N. 467 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 maggio 1992

                                N. 467
      Ordinanza emessa il 15 maggio 1992 dal tribunale di Trento
 nel procedimento penale a carico di Zanga Gianpietro
 Processo penale - Dibattimento - Divieto per il collegio giudicante
    di  procedere alla lettura delle dichiarazioni gia' rese al g.i.p.
    da  imputato  di  reato  connesso  gia'  giudicato  con   separato
    procedimento,  quando,  comparso  in  seguito a citazione ai sensi
    dell'art. 210 del c.p.p., costui si sia avvalso della facolta'  di
    non   rispondere   -   Lamentata   disparita'   di  trattamento  -
    Compressione del diritto di difesa.
 (C.P.P. 1988, art. 513, secondo comma).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.38 del 9-9-1992 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha pronunziato la seguente ordinanza  nella  causa  penale  contro
 Zanga  Gianpietro,  nato  ad  Albino  il  28  marzo 1964, attualmente
 detenuto per altra causa, nella Casa circondariale di Bergamo.
    Il Tribunale ha pronunciato la seguente ordinanza in  merito  alla
 questione  di  costituzionalita' prospettata dal P.M. come da verbale
 di udienza in atti.
    La questione appare al Collegio  non  manifestamente  infondata  e
 rilevante ai fini del giudizio. Ed infatti, nel presente procedimento
 Zanga  Gianpietro  e'  imputato,  tra l'altro, anche del reato di cui
 agli artt. 110, 628 c. 1 e 3 n. 1 C.P. per essersi, in  concorso  con
 Trezzi Romeo, impossessato al fine di trarne profitto di circa 15 Kg.
 di  preziosi che sottraevano a due rappresentanti dello "Immagine Oro
 s.a.s." con la minaccia consistita nella ostentazione di una pistola.
 In Trento, l'11 settembre 1990.
    Per tale ragione il P.M. ha citato il predetto  Trezzi  -  la  cui
 posizione  processuale e' stata nel frattempo separata e definita dal
 Giudice per le indagini preliminari  di  questo  Tribunale  ai  sensi
 degli  artt.  442 e segg. del c.p.p. - il quale, all'odierna udienza,
 rivestendo la qualita' di imputato di reato connesso, si  e'  avvalso
 della  facolta',  prevista  dall'art.  210  comma  4)  cpp.,  di  non
 rispondere alle domande.
    Il  P.M.  sollevava  eccezione  di  incostituzionalita'  sotto  il
 profilo  che la norma di cui all'art. 513 c. 2º c.p.p. non prevede la
 lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato di reato connesso  nel
 caso  in cui, presentatosi all'udienza, si sia avvalso della facolta'
 di non  rispondere:  in  tal  senso  interpreta  anche  la  Corte  di
 Cassazione  nelle  sentenze sez. VI 22 aprile 1991 imp. Casula e sez.
 III 26 settembre 1991 imp. Cerra.
    Cio' integrerebbe, ad avviso del P.M., la violazione  degli  artt.
 3, 101 c. 2º e 112 della Costituzione.
    Ritiene,  al  riguardo  il  Collegio che la prospettata situazione
 processuale comporti, in primo luogo, la violazione dell'art. 3 della
 Costituzione che, sancisce il principio dell'eguaglianza di  tutti  i
 cittadini davanti alla legge.
    Ed invero, le parti del procedimento penale, P.M. quanto imputato,
 allorche'  altro imputato di reato connesso abbia definito la propria
 posizione a seguito di celebrazione  di  procedimenti  speciali,  e',
 successivamente  citato ai sensi dell'art. 210 c.p.p., si sia avvalso
 della facolta' di non rispondere, vengono private della  possibilita'
 di  utilizzare le dichiarazioni dallo stesso soggetto precedentemente
 rese.
    La disparita' di  trattamento  risulta  palese  ove  si  consideri
 quanto  potrebbe  invece  accadere  nel  processo  nel  caso  in  cui
 l'imputato di reato connesso abbia mantenuto  tale  veste  e  si  sia
 pero' rifiutato di sottoporsi ad esame.
    In  questo caso, e' consentito, ai sensi dell'art. 513 c.1º c.p.p.
 quel rimedio (lettura  dei  precedenti  interrogatori),  che  invece,
 nell'altra ipotesi esaminata, non e' previsto.
    Va  sottolineato,  in  proposito, che l'imputato nei cui confronti
 viene celebrato il giudizio, nei due esempi sopra  prospettati,  puo'
 essere  in  concreto  posto  nella  condizione di vedere le sorti del
 proprio procedimento dipendere  dalle  scelte  processuali  di  altro
 soggetto.
    Tale  situazione svela l'irragionevolezza delle norma in questione
 a fronte di situazioni  meritevoli  di  eguale  tutela  e  viola,  al
 contempo, ad avviso del Tribunale, anche l'art. 24 della Costituzione
 che,  garantisce  l'inviolabilita' del diritto di difesa (si pensi ad
 un imputato che, nella concreta impossibilita' di provare  con  altri
 mezzi  circostanze  essenziali  o decisive, non possa avvalersi delle
 dichiarazioni liberatorie rese da altro imputato  non  piu'  presente
 nello stesso procedimento).
    E  che  la questione de qua sia rilevante ai fini della decisione,
 lo si desume inequivocabilmente dalla stessa esposizione introduttiva
 del P.M., che indica nel predetto Trezzi la fonte principale di prova
 a carico dello Zanga.
    E, d'altra parte, dalla esposizione introduttiva del  P.M.  si  e'
 appreso  che il Trezzi avrebbe indicato proprio nello Zanga il correo
 del reato.
    Non v'e' poi chi non veda che la norma cosi' interpretata verrebbe
 a  costituire   in   danno   degli   imputati,   una   grave   remora
 all'accoglimento  delle  istanze  di  rito  alternativo  nell'udienza
 preliminare,  consapevoli  essendo  il  P.M.  e  G.U.P.  che,   cosi'
 operando,  potrebbe venire meno una delle fonti di prova a carico dei
 coimputati che, non avendo chiesto od ottenuto il  rito  alternativo,
 verranno giudicati in sede dibattimentale.
    In sostanza, nell'ipotesi dell'art. 513 c. 2 c.p.p., il giudicante
 non   puo'   in  alcun  modo  avvalersi  delle  dichiarazioni  di  un
 coimputato, ne' attraverso il suo esame, ne'  attraverso  la  lettura
 delle  precedenti  dichiarazioni,  cio' che appare del tutto privo di
 ratio, risulta costituire un unicum nella  comparazione  delle  altre
 procedure penali e contrasta evidentemente con le ipotesi in cui quel
 coimputato  venga  rinviato  anch'egli a giudizio insieme agli altri,
 ovvero, convocato ex art. 210 c.p.p., non renda deposizione  non  per
 propria  volonta',  ma  per  irreperibilita'  o  altra  causa  che ne
 impedisca la fisica comparizione.
    Le  suesposte  argomentazioni  si  rilevano  assorbenti rispetto a
 quant'altro dedotto dal P.M. e spiegano i loro effetti per  sollevare
 la questione di costituzionalita' dell'art. 513 c. 2 c.p.p.
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt.  134  della  Costituzione,  1  e  23 della legge
 costituzionale 3 febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953 n.
 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 costituzionalita'  dell'art.  513  c.  II  c.p.p. in riferimento agli
 artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui  non  prevede  la
 lettura,   su   richiesta   di   parte,  dei  verbali  contenenti  le
 dichiarazioni rese da imputato di reato connesso che si  sia  avvalso
 della facolta' di non rispondere.
    Dispone  la  sospensione  del giudizio e la immediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale.
    Ordina che la presente ordinanza,  sia  notificata  a  cura  della
 cancelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al
 Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei Deputati.
    Rinvia il dibattimento a tempo indeterminato.
      Trento, addi' 15 maggio 1992
                        Il presidente: LA GANGA

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