N. 252 ORDINANZA 22 maggio - 6 giugno 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo  codice  -  Norme  di  attuazione  -  Udienza
 preliminare  -  Nuove indagini e prove - Limitazioni - Questione gia'
 dichiarata non  fondata  (sentenza  n.  64/1991)  -  Definizione  del
 procedimento  allo  stato  degli  atti  -  Ragionevolezza - Manifesta
 infondatezza.
 
 (C.P.P., artt. 422, primo e secondo comma, e 425).
 
 (Cost., artt. 2, 3, 24 e 97).
(GU n.23 del 12-6-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 422, primo e
 secondo comma, e 425 del codice di procedura penale, e dell'art.  125
 del  testo  delle  norme d'attuazione, di coordinamento e transitorie
 del  codice  di  procedura  penale  (testo  approvato   con   decreto
 legislativo  28  luglio  1989,  n.  271), promossi con n. 4 ordinanze
 emesse dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Ancona iscritte ai nn. 85, 94, 109 e 110 del registro ordinanze  1991
 e  pubblicate  nelle  Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 9 e 10,
 prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 22 aprile 1991 il Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Ritenuto che il giudice per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale  di Ancona, nel corso di udienze preliminari nelle quali la
 difesa degli imputati aveva richiesto prova per testi  e  "consulenza
 tecnica  d'ufficio",  ha  sollevato,  con  tre  ordinanze di identico
 contenuto del 12 e 13 novembre 1990 (reg. ord. nn. 85, 109 e 110  del
 1991),  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 422, primo
 e secondo comma, del codice di procedura penale "nella parte  in  cui
 non  sembra  consentire  alle  parti di prospettare al giudice per le
 indagini preliminari temi nuovi  o  incompleti  sui  quali  si  rende
 necessario  acquisire ulteriori informazioni ai fini della decisione,
 vincolando l'attivazione del meccanismo di cui al  primo  comma  alla
 propulsione  da  parte  del  giudice stesso, e nella parte in cui non
 comprende nella dizione  'consulenti  tecnici'  anche  la  nomina  di
 c.t.u. da parte del giudice stesso";
      che,   ad   avviso   del   remittente,  la  impugnata  normativa
 contrasterebbe, da un lato,  con  l'art.  24,  secondo  comma,  della
 Costituzione,  per  violazione  del principio dell'accertamento della
 verita' materiale, e, dall'altro, con l'art. 97  della  Costituzione,
 in  quanto  non  consente  all'udienza  preliminare  di  svolgere  la
 funzione  di  autentico   filtro   selettore   diretto   ad   evitare
 l'inflazione dei dibattimenti;
      che lo stesso giudice, nel corso di un'altra udienza preliminare
 nella quale la difesa degli imputati aveva richiesto prova per testi,
 ha  sollevato, con ordinanza del 5 dicembre 1990 (reg. ord. n. 94 del
 1991),  questione  di  legittimita'  costituzionale  "relativa   alla
 disparita'  di trattamento fra l'art. 125 disp. att. del nuovo codice
 di  procedura  penale  laddove  comprende  nella  formula  'idonei  a
 sostenere  l'accusa  in  giudizio'  anche  l'insufficienza di prove e
 l'art. 425 n. 1 del codice di procedura  penale  laddove  afferma  il
 concetto  di  evidenza  ai  fini  del  non  luogo a procedere in modo
 generico anziche' circostanziato, senza un sufficiente meccanismo  di
 raccordo  con l'art. 422 nn. 1 e 2 stesso codice, laddove consente la
 ricerca  della  prova  dell'evidenza  sotto  ogni  profilo";  nonche'
 questione  concernente  lo  stesso  "art.  422  nn. 1 e 2 laddove non
 sembra consentire alle  parti  la  prospettazione  al  giudice  della
 necessita'  di  non  dichiarare chiusa la discussione onde consentire
 l'acquisizione di ulteriori informazioni...... rispetto alla  ipotesi
 in cui sia il giudice stesso, terminata la discussione, ad effettuare
 detta prospettazione nei confronti delle parti";
      che,   ad   avviso   del  giudice  a  quo,  le  norme  impugnate
 violerebbero gli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione, quest'ultimo per
 "l'inevitabile     inflazione      dei      dibattimenti"      dovuta
 all'"obbligatorieta'  scontata del rinvio a giudizio" che deriverebbe
 dalle norme medesime;
      che  in  tutti  i  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  ministri,  concludendo  per  l'inammissibilita' della
 questione relativa agli artt.  125  delle  norme  di  attuazione  del
 codice  di  procedura  penale  e 425 del codice stesso (sollevata con
 l'ordinanza  del  5  dicembre  1990),  in  quanto  prospettante   una
 disparita'  di  trattamento tra norme irrilevante ai fini dell'art. 3
 della Costituzione, e per l'infondatezza di tutte le altre questioni;
    Considerato  che  i  giudizi,  concernendo  questioni identiche o,
 comunque,   strettamente   connesse,   vanno   riuniti    e    decisi
 congiuntamente;
      che, in ordine alla questione - sollevata con tutte le ordinanze
 di  rimessione  -  relativa  all'art. 422, primo e secondo comma, del
 codice di procedura penale, nella parte in cui, ad avviso del giudice
 a quo, non consente alle parti di prospettare al giudice dell'udienza
 preliminare temi nuovi o incompleti sui  quali  si  rende  necessario
 acquisire  ulteriori  informazioni ai fini della decisione (ovvero di
 prospettare la necessita' di non  dichiarare  chiusa  la  discussione
 agli  stessi fini), subordinando tale meccanismo all'impulso da parte
 del giudice stesso, la questione e' stata gia'  esaminata  da  questa
 Corte e dichiarata non fondata con sentenza n. 64 del 1991;
      che  in  detta  pronuncia  si  e',  in  sintesi,  affermato  che
 l'udienza preliminare e' stata congegnata come un  procedimento  allo
 stato  degli  atti e non come strumento di accertamento della verita'
 materiale, cioe' come una fase processuale e non di cognizione piena,
 nella quale la funzione del giudice non consiste in  una  valutazione
 di  tipo  prognostico  sulle prospettive di condanna o di assoluzione
 dell'imputato, ma in un controllo sulla legittimita' della domanda di
 giudizio avanzata dal pubblico ministero: con la conseguenza che deve
 ritenersi coerente  a  tale  impostazione  il  fatto  che  spetti  al
 giudice,  al  solo  fine  di  evitare situazioni di stallo decisorio,
 individuare "temi nuovi o incompleti"  il  cui  accertamento  risulti
 decisivo a detti fini;
      che,  peraltro,  si  e'  altresi' sottolineato che indicazioni o
 sollecitazioni in tal senso possono certamente provenire dalle  parti
 nel  corso  della  discussione prevista nell'art. 421 (anche mediante
 presentazione di memorie e  richieste  scritte,  ai  sensi  dell'art.
 121),  fermo rimanendo pero' che non si puo' prescindere dalla previa
 valutazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti e
 dalla previa indicazione da parte sua dei temi, nuovi  o  incompleti,
 sui quali promuovere il "supplemento istruttorio";
      che   le   anzidette  considerazioni  valgono  non  soltanto  ad
 escludere la violazione dell'art.  24  della  Costituzione  (invocato
 nell'ordinanza   introduttiva  del  giudizio  deciso  con  la  citata
 sentenza n. 64 del  1991),  in  quanto  i  modi  di  esercizio  e  di
 fruizione  del  diritto di difesa possono diversamente atteggiarsi in
 relazione alle caratteristiche strutturali e funzionali  dei  singoli
 procedimenti,  ma  altresi'  la  lesione  degli  altri  parametri ora
 indicati (artt. 2, 3 e 97 della Costituzione, la cui  violazione  non
 risulta peraltro sempre sorretta da adeguata motivazione);
      che  le medesime argomentazioni valgono, poi, anche ad escludere
 la fondatezza della questione - sollevata in riferimento  agli  artt.
 24  e  97  della  Costituzione  -  relativa  alla  mancata previsione
 nell'art. 422 del codice di procedura penale  della  possibilita'  di
 nomina  di  un  consulente tecnico d'ufficio (recte, perito) da parte
 del giudice (anche su sollecitazione delle parti), non  potendo  tale
 scelta  ritenersi  irragionevole,  tenuto  conto della natura e della
 funzione dell'udienza preliminare dianzi evidenziate, le quali  hanno
 indotto   il   legislatore   delegato   a  limitare  il  "supplemento
 istruttorio" solo a taluni mezzi di prova, con  esclusioni  di  altri
 (tra cui, appunto, le perizie, i confronti ecc.);
      che   in   relazione,  infine,  alla  questione,  sollevata  con
 l'ordinanza del 5 dicembre 1990, relativa alla pretesa "disparita' di
 trattamento fra l'art. 125 disp. att. del codice di procedura  penale
 e  l'art.  425  dello  stesso codice" in ordine alla diversita' delle
 regole  da   dette   norme   adottate   ai   fini,   rispettivamente,
 dell'archiviazione  e  della  sentenza  di non luogo a procedere, va,
 innanzitutto, rigettata  l'eccezione  di  inammissibilita'  sollevata
 dall'Avvocatura  dello  Stato, dovendosi ritenere che con l'ordinanza
 di rimessione - non  senza  uno  sforzo  interpretativo  dovuto  alla
 formulazione  non  certo  felice  -  il  giudice  a  quo abbia inteso
 censurare non la diversita' delle due disposizioni in se', bensi'  la
 disparita' di trattamento in cui verrebbe a trovarsi, pur in presenza
 di  vicende  analoghe,  l'imputato  in  ordine  al  quale il giudice,
 all'esito dell'udienza  preliminare,  deve  decidere  se  pronunciare
 sentenza  di  non  luogo  a  procedere  ovvero decreto che dispone il
 giudizio, rispetto alla persona sottoposta alle indagini per la quale
 il giudice deve  decidere  se  accogliere  o  meno  la  richiesta  di
 archiviazione  presentata  dal pubblico ministero:   nel senso che le
 condizioni per ottenere il non luogo a procedere (art. 425 del codice
 di procedura penale) sarebbero piu'  gravose  (evidenza  della  prova
 della  non  responsabilita') rispetto a quelle - assunte come tertium
 comparationis - richieste per ottenere  l'archiviazione  (inidoneita'
 degli  elementi  acquisiti a sostenere l'accusa in giudizio: art. 125
 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del  codice
 di  procedura  penale,  approvate  con  decreto legislativo 28 luglio
 1989, n. 271);
      che, cosi' interpretata la proposta questione, questa  Corte  ha
 gia'  avuto  modo di rilevare, nella sentenza n. 88 del 1991, come la
 formula adoperata nel citato art. 125 delle norme di  attuazione  del
 codice  di  procedura  penale  -  elementi  "non  idonei  a sostenere
 l'accusa" - vada intesa, tanto piu' se raffrontata a quella contenuta
 nell'art. 115 del progetto preliminare ('elementi  non  sufficienti..
 ..  ..    al  fine  della  condanna'), nel senso che sulla base degli
 elementi acquisiti l'accusa deve essere chiaramente  insostenibile  e
 quindi la notitia criminis inequivocamente infondata, coerentemente a
 quanto  stabilito  nella  direttiva  n. 50 della legge-delega: con la
 conseguenza che la differenza rispetto alla regola  adottata  per  il
 non  luogo a procedere, seppur persistente, si attenua sensibilmente,
 non potendosi negare un certo accostamento - anche se in  prospettive
 diverse    -    tra    insostenibilita'   dell'accusa   ed   evidenza
 dell'innocenza;
      che,  inoltre,  come  pure  si  e'  affermato   nella   predetta
 pronuncia,  la  differenza e' giustificata dalla diversa funzione che
 le due discipline assolvono nel  sistema  del  codice,  attinendo  la
 prima  ad una fase in cui il controllo del giudice e' volto si' a non
 dar ingresso ad accuse insostenibili, ma  ancor  piu'  a  far  fronte
 all'eventuale  inerzia  del  pubblico  ministero  ed  a garantire, in
 definitiva, l'obbligatorieta' dell'azione penale, mentre  la  seconda
 concerne  una  fase  in  cui  il controllo stesso si svolge in chiave
 essenzialmente garantistica, al fine cioe' di tutelare l'imputato nei
 confronti di accuse rivelatesi palesemente infondate;
      che, in ogni  caso,  la  situazione  dell'imputato  nell'udienza
 preliminare  non  e'  certamente  identica  a  quella  della  persona
 sottoposta alle indagini, in quanto basta osservare che nei confronti
 del primo e' stata esercitata l'azione penale, mediante la  richiesta
 di  rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero, e quindi si e'
 in una fase in cui si e' instaurato un  tipico  rapporto  processuale
 tra  le  parti e il giudice, del tutto diversa da quella assunta come
 termine di raffronto, e pertanto ad essa  non  paragonabile  ai  fini
 dell'art. 3 della Costituzione;
      che,   in   conclusione,  tutte  le  sollevate  questioni  vanno
 dichiarate manifestamente infondate;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi,
       a)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  delle  questioni  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 422, primo e secondo comma, del
 codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli  artt.  2,
 3,   24  e  97  della  Costituzione,  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari presso il Tribunale di Ancona con tutte le ordinanze  in-
 dicate in epigrafe;
       b)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 425  del  codice  di  procedura
 penale,  sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  2,  3  e  97 della
 Costituzione, dallo stesso giudice con  l'ordinanza  del  5  dicembre
 1990 di cui in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte Costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                          Il redattore: FERRI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 6 giugno 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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