N. 372 ORDINANZA 11 - 23 luglio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Udienza preliminare - Limitazione dell'efficacia
 deflattiva dibattimentale - Sentenza dichiarativa
 di incompetenza - Mancata previsione  -  Definizione  giuridica  del
 fatto  reato  - Rideterminazione - Conseguenze - Limiti del giudice -
 Manifesta inammissibilita' e manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P., artt. 423, primo comma; 424, primo comma e 425).
 
 (Cost., artt. 2, 3, 97, 101 e 112).
(GU n.31 del 7-8-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 423, primo
 comma, 424, primo comma,  e  425  del  codice  di  procedura  penale,
 promosso  con ordinanza emessa il 15 novembre 1990 dal Giudice per le
 indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona  nel  procedimento
 penale  a  carico  di  Marchi  Paolo ed altro, iscritta al n. 285 del
 registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  10  luglio  1991  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Ritenuto  che all'esito di un'udienza preliminare, nel corso della
 quale il pubblico ministero aveva modificato l'imputazione da lesioni
 personali dolose gravissime a lesioni  personali  colpose  gravissime
 (di  competenza  pretorile),  il  giudice per le indagini preliminari
 presso il Tribunale di Ancona ha  sollevato,  con  ordinanza  del  15
 novembre 1990, le seguenti questioni di legittimita' costituzionale:
     a) l'art. 425 del codice di procedura penale, "nella parte in cui
 non  specifica  il  concetto  di evidenza" ai fini della pronuncia di
 sentenza di non luogo a procedere e "non lo coordina con  l'art.  422
 dello  stesso  codice",  violerebbe  la parita' di trattamento di cui
 agli artt. 2 e 3 della  Costituzione  "rispetto  al  piu'  favorevole
 trattamento  di  cui  all'art.  125  delle  norme di attuazione" (che
 indica le condizioni per  la  richiesta  di  archiviazione),  nonche'
 l'art.  97  della  Costituzione,  poiche', limitandosi in tal modo le
 ipotesi  di  proscioglimento  ed  incoraggiandosi  eccessivamente  il
 rinvio  a  giudizio,  l'udienza  preliminare non adempirebbe alla sua
 funzione   di   autentico   filtro   selettore   e   di    deflazione
 dibattimentale;
     b)  gli  artt.  424,  primo  comma, e 425 del codice di procedura
 penale, in quanto non prevedono, data la loro formulazione tassativa,
 tra i provvedimenti conclusivi dell'udienza preliminare  la  sentenza
 dichiarativa   di   incompetenza   per   materia,  si  porrebbero  in
 "antitetico conflitto" con  l'art.  22,  terzo  comma,  dello  stesso
 codice  (il  quale  prevede  la  pronuncia di detta sentenza "dopo la
 chiusura delle indagini preliminari"), con la conseguenza di  doversi
 ritenere  che  il  riconoscimento  della propria incompetenza dopo la
 chiusura delle  indagini  preliminari  possa  essere  dichiarato  dal
 giudice  esclusivamente  nelle  more  tra  la  richiesta  di rinvio a
 giudizio  e l'udienza preliminare (anteriormente al suo inizio): cio'
 violerebbe gli artt. 2,  3  e  97  della  Costituzione,  quest'ultimo
 perche' si penalizzerebbero gli sbocchi dell'udienza preliminare, con
 conseguente inflazione dei dibattimenti;
     c) l'art. 423, primo comma, del codice di procedura penale, nella
 parte in cui non specifica se la diversita' del fatto rispetto a come
 e'   descritto   nell'imputazione   (ai   fini   della  modificazione
 dell'imputazione) "attenga alla materialita' del fatto con differenti
 conseguenze giuridiche od anche all'ipotesi in cui  detta  differente
 conseguenza   scaturisca   da  un  fatto  materialmente  identico  ma
 diversamente qualificabile sotto il profilo del diritto",  violerebbe
 gli  artt.  2  e  3  della  Costituzione,  "stante il piu' favorevole
 trattamento di cui  all'art.  521  dello  stesso  codice",  il  quale
 attribuisce  al  giudice  del dibattimento il potere di dare al fatto
 una   definizione   giuridica    diversa    da    quella    enunciata
 nell'imputazione, purche' il reato non ecceda la sua competenza;
     d)  il  medesimo  art.  423,  primo  comma, in quanto "vincola il
 g.i.p. alla riduzione della sfera dell'azione penale  effettuata  dal
 pubblico ministero tramite il pur legittimo ed incontestabile diritto
 di  richiedere  la derubricazione dell'imputazione", violerebbe da un
 lato  l'art.  112  della  Costituzione,  poiche'  si   finalizzerebbe
 l'udienza  preliminare ad uno sbocco limitato ed unilaterale quale la
 obbligatoria declaratoria di incompetenza, e, dall'altro, l'art. 101,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  vincolando  il  giudice   alla
 volonta' di una delle parti;
      che  e'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, osservando che le questioni sub a) e b) - a parte  la  loro
 dubbia  rilevanza  -  sono in realta' questioni interpretative la cui
 soluzione e' demandata esclusivamente al giudice a quo, mentre quelle
 sub c) e d) sono manifestamente infondate, in quanto, da un lato,  la
 diversita'  dei  criteri di valutazione fissati negli artt. 423 e 521
 del codice di procedura penale ben si spiega con la diversita'  delle
 funzioni  attribuite  al  giudice dell'udienza preliminare e a quello
 del dibattimento, e, dall'altro, la scelta del pubblico ministero  di
 "derubricare"  l'imputazione resta pur sempre sottoposta al controllo
 giudiziale e puo' anche dar  luogo,  a  seguito  della  dichiarazione
 d'incompetenza, ad un contrasto negativo tra pubblici ministeri;
    Considerato  che, per quanto attiene alla rilevanza delle proposte
 questioni, tale requisito deve ritenersi sussistente  unicamente  per
 quella  sopra indicata al punto b), relativa al potere del giudice di
 dichiarare   la   propria   incompetenza    all'esito    dell'udienza
 preliminare;
      che,  infatti, a seguito della "derubricazione" dell'imputazione
 operata dal pubblico ministero - la quale comporterebbe la competenza
 del pretore  -,  il  giudice  a  quo,  affrontando  la  pregiudiziale
 questione  della competenza, mostra chiaramente, nel lamentare che le
 norme  impugnate  non  gli  consentono  di  pronunciare  la  sentenza
 dichiarativa  di  incompetenza,  di  voler emettere, in adesione alla
 detta "derubricazione", una tale decisione: con  la  conseguenza  che
 tutte  le  altre  questioni  sopra  indicate  ai  punti  a), c) e d),
 fondandosi sul contrario presupposto che il giudice non condivida  la
 modifica  dell'imputazione  e  intenda  procedere,  devono  ritenersi
 sollevate in via meramente ipotetica ed astratta e  vanno,  pertanto,
 dichiarate manifestamente inammissibili;
      che, in ordine alla questione sub b), va respinta l'eccezione di
 inammissibilita'  sollevata  dall'Avvocatura  dello Stato - ad avviso
 della  quale  con  la  medesima  si   prospetterebbero   meri   dubbi
 interpretativi  -,  poiche'  il giudice remittente, nel proporre tale
 questione, sembra chiaramente fondarla  sull'interpretazione  secondo
 cui dalle "dizioni tassative" dell'art. 22, da un lato, e degli artt.
 424  e 425 del codice di procedura penale dall'altro, deriverebbe che
 non e' consentito al giudice di pronunciare sentenza dichiarativa  di
 incompetenza  all'esito  dell'udienza  preliminare,  bensi'  soltanto
 nelle more tra la richiesta di rinvio a giudizio e l'inizio  di  tale
 udienza;
      che  la  questione,  cosi'  intesa, e' chiaramente infondata, in
 quanto la riferita interpretazione e' palesemente erronea;
      che, infatti, non vi e' dubbio che l'art. 22, terzo  comma,  del
 codice  di  procedura  penale,  attribuendo  al  giudice il potere di
 dichiarare con sentenza la propria incompetenza per  qualsiasi  causa
 "dopo   la  chiusura  delle  indagini  preliminari",  sia  pienamente
 applicabile - ed anzi si riferisca essenzialmente - proprio alla fase
 dell'udienza preliminare (cfr. sent. n. 347 del 1991),  come  risulta
 anche  espressamente  dalla  relazione al progetto preliminare, nella
 quale si sottolinea la ratio di favorire la soluzione delle questioni
 di competenza fin da tale udienza;
      che, in contrario, a nulla rileva che  l'art.  424  del  codice,
 nell'indicare  i  provvedimenti  conclusivi dell'udienza preliminare,
 non richiami espressamente la sentenza  dichiarativa  d'incompetenza,
 dovendosi   ritenere   un  tale  richiamo  del  tutto  superfluo,  in
 considerazione del fatto che  il  citato  art.  22  ha  indubbiamente
 portata  generale,  come  si  evince anche dalla sua collocazione nel
 codice;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   delle  questioni  di
 legittimita' costituzionale:
      a) dell'art. 425 del codice di procedura penale, in  riferimento
 agli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione;
      b)  dell'art.  423, primo comma, del codice di procedura penale,
 in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione;
      c) del medesimo art. 423, primo comma, del codice  di  procedura
 penale,  in  riferimento  agli  artt. 112 e 101, secondo comma, della
 Costituzione;
    Sollevate dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale di Ancona con l'ordinanza in epigrafe;
    Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale  degli  artt.  424,  primo  comma, e 425 del codice di
 procedura  penale,  in  riferimento  agli  artt.  2,  3  e  97  della
 Costituzione,   sollevata   dallo  stesso  giudice  con  la  medesima
 ordinanza.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                          Il redattore: FERRI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 23 luglio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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