N. 58 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 luglio 1992

                                 N. 58
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
                     cancelleria il 28 luglio 1992
                       (della regione Lombardia)
 Edilizia e urbanistica - Termini per l'approvazione degli strumenti
    urbanistici  -  Qualificazione  del  termine di centottanta giorni
    previsto  dall'art.  9,  secondo  comma,  del  d.-l.  n.  702/1978
    (conversione  in  legge n. 3/1979), per l'approvazione del p.r.g.,
    quale termine perentorio la cui decorrenza comporta,  in  base  al
    principio  del  silenzio-assenso, la tacita approvazione, da parte
    della regione, dello strumento urbanistico adottato dal  consiglio
    comunale   dopo   l'esame   delle  osservazioni  presentate  dalle
    associazioni sindacali e da altri  enti  pubblici  ed  istituzioni
    interessate  - Attribuzione al Ministro per il coordinamento della
    protezione  civile  della  facolta'  di   stipulare   direttamente
    convenzioni  con  soggetti  anche  privati  (istituti  e gruppi di
    ricerca)  per  il  perseguimento  di   specifiche   finalita'   di
    protezione  civile  -  Asserita  indebita invasione della sfera di
    competenza primaria  delle  regioni  in  materia  di  edilizia  ed
    urbanistica,  sotto  il profilo della violazione del principio che
    soltanto  la  regione  ha  il  potere   di   emanare   norme   che
    attribuiscano  alla  sua  inattivita'  il significato di silenzio-
    assenso.
 (D.-L. 1º luglio 1992, n. 325, artt. 3 e 10, secondo comma).
 (Cost., artt. 3 e 117).
(GU n.39 del 16-9-1992 )
   Ricorso per illegittimita' costituzionale  proposto  dalla  regione
 Lombardia,   in  persona  del  presidente  pro-tempore  della  giunta
 regionale, dott. ing. Giuseppe Giovenzana,  a  cio'  autorizzato  con
 delibera  della giunta regionale n. 25699, assunta il 14 luglio 1992,
 rappresentata e difesa, per mandato in calce al presente  atto  dagli
 avv.ti  Maurizio  Steccanella,  del  foro  di  Milano,  e Giovanni C.
 Sciacca, del foro di Roma, presso il quale ultimo, in Roma, via  G.B.
 Vico,  n.  29,  e'  eletto  il  domicilio;  contro e nei confronti di
 Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del  presidente  in
 carica,  sedente in Roma, palazzo Chigi, piazza Colonna, e legalmente
 domiciliata presso l'avvocatura generale dello Stato, in Roma via dei
 Portoghesi, 12; per la declaratoria di illegittimita'  costituzionale
 degli  artt.  3,  e  10,  secondo  comma, seconda parte, del d.-l. 1º
 luglio 1992,  n.  325,  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica  italiana, n. 154 del 2 luglio 1992, recante "differimento
 di termini previsti da disposizioni legislative ed altre disposizioni
 urgenti".
                               F A T T O
    1.  -  Sulla  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica, n. 154 del 2
 luglio 1992, e' stato pubblicato il  decreto-legge  in  epigrafe,  il
 quale  -  come d'altra parte attesta la genericita' del titolo che lo
 contraddistingue - contiene,  in  41  articoli  (l'ultimo  dei  quali
 relativo  alla  retroattivita'  di talune sue parti), una congerie di
 disposizioni, tra le piu' disparate e con  riferimento  alle  materie
 piu'  diverse  fra  loro:  dalla  durata  massima dell'occupazione di
 urgenza nelle procedure di espropriazione per  causa  di  p.u.,  agli
 interventi   per  la  torre  di  Pisa,  all'assistenza  sanitaria  ai
 cittadini extracomunitari, alle provvidenze  per  la  maestranze  del
 cantiere  Enel  di  Gioia  Tauro,  alle  funzioni dirigenziali presso
 l'A.N.A.S., e via dicendo .. .. .. ...
    2. - Tra le tante norme inserite  in  quel  decreto-legge,  vi  e'
 l'art.  3,  il  quale  reca  il titolo "Termine per l'approvazione di
 strumenti urbanistici", e recita testualmente: "Il termine massimo di
 centottanta giorni previsto dall'art. 9, secondo comma, del d.-l.  10
 novembre  1978,  n. 702, convertito, con modificazioni, dalla legge 8
 gennaio 1979, n. 3, deve considerarsi perentorio e la sua  decorrenza
 comporta  la tacita approvazione dello strumento urbanistico adottato
 con l'esame delle osservazioni da parte del consiglio comunale".
    3. - Il termine reso, in tal modo, "perentorio", e  alla  scadenza
 del  quale  il  decreto-legge  qui impugnato ha inteso ricollegare il
 rilevantissimo e del tutto innovativo, effetto di approvazione tacita
 di strumenti  urbanistici  generali  (il  richiamo  alla  lettera  b)
 dell'art.  9  del d.-l. del 1978 ed al secondo comma di esso, nonche'
 l'ulteriore  richiamo  all'esame  delle  osservazioni  da  parte  del
 consiglio  comunale,  non  possono  lasciare  alcun  dubbio su questo
 ultimo  punto³)  e',  in  realta',  un  termine  che  le   richiamate
 disposizioni  (decreto-legge  e  legge di conversione) del 1978 e del
 1979 ponevano, a livello di "principio", con criterio per ottemperare
 al contestuale obbligo delle regioni, di legiferare in tal senso,  in
 materia (urbanistica) indiscutibilmente e interamente trasferita alla
 loro competenza legislativa ex art. 117 della Costituzione.
    4.  -  Infatti, il testo del decreto-legge n. 702/1978, convertito
 con modificazioni nella legge n. 3/1979, cosi' si esprimeva;
    Primo comma: "Entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge di
 conversione del presente decreto le regioni, qualora non abbiano gia'
 provveduto, dovranno emanare norme per accelerare le procedure per la
 formazione e l'approvazione degli strumenti urbanistici.  Tali  norme
 dovranno informarsi ai seguenti principi:
      a) .. .. ... (Omissis) .. .. ...;
       b)  stabilire il termine massimo entro il quale la regione deve
 adottare il provvedimento definitivo di approvazione;
      c) .. .. ... (Omissis) .. .. ...";
    Secondo comma: "Il termine massimo di  cui  al  precedente  comma,
 lettera b), non puo' essere superiore a centottanta giorni per il pi-
 ano  regolatore  generale  e  tale  termine deve essere adeguatamente
 ridotto per gli altri atti urbanistici .... ecc .. ..".
    5. - In altre parole, per il combinato disposto  dell'art.  9  del
 d.-l.  n.  702/1978, convertito in legge n. 3/1979, e dell'art. 3 del
 d.-l. 1º luglio 1992,  n.  325  oggetto  del  presente  ricorso,  gli
 strumenti  urbanistici  generali  si riterranno tacitamente approvati
 dalla  regione,  decorsi  centottanta  giorni dall'avvenuto esame, da
 parte del consiglio comunale, delle  osservazioni;  rectius:  decorsi
 centottanta   giorni   dalla   data   di   invio  alla  regione  (per
 l'approvazione) della delibera del consiglio comunale che abbia preso
 in esame le osservazioni presentate, con riferimento ad uno strumento
 urbanistico generale precedentemente adottato.
    6. - Si determina, in tal modo, una serie di effetti giuridici  di
 estrema  rilevanza  ed  aventi  la portata di sovvertire in radice il
 sistema della pianificazione urbanistica e territoriale.
    Infatti:
       A)  un  termine,  a  suo  tempo  posto  come  "principio"   per
 l'emananda  legislazione delle regioni, in materia di indiscussa loro
 competenza  primaria,  diventa,   viceversa,   un   termine   imposto
 direttamente  da un atto legislativo dello Stato, per il compimento e
 l'emanazione   di   un   determinato   e   specifico    provvedimento
 amministrativo regionale (approvazione dei piani regolatori generali)
 che    quella   emananda   legislazione   avrebbe   dovuto,   invece,
 regolamentare - come e' ovvio e come e' istituzionalmente  innegabile
 - essa stessa;
       B)     risulta     introdotto    nell'ordinamento    l'istituto
 dell'approvazione tacita degli strumenti urbanistici generali, vale a
 dire  il  silenzio-assenso  sulla  formazione  dei  piano  regolatori
 generali,  ben  noto  essendo  con l'approvazione regionale di questi
 ultimi (che ora si vuole ammettere in forma "tacita") e' - in realta'
 - una "co-formulazione" dell'atto pianificatorio, in  relazione  alla
 quale si e' sempre parlato di atti caratterizzanti da procedimento di
 "formazione successiva (adozione-approvazione regionale)".
    7.  - la disposizione oggetto del presente ricorso si appalesa, in
 tal modo, costituzionalmente illegittima, per  gravissima  violazione
 dell'art.   117   della   costituzione,  risolvendosi  nell'autentica
 espropriazione della funzione - tipicamente regionale - di sottoporre
 ad approvazione i piani regolatori generali adottati  dai  comuni,  e
 nella   conseguente  vanificazione  potenziale  del  contenuto  della
 funzione  di  pianificazione  di  piu'  vasta  area   (sovracomunale,
 territoriale,   regionale),   la   quale,  come  e'  evidente,  sara'
 condizionata,  nel  suo  concreto   esercizio,   da   gia'   avvenute
 pianificazioni  comunali che la regione, in realta', non ha approvato
 ....
    Il  caso,  pur  collocandosi  all'interno  di   un'insistente   ed
 inquietante  tendenza del legislatore statale alla "riappropriazione"
 di funzioni trasferite alle regioni e a queste ultime  spettanti  per
 dettato  della  Carta costituzionale, appare talmente macroscopico da
 potersi definire - sino ad oggi - senza precedenti ....
    8. - Il d.-l. 1º luglio 1992, n. 325,  poi  all'art.  10,  secondo
 comma,  ultima  parte,  attribuisce  direttamente  ad un organo dello
 Stato (Ministro per il  coordinamento  della  protezione  civile)  la
 potesta'  di  "stipulare  apposite convenzioni con istituti, gruppi",
 (anche  privati,  quindi³)  "ed  enti  di   ricerca   ..."   per   il
 "perseguimento"  (in  genere³) "di specifiche finalita' di protezione
 civile".
                             D I R I T T O
    I. In ordine alla prima delle disposizioni del decreto - legge qui
 impugnato (art. 3), si deduce e si rileva quanto segue.
   La   prima  legge  urbanistica  generale  apparsa  nell'ordinamento
 italiano - 17 agosto 1942, n. 1150 - introducendo  con  carattere  di
 generalita'  l'istituto  del  piano  regolatore  generale  di livello
 comunale (in precedenza vi erano stati  taluni  esempi  di  strumenti
 urbanistici-edilizi di grandi citta', adottati ed approvati con leggi
 speciali  ad  hoc,  quale  quello  per il risanamento della citta' di
 Napoli, ecc.), prevedeva, all'art. 10 che  ciascun  piano  regolatore
 generale,  una volta adottato, pubblicato e sottoposto alle eventuali
 "osservazioni", fosse approvato con decreto del Ministro per i lavori
 pubblici, sentito  il  parere  del  consiglio  superiore  dei  lavori
 pubblici.
    Tale  funzione  di  approvazione  e' stata quindi, trasferita alle
 regioni, in attuazione dell'art. 117 della Costituzione (che  include
 l'urbanistica  nelle  materie  di  piena  competenza  regionale), con
 l'art.  1,  lettera  d)  del   d.P.R.   15   gennaio   1972,   n.   8
 ("l'approvazione dei piani regolatori generali").
    Successivamente,  l'art.  80 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ha
 avuto cura di specificare che nelle funzioni in  materia  urbanistica
 rientrano  "tutti  gli  aspetti  conoscitivi,  normativi e gestionali
 riguardanti le operazioni di salvaguardia  e  di  trasformazione  del
 suolo  ...", laddove, il susseguente art. 81 non opera alcuna riserva
 a  favore  dello  Stato  in  materia  di   vigilanza,   controllo   e
 approvazione   degli  strumenti  urbanistici  generali  adottati  dai
 comuni.
    Sebbene trattisi di  nozioni  di  comune  conoscenza,  non  guasta
 rammentare    che    l'attribuzione   -   operata   dal   legislatore
 "accentratore" e "statalista" del 1942 - di  un  generale  potere  di
 "vigilanza  sull'attivita'  urbanistica"  (secondo  comma dell'art. 1
 della legge n. 1150/1942), la cui estrensicazione piu' palese e  piu'
 incisiva  consisteva,  proprio,  nella  potesta'  di approvazione dei
 piani regolatori generali ex art. 10 della medesima legge, rispondeva
 alla  dichiarata  esigenza  di  "assicurare  ....  il  rispetto   dei
 caratteri  tradizionali,  di  favorire il disurbanamento e frenare la
 tendenza all'urbanesimo ...". Poteva trattarsi  di  finalita'  socio-
 politiche  del  regime  dell'epoca,  ma sta di fatto, che nel momento
 storico nel quale, viceversa, in attuazione della Costituzione  della
 Repubblica,  la  funzione urbanistica venne - con il d.P.R. n. 8 gia'
 citato   -   trasferita   alle   regioni,   codesta   ecc.ma    Corte
 costituzionale,  con  sua  sentenza  n. 141 dello stesso anno (1972),
 ebbe cura di precisare che trattavasi di funzione avente  ad  oggetto
 "l'assetto  e  lo incremento edilizio dei centri abitati", laddove la
 gia' citata norma - per cosi' dire "confermativa"  del  trasferimento
 gia'  operato  nel  1972 - di cui all'art. 80 del d.P.R.  n. 616/1977
 dava,  della  funzione  trasferita,   una   definizione   amplissima,
 riassunta  nel  concetto  di  "disciplina  dell'uso del territorio" e
 articolata in poteri regionali "conoscitivi, normativi, e gestionali"
 delle attivita' che innovano e modificano, appunto, l'utilizzo  (uso)
 del "suolo".
    Il  coronamento  di siffatta evoluzione sistematico-interpretativa
 e' dato dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, sulla "edificabilita' dei
 suoli", la quale ha praticamente reso obbligatoria la predisposizione
 di uno strumento urbanistico generale da  parte  di  tutti  i  comuni
 della Repubblica.
    Quale,  allora,  la ratio di un sistema che, sia prima che dopo la
 regionalizzazione della funzione in argomento, vi pone al  centro  un
 potere  di  approvazione  degli  strumenti urbanistici, la redazione-
 adozione  dei  quali  resta  pur  sempre  funzione  squisitamente  ed
 essenzialmente comunale?
    La risposta non e' difficile.
    Allo  Stato  (nella vigenza del regime statalista ed accentratore)
 e, poi - dopo la modifica dell'assetto istituzionale nella Repubblica
 - alle regioni compete, infatti, una funzione  di  pianificazione  di
 vasta   area,   gia'   individuata   nei   "piani   territoriali   di
 coordinamento", previsti dall'art. 5 della legge n. 1150/1942  (anche
 se,  in concreto, rimasti lettera morta in quella fase storica), allo
 scopo di "orientare e coordinare l'attivita' urbanistica da  svolgere
 in determinate parti del territorio ..".
    Tale  funzione  (pianificazione  di vasta area) risulta ... semmai
 rinvigorita dopo l'avvento dell'ordinamento regionale,  in  occasione
 del  quale  la  pianificazione  "territoriale  di  coordinamento"  di
 livello sovracomunale e' stata anch'essa pacificamente trasferita con
 il d.P.R. n. 8/1972 e ridisegnata in chiave "estensiva" dall'art.  80
 del  d.P.R. n. 616/1977, sempre facendone titolare la regione (non ve
 n'e' traccia, infatti nell'art. 81 del citato d.P.R.  n.  616,  sulle
 "riserve" statali, che si occupa solo della realizzazione delle opere
 pubbliche).
    Da  ultimo,  la legge 8 giugno 1990, n. 142, allorche' attribuisce
 alla provincia (art.  15,  seconda  comma  una  "nuova"  potesta'  di
 redigere ed adottare essa stessa piani territoriali di coordinamento,
 demanda  tuttavia,  alla  regione (terzo e quarto comma) il potere di
 "approvare" anche quei piani di piu'  vasta  area  (provinciali)  per
 assicurare   la   "conformita'   agli   indirizzi   regionali   della
 programmazione socio-economica e territoriale", senza far venir meno,
 comunque il potere della  regione  di  formulare  un  proprio  "piano
 territoriale di coordinamento".
    Questo  ultimo  istituto  appare  "recuperato" nelle singole leggi
 urbanistiche regionali, e la ricorrente regione Lombardia  vi  dedica
 gli  articoli  da 4 a 7 della propria legge regionale 15 aprile 1975,
 n. 51, assegnando ad esso il ruolo  di  stabilire  norme,  criteri  e
 parametri  per la pianificazione di livello comunale (art. 4, lettera
 f), nonche'  quello  fondamentale,  di  inserirvi  "prevalenti  sulla
 pianificazione  urbanistica  comunale  (art.  4,  lettera h), nonche'
 "immediatamente vincolati anche nei confronti dei  privati"  (il  che
 dubitavasi,  in  dottrina,  che  fosse,  nella  vigenza  del  .. ....
 disapplicato art.  5  della  legge  urbanistica  generale  del  1942,
 consentito e conforme al sistema ...).
    Per  poter  esercitare  queste complesse funzioni di coordinamento
 della pianificazione  urbanistica  e  di  pianificazione  urbanistica
 "diretta"   di  vasta  area,  dunque,  la  "approvazione"  dei  piani
 regolatori   generali   comunali   diventa   momento   essenziale   e
 insopprimibile,  che  si  identifica  nella  possibilita'  di operare
 scelte,  anche  a  livello  di  pianificazione   comunale   che   non
 contraddicano  ne'  detto coordinamento territoriale, ne' l'esercizio
 della pianificazione regionale diretta di vasta area.
    Si tratta, infatti, di una autentica "approvazione nel merito"  (e
 non  di  mero esercizio della vigilanza e del controllo), comprensiva
 della facolta' di  accogliere-respingere  "osservazioni"  fatte  allo
 strumento  nei  confronti  del  comune  e  da  quest'ultimo  accolte,
 respinte,  o  non esaminate, e comprensiva altresi' della facolta' di
 apportare modificazioni ex officio allo strumento comunale.
    Cio' ha portato, da sempre, la  dottrina  e  la  giurisprudenza  a
 riconoscere che, in definitiva, il piano regolatore generale comunale
 e'  atto "a formazione successiva" ed e' atto "complesso" (se pure si
 parli di complessita' "diseguale").
    Orbene, la introduzione di una approvazione tacita, cioe'  di  una
 approvazione  per  silenzio-assenso  (silenzio  approvazione),  quale
 quella operata con l'art. 3 del  d.-l.  n.  325/1992,  quale  effetto
 "automatico"  della  "scadenza"  di  un  termine  che  le  sole leggi
 regionali avrebbero dovuto prevedere e che, viceversa, il legislatore
 statale (in sede di decretazione governativa di  urgenza)  ha  inteso
 definire  direttamente  come "perentorio", si risolve nella effettiva
 espropriazione della funzione regionale di "governo"  (nel  senso  di
 coordinamento)  dello  uso  del  territorio, dal momento che il piano
 regolatore generale approvati per "silenzio" a seguito dalla scadenza
 di un termine che potrebbe essere reso oggettivamente non osservabile
 (si pensi solo alla occasionale contemporaneita' di molteplici  piani
 regolatori   generali  adottati  da  vari  comuni,  anche  capoluogo,
 renderebbero lo sviluppo urbanistico dei comuni della regione una ...
 "pelle  di  leopardo"  urbanisticamente  "casual"  (duplicazioni   di
 insediamenti,  concomitanze incompatibili, compromissioni ambientali,
 lacerazione del sistema trasportistico e della mobilita', ecc. ecc.),
 rispetto alla quale cesserebbe di aver senso e significato  ogni  ...
 velleitario   proposito   di  esercitare  funzioni  di  coordinamento
 territoriale di vasta area, e che si traduce, dunque, nella autentica
 "soppressione" della  funzione  urbanistica  regionale  che  in  cio'
 principalmente (se non esclusivamente) consiste.
    La   approvazione   dei  piani  regolatori  generali  risulterebbe
 "declassata" a mera funzione di "controllo eventuale ..".
    Cio'  costituisce  indubbia  violazione  dello  art.   117   della
 Costituzione,  in  quanto  "svuota", di fatto, di qualunque rilevante
 contenuto la  materia  "urbanistica",  quale  materia  di  competenza
 regionale,  e  costituisce  altresi'  indiretta  violazione  di legge
 dichiarata    di    "principi    fondamentali"    emendabile     solo
 "espressamente",  quale  la  legge  n.  142/1980 con riferimento agli
 artt. 1., terzo comma, e 15, terzo e quarto comma.
    D'altra parte, se pure e' costante insegnamento di codesta  ecc.ma
 Corte  che  non compete alle regioni ricorrenti dedurre, in chiave di
 illegittimita' costituzionale, eventuali violazioni  dello  art.  77,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  con  riferimento ai limiti del
 potere di decretazione di urgenza, non si puo' non  rilevare,  se  si
 vuole  come  notazione ad colorandum che, nella fattispecie, la detta
 gravissima manomissione del contenuto della funzione  spettante  alle
 ragioni   e'   operata  con  un  decreto-legge  che  interviene  "per
 straordinaria necessita' ed urgenza" (?)  dopo  ..  ..  tredici  anni
 dalla  "scadenza"  di  quel  "termine"  che  era stato assegnato alle
 regioni per legiferare esse stesse³.
    Cio' che, viceversa, costituisce autentico problema  di  rilevanza
 giuridico-costituzionale,  del  quale  si investe la Corte ecc.ma, e'
 quello di verificare se possasi,  in  via  generale,  modificare  con
 decreto-legge  i  "principi"  posti,  con legge c.d. "quadro", per la
 legislazione regionale attuativa.
    Infatti,  quel  termine di centoottanta giorni per la approvazione
 degli  strumenti  urbanistici  generali   era   stato   espressamente
 dichiarato,  dallo  art.  9  del  d.-l. n. 702/1978, convertito nella
 legge n. 3/1979, un "principio" al quale avrebbe dovuto attenersi  la
 emananda  legislazione  regionale,  e davvero non sembra, in punto di
 legittimita' costituzionale, che possasi - da  parte  dello  Stato  -
 modificare  i  "principi" che esso stesso ha dettato a quel fine, con
 proprio "decreto legge" recante disposizioni "puntuali" determinative
 di effetti nuovi e diversi (la approvazione-tacita degli strumenti).
    Infine, deve essere  opportunamente  dedotto  e  rilevato  che  la
 regione Lombardia, ricorrente in questa sede, ebbe ad emanare propria
 legge  12  marzo  1984,  n. 14, intitolata "Norme per la approvazione
 degli strumenti urbanistici attuativi", recante - dopo la entrata  in
 vigore  della  legge statale 8 gennaio 1979, n. 3 (di conversione del
 d.-l. n. 702/1978 - la  disciplina  delle  modalita'  e  del  termini
 temporali di approvazione di taluni strumenti urbanistici attuativi.
    Orbene,  quella  legge  regionale,  non  faceva alcuna menzione di
 "termini" per la approvazione degli strumenti generali, ma il governo
 della  Repubblica  nulla  ebbe  ade  eccepire  od  osservare,  e  non
 "rinvio", ne' impugno' quella legge regionale, che pure, non recepiva
 il  "principio"  posto nel 1978-1979, per cui non trova alcuna logica
 giustificazione (canone della ragionevolezza previsionale) la attuale
 decretazione di urgenza (?) disposta nei  termini  che  costituiscono
 l'oggetto del presente ricorso.
    Del   resto,   codesta,   ecc.ma   Corte  costituzionale,  con  la
 recentissima sua sentenza  18  giugno-1º  luglio  1992,  n.  306,  ha
 riconosciuto  rango e vigore di principio alla disposizione contenuta
 nell'art. 14, quarto  comma,  della  legge  7  agosto  1990,  n.  241
 (regolatrice  del  procedimento  amministrativo), il quale esclude la
 possibilita' del silenzio-assenso quando trattasi di  amministrazioni
 (non   soltanto   statali,   peraltro³)  preposte  alla  tutela  ....
 paesaggistico-territoriale (e non solo "del paesaggio ..").
    Non e' chi non veda che le regioni, nell'esercizio delle  funzioni
 loro   propri   e   in  materia  urbanistica,  sono,  per  l'appunto,
 amministrazioni preposte alla  tutela  territoriale  (anche,  per  la
 verita',   sotto   l'aspetto  propriamente  paesaggistico),  dal  che
 discende de plano che l'art. 3 del d.-l. n. 325/1992, qui  impugnato,
 non  potra'  non essere giudicato, dalla Corte costituzionale, a pena
 di vistosa, inimmaginabile incoerenza, ugualmente contrastante con il
 teste' riconosciuto generale principio³.
    II. Il d.-l. n. 325/1992, inoltre, contiene allo art.  10  secondo
 comma,  ultima  parte,  la  previsione  di  una facolta' del Ministro
 c.p.c. di stipulare direttamente convenzioni con i soggetti  di  ogni
 specie  (istituiti,  gruppi  ed enti di ricerca), evidentemente anche
 privati, "per il perseguimento di specifiche finalita' di  protezione
 civile".
    Nonostante   la   genericita'   della  dizione,  la  norma  lascia
 comprendere  che   si   tratterebbe   di   "supporti   consulenziali,
 informativi  e conoscitivi" dei quali lo Stato intende avvalersi per,
 poi,  attuare  iniziative  od  operare  interventi  in   materia   di
 protezione civile, ovvero ai quali, demandare interventi ed inziative
 che esso stesso non ritiene di eseguire direttamente.
    Orbene,  per siffatte finalita', la legge 8 dicembre 1970, n. 996,
 gia' prevede, al suo art. 7, secondo  e  terzo  e  quinto  comma,  la
 istituzione di comitati regionali, ciascuno presieduto dal presidente
 della  giunta  regionale,  ai  quali  e'  affidato,  tra  l'altro, il
 coordinamento  degli  interventi  non  di  competenza  dello   Stato,
 nell'ambito della protezione civile.
    A  sua volta, l'art. 53 del d.P.R. 6 febbraio 1981, n. 66, oltre a
 richiamare quei comitati regionali e le loro funzioni, si  riallaccia
 alle  funzioni  trasferite  o delegate alle regioni dai dd.PP.RR. nn.
 8/1972 e 616/1977.
    Non e' chi non veda che il  "libero"  affidamento,  da  parte  del
 Ministro  c.p.c., mediante semplici atti di convenzione dei quali non
 si precisano ne' limiti, ne' contenuti, di funzioni "concorrenti",  o
 suscettibili  di interferenza, ad organismi esterni ed anche privati,
 e' ipotesi che vulnera, ovvero condiziona  o  vanifica  lo  esercizio
 delle  funzioni  trasferite alle regioni, laddove, quando trattasi di
 funzioni delegate, viene in gioco la nozione di "deleghe  organiche",
 vale  a  dire  strettamente  connesse  alle  funzioni trasferite che,
 secondo lo insegnamento di codesta ecc.ma Corte (sent.  11/19  maggio
 1989,  n.  559,  presidente  Saja,  rel.  Baldassare), sono anch'esse
 oggetto di tutela costituzionalmente  rilevante  allorche'  lo  Stato
 pretenda   di   conculcarne  lo  esercizio  o  di  comprometterne  la
 effettivita'.
                               P. Q. M.
    Chiede che codesta Corte costituzionale ecc.ma  voglia  dichiarare
 costituzionalmente  illegittimi,  per  violazione dell'art. 117 della
 Costituzione e  altresi'  per  violazione  di  principi  fondamentali
 dell'ordinamento  giuridico,  oltre  che  per palese irragionevolezza
 previsionale, l'art. 3, nonche'  l'art.  10,  secondo  comma,  ultima
 parte  del  d.-l.  1º  luglio 1992, n. 325, pubblicato nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica italiana n. 154 del  2  luglio  1992,  con
 ogni conseguente statuizione;
    Si  deposita  copia  autentica  della  Deliberazione  della giunta
 regionale della Lombardia, concernente la proposizione  del  ricorso,
 nonche'   del   decreto-legge  oggetto  della  impugnazione,  sebbene
 trattasi di atto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 italiana.
         Avv. Maurizio STECCANELLA - Avv. Giovanni C. SCIACCA

 92C0936