N. 668 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 aprile 1991
N. 668 Ordinanza emessa il 26 aprile 1991 dal tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, sul ricorso proposto da Gianfiglio Maria contro il Co.Re.Co. sugli atti degli enti locali della Puglia ed altra Impiego pubblico - Stato giuridico del personale delle u.s.l. - Personale in posizione non apicale - Collocamento a riposo al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta' - Mancata previsione del trattenimento in servizio per il conseguimento della minima anzianita' contributiva - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto al personale apicale delle u.s.l., ai dirigenti civili dello Stato ed al personale direttivo docente e non docente della scuola, ai quali e' assicurato il trattenimento in servizio oltre i limiti di eta' per conseguire il massimo della pensione - Incidenza sul diritto ad una retribuzione (anche differita) proporzionata ed adeguata - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn. 238/1988 e 444/1990. (D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 53). (Cost., artt. 3, 4, 36 e 38).(GU n.44 del 6-11-1991 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio del 26 aprile 1991, sul ricorso n. 1040 del 1989 proposto da Gianfiglio Maria, rappresentata e difesa dall'avv. Martino Margiotta, contro il Comitato regionale di controllo sugli atti degli enti locali della Puglia, in persona del presidente pro-tempore, non costituito in giudizio, e nei confronti della unita' sanitaria locale Taranto/3, in persona del presidente pro-tempore del comitato di gestione, non costituita per l'annullamento della decisione emessa il 3 agosto 1989, n. 44745, di annullamento della deliberazione del comitato di gestione della u.s.l. Ta/3 n. 536 dell'8 giugno 1989, avente ad oggetto: "Dipendente Gianfiglio Maria, ostetrica. Mantenimento in servizio oltre il limite previsto dalle vigenti disposizioni di legge al fine di consentire la maturazione del trattamento pensionistico (sentenza Corte costituzionale n. 238 del 24 febbraio 1988)"; Visto il ricorso con i relativi allegati; Vista la memoria prodotta dalla parte ricorrente in data 18 aprile 1991; Visti gli atti tutti di causa; Udita alla pubblica udienza del 26 aprile 1991 la relazione del dott. Renato Fiandaca e udito altresi' l'avv. Martino Margiotta per la ricorrente; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: F A T T O Con ricorso notificato in data 21 settembre 1989 Gianfiglio Maria esponeva di essere dipendente dalla u.s.l. Ta/3 di Martina Franca - Crispiano, ove era pervenuta per trasferimento dalla u.s.l. Ba/18 e con servizio continuativo di ruolo dal 4 agosto 1979; antecedentemente a tale data ella aveva prestato servizio in posizione fuori ruolo per il periodo 7 luglio 1970-31 dicembre 1970. In data 16 febbraio 1989, con delibera n. 34/1989 il comitato di gestione della u.s.l. Ta/3 ne aveva disposto il collocamento a riposo di ufficio per raggiungimento del limite di sessantacinque anni di eta', con decorrenza dal 23 ottobre 1989. Successivamente il medesimo comunicato di gestione, su istanza della ricorrente, che aveva invocato quanto disposto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 238 del 24 febbraio 1988, aveva revocato la delibera n. 34/1989 ed aveva disposto di trattenere in servizio la dipendente Gianfiglio Maria fino all'11 luglio 1993, data di raggiungimento del minimo pensionabile di anni quattordici, mesi sei e giorni uno di servizio effettivamente prestato. Tanto con delibera n. 536 dell'8 giugno 1989, ed ai sensi della su richiamata decisione della Corte costituzionale n. 238 del 24 febbraio 1988. Il comitato regionale di controllo, con il provvedimento impugnato, aveva tuttavia ritenuto di annullare per illegittimita' la detta delibera del comitato di gestione della u.s.l. Ta/3, rilevandone il contrasto con l'art. 53 del d.P.R.20 dicembre 1979, n. 761, il quale prevede, per tutti i dipendenti della unita' sanitarie locali, il collocamento a riposo al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta'. Avverso il detto provvedimento negativo di controllo, con il quale il Co.Re.Co. si era discostato dall'avviso espresso in casi perfettamente consimili, dichiarava di proporre ricorso la Gianfiglio per violazione di legge, art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 in combinato disposto con l'art. 38 della Costituzione; violazione dei principi in materia; violazione degli artt. 38 e 3 della Costituzione. Osservava essa istante che la u.s.l. Ta/3 nell'annullare il provvedimento di mantenimento in servizio si era bensi' attenuta all'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, ma lo aveva coordinato con il disposto dell'art. 38 della Costituzione e con i principi generali dell'ordinamento che presiedono alla materia in esame. La pubblica amministrazione aveva quindi correttamente e legittimamente agito secondo i parametri di legge, che non erano solo quelli previsti dalla legge ordinaria (l'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979) ma anche delle norme costituzionali e dei principi generali della materia. Di contro il comitato regionale di controllo, limitandosi al dato testuale dell'art. 53 del testo unico sullo stato giuridico del personale delle unita' sanitarie locali, aveva espresso la sua valutazione sulla base di un esame monco della normativa, in quanto la specifica norma richiamata andava appunto interpretata alla stregua dei citati principi costituzionali. Infatti lo stesso art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, che pur prevede l'eta' minima per il collocamento a riposo, non esclude la possibilita' di eccezione a tale regola, eccezione nel concreto applicata dal comitato di gestione della unita' sanitaria locale per salvaguardare il diritto della ricorrente alla retribuzione differita, quale ancora non maturata, ma quale tuttuavia garantita a tutti i lavoratori delle disposizioni costituzionali richiamate (artt. 36 e 38, da leggersi in correlazione con il precedente art. 3). Di qui la illegittimita' dell'impugnato provvedimento di controllo. Tale illegittimita' doveva poi ritenersi di tutta evidenza ove si fosse considerato che in altri casi perfettamente analoghi - tale per esempio quello della esibita delibera della u.s.l. Ba/18 n. 1183 del 16 settembre 1988, regolarmente vistata in data 6 ottobre 1988 con provv. n. 56537 - l'Organo tutorio aveva ritenuto conforme a legge il provvedimento dell'amministrazione. In subordine, e per il caso di non accoglimento della censura che precede, la ricorrente sollevava eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, laddove tale norma non consentiva al dipendente che al compimento del sessantacinquesimo anno non avesse ancora maturato il trattamento minimo di pensione, il mantenimento in servizio per il tempo strettamente necessario a conseguire tale diritto. Concludeva quindi per l'accoglimento del ricorso, previa, occorrendo, sospensione del giudizio e rimessione degli atti alla Corte costituzionale. L'amministrazione intimata non si e' costituita, ne' si e' costituita l'intimata u.s.l. Ta/3. Con ordinanza n. 634 del 18 ottobre 1989 questo tribunale respingeva la domanda di sospensiva avanzata in via incidentale dalla ricorrente, rilevando che in effetti il Co.Re.Co. aveva fondato il suo annullamento sul dato testuale della legge (art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761), ma con salvezza della deliberazione della eccezione di costituzionalita', da esaminarsi nella competente sede di merito. Fissata l'udienza di discussione la ricorrente ha presentato memoria insistendo nelle sue originarie richieste, e rinnovando anche la domanda di sospensiva, gia' rigettata nella fase cautelare, ma da riconsiderarsi, in pendenza del deposito della decisione di accoglimento, ovvero della decisione sulla pregiudiziale di costituzionalita', ove ritenuta non manifestamente infondata. Il ricorso e' stato quindi assunto in decisione alla pubblica udienza del 26 aprile 1991, nella quale il difensore della istante ha discusso oralmente il ricorso. D I R I T T O La u.s.l. Ta/3 con la delibera n. 536 dell'8 giugno 1989 ha disposto il mantenimento in servizio della dipendente Gianfiglio Maria, ostetrica di ruolo, oltre il sessantacinquesimo anno di eta', per consentire alla stessa di raggiungere il periodo minimo di servizio utile a pensione (quattordici anni, sei mesi e un giorno), periodo nella specie non raggiunto dalla Gianfiglio, assunta solo in data 4 agosto 1979 e con un periodo di servizio pre-ruolo di poco piu' di cinque mesi (dal 7 luglio 1970 al 31 agosto 1970). Tanto la u.s.l. ha deliberato in virtu' del principio espresso dalla Corte costituzionale nella richiamata sentenza n. 238 del 24 febbraio 1988. Il comitato regionale di controllo ha invece annullato il deliberato in esame sulla semplice ma in se' compiuta considerazione che quanto statuito contrastava con il disposto dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979. Ebbene osserva il collegio che alla stregua della normativa vigente alcuna deroga del limite massimo di eta' (sessantacinque o sessanta anni, a seconda del ruolo professionale di appartenenza) e' consentita, se non per i casi contemplati dall'ultimo comma del medesimo art. 53 e, quindi, per il caso che un diverso (e superiore) limite di eta' sia previsto dalle norme regolamentari relative al personale trasferito nei ruoli nominativi regionali del personale delle unita' sanitarie locali. Ne' nel caso in esame non poteva trovare applicazione la sentenza n. 238 del 24 febbraio 1988 della Corte costituzionale, sentenza che, non che prendere in considerazione il disposto dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, aveva statuito la conformita' al dettato costituzionale di due leggi regionali (legge regione Calabria 31 luglio 1986 e legge della regione Campania riapprovata il 5 dicembre 1986) che una siffatta deroga consentono in favore del personale dei propri ruoli regionali (essendo il personale regionale ordinamentato alla stregua di disposizioni legislative regionali). Correttamente quindi il Co.Re.Co. ha applicato la vigente normativa, normativa che non era facultato a disattendere o disapplicare. Rimane allora da esaminare la censura, avanzata da parte ricorrente in via subordinata, di illegittimita' costituzionale dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, nella parte in cui non consentirebbe - per il caso che ne occupa - una ulteriore proroga al limite di eta' stabilito ed al fine di consentire a che non abbia ancora maturato il diritto a pensione ordinaria, il mantenimento in servizio per il tempo strettamente necessario a conseguirlo. La gestione e' indubbiamente rilevante, posto che, ove accolta, comporterebbe l'automatica illegittimita' e quindi il travolgimento del provvedimento dell'organo di controllo (tempestivamente e ritualmente impugnato), che sul solo disposto della norma di legge denunciata ha fondato la sua censura di annullamento. Ritiene il collegio che la questione sia altresi' non manifestamente infondata. L'art. 36 della Carta costituzionale statuisce, quale principio carine di una Repubblica fondata sul lavoro (art. 1) che "il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa". Il successivo art. 38 al primo e secondo capoverso sancisce che "i lavoratori hanno diritto che siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli invalidi ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale". Orbene, posto che per l'accesso ai pubblici impieghi e' in genere statuito un limite massimo di eta' (limite che, gia' previsto in anni trenta, fu elevato ad anni trentacinque dalla legge 3 giugno 1978, n. 288, ed e' stato ora portato ad anni quaranta, tranne talune eccezioni, dalla legge 27 gennaio 1989, n. 25, e salve le maggiorazioni di legge), in genere il problema del collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta' senza diritto a pensione nel pubblico impiego non si pone, solo potendo variare la misura del trattamento pensionistico raggiunto, essendo tale trattamento ovviamente proporzionato alla anzianita' contributiva. Tuttavia, a prescindere dalla possibilita' che detto limite sia elevato per situazioni familiari e contingenti (quali lo stato di coniugato e numero di figli) proprio alcune norme intese a favorire il collocamento di particolari categorie di lavoratori parzialmente invalidi o in condizione sociale disagiata (art. 1 della legge del 2 aprile 1968, n. 482), prevedono la possibilita' di assunzione (anche senza concorso), oltre il detto limite e fino al limite di eta' di anni cinquantacinque. In questi casi, ovvero in altri che possono sporadicamente verificarsi con incidenza invero marginale, il lavoratore potrebbe non raggiungere, alla data massima fissata per il collocamento a riposo il minimo di periodo contributivo utile per il godimento del diritto a pensione. Trattasi di casi fortunatamente sporadici, ma certamente incresciosi, posto che proprio quelle norme intese a favorire il collocamento di categorie "protette" di lavoratori, consentendo l'assunzione anche oltre il limite massimo previsto dalla legge, finiscono poi per penalizzare il lavoratore medesimo, non consentendogli di raggiungere una eta' minima per conseguire il trattamento di pensione e, quel che e' peggio, vanificando del tutto la contribuzione obbligatoria cui comunque il suo trattamento di servizio resta assoggettato. Come e' noto, al fine di eliminare tali situazioni incresciose alcune leggi regionali hanno disposto che il limite di eta', per il personale appartenente ai propri ruoli, possa essere derogato nel caso in cui il lavoratore non abbia raggiunto, all'eta' massima prevista per il congedamento, il minimo della pensione; e hanno in siffatti casi consentito che il lavoratore permanga in servizio oltre il limite previsto per la sua categoria professionale e per il tempo strettamente necessario a garantirgli il raggiungimento del minimo pensionabile, con il limite, in genere ritenuto non valicabile, del settantesimo anno di eta'. Tali disposizioni regionali - legge regione Calabria riapprovata il 31 luglio 1986 e legge regione Campania riapprovata il 9 dicembre 1986 - derogatorie, proprio nei sensi sopra espressi, del limite massimo di eta' per il collocamento a riposo del personale, sono state ritenute dalla Corte costituzionale non confliggenti con l'art. 117 della Costituzione, che impone alle regioni di uniformarsi, nella loro attivita' legislativa, ai principi fondamentali contenuti nelle leggi dello Stato, e con l'art. 4 della Costituzione, che pur e' inteso a garantire a tutti i cittadini il diritto al lavoro promuovendo le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Tanto con la sentenza n. 238 del 24 febbraio-3 marzo 1988, piu' volte richiamata dalla difesa della odierna ricorrente. Ha riconosciuto in detta sentenza la sovrana Corte che dette norme regionali erano e sono dirette a tutelare un'esigenza che andava ricondotta, in via generale, a "un interesse tutelato dalla Costituzione come diritto del lavoratore in quanto tale (art. 38, secondo comma) nei cui confronti appare indifferente che il lavoratore risulti inserito in un rapporto d'impiego pubblico o in uno di tipo privato". E' noto infatti che un simile principio e' stato affermato in via generale per i lavoratori dipendenti del settore privato (art. 6 del d.-l. 22 dicembre 1981 n. 791), mentre nel settore pubblico esso trova riscontri solo sporadici e per categorie limitate, cosi' come nel caso dell'art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 477, recante "delega al Governo per l'emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo e docente e non docente della scuola ..". Il caso previsto della norma in esame e' a parere di questo giudice amministrativo emblematico, posto che su di essa la Corte costituzionale e' intervenuta con due distinte sentenze di annullamento parziale (e sostanzialmente additive). Con la prima di tali sentenze il giudice delle leggi ebbe infatti a rilevare la sostanziale irrazionalita' (e quindi il contrasto di tale norma con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione) laddove tale norma consentiva al personale in detta legge contemplato e in servizio al 1º ottobre 1974 di rimanere in servizio oltre il sessantacinquesimo anno di eta' e fino al limite massimo di settanta anni ove non avesse raggiunto il massimo della pensione, limitando invece la permanenza allo stretto necessario per conseguire il minimo di pensione per quel personale che, alla detta eta' massima (di anni sessantacinque) non avesse ancora conseguito il minimo. Qui veniva tutelata, per motivi di ragionevolezza, non la sola permanenza in servizio fino al raggiungimento del minimo, in favore di quel personale che alla eta' di sessantacinque anni quel minimo non aveva conseguito, ma anche l'esigenza di incrementare la base contributiva oltre il minimo e fino all'eta' massima di settant'anni. Poiche' tale norma trovava applicazione solo con riferimento al personale in servizio al 1º ottobre 1974, di recente la Corte e' tornata sull'argomento e, con la pregevole sentenza n. 444 del 26 settembre-12 ottobre 1990 ha nuovamente dichiarato incostituzionale la medesima disposizione dell'art. 15, terzo comma, della legge 30 luglio 1973 n. 477, nella parte in cui non consente al personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola assunto dopo il 1º ottobre 1974 e che al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' non abbia raggiunto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione, di rimanere in servizio, su richiesta, fino al conseguimento di tale anzianita' minima e comunque fino al settantesimo anno di eta'. E' illuminante notare che, questa volta, a parametro della riconosciuta incostituzionalita' della norma sia stato preso non piu' l'art. 3 e quindi il principio di ragionevolezza della normativa (che per il personale assunto prima del 1º ottobre 1974 e che avesse gia' raggiunto il minimo della pensione consentiva anche la permanenza in servizio al fine di conseguire il massimo di anzianita' contributiva) bensi' proprio l'art. 38, secondo comma, della Costituzione che mira a garantire a tutti i lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Questo tribunale non ignora come ancora con sentenza n. 461/1989 la Corte costituzinale abbia ritenuto non fondata l'analoga questione di costituzionalita' dell'art. 4 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, sul trattamento di quiescenza del personale statale. Ma neppure puo' ignorare come, da un canto nella citata ultima sentenza n. 444/1990 la stessa Corte abbia riconosciuto e dato atto della nuova evoluzione legislativa della materia - evoluzione peraltro gia' auspicata dalla Corte nella stessa sentenza n. 461/1989 (con normativa sempre piu' attenta alle ragioni del dipendente e sempre piu' incline a riconoscere deroghe ai vari limiti previsti, per i singoli settori, per il collocamento a riposo -, dall'altro come, proprio alla luce di tali nuove emergenze il t.a.r. Toscana abbia riproposto, con ordinanza del 4 dicembre 1990 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 12 del 20 marzo 1991, prima serie speciale) la medesima questione di costituzionalita' dell'art. 4 d.P.R. n. 1092/1973. E' la stessa Corte costituzionale a rilevare (nella motivazione della recente sentenza n. 444/1990) che, successivamente alla detta pronuncia n. 461/1989 e' intervenuta la legge 28 febbraio 1990, n. 37, che, nel convertire in legge il d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413, ha esteso, per i dirigenti civili dello Stato, le disposizioni di cui al richiamato art. 15, secondo e terzo comma, della legge n. 477/1973, di recente reinterpretato autenticamente con l'art. 10, sesto comma, del d.-l. 357/1989 (conv. in legge n. 417/1989). E' ancora da aggiungere che, ancor piu' di recente, con legge n. 50 del 19 febbraio 1991 (in Gazzetta Ufficiale n. 43 del 20 febbraio 1991) e' stato disposto che "i primari ospedalieri che non abbiano raggiunto il numero di anni di servizio effettivo necessario per conseguire il massimo della pensione possono chiedere di essere trattenuti in servizio fino al raggiungimento di tale anzianita' e, comunque, fino al settantesimo anno di eta'", con salvezza delle deroghe anteriormente previste dall'art. 6 della legge n. 336/1964 e dal d.-l. n. 402/1982. Orbene, se il legislatore si preoccupa di salvaguardare la posizione dei dirigenti civili dello Stato, cui ha esteso la norma settorialmente previsto per il personale direttivo ispettivo docente della scuola (art. 15, secondo e terzo comma, della legge n. 477/1973), norma che oramai trova estensione, per la emenda operata dalla Corte, anche al personale assunto in ruolo dopo la data del 1º ottobre 1974, e se il medesimo legislatore avverte la necessita' di salvaguardare la posizione previdenziale del personale medico di posizione apicale che al raggiungimento dei sessantacinque anni di eta' non abbia conseguito il massimo della pensione, certamente iniquo ed irrazionale e' il non consentire a personale di minor reddito e certamente di piu' ridotta capacita' economica di permanere in servizio oltre il limite previsto in via generale almeno per raggiungere il minimo di anzianita' pensionabile. Qui non viene vulnerato solo l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, che pur impone allo Stato di assicurare al lavoratore idonei sussidi per affrontare l'invalidita' e la vecchiaia; ne' viene solo vulnerato il successivo terzo comma del medesimo art. 38 che pur prevede il diritto all'avviamento professionale degli invalidi e dei minorati: e si e' visto come le norme che consentono l'assunzione oltre il limite ordinario e fino ad anni cinquantacinque sono in genere le norme previste a favore delle categorie "protette" di invalidi civili o socialmente piu' bisognose; ma vengono ad un tempo vulnerati gli artt. 3 e 4 della Carta costituzionale, posto che da un canto non si consente a categorie meno abbienti e piu' deboli quel mantenimento in servizio che invece viene previsto per categorie senz'altro meno bisognose (dirigenti civili dello Stato; personale direttivo ispettivo e docente o anche non docente dello Stato; medici del servizio sanitario in posizione apicale) e per esigenze anche di mero incremento della base pensionabile fino al massimo della anzianita' contributiva, quando invece un simile mantenimento viene disconosciuto e negato a chi pur vorrebbe permanere in servizio solo quel tanto che gli consenta di raggiungere il minimo della pensione. Vengono, per usare un vecchio brocardo, premiate e tutelate nutrite categorie di pubblici dipendenti qui certant de lucro captando, mentre vengono poste in non cale le esigenze di una esigua e pur sparuta schiera di pubblici lavoratori qui certant de damno vitando. Se poi si considera che i dipendenti della regione Calabria e della regione Campania considerati nella sentenza n. 238/1988 della Corte costituzionale non soffrono di questo problema, grazie all'intervento di disposizioni regionali ad hoc, ritenute non solo non contrastanti, ma pienamente conformi al dettato costituzionale, e se si considera che una interpretazione estensiva potrebbe forse estendere anche al personale delle u.s.l. delle dette regioni una simile normativa di privilegio (i ruoli nominativi del personale delle uu.ss.ll. sono istituiti e gestiti dalla regione a sensi dell'art. 1 del decreto del d.P.R. n. 761/1979), si avra' chiara e netta la percezione dell'attentato al principio di eguaglianza, posto che identiche posizioni di lavoro verrebbero differentemente trattate e sicuramente discriminate a seconda della regione di appartenenza e, comunque, del ruolo di appartenenza del detto personale parimenti inserito in ruoli nominativi istituiti, gestiti e tenuti dalla regione. Tra l'altro il limite imposto dall'art. 53 del decreto del d.P.R. n. 761/1979 potrebbe essere aggirato e violato ove un dipendente di una u.s.l. chieda il trasferimento in una di quelle regioni (Calabria e Campania) che attualmente possiedono una norma di favore per i dipendenti che non raggiungano all'eta' massima prevista il diritto a pensione; salva poi la possibilita' di brigare per passare dall'uno all'altro dei ruoli regionali al fine di poter usufruire degli anzidetti benefici. Esigenze di uniformita' e di eguaglianza esigono invece che l'anzidetta deroga, se prevista a favore di alcuni, sia consentita a favore di tutti i pubblici dipendenti e, comunque, per rimanere al caso che oggetto di contestazione, ai dipendenti delle unita' sanitarie locali. Si e' fatto cenno alla possibile violazione dell'art. 4 della Carta costituzionale, il quale statuisce che "la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto". E' questa, come si vede, una norma tutt'altro che programmatica, che deve manifestare la sua precettivita' non solo nel momento dell'avviamento al lavoro, ma anche nel momento della scelta dell'eta', del collocamento a riposo, che deve essere stabilita in modo tale da garantire per quanto possibile a tutti i lavoratori di conseguire quel trattamento pensionistico e previdenziale che altra norma di rango costituzionale (l'art. 38) e' poi intesa a tutelare e garantire. Sotto il profilo dell'art. 36 va poi rilevato che la pensione di vecchiaia si pone, in parte, per il lavoratore, come retribuzione differita. Anche il trattamento pensionistico deve garantire al lavoratore, nei limiti di compatibilita' con il sistema ecoomico dello Stato, quella esistenza libera e dignitosa per se' e per la sua famiglia che ogni societa' civile e' intesa a tutelare e garantire. Orbene davvero incongruo e irrazionale, oltreche' lesivo del detto principio e' il costringere comunque il lavoratore a versare contributi per il trattamento di quiescenza ove quel trattamento non gli possa poi essere in concreto garantito. Delle varie ipotesi l'una: o al lavoratore si consente di restare in servizio oltre il limite massimo previsto in via generale dalla legge, al fine di maturare l'eta' minima per il conseguimento del diritto a pensione, ovvero non vanno al medesimo imputati i contributi relativi al conseguimento di una pensione di vecchiaia che egli non potra' in nessun caso conseguire. Nel caso che ne occupa infatti, e in tutti i casi consimili, il lavoratore e' costretto a pagare contributi per una pensione di vecchiaia che sa in partenza di non poter conseguire. Tali contributi, se lasciati in disponibilita' del lavoratore potrebbero invece consentirgli di crearsi forme di previdenza alternativa, magari con istituti privati o anche pubblici che prevedono la possibilita' di costituzione di rendite vitalizie o di pensioni integrative o alternative. Costringendo invece il lavoratore al forzoso prelievo del carico contributivo previdenziale si impone al lavoratore pubblico dipendente non solo il danno di un inutile prelievo forzoso ma la beffa di una pensione alla quale egli contribuisce ma che non puo' in concreto conseguire. Il tutto mentre analoghi problemi non si ravvisano per l'impiego privato, per il quale il citato art. 6 del d.-l. 22 novembre 1981, n. 791, consente quel mantenimento in servizio fino al raggiungimento del minimo di pensione che viene negato al dipendente della u.s.l. Il vecchio brocardo del sumum jus summa iniura mal si addice a un moderno sistema giuridico che deve garantire l'equita' e la razionalita' oltre che la regolarita' formale del suo ordinamento. L'art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, nella parte in cui non prevede la possibilita', per il lavoratore che alla data massima per il suo collocamento a riposo non abbia raggiunto il minimo di servizio effettivo utile a pensione, di poter essere mantenuto a domanda in servizio anche oltre il detto limite di eta' fino al conseguimento della minima anzianita' contributiva (con il ridetto limite di anni settanta, limite che comunque consentirebbe anche all'impiegato assunto a cinquantacinque anni di conseguire il diritto a pensione ordinaria di vecchiaia) e' sicuramente sospetto di violazione dei principi costituzionali sanciti negli artt. 3, 4, 36 e 38, secondo e terzo comma, della Costituzione e la questione relativa va rimessa all'esame della Corte costituzionale sospendendosi, nelle more, il presente giudizio. Non puo' invece darsi luogo a nuova pronuncia sull'istanza cautelare, in quanto la relativa domanda (di sostanziale revoca della precedente ordinanza n. 634/1989) e' stata proposta con memoria non notificata alla pubblica amministrazione e depositata comunque fuori dei termini previsti dall'art. 23, quarto comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata ai fini della decisione del ricorso la questione di costituzionalita' dell'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, nella parte in cui non prevede il diritto al trattenimento in servizio a domanda del personale ultrasessantacinquenne (o ultrasessantenne) che non abbia ancora maturato l'anzianita' di servizio minima per il conseguimento del diritto a pensione e per il periodo necessario a garantire tale diritto; Dispone, per l'effetto la sospensione del giudizio in corso ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Bari, nella camera di consiglio del 26 aprile 1991. Il presidente: ALLEGRETTA Il consigliere est.: FIANDACA Depositata in segreteria addi' 13 maggio 1991 (art. 55 della legge 27 aprile 1982, n. 186). Il segretario: LA MACCHIA 91C1166