N. 53 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 10 giugno 1992

                                 N. 53
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 10 giugno 1992 (della regione Calabria)
 Edilizia e urbanistica - Termini per l'approvazione degli strumenti
    urbanistici - Qualificazione del  termine  di  centottanta  giorni
    previsto  dall'art.  9,  secondo  comma,  del  d.-l.  n.  702/1978
    (convertito in legge n. 3/1979), per  l'approvazione  del  p.r.g.,
    quale  termine  perentorio  la cui decorrenza comporta, in base al
    principio del silenzio-assenso, la tacita approvazione,  da  parte
    della  regione, dello strumento urbanistico adottato dal consiglio
    comunale  dopo  l'esame  delle   osservazioni   presentate   dalle
    associazioni  sindacali  e  da  altri enti pubblici ed istituzioni
    interessate - Attribuzione al Ministro per il coordinamento  della
    protezione   civile   della  facolta'  di  stipulare  direttamente
    convenzioni con soggetti  anche  privati  (istituti  e  gruppi  di
    ricerca)   per   il   perseguimento  di  specifiche  finalita'  di
    protezione civile - Asserita indebita  invasione  della  sfera  di
    competenza  primaria  delle  regioni  in  materia  di  edilizia ed
    urbanistica, sotto il profilo della violazione del  principio  che
    soltanto   la   regione   ha   il  potere  di  emanare  norme  che
    attribuiscano alla sua inattivita'  il  significato  di  silenzio-
    assenso  -  Violazione  dei  principi  della tutela dell'ambiente,
    della salute nonche' della salvaguardia  dei  cittadini,  principi
    compressi  dalla  normativa  impugnata che inibisce l'attivita' di
    coordinamento e di pianificazione della regione (artt. 3, 97,  117
    e 118 della Costituzione).
 (D.-L. 30 aprile 1992, n. 274, art. 3).
 (Cost., artt. 3, 9, 32, 97, 117 e 118).
(GU n.27 del 24-6-1992 )
   Ricorso  per  la  regione  Calabria, in persona del presidente pro-
 tempore della giunta  regionale,  rappresentata  e  difesa,  come  da
 procura  a  margine del presente atto, dall'avv. Tommaso Giusti e dal
 prof. avv. Franco Gaetano Scoca, ed elettivamente domiciliata  presso
 lo  studio  di  quest'ultimo,  in  Roma  alla via G. Paisiello n. 55,
 contro la Presidenza del  Consiglio  dei  Ministri,  in  persona  del
 Presidente   pro-tempore,  per  la  dichiarazione  di  illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  3  del  d.-l.  30  aprile  1992,  n.  224,
 pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 101
 del 2 maggio 1992,  recante  "differimento  di  termini  previsti  da
 disposizioni legislative ed altre disposizioni urgenti".
                               F A T T O
    1.  -  L'art.  9 del d.-l. 10 novembre 1978, n. 702 (convertito in
 legge 8 gennaio 1979, n. 3) prevede, tra l'altro, che "entro sei mesi
 dall'entrata in  vigore  della  legge  di  conversione  del  presente
 decreto  le  regioni,  qualora  non abbiano gia' provveduto, dovranno
 emanare norme  per  accelerare  le  procedure  per  la  formazione  e
 l'approvazione  degli  strumenti  urbanistici.  Tali  norme  dovranno
 informarsi ai seguenti principi:
       a)  prevedere  termini  per  ogni  fase  relativa  all'iter  di
 adozione degli strumenti urbanistici;
       b)  stabilire il termine massimo entro il quale la regione deve
 adottare il provvedimento definitivo di approvazione;
       c) definire le modalita' di esercizio del potere sostitutivo in
 caso di inosservanza da parte dei comuni dei termini fissati.
   Il termine massimo di cui al precedente comma, lett. b),  non  puo'
 essere  superiore  a  centottanta  giorni  per  il  piano  regolatore
 generale e tale termine deve essere  adeguatamente  ridotto  per  gli
 altri   atti  urbanistici  che,  secondo  le  norme  regionali,  sono
 assoggettabili alla formale approvazione della regione".
    2. - La legge 8 settembre 1981, n.  15,  della  regione  Calabria,
 recante  "Norme  per  accelerare  le  procedure  per  la formazione e
 l'approvazione degli  strumenti  urbanistici  in  applicazione  della
 legge  8  gennaio  1979,  n.  3" ha inteso articolare la procedura di
 formazione ed approvazione del piano regolatore generale in modo tale
 da pervenire al perfezionamento del piano nei termini previsti  dalla
 normativa statale.
    Per  quanto  riguarda  i  tempi  di formazione del piano, la legge
 citata obbliga il comune ad adottare la delibera  di  controdeduzione
 alle  osservazioni e/o opposizioni entro i sessanta giorni successivi
 alla data di scadenza del termine  utile  per  la  loro  proposizione
 (art. 1, secondo comma).
    L'art.  2  della  legge, al primo comma, fissa altresi' il termine
 entro il quale il piano  adottato,  va  trasmesso  alla  regione  per
 l'approvazione:  trenta giorni che decorrono o dalla data di scadenza
 del periodo di pubblicazione ovvero, in presenza di osservazioni  e/o
 opposizioni,  dalla  data  del  visto  di legittimita' della delibera
 consiliare di controdeduzioni.
    Per quanto riguarda la fase  procedimentale  volta  alla  relativa
 approvazione regionale, la legge regionale, agli artt. 6 e 7, prevede
 una  sequenza  temporale  idonea  a garantire l'esigenza, fissata dal
 d.-l. 10 novembre 1978, n. 702, che dalla trasmissione degli atti del
 comune  ai  competenti  organi  regionali   fino,   alla   definitiva
 approvazione regionale non trascorrano piu' di centottanta giorni.
    3. - La disposizione dell'art. 3 del d.-l. 30 aprile 1992, n. 274,
 avverso  la  quale  si  ricorre,  ha  stabilito  che  il  "termine di
 centottanta giorni previsto dall'art. 9, secondo comma, del d.-l.  10
 novembre  1978,  n. 702, convertito, con modificazioni, nella legge 8
 gennaio 1979, n. 3, deve considerarsi perentorio e la sua  decorrenza
 comporta  la tacita approvazione dello strumento urbanistico adottato
 con l'esame delle osservazioni da parte del consiglio comunale".
    Tale previsione introduce  effetti  che  minano  l'intero  sistema
 della  pianificazione  urbanistica e territoriale e si traduce in una
 indebita espropriazione delle  funzioni,  tipicamente  regionali,  di
 disciplinare   legislativamente   la   procedura   di  formazione  ed
 approvazione  degli  strumenti  urbanistici,  di  approvare  i  piani
 adottati  in  sede   comunale,   e   nella   conseguente   potenziale
 vanificazione  della pianificazione sovra-comunale, volta alla tutela
 di interessi che trascendono la dimensione comunale.
    4. - E' evidente che:
       a) il termine reso "perentorio", alla  scadenza  del  quale  il
 decreto-legge  che  si  impugna  ha  voluto  ricollegare l'effetto di
 approvazione tacita di strumenti urbanistici generali e', in realta',
 un termine che le disposizioni (decreto-legge e legge di conversione)
 del 1978 e 1979 ponevano, a livello di "principio", come criterio per
 legiferare da parte  delle  regioni  in  una  materia  (quale  quella
 urbanistica)   trasferita   alla   loro   competenza  legislativa  ed
 amministrativa ex artt. 117 e 118 della Costituzione);
       b) viene introdotto, per tale via, un  meccanismo  di  silenzio
 assenso,  di approvazione tacita degli strumenti urbanistici generali
 che non e' in alcun modo conciliabile con i caratteri  strutturali  e
 funzionali  dell'atto  di  approvazione  regionale, non configurabile
 quale atto di controllo,  ma  esso  stesso  espressione  di  potesta'
 pianificatoria   diretta   alla   "coformulazione"   dello  strumento
 urbanistico.
    Il termine perentorio previsto dall'art. 3  del  d.-l.  30  aprile
 1992,   n.   274,   risulta   illegittimo   sul  piano  dei  principi
 costituzionali e, pertanto, viene impugnato  dalla  regione  Calabria
 per i seguenti motivi di
                             D I R I T T O
    Violazione   degli   artt.   117,  118,  9,  32,  3  e  97,  della
 Costituzione,  gli  ultimi  dei  quali   sotto   il   profilo   della
 irragionevolezza e irrazionalita'.
    1.  -  La  disposizione  nel  prevedere  che,  decorso  il termine
 "perentorio" di  centottanta  giorni,  deve  intendersi,  tacitamente
 approvato  il piano "adottato con l'esame delle osservazioni da parte
 del consiglio comunale", trascura la molteplicita' e diversificazione
 di  effetti  che,  in  pratica,  puo'  conseguire   all'esame   delle
 osservazioni.
    E'  possibile  che l'esame delle osservazioni conduca ad una nuova
 deliberazione comunale che, tenendo conto delle  osservazioni,  porti
 ad  una  nuova  adozione  del  progetto di piano, da trasmettere alla
 regione.
    Nella maggior parte dei casi, accade che il comune,  dopo  l'esame
 delle  osservazioni,  proponga  alla  regione,  con  la deliberazione
 consiliare, di accogliere o respingere,  in  tutto  o  in  parte,  le
 osservazioni  presentate  al  piano; in tali ipotesi, non considerate
 dalla disposizione che si  impugna,  il  comune  adotta  un  semplice
 "avviso" in funzione propositiva nei confronti della regione la quale
 e',  di  conseguenza,  libera di decidere autonamamente dal comune in
 sede di approvazione definitiva.
    A tali rilievi si aggiunga che la regione,  in  sede  approvativa,
 puo' tener conto di eventuali osservazioni tardive, puo' esercitare i
 poteri  di  modifica d'ufficio (art. 10, secondo comma, e segg. della
 legge 17 agosto  1942,  n.  1150,  e  succ.  mod.  e  integr.),  deve
 apportare  al  piano  quelle  modifiche  dovute  al  mutamento  della
 struttura  urbanistica  eventualmente  verificatasi  nel  corso   del
 procedimento  di adozione o di approvazione del p.r.g. (C.S., sezione
 sesta, n. 786 del 21 giugno 1980, a titolo esemplificativo).
    La  possibile  diversificazione  di  effetti conseguente all'esame
 delle  osservazioni,  testimoniata  da  una  giurisprudenza  costante
 sull'argomento,  e'  stata  ignorata dalla disposizione impugnata; la
 quale, ricollegando effetti al semplice esame delle osservazioni,  ha
 ritenuto possibile l'introduzione del silenzio-assenso in luogo della
 espressa approvazione regionale.
    La   previsione   di   una   maturazione   del   provvedimento  di
 approvazione, come  conseguenza  del  semplice  decorso  del  termine
 assegnato,  e'  incompatibile  con  la  natura e l'assetto dei poteri
 regionali in materia in quanto espropria le  potesta'  della  regione
 che,  invece, vanno esercitate in modo positivo e concreto perche' si
 possa  concepire  la  stessa  esistenza  dell'atto  di  approvazione,
 provvedimento  complesso  in  cui devono confluire sia l'attivita' di
 formazione del comune, sia l'attivita' di approvazione  ed  eventuale
 modifica della regione.
    2. - La norma dell'art. 3 del d.-l. n. 274/1992, oltre ad incidere
 sul   contenuto  delle  potesta'  in  materia  urbanistica,  comporta
 l'indebita interferenza  statale  nel  potere  di  autoorganizzazione
 delle  regioni,  che consente loro di definire gli aspetti gestionali
 delle procedure relative alle materie enumerate nell'art.  117  della
 Costituzione.   La  disciplina  dei  procedimenti  di  formazione  ed
 approvazione degli strumenti urbanistici costituisce, dunque, un'area
 riservata alla legge regionale, alla quale soltanto e' consentito  di
 configurare   il   provvedimento   di  approvazione  degli  strumenti
 urbanistici in termini di silenzio accoglimento, in casi  particolari
 in cui essa non ravvisi la necessita' di un intervento attivo.
    3.  -  L'illegittimita' della norma impugnata e' ravvisabile anche
 in base al criterio indicato  dall'art.  117  della  Costituzione  in
 virtu'  del  quale  allo Stato compete una legislazione di indirizzo,
 mentre alla regione spetta l'attuazione e lo svolgimento delle scelte
 di indirizzo statali mediante una legislazione non limitata a  quella
 "di dettaglio".
    In  ossequio  a  tale  principio, il d.-l. n. 702/1978, convertito
 nella legge n. 3/1979, nel prevedere il termine di centottanta giorni
 per la approvazione  degli  strumenti  urbanistici  generali,  lo  ha
 espressamente   qualificato   (all'art.   9)  quale  "principio"  per
 l'emananda legislazione regionale.
    La norma introdotta dall'art. 3 del  d.-l.  n.  274/1992,  invece,
 appare  in  modo  evidente,  per  la  rigidita'  e  l'assolutezza del
 relativo contenuto, norma di dettaglio statale che, per giunta,  cade
 in   un   ambito   gia'  compiutamente  regolato  dalla  legislazione
 regionale.
    La legislazione calabrese, infatti, ha organicamente  disciplonato
 la   procedura   di   formazione   ed  approvazione  degli  strumenti
 urbanistici generali con legge 15  dicembre  1973,  n.  18,  legge  2
 giugno  1980,  n. 20, e legge 8 settembre 1981, n. 15, la quale, come
 ricordato  nelle  premesse  di  fatto,  ha   dato   attuazione   alle
 disposizione di accelerazione di cui al d.-l. n. 702/1978.
    La norma impugnata e' andata ad incidere, nel caso in esame, su di
 un  ambito  integralmente regolato dall'autonomia regionale, per piu'
 con modalita' conformi alle  indicazioni  della  citata  legislazione
 statale di "principio".
    4.  -  Il  d.-l.  n.  702/1978,  nel prevedere che la legislazione
 regionale fissi non solo il termine finale di approvazione, ma  anche
 i  termini  intermedi,  e'  chiaramente improntato ad una esigenza di
 accelerazione e concentrazione dell'intera procedura di formazione ed
 approvazione degli strumenti urbanistici generali.
    La attribuzione del carattere di  perentorieta'  al  solo  termine
 relativo  all'atto finale di approvazione, per effetto della rigida e
 puntuale disposizione statale impugnata, e' irrazionale.
    E' chiaro che qualsiasi ritardo  nel  compimento  delle  attivita'
 intermedie,  stante il carattere ordinatorio dei relativi termini, si
 risolve inevitabilmente in una compressione  dello  spazio  temporale
 riservato  alla  posizione  dell'atto  di  definitiva  approvazione e
 all'istruttoria ad essa funzionale.
    Cio' potrebbe determinare il verificarsi  di  ipotesi  in  cui  il
 termine  perentorio dei centottanta giorni decorra senza che l'organo
 regionale competente alla  definitiva  approvazione  abbia  avuto  la
 materiale  possibilita'  di  approvare  il  piano  o, addirittura, di
 prendere visione degli elaborati.
    Nel caso  della  regione  Calabria,  la  cui  legislazione  fissa,
 nell'ambito   della   sequenza   di   atti  volta  alla  approvazione
 definitiva, una serie di termini intermedi, la situazione  ipotizzata
 potrebbe   verificarsi,   ad   esempio,   nell'ipotesi   di   ritardo
 nell'esplemento dell'attivita' prevista nell'art. 7,  secondo  comma,
 della legge 8 settembre 1981, n. 15.
    5.  -  L'introduzione  di  una  approvazione  tacita  di strumenti
 urbanistici generali, quale effetto "automatico" della scadenza di un
 termine (qualificato dell'art. 3 del d.-l. n. 274/1992  "perentorio",
 puo'  tradursi  in  una  grave  compromissione  dell'ambiente, la cui
 tutela e' imposta " ..innanzitutto da precetti costituzionali  (artt.
 9 e 32 della Costituzione), per cui esso assurge a valore primario ed
 assoluto" (Corte costituzionale n. 641/1987).
    Nelle ipotesi di approvazione tacita dello strumento e' chiaro che
 il  mancato  intervento  urbanistico  regionale  si traduce nella non
 ponderazione   dell'interesse   pubblico   ambientale,    alla    cui
 realizzazione  invece,  stante  il  suo carattere "primario", debbono
 concorrere tutte le pubbliche  istituzioni  e,  in  primo  luogo,  la
 regione,  titolare  delle  potesta'  in  materia urbanistica, sede di
 composizione  dei  vari  interessi  ricadenti  nella   gestione   del
 territorio.
    Una  approvazione  tacita  degli  strumenti urbanistici si risolve
 nella effettiva espropriazione della funzione  urbanistica  regionale
 che  si  esprime  principalmente  nell'esercizio  delle  funzioni  di
 coordinamento delle varie attivita' pianificatorie che si svolgono in
 ambito regionale, anche e soprattutto assicurando il  rispetto  e  la
 tutela   di   valori   che  trascendono  la  dimensione  comunale  o,
 addirittura, come nel caso  della  tutela  ambientale,  costituiscono
 beni   alla   cui   tutela   devono  rivolgersi  tutte  le  pubbliche
 istituzioni.
    E' vero che la legge 7 agosto 1990, n. 241, nel capo quarto (artt.
 14-21),  prevede  norme  in  tema  di   semplificazione   dell'azione
 amministrativa.  Va  rilevato,  pero',  che  i  valori  di efficenza,
 rapidita', snellezza dell'azione  amministrativa,  tutelati  anche  a
 livello  costituzionale dell'art. 97, non possono essere perseguiti a
 scapito  della  protezione  di  valori,  inerenti  alla  salvaguardia
 ambientale, che non solo trovano diretto riconoscimento negli artt. 9
 e   32   della   Costituzione,   ma   sono  collocati,  dalla  stessa
 giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,  in  una  posizione  di
 supremazia rispetto alle esigenze di semplificazione ed accelerazione
 dell'azione amministrativa.
    Tra   le   sentenze  piu'  recenti  della  Corte,  e'  agevole  il
 riferimento alle pronunce nn. 94, 358 e 359 del 1985; nn.  151,  152,
 153 del 1986; nn. 210, 617, 641 del 1987.
    La  giurisprudenza della Corte e' andata sempre piu' affermando la
 primarieta'   dei   valori   ambientali   su   altri    valori    pur
 costituzionalmente riconosciuti.
                               P. Q. M.
    Si   conclude  chiedendo  che  la  Corte  costituzionale  dichiari
 l'illegittimita' dell'art. 3  del  d.-l.  del  30  aprile  1992,  per
 violazione degli artt. 117, 118, 3, 97, 9, 32 della Costituzione.
      Roma, addi' 29 maggio 1992
         Prof. avv. Franco Gaetano SCOCA - Avv. Tommaso GIUSTI

 92C0711