuta  "(quando)  pregiudica  le
 esigenze   educative  del  minorenne",  essendo  stato  eliminato  il
 riferimento alla "tutela della collettivita'". La relazione chiarisce
 che e' stato accolto il suggerimento della Commissione  parlamentare,
 prevedendosi  la  sentenza  anziche'  il  decreto  di  archiviazione,
 "tenuto conto delle perplessita' da alcune parti manifestate circa la
 compatibilita'     dell'archiviazione      con      il      principio
 dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale sancito dall'art. 112 della
 Costituzione".
    E' appena il caso di aggiungere che, in  forza  dell'art.  32  del
 testo  delle  disposizioni approvate col d.P.R. n. 448 del 1988 - ora
 modificato dall'art. 46 del decreto legislativo 14 gennaio  1991,  n.
 12  -  e  dell'art.  26  del  testo  delle  norme  di  attuazione, di
 coordinamento e transitorie, approvato  con  decreto  legislativo  28
 luglio  1989,  n.  272,  la  sentenza  di  non  luogo a procedere per
 irrilevanza del fatto puo' essere pronunciata o dal  giudice  per  le
 indagini  preliminari  su  richiesta  del pubbblico ministero se "fin
 dalle prime indagini risulta che sussistono  le  condizioni  previste
 dall'art.   27",   o  dal  giudice  dell'udienza  preliminare  (nella
 composizione collegiale prevista dall'art. 50-bis, secondo comma, del
 regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12,  introdotto  dall'art.  14  del
 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449).
    3.  -  Cosi'  sommariamente  richiamato  l'iter  legislativo della
 norma, risultano del tutto  evidenti  le  caratteristiche  del  nuovo
 istituto: si tratta in sostanza di una sorta di depenalizzazione che,
 sul  presupposto  della  tenuita' del fatto e dell'occasionalita' del
 comportamento,  e'   condizionata   alla   verifica,   da   valutarsi
 necessariamente  in rapporto al singolo soggetto, del pregiudizio che
 l'ulteriore corso del procedimento rechi alle esigenze educative  del
 minore.  Quest'ultimo  aspetto e' stato posto in particolare evidenza
 dalla dottrina, che  ha  identificato  la  ratio  della  norma  nella
 estromissione  immediata,  o quanto meno la piu' possibile sollecita,
 dal circuito penale di condotte devianti, le  quali  siano  prive  di
 allarme  sociale  per  la loro tenuita' ed occasionalita' ed appaiano
 destinate a rimanere nella vita del minore un fatto  episodico  e  ad
 essere   autonomamente   riassorbite.  In  simili  casi  le  dottrine
 criminologiche e psicologiche ritengono il contatto del minore con la
 giustizia non soltanto  privo  di  ogni  utilita'  sociale,  ma  anzi
 foriero  di  possibili  danni,  di  guisa  che  sarebbe  preferibile,
 evitando ogni forma di intervento, che  il  sistema  della  giustizia
 penale rimanga assolutamente inerte.
    La medesima dottrina ha rilevato come questi principi e finalita',
 che   troverebbero  fondamento  in  dichiarazioni  e  raccomandazioni
 internazionali (Regole minime per l'amministrazione  della  giustizia
 minorile,  o  "regole  di Pechino", approvate nel 1985 dall'Assemblea
 delle Nazioni Unite, e Raccomandazione sulle "reazioni  sociali  alla
 delinquenza  minorile"  approvata  nel 1987 dal Comitato dei ministri
 del Consiglio d'Europa), siano stati solo in  parte  applicati  nella
 norma  in  esame.  Infatti  l'intento  di estromettere rapidamente il
 minore dal circuito processuale e'  sostanzialmente  vanificato,  una
 volta  che  la improcedibilita' per irrilevanza del fatto deve essere
 pronunciata, anziche' con decreto di archiviazione,  con  sentenza  -
 soggetta  ovviamente  ad  impugnazione - previa audizione del minore,
 dell'esercente la potesta' dei genitori e della parte offesa.
    Sulla base degli elementi sopra richiamati sui quali  la  dottrina
 e'  concorde,  -  del  resto essi si ricavano senza alcuna incertezza
 dalla  lettura  testuale  della  norma,  a   partire   dal   progetto
 preliminare fino alla formulazione definitiva, - emergono chiaramente
 due  essenziali  connotazioni.  La  prima  e'  che  l'istituto  della
 "irrilevanza del fatto" e' assolutamente  nuovo  nel  nostro  sistema
 penale;  la  seconda  e'  che esso, pur presentando, - e non potrebbe
 essere altrimenti -, implicazioni di carattere  processuale,  attiene
 al  diritto  sostanziale,  in quanto viene a dar vita ad una causa di
 non punibilita', mai fino ad ora prevista ne' in linea generale,  ne'
 limitatamente agli imputati minorenni.
    4.  -  In  ordine  logico la questione va in primo luogo esaminata
 sotto il profilo della  prospettata  violazione  dell'art.  76  della
 Costituzione.  In  riferimento  a  tale  parametro  la  questione  e'
 fondata.
   Il giudice a quo dubita in sostanza che il Governo  abbia  ecceduto
 la  sfera  di  delegazione  conferitagli  emanando  una norma che non
 attiene alla materia processuale bensi' a quella sostanziale. Inoltre
 - sempre secondo il Tribunale remittente - la  legge  di  delegazione
 non   conteneva  "determinazione  di  principi  e  criteri  direttivi
 esprimenti scelte di politica criminale".
    Prendendo in esame l'oggetto della  delega,  la  cui  definizione,
 secondo  il dettato dell'art. 76 della Costituzione, e' indicata come
 un limite necessario per la delegazione  al  Governo  della  funzione
 legislativa,  si rileva dalla lettura della legge 16 febbraio 1987 n.
 81 che il Governo e' stato delegato con l'art. 1 "ad emanare il nuovo
 codice  di  procedura  penale",  e  con  l'art.  3,  che   qui   piu'
 direttamente  interessa,  "a  disciplinare  il  processo  a carico di
 imputati minorenni al momento della commissione del reato". E' chiaro
 quindi  che  dalla definizione dell'oggetto la delega contenuta nella
 citata legge n. 81 e' limitata alla riforma del processo penale,  sia
 nella  sua  disciplina  generale,  sia  nelle  norme  particolari che
 regolano specificamente il processo minorile.  A  tale  constatazione
 l'Avvocatura  dello  Stato  ha  opposto  che  nel  sistema  penale la
 distinzione fra norme e istituti di  natura  sostanziale  e  norme  e
 istituti  di  natura  processuale  non  e'  cosi'  rigida,  e che nei
 principi direttivi enunciati nell'art. 2 e nell'art. 3  della  citata
 legge  di delegazione sussistono previsioni di natura sostanziale: di
 conseguenza, il fatto che la norma emanata dal  legislatore  delegato
 abbia   una   prevalente   valenza   di   diritto   sostanziale   non
 autorizzerebbe a ritenere che siano stati travalicati i limiti  della
 delega   cosi'   da  integrare  una  violazione  dell'art.  76  della
 Costituzione.
    Siffatte  argomentazioni  sono  da  ritenersi  valide  quando,   a
 prescindere  dalla  definizione  dell'oggetto  della delega, la norma
 adottata dal legislatore  delegato  sia  sorretta  da  una  esplicita
 previsione  enunciata  nei principi direttivi, o trovi quanto meno in
 essi una indicazione cui la norma stessa possa  riferirsi,  cosi'  da
 esserne  considerata il coerente sviluppo e la concreta applicazione.
 E cio' e' tanto piu' vero, in quanto il  Parlamento,  approvando  una
 legge  di  delegazione,  non  e'  certo  tenuto  a  rispettare regole
 metodologicamente rigorose, e puo' bene con la espressa  enunciazione
 di  un  determinato  principio  direttivo  estendere la delega ad una
 normativa che altrimenti  non  sarebbe  di  per  se'  compresa  nella
 definizione dell'oggetto.
    5.  - Orbene la norma in esame, che, come si e' visto, ha posto in
 essere una nuova causa di non  punibilita'  dell'imputato  minorenne,
 non  trova  di  per  se'  collocazione all'interno dell'oggetto della
 legge-delega in  ragione  della  sua  preminente  natura  di  diritto
 sostanziale.
    Tuttavia,  come  si  e' detto sopra, il vizio di eccesso di delega
 per esorbitanza dall'oggetto non sussisterebbe ove la norma  delegata
 trovasse  il  suo  supporto nei principi direttivi. Che vi sia questo
 supporto e' stato affermato in dottrina ed e'  pure  quanto  sostiene
 nel suo atto di intervento l'Avvocatura generale dello Stato. Occorre
 dunque  procedere  ad  una  attenta  disamina  dei principi stessi, a
 partire da  quelli  contenuti  nell'art.  3  che  si  riferisce  alla
 disciplina  del  processo  a  carico  di  imputati minorenni. In tale
 articolo e' enunciata, dalla lettera a) alla lettera p), una serie di
 criteri formulati in modo dettagliato: fra questi non si trova alcuna
 previsione di una nuova causa di non punibilita', ne' alcun  elemento
 indicativo  da cui tale istituto possa trovare derivazione. Vi e' poi
 un ulteriore rilievo: alla lettera l) la delega prevede espressamente
 che "il giudice nell'udienza preliminare  possa  prosciogliere  anche
 per  la  non  imputabilita',  ai  sensi  dell'articolo  98 del codice
 penale, e per la concessione del perdono giudiziale". Ove percio'  il
 legislatore  avesse  voluto, sconfinando per cosi' dire dall'oggetto,
 prevedere  una  ipotesi  quale  quella  della  non  punibilita'   per
 irrilevanza  del  fatto,  avrebbe  dovuto in questa sede inserire una
 specifica indicazione; poiche' non ve n'e' traccia, si  deve  dedurne
 che  la  norma  emanata dal legislatore delegato fuoriesce dai limiti
 della delega, a meno che non si trovi in altra parte della  legge  un
 principio cui ancorarla.
    6.  - In tal senso si sostiene che il legislatore delegato avrebbe
 correttamente usato dei suoi poteri fondando la previsione del  nuovo
 istituto sulla prima parte dell'art. 3 della legge di delegazione, la
 quale  enuncia, prima dei criteri contenuti sotto le lettere dall' a)
 alla p), il principio direttivo, per cosi' dire generale, in base  al
 quale  il  processo  minorile  deve  essere  disciplinato  "secondo i
 principi generali del nuovo processo penale, con le modificazioni  ed
 integrazioni  imposte  dalle  particolari condizioni psicologiche del
 minore, dalla sua maturita' e dalle esigenze della  sua  educazione".
 Ora,  e'  agevole osservare che il principio anzidetto si riduce alla
 enunciazione sintetica  delle  ragioni  stesse  che  giustificano  la
 peculiarita' del processo penale a carico di imputati minorenni, e la
 conseguente esigenza di una normativa speciale.
    Tale  processo  deve  comunque  essere  ancorato al nuovo processo
 penale cui possono essere apportate  le  opportune  modificazioni  ed
 integrazioni;  vale  a dire che la normativa regolatrice del processo
 minorile, per rimanere nell'ambito della delega, va sempre  collegata
 alle  norme  del  nuovo processo penale. Del nuovo istituto della non
 punibilita' dell'imputato per  irrilevanza  del  fatto  non  e'  dato
 rinvenire  alcuna  traccia  nei principi e criteri del nuovo processo
 penale, enunciati del resto quasi sempre  in  forma  dettagliata  dal
 numero  1 al 105 dell'art. 2. Quanto alla prima parte del citato art.
 2, essa menziona soltanto "i principi della Costituzione" e le "norme
 delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai
 diritti della persona e al processo penale", nonche' "i caratteri del
 sistema accusatorio" da attuarsi secondo  i  principi  ed  i  criteri
 successivamente specificati.
    Le  regole  minime delle Nazioni Unite per l'amministrazione della
 giustizia  minorile  (le  cosiddette  regole   di   Pechino)   e   la
 raccomandazione  n.  20/87  del  Comitato  dei ministri del Consiglio
 d'Europa - cui la dottrina si richiama - non rientrano certamente nel
 novero delle convenzioni internazionali ratificate; ne'  peraltro  di
 esse  o  di  atti internazionali in genere concernenti i minori vi e'
 cenno  nell'art.  3  della  legge-delega.  Sarebbe   quindi   inutile
 verificare  se poi in effetti la norma in esame possa trovare in tali
 documenti un adeguato supporto.
    7. - Si deve percio' necessariamente concludere per la sussistenza
 del vizio di eccesso di delega prospettato dal Tribunale remittente.
    Siffatta conclusione e' in armonia con la giurisprudenza di questa
 Corte, ed in particolare con le recenti sentenze che hanno avuto  per
 oggetto  questioni  di  eccesso  di delega relative a norme del nuovo
 codice di procedura penale e del nuovo  processo  minorile.  In  tale
 materia  -  che  incide  su  diritti  fondamentali della persona - le
 scelte    del    legislatore    delegato    sono    state    ritenute
 costituzionalmente  illegittime  ogni  qual  volta  si  sono poste in
 contrasto con i principi direttivi della  legge  delega  -  enunciati
 come  si  e'  detto  in forma di criteri che il piu' delle volte sono
 vere e proprie norme di dettaglio -, o comunque al di fuori  da  ogni
 previsione  in essi contenuta (v. sentt. nn. 435, 496 e 529 del 1990,
 68 e 176 del 1991). Per quanto attiene invece al  processo  minorile,
 la  sent.  n. 182 del 1991 ha escluso l'illegittimita' costituzionale
 per  eccesso  di  delega  dell'art.  37,  secondo  comma,  del  testo
 approvato  con  d.P.R.  22  settembre  1988,  n.  448,  in materia di
 applicazione di misure di sicurezza, in quanto il  legislatore  aveva
 adottato  la  norma  impugnata  applicando i criteri enunciati in via
 generale per il processo minorile  dall'art.  3  prima  parte,  e  in
 particolare  dalla  lett.  e) dello stesso articolo, ancorandola alla
 direttiva n. 96 dell'art. 2 della legge di delegazione. Ma,  come  si
 e'  visto  sopra,  non  e'  dato  rinvenire  un  supporto analogo per
 l'istituto della non punibilita' per irrilevanza del fatto,  istituto
 che   costituisce  oltre  tutto  -  vale  la  pena  di  ricordarlo  -
 un'assoluta novita' nel nostro sistema penale, sia dal punto di vista
 sostanziale che da quello processuale.
    8.  -  Va  quindi   dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
 dell'art.  27  del  testo  delle  disposizioni  sul processo minorile
 approvato con d.P.R. 22 settembre 1988, n.  448,  restando  assorbiti
 gli altri parametri costituzionali invocati dal Tribunale remittente.
 Ai  sensi  dell'art.  27  della  legge 11 marzo 1953, n. 87 devono di
 conseguenza subire la medesima sorte  l'art.  32,  primo  comma,  del
 testo citato, come modificato dall'art. 46 del decreto legislativo 14
 gennaio 1991, n. 12, limitatamente alle parole "o per irrilevanza del
 fatto  a norma dell'art. 27", nonche' gli artt. 26 e 30, primo comma,
 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento  e  transitorie
 del  detto  d.P.R. n. 448 del 1988, approvato con decreto legislativo
 28 luglio 1989, n. 272.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  27  del  testo
 delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni
 approvato con d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448;
    Visto l'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  32,  primo
 comma, del medesimo testo approvato col d.P.R. 22 settembre 1988,  n.
 448,  come modificato dall'art. 46 del decreto legislativo 14 gennaio
 1991, n. 12, limitatamente alle parole "o per irrilevanza del fatto a
 norma dell'art. 27";
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale  degli  artt.  26  e  30,
 primo  comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e
 transitorie del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, testo approvato con
 decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                          Il redattore: FERRI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 6 giugno 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0740