N. 668 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 aprile 1991

                                N. 668
    Ordinanza emessa il 26 aprile 1991 dal tribunale amministrativo
      regionale per la Puglia, sede di Bari, sul ricorso proposto
 da Gianfiglio Maria contro il Co.Re.Co. sugli atti degli enti locali
                         della Puglia ed altra
 Impiego pubblico - Stato giuridico del personale delle u.s.l. -
    Personale  in  posizione  non  apicale  - Collocamento a riposo al
    raggiungimento del  sessantacinquesimo  anno  di  eta'  -  Mancata
    previsione  del  trattenimento  in  servizio  per il conseguimento
    della minima anzianita' contributiva -  Ingiustificata  disparita'
    di  trattamento  rispetto  al  personale  apicale delle u.s.l., ai
    dirigenti civili dello Stato ed al personale direttivo  docente  e
    non  docente della scuola, ai quali e' assicurato il trattenimento
    in servizio oltre i limiti di eta' per conseguire il massimo della
    pensione -  Incidenza  sul  diritto  ad  una  retribuzione  (anche
    differita)  proporzionata  ed  adeguata  -  Richiamo alle sentenze
    della Corte costituzionale nn. 238/1988 e 444/1990.
 (D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 53).
 (Cost., artt. 3, 4, 36 e 38).
(GU n.44 del 6-11-1991 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio  del
 26  aprile  1991, sul ricorso n. 1040 del 1989 proposto da Gianfiglio
 Maria, rappresentata e difesa dall'avv. Martino Margiotta, contro  il
 Comitato  regionale  di  controllo sugli atti degli enti locali della
 Puglia, in persona del  presidente  pro-tempore,  non  costituito  in
 giudizio, e nei confronti della unita' sanitaria locale Taranto/3, in
 persona  del  presidente  pro-tempore  del  comitato di gestione, non
 costituita per l'annullamento della  decisione  emessa  il  3  agosto
 1989,  n.  44745, di annullamento della deliberazione del comitato di
 gestione della u.s.l. Ta/3 n.  536  dell'8  giugno  1989,  avente  ad
 oggetto:  "Dipendente  Gianfiglio  Maria,  ostetrica. Mantenimento in
 servizio oltre il limite previsto dalle vigenti disposizioni di legge
 al fine di consentire la maturazione  del  trattamento  pensionistico
 (sentenza Corte costituzionale n. 238 del 24 febbraio 1988)";
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Vista la memoria prodotta dalla parte ricorrente in data 18 aprile
 1991;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Udita  alla  pubblica  udienza del 26 aprile 1991 la relazione del
 dott. Renato Fiandaca e udito altresi' l'avv. Martino  Margiotta  per
 la ricorrente;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con  ricorso notificato in data 21 settembre 1989 Gianfiglio Maria
 esponeva di essere dipendente dalla u.s.l. Ta/3 di Martina  Franca  -
 Crispiano,  ove  era pervenuta per trasferimento dalla u.s.l. Ba/18 e
 con   servizio   continuativo   di   ruolo   dal   4   agosto   1979;
 antecedentemente   a  tale  data  ella  aveva  prestato  servizio  in
 posizione fuori ruolo per il periodo 7 luglio 1970-31 dicembre 1970.
    In data 16 febbraio 1989, con delibera n. 34/1989 il  comitato  di
 gestione della u.s.l. Ta/3 ne aveva disposto il collocamento a riposo
 di  ufficio  per  raggiungimento del limite di sessantacinque anni di
 eta', con decorrenza dal 23 ottobre 1989.
    Successivamente  il  medesimo  comunicato  di gestione, su istanza
 della ricorrente, che aveva  invocato  quanto  disposto  dalla  Corte
 costituzionale  con  sentenza  n.  238  del  24  febbraio 1988, aveva
 revocato la delibera n. 34/1989 ed aveva disposto  di  trattenere  in
 servizio la dipendente Gianfiglio Maria fino all'11 luglio 1993, data
 di  raggiungimento  del minimo pensionabile di anni quattordici, mesi
 sei e giorni uno di servizio effettivamente prestato.
    Tanto con delibera n. 536 dell'8 giugno 1989, ed ai sensi della su
 richiamata  decisione  della  Corte  costituzionale  n.  238  del  24
 febbraio 1988.
    Il   comitato   regionale   di  controllo,  con  il  provvedimento
 impugnato, aveva tuttavia ritenuto di annullare per illegittimita' la
 detta  delibera  del  comitato  di  gestione   della   u.s.l.   Ta/3,
 rilevandone il contrasto con l'art. 53 del d.P.R.20 dicembre 1979, n.
 761,  il quale prevede, per tutti i dipendenti della unita' sanitarie
 locali,   il   collocamento   a   riposo   al   raggiungimento    del
 sessantacinquesimo anno di eta'.
    Avverso il detto provvedimento negativo di controllo, con il quale
 il   Co.Re.Co.   si  era  discostato  dall'avviso  espresso  in  casi
 perfettamente consimili, dichiarava di proporre ricorso la Gianfiglio
 per violazione di legge, art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 in  combinato
 disposto con l'art. 38 della Costituzione; violazione dei principi in
 materia; violazione degli artt. 38 e 3 della Costituzione.
    Osservava  essa  istante  che  la  u.s.l.  Ta/3  nell'annullare il
 provvedimento di mantenimento in  servizio  si  era  bensi'  attenuta
 all'art.  53  del  d.P.R.  n. 761/1979, ma lo aveva coordinato con il
 disposto dell'art. 38 della Costituzione e con  i  principi  generali
 dell'ordinamento che presiedono alla materia in esame.
    La   pubblica   amministrazione   aveva   quindi  correttamente  e
 legittimamente agito secondo i parametri di legge, che non erano solo
 quelli previsti dalla  legge  ordinaria  (l'art.  53  del  d.P.R.  n.
 761/1979) ma anche delle norme costituzionali e dei principi generali
 della materia.
    Di  contro il comitato regionale di controllo, limitandosi al dato
 testuale dell'art. 53 del  testo  unico  sullo  stato  giuridico  del
 personale  delle  unita'  sanitarie  locali,  aveva  espresso  la sua
 valutazione sulla base di un esame monco della normativa,  in  quanto
 la  specifica  norma  richiamata  andava  appunto  interpretata  alla
 stregua dei citati principi costituzionali.
    Infatti lo stesso art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, che pur  prevede
 l'eta'   minima   per  il  collocamento  a  riposo,  non  esclude  la
 possibilita' di eccezione  a  tale  regola,  eccezione  nel  concreto
 applicata  dal comitato di gestione della unita' sanitaria locale per
 salvaguardare  il  diritto   della   ricorrente   alla   retribuzione
 differita,  quale ancora non maturata, ma quale tuttuavia garantita a
 tutti  i  lavoratori  delle  disposizioni  costituzionali  richiamate
 (artt.  36  e  38, da leggersi in correlazione con il precedente art.
 3).
    Di  qui  la   illegittimita'   dell'impugnato   provvedimento   di
 controllo.
    Tale  illegittimita' doveva poi ritenersi di tutta evidenza ove si
 fosse considerato che in altri casi perfettamente analoghi - tale per
 esempio quello della esibita delibera della u.s.l. Ba/18 n. 1183  del
 16  settembre  1988,  regolarmente vistata in data 6 ottobre 1988 con
 provv. n. 56537 - l'Organo tutorio aveva ritenuto conforme a legge il
 provvedimento dell'amministrazione.
    In  subordine, e per il caso di non accoglimento della censura che
 precede,  la  ricorrente  sollevava   eccezione   di   illegittimita'
 costituzionale dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, per contrasto con
 gli  artt.  3,  36  e  38  della Costituzione, laddove tale norma non
 consentiva al dipendente che  al  compimento  del  sessantacinquesimo
 anno non avesse ancora maturato il trattamento minimo di pensione, il
 mantenimento  in  servizio  per  il  tempo  strettamente necessario a
 conseguire tale diritto.
    Concludeva  quindi  per  l'accoglimento   del   ricorso,   previa,
 occorrendo,  sospensione  del  giudizio  e rimessione degli atti alla
 Corte costituzionale.
    L'amministrazione  intimata  non  si  e'  costituita,  ne'  si  e'
 costituita l'intimata u.s.l. Ta/3.
    Con  ordinanza  n.  634  del  18  ottobre  1989  questo  tribunale
 respingeva la domanda di sospensiva avanzata in via incidentale dalla
 ricorrente, rilevando che in effetti il Co.Re.Co.  aveva  fondato  il
 suo annullamento sul dato testuale della legge (art. 53 del d.P.R. 20
 dicembre  1979,  n.  761),  ma con salvezza della deliberazione della
 eccezione di costituzionalita', da esaminarsi nella  competente  sede
 di merito.
    Fissata  l'udienza  di  discussione  la  ricorrente  ha presentato
 memoria insistendo nelle sue originarie richieste, e rinnovando anche
 la domanda di sospensiva, gia' rigettata nella fase cautelare, ma  da
 riconsiderarsi,   in   pendenza   del  deposito  della  decisione  di
 accoglimento,  ovvero  della   decisione   sulla   pregiudiziale   di
 costituzionalita', ove ritenuta non manifestamente infondata.
    Il  ricorso  e'  stato  quindi  assunto in decisione alla pubblica
 udienza del 26 aprile 1991, nella quale il difensore della istante ha
 discusso oralmente il ricorso.
                             D I R I T T O
    La u.s.l. Ta/3 con la  delibera  n.  536  dell'8  giugno  1989  ha
 disposto  il  mantenimento  in  servizio  della dipendente Gianfiglio
 Maria, ostetrica di ruolo, oltre il sessantacinquesimo anno di  eta',
 per  consentire  alla  stessa  di  raggiungere  il  periodo minimo di
 servizio utile a pensione (quattordici anni, sei mesi e  un  giorno),
 periodo  nella specie non raggiunto dalla Gianfiglio, assunta solo in
 data 4 agosto 1979 e con un periodo di  servizio  pre-ruolo  di  poco
 piu' di cinque mesi (dal 7 luglio 1970 al 31 agosto 1970).
    Tanto  la  u.s.l.  ha  deliberato in virtu' del principio espresso
 dalla Corte costituzionale nella richiamata sentenza n.  238  del  24
 febbraio 1988.
    Il   comitato  regionale  di  controllo  ha  invece  annullato  il
 deliberato in esame sulla semplice ma in se' compiuta  considerazione
 che  quanto  statuito  contrastava  con  il disposto dell'art. 53 del
 d.P.R. n. 761/1979.
    Ebbene osserva  il  collegio  che  alla  stregua  della  normativa
 vigente  alcuna  deroga  del limite massimo di eta' (sessantacinque o
 sessanta anni, a seconda del ruolo professionale di appartenenza)  e'
 consentita,  se  non  per  i  casi  contemplati dall'ultimo comma del
 medesimo art. 53 e, quindi, per il caso che un diverso (e  superiore)
 limite  di  eta'  sia  previsto dalle norme regolamentari relative al
 personale  trasferito  nei  ruoli  nominativi regionali del personale
 delle unita' sanitarie locali.
    Ne' nel caso in esame non poteva trovare applicazione la  sentenza
 n. 238 del 24 febbraio 1988 della Corte costituzionale, sentenza che,
 non  che  prendere  in  considerazione  il  disposto dell'art. 53 del
 d.P.R.  n.  761/1979,  aveva  statuito  la  conformita'  al   dettato
 costituzionale  di  due  leggi  regionali  (legge regione Calabria 31
 luglio 1986 e legge della regione Campania riapprovata il 5  dicembre
 1986)  che una siffatta deroga consentono in favore del personale dei
 propri ruoli regionali (essendo il personale regionale  ordinamentato
 alla stregua di disposizioni legislative regionali).
    Correttamente   quindi   il  Co.Re.Co.  ha  applicato  la  vigente
 normativa,  normativa  che  non  era  facultato  a   disattendere   o
 disapplicare.
    Rimane   allora   da  esaminare  la  censura,  avanzata  da  parte
 ricorrente  in  via  subordinata,  di  illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  53  del  d.P.R.  n.  761/1979,  nella  parte  in  cui  non
 consentirebbe - per il caso che ne occupa - una ulteriore proroga  al
 limite  di  eta'  stabilito  ed al fine di consentire a che non abbia
 ancora maturato il diritto a pensione ordinaria, il  mantenimento  in
 servizio per il tempo strettamente necessario a conseguirlo.
    La  gestione  e'  indubbiamente rilevante, posto che, ove accolta,
 comporterebbe l'automatica illegittimita' e quindi  il  travolgimento
 del   provvedimento   dell'organo  di  controllo  (tempestivamente  e
 ritualmente impugnato), che sul solo disposto della  norma  di  legge
 denunciata ha fondato la sua censura di annullamento.
    Ritiene   il   collegio   che   la   questione  sia  altresi'  non
 manifestamente infondata.
    L'art. 36 della Carta costituzionale  statuisce,  quale  principio
 carine  di  una  Repubblica  fondata  sul  lavoro  (art.  1)  che "il
 lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantita'
 e qualita' del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a
 se' e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa". Il  successivo
 art. 38 al primo e secondo capoverso sancisce che "i lavoratori hanno
 diritto  che  siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro
 esigenze di vita in  caso  di  infortunio,  malattia,  invalidita'  e
 vecchiaia,  disoccupazione  involontaria.  Gli invalidi ed i minorati
 hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale".
    Orbene, posto che per l'accesso ai pubblici impieghi e' in  genere
 statuito un limite massimo di eta' (limite che, gia' previsto in anni
 trenta, fu elevato ad anni trentacinque dalla legge 3 giugno 1978, n.
 288,  ed  e'  stato  ora  portato  ad  anni  quaranta,  tranne talune
 eccezioni,  dalla  legge  27  gennaio  1989,  n.  25,  e   salve   le
 maggiorazioni  di  legge),  in  genere il problema del collocamento a
 riposo per raggiunti limiti di eta'  senza  diritto  a  pensione  nel
 pubblico  impiego  non  si  pone,  solo potendo variare la misura del
 trattamento  pensionistico  raggiunto,   essendo   tale   trattamento
 ovviamente proporzionato alla anzianita' contributiva.
    Tuttavia,  a  prescindere  dalla possibilita' che detto limite sia
 elevato per situazioni familiari e contingenti  (quali  lo  stato  di
 coniugato  e  numero di figli) proprio alcune norme intese a favorire
 il collocamento di particolari categorie di  lavoratori  parzialmente
 invalidi  o in condizione sociale disagiata (art. 1 della legge del 2
 aprile 1968, n. 482), prevedono la possibilita' di assunzione  (anche
 senza  concorso),  oltre  il detto limite e fino al limite di eta' di
 anni cinquantacinque.
    In  questi  casi,  ovvero  in  altri  che  possono  sporadicamente
 verificarsi  con  incidenza  invero marginale, il lavoratore potrebbe
 non raggiungere, alla data massima  fissata  per  il  collocamento  a
 riposo  il  minimo di periodo contributivo utile per il godimento del
 diritto a pensione.
    Trattasi  di  casi   fortunatamente   sporadici,   ma   certamente
 incresciosi,  posto  che  proprio  quelle  norme intese a favorire il
 collocamento  di  categorie  "protette"  di  lavoratori,  consentendo
 l'assunzione  anche  oltre  il  limite  massimo previsto dalla legge,
 finiscono  poi  per   penalizzare   il   lavoratore   medesimo,   non
 consentendogli  di  raggiungere  una  eta'  minima  per conseguire il
 trattamento di pensione e, quel che e' peggio, vanificando del  tutto
 la  contribuzione  obbligatoria  cui  comunque  il suo trattamento di
 servizio resta assoggettato.
    Come e' noto, al fine di  eliminare  tali  situazioni  incresciose
 alcune  leggi  regionali hanno disposto che il limite di eta', per il
 personale appartenente ai propri ruoli,  possa  essere  derogato  nel
 caso  in  cui  il  lavoratore  non  abbia raggiunto, all'eta' massima
 prevista per il congedamento, il minimo della pensione;  e  hanno  in
 siffatti casi consentito che il lavoratore permanga in servizio oltre
 il  limite previsto per la sua categoria professionale e per il tempo
 strettamente necessario a garantirgli il  raggiungimento  del  minimo
 pensionabile,  con  il limite, in genere ritenuto non valicabile, del
 settantesimo anno di eta'.
    Tali disposizioni regionali - legge regione  Calabria  riapprovata
 il  31 luglio 1986 e legge regione Campania riapprovata il 9 dicembre
 1986 - derogatorie, proprio nei  sensi  sopra  espressi,  del  limite
 massimo  di  eta'  per  il  collocamento a riposo del personale, sono
 state ritenute dalla Corte costituzionale non confliggenti con l'art.
 117 della Costituzione, che impone alle regioni di uniformarsi, nella
 loro attivita' legislativa, ai principi fondamentali contenuti  nelle
 leggi  dello  Stato,  e  con  l'art. 4 della Costituzione, che pur e'
 inteso  a  garantire  a  tutti  i  cittadini  il  diritto  al  lavoro
 promuovendo le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
    Tanto  con  la  sentenza n. 238 del 24 febbraio-3 marzo 1988, piu'
 volte richiamata dalla difesa della odierna ricorrente.
    Ha riconosciuto in detta sentenza la sovrana Corte che dette norme
 regionali erano e sono dirette  a  tutelare  un'esigenza  che  andava
 ricondotta,   in   via  generale,  a  "un  interesse  tutelato  dalla
 Costituzione come diritto del lavoratore in  quanto  tale  (art.  38,
 secondo   comma)   nei  cui  confronti  appare  indifferente  che  il
 lavoratore risulti inserito in un rapporto d'impiego  pubblico  o  in
 uno di tipo privato".
    E'  noto infatti che un simile principio e' stato affermato in via
 generale per i lavoratori dipendenti del settore privato (art. 6  del
 d.-l.  22  dicembre  1981  n.  791), mentre nel settore pubblico esso
 trova riscontri solo sporadici e per categorie limitate,  cosi'  come
 nel  caso  dell'art.  15  della legge 30 luglio 1973, n. 477, recante
 "delega al Governo per l'emanazione di norme  sullo  stato  giuridico
 del  personale  direttivo,  ispettivo  e  docente e non docente della
 scuola ..".
    Il  caso  previsto  della  norma  in  esame  e' a parere di questo
 giudice amministrativo emblematico, posto che su  di  essa  la  Corte
 costituzionale   e'   intervenuta   con   due  distinte  sentenze  di
 annullamento parziale (e sostanzialmente additive).
    Con la prima di tali sentenze il giudice delle leggi ebbe  infatti
 a  rilevare  la  sostanziale irrazionalita' (e quindi il contrasto di
 tale norma con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza di cui
 all'art. 3 della  Costituzione)  laddove  tale  norma  consentiva  al
 personale in detta legge contemplato e in servizio al 1º ottobre 1974
 di  rimanere  in  servizio oltre il sessantacinquesimo anno di eta' e
 fino al limite massimo di settanta anni ove non avesse  raggiunto  il
 massimo  della  pensione, limitando invece la permanenza allo stretto
 necessario per conseguire il minimo di pensione  per  quel  personale
 che,  alla  detta  eta'  massima  (di anni sessantacinque) non avesse
 ancora conseguito il minimo.
    Qui veniva tutelata, per motivi di  ragionevolezza,  non  la  sola
 permanenza  in  servizio fino al raggiungimento del minimo, in favore
 di quel personale che alla eta' di sessantacinque  anni  quel  minimo
 non  aveva  conseguito,  ma  anche l'esigenza di incrementare la base
 contributiva oltre il minimo e fino all'eta' massima di settant'anni.
    Poiche' tale norma trovava applicazione solo  con  riferimento  al
 personale  in  servizio  al  1º  ottobre 1974, di recente la Corte e'
 tornata sull'argomento e, con la pregevole sentenza  n.  444  del  26
 settembre-12  ottobre  1990 ha nuovamente dichiarato incostituzionale
 la medesima disposizione dell'art. 15, terzo comma,  della  legge  30
 luglio  1973  n.  477,  nella  parte in cui non consente al personale
 direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola assunto dopo
 il 1º ottobre 1974 e che al compimento del sessantacinquesimo anno di
 eta' non abbia raggiunto il numero di anni richiesto per ottenere  il
 minimo della pensione, di rimanere in servizio, su richiesta, fino al
 conseguimento   di   tale   anzianita'  minima  e  comunque  fino  al
 settantesimo anno di eta'.
    E'  illuminante  notare  che,  questa  volta,  a  parametro  della
 riconosciuta incostituzionalita' della norma sia stato preso non piu'
 l'art. 3 e quindi il principio di ragionevolezza della normativa (che
 per  il personale assunto prima del 1º ottobre 1974 e che avesse gia'
 raggiunto il minimo della pensione consentiva anche la permanenza  in
 servizio al fine di conseguire il massimo di anzianita' contributiva)
 bensi'  proprio l'art. 38, secondo comma, della Costituzione che mira
 a garantire a tutti i lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di
 vita in  caso  di  infortunio,  malattia,  invalidita'  e  vecchiaia,
 disoccupazione involontaria.
    Questo  tribunale  non ignora come ancora con sentenza n. 461/1989
 la Corte costituzinale abbia ritenuto non fondata l'analoga questione
 di costituzionalita' dell'art. 4 d.P.R. 29 dicembre  1973,  n.  1092,
 sul trattamento di quiescenza del personale statale.
    Ma  neppure  puo'  ignorare  come, da un canto nella citata ultima
 sentenza n. 444/1990 la stessa Corte abbia riconosciuto e  dato  atto
 della   nuova  evoluzione  legislativa  della  materia  -  evoluzione
 peraltro gia' auspicata dalla Corte nella stessa sentenza n. 461/1989
 (con normativa sempre piu' attenta  alle  ragioni  del  dipendente  e
 sempre  piu'  incline  a riconoscere deroghe ai vari limiti previsti,
 per i singoli settori, per il collocamento  a  riposo  -,  dall'altro
 come,  proprio  alla  luce  di tali nuove emergenze il t.a.r. Toscana
 abbia riproposto, con ordinanza del 4 dicembre  1990  (pubblicata  in
 Gazzetta  Ufficiale n. 12 del 20 marzo 1991, prima serie speciale) la
 medesima  questione  di  costituzionalita'  dell'art.  4  d.P.R.   n.
 1092/1973.
    E'  la  stessa  Corte costituzionale a rilevare (nella motivazione
 della recente sentenza n. 444/1990) che, successivamente  alla  detta
 pronuncia  n.  461/1989  e' intervenuta la legge 28 febbraio 1990, n.
 37, che, nel convertire in legge il d.-l. 27 dicembre 1989,  n.  413,
 ha esteso, per i dirigenti civili dello Stato, le disposizioni di cui
 al  richiamato  art.  15,  secondo  e  terzo  comma,  della  legge n.
 477/1973, di recente reinterpretato  autenticamente  con  l'art.  10,
 sesto comma, del d.-l. 357/1989 (conv. in legge n. 417/1989).
    E'  ancora  da aggiungere che, ancor piu' di recente, con legge n.
 50 del 19 febbraio 1991 (in Gazzetta Ufficiale n. 43 del 20  febbraio
 1991)  e'  stato  disposto che "i primari ospedalieri che non abbiano
 raggiunto il numero di anni  di  servizio  effettivo  necessario  per
 conseguire  il  massimo  della  pensione  possono  chiedere di essere
 trattenuti in servizio fino al raggiungimento di tale  anzianita'  e,
 comunque,  fino  al  settantesimo  anno  di eta'", con salvezza delle
 deroghe anteriormente previste dall'art. 6 della legge n. 336/1964  e
 dal d.-l. n. 402/1982.
    Orbene,  se  il  legislatore  si  preoccupa  di  salvaguardare  la
 posizione dei dirigenti civili dello Stato, cui ha  esteso  la  norma
 settorialmente  previsto per il personale direttivo ispettivo docente
 della scuola  (art.  15,  secondo  e  terzo  comma,  della  legge  n.
 477/1973),  norma  che oramai trova estensione, per la emenda operata
 dalla Corte, anche al personale assunto in ruolo dopo la data del  1º
 ottobre  1974,  e se il medesimo legislatore avverte la necessita' di
 salvaguardare la posizione  previdenziale  del  personale  medico  di
 posizione  apicale  che  al raggiungimento dei sessantacinque anni di
 eta' non abbia  conseguito  il  massimo  della  pensione,  certamente
 iniquo  ed  irrazionale  e'  il  non  consentire a personale di minor
 reddito e certamente di piu' ridotta capacita' economica di permanere
 in servizio oltre il limite  previsto  in  via  generale  almeno  per
 raggiungere il minimo di anzianita' pensionabile.
    Qui  non  viene  vulnerato  solo  l'art.  38, secondo comma, della
 Costituzione, che pur impone allo Stato di assicurare  al  lavoratore
 idonei sussidi per affrontare l'invalidita' e la vecchiaia; ne' viene
 solo vulnerato il successivo terzo comma del medesimo art. 38 che pur
 prevede  il diritto all'avviamento professionale degli invalidi e dei
 minorati: e si e' visto come le  norme  che  consentono  l'assunzione
 oltre  il  limite  ordinario  e  fino ad anni cinquantacinque sono in
 genere le norme previste  a  favore  delle  categorie  "protette"  di
 invalidi  civili o socialmente piu' bisognose; ma vengono ad un tempo
 vulnerati gli artt. 3 e 4 della Carta costituzionale, posto che da un
 canto non si consente a categorie meno abbienti e  piu'  deboli  quel
 mantenimento  in  servizio  che  invece  viene previsto per categorie
 senz'altro meno bisognose (dirigenti civili  dello  Stato;  personale
 direttivo ispettivo e docente o anche non docente dello Stato; medici
 del  servizio sanitario in posizione apicale) e per esigenze anche di
 mero  incremento  della  base  pensionabile  fino  al  massimo  della
 anzianita'  contributiva,  quando invece un simile mantenimento viene
 disconosciuto e negato a chi pur vorrebbe permanere in servizio  solo
 quel tanto che gli consenta di raggiungere il minimo della pensione.
    Vengono,  per  usare  un  vecchio  brocardo,  premiate  e tutelate
 nutrite  categorie  di  pubblici  dipendenti  qui  certant  de  lucro
 captando,  mentre vengono poste in non cale le esigenze di una esigua
 e pur sparuta schiera di pubblici lavoratori  qui  certant  de  damno
 vitando.
    Se  poi  si  considera  che  i dipendenti della regione Calabria e
 della regione Campania considerati nella sentenza n.  238/1988  della
 Corte   costituzionale   non  soffrono  di  questo  problema,  grazie
 all'intervento di disposizioni regionali ad hoc,  ritenute  non  solo
 non contrastanti, ma pienamente conformi al dettato costituzionale, e
 se  si  considera  che  una  interpretazione estensiva potrebbe forse
 estendere anche al personale delle u.s.l.   delle dette  regioni  una
 simile  normativa  di  privilegio  (i  ruoli nominativi del personale
 delle uu.ss.ll. sono  istituiti  e  gestiti  dalla  regione  a  sensi
 dell'art.  1  del decreto del d.P.R. n.  761/1979), si avra' chiara e
 netta la percezione dell'attentato al principio di eguaglianza, posto
 che identiche posizioni di lavoro verrebbero differentemente trattate
 e sicuramente discriminate a seconda della regione di appartenenza e,
 comunque, del ruolo di appartenenza  del  detto  personale  parimenti
 inserito  in  ruoli  nominativi  istituiti,  gestiti  e  tenuti dalla
 regione.
    Tra l'altro il limite imposto dall'art. 53 del decreto del  d.P.R.
 n.  761/1979  potrebbe essere aggirato e violato ove un dipendente di
 una u.s.l. chieda il trasferimento in una di quelle regioni (Calabria
 e Campania) che attualmente possiedono una  norma  di  favore  per  i
 dipendenti che non raggiungano all'eta' massima prevista il diritto a
 pensione;  salva  poi la possibilita' di brigare per passare dall'uno
 all'altro dei ruoli  regionali  al  fine  di  poter  usufruire  degli
 anzidetti benefici.
    Esigenze  di  uniformita'  e  di  eguaglianza  esigono  invece che
 l'anzidetta deroga, se prevista a favore di alcuni, sia consentita  a
 favore  di  tutti  i pubblici dipendenti e, comunque, per rimanere al
 caso  che  oggetto  di  contestazione,  ai  dipendenti  delle  unita'
 sanitarie locali.
    Si  e'  fatto  cenno  alla  possibile violazione dell'art. 4 della
 Carta costituzionale, il quale statuisce che "la Repubblica riconosce
 a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che
 rendano effettivo questo diritto".
    E' questa, come si vede, una norma tutt'altro  che  programmatica,
 che  deve  manifestare  la  sua  precettivita'  non  solo nel momento
 dell'avviamento  al  lavoro,  ma  anche  nel  momento  della   scelta
 dell'eta',  del  collocamento  a riposo, che deve essere stabilita in
 modo tale da garantire per quanto possibile a tutti i  lavoratori  di
 conseguire  quel  trattamento pensionistico e previdenziale che altra
 norma di rango costituzionale (l'art. 38) e' poi intesa a tutelare  e
 garantire.
    Sotto  il  profilo dell'art. 36 va poi rilevato che la pensione di
 vecchiaia si pone, in parte, per  il  lavoratore,  come  retribuzione
 differita.
    Anche  il  trattamento pensionistico deve garantire al lavoratore,
 nei limiti di compatibilita' con il  sistema  ecoomico  dello  Stato,
 quella esistenza libera e dignitosa per se' e per la sua famiglia che
 ogni societa' civile e' intesa a tutelare e garantire.
    Orbene davvero incongruo e irrazionale, oltreche' lesivo del detto
 principio   e'  il  costringere  comunque  il  lavoratore  a  versare
 contributi per il trattamento di quiescenza ove quel trattamento  non
 gli possa poi essere in concreto garantito.
    Delle  varie ipotesi l'una: o al lavoratore si consente di restare
 in servizio oltre il limite massimo previsto in  via  generale  dalla
 legge,  al  fine  di  maturare l'eta' minima per il conseguimento del
 diritto  a  pensione,  ovvero  non  vanno  al  medesimo  imputati   i
 contributi relativi al conseguimento di una pensione di vecchiaia che
 egli non potra' in nessun caso conseguire.
    Nel  caso  che  ne occupa infatti, e in tutti i casi consimili, il
 lavoratore e' costretto a  pagare  contributi  per  una  pensione  di
 vecchiaia che sa in partenza di non poter conseguire.
    Tali  contributi,  se  lasciati  in  disponibilita' del lavoratore
 potrebbero  invece  consentirgli  di  crearsi  forme  di   previdenza
 alternativa,  magari  con  istituti  privati  o  anche  pubblici  che
 prevedono la possibilita' di costituzione di rendite vitalizie  o  di
 pensioni integrative o alternative.
    Costringendo  invece  il lavoratore al forzoso prelievo del carico
 contributivo  previdenziale  si   impone   al   lavoratore   pubblico
 dipendente  non  solo  il  danno di un inutile prelievo forzoso ma la
 beffa di una pensione alla quale egli contribuisce ma che non puo' in
 concreto conseguire.
    Il tutto mentre analoghi problemi non si ravvisano  per  l'impiego
 privato, per il quale il citato art. 6 del d.-l. 22 novembre 1981, n.
 791,  consente  quel  mantenimento in servizio fino al raggiungimento
 del minimo di pensione che viene negato al dipendente della u.s.l.
    Il vecchio brocardo del sumum jus summa iniura mal si addice a  un
 moderno   sistema   giuridico  che  deve  garantire  l'equita'  e  la
 razionalita' oltre che la regolarita' formale del suo ordinamento.
    L'art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica 20  dicembre
 1979,  n. 761, nella parte in cui non prevede la possibilita', per il
 lavoratore che alla data massima per il suo collocamento a riposo non
 abbia raggiunto il minimo di servizio effettivo utile a pensione,  di
 poter  essere  mantenuto  a  domanda in servizio anche oltre il detto
 limite  di  eta'  fino  al  conseguimento  della  minima   anzianita'
 contributiva  (con  il  ridetto  limite  di anni settanta, limite che
 comunque consentirebbe anche all'impiegato assunto a  cinquantacinque
 anni  di  conseguire il diritto a pensione ordinaria di vecchiaia) e'
 sicuramente  sospetto  di  violazione  dei  principi   costituzionali
 sanciti  negli  artt.  3,  4,  36  e 38, secondo e terzo comma, della
 Costituzione e la questione relativa va rimessa all'esame della Corte
 costituzionale sospendendosi, nelle more, il presente giudizio.
    Non  puo'  invece  darsi  luogo  a  nuova  pronuncia  sull'istanza
 cautelare, in quanto la relativa domanda (di sostanziale revoca della
 precedente  ordinanza  n. 634/1989) e' stata proposta con memoria non
 notificata alla pubblica amministrazione e depositata comunque  fuori
 dei  termini  previsti  dall'art.  23,  quarto  comma,  della legge 6
 dicembre 1971, n. 1034.
                                P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata  ai  fini  della
 decisione  del ricorso la questione di costituzionalita' dell'art. 53
 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, nella parte in cui  non  prevede
 il  diritto  al  trattenimento  in  servizio  a domanda del personale
 ultrasessantacinquenne (o  ultrasessantenne)  che  non  abbia  ancora
 maturato  l'anzianita'  di  servizio  minima per il conseguimento del
 diritto a pensione e per  il  periodo  necessario  a  garantire  tale
 diritto;
    Dispone,  per  l'effetto  la  sospensione del giudizio in corso ed
 ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina che a cura  della  segreteria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
    Cosi' deciso in Bari, nella camera  di  consiglio  del  26  aprile
 1991.
                       Il presidente: ALLEGRETTA
                                         Il consigliere est.: FIANDACA
    Depositata in segreteria addi' 13 maggio 1991 (art. 55 della legge
 27 aprile 1982, n. 186).
                       Il segretario: LA MACCHIA

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