N. 4 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 25 gennaio 1993

                                 N. 4
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 25
 gennaio 1993 (della regione Lombardia)
 Definizione  "di un quadro di riferimento unitario per l'adozione, da
 parte delle competenti  autorita'  delle  misure  volte  a  prevenire
 episodi  acuti  di  inquinamento  ed a contenere le concentrazioni di
 inquinanti ed i periodi di esposizione  entro  i  limiti  massimi  di
 accettabilita',  attraverso l'individuazione di livelli di attuazione
 e di allarme, e di tipologie graduabili di intervento" - Adozione  di
 un  atto  di  indirizzo  e  coordinamento,  concernente  la  politica
 generale   di   Governo   e    l'indirizzo    generale    dell'azione
 amministrativa,  mediante  lo strumento del decreto interministeriale
 anziche'  attraverso  provvedimento  del  Consiglio  dei  Ministri  -
 Asserita  mancanza  di specifico fondamento legislativo di detto atto
 di  indirizzo  -  Lamentata  invasione  della  sfera  di   competenza
 regionale  in  materia  di  tutela  del territorio - Riferimento alle
 sentenze della Corte costituzionale nn.  150/1982, 338/1989, 37,  49,
 359, 422 e 457 del 1991, 30 e 462 del 1992.
 (Decreto  del  Ministro  dell'ambiente  12 novembre 1992, adottato di
 concerto con il Ministro delle aree urbane, il Ministro della difesa,
 il Ministro dei  lavori  pubblici,  il  Ministro  dei  trasporti,  il
 Ministro  dell'industria,  del  commercio  e  dell'artigianato  ed il
 Ministro della sanita').
 (Cost., artt. 9, secondo comma, 97, 117 e 118).
(GU n.5 del 3-2-1993 )
   Ricorso per la regione Lombardia, in persona  del  presidente  pro-
 tempore   della  giunta  regionale,  dott.ssa  Fiorella  Chilardotti,
 rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente  atto,
 e  in  virtu' di deliberazione di autorizzazione a stare in giudizio,
 dagli avvocati professori Giuseppe Franco Ferrari e Giorgio  Recchia,
 ed  elettivamente  domiciliata  presso lo studio del secondo in Roma,
 corso  Trieste  n.  88,  per  conflitto  di  attribuzione  contro  il
 Presidente  del  Consiglio  dei Ministri pro-tempore, a seguito e per
 effetto del decreto del Ministro dell'ambiente 12 novembre  1992  (in
 Gazzetta  Ufficiale,  serie  gen., 18 novembre 1992, n. 272, pp. 15 e
 segg.), adottato di concerto con il Ministro delle  aree  urbane,  il
 Ministro  della  difesa, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro
 dei  trasporti,  il   Ministro   dell'industria   del   commercio   e
 dell'artigianato  ed  il  Ministro  della  sanita',  recante "Criteri
 generali  per  la  prevenzione  dell'inquinamento  atmosferico  nelle
 grandi zone urbane e disposizioni per il miglioramento della qualita'
 dell'aria".
    1.  -  Come  risulta dalle sue premesse (v. ultimo "Considerato"),
 l'atto impugnato aspira a "definire un quadro di riferimento unitario
 per l'adozione da parte delle autorita' competenti delle misure volte
 a  prevenire  episodi  acuti  di  inquinamento  ed  a  contenere   le
 concentrazioni  di  inquinanti  ed  i  periodi di esposizione entro i
 limiti  massimi  di  accettabilita',  attraverso  l'individuzione  di
 livelli  di  attenzione  e  di  allarme, e di tipologie graduabili di
 interventi".
    Anche se non si  autoqualifica  espressamente  in  tal  senso,  e'
 dunque  evidente  che  il  d. min. ambiente 12 novembre 1992 cerca di
 proporsi come un vero e proprio atto di indirizzo e coordinamento: si
 tratta infatti di un quadro di riferimento "unitario",  cui  tutti  i
 provvedimenti delle "autorita' competenti" (regioni comprese, dunque)
 debbono  ispirarsi,  e  si  tratta  altresi'  di  un atto che intende
 definire "livelli" generali  di  inquinamento,  e  "tipologie"  degli
 interventi  pubblici  in  materia.  La  natura di atto (che aspira ad
 essere) di indirizzo e coordinamento e' confermata  dall'art.  1  del
 decreto, che espressamente ne definisce le "finalita'".
    Ancora  piu'  chiaramente,  il  decreto  pretende qui di fornire a
 tutte le "autorita' competenti" dei "criteri" non solo "generali"  ma
 anche  "omogenei" nonche' degli "elementi di orientamento" della loro
 azione nei casi di inquinamento atmosferico.
    Appunto  nella  pretesa  di  operare  come  atto  di  indirizzo  e
 coordinamento,  e'  da individuare il primo, radicale vizio dell'atto
 impugnato.
    Anzitutto,  la  funzione  di  indirizzo  e  coordinamento  e'   da
 considerare  parte  della piu' ampia funzione di determinazione della
 politica generale del Governo e dell'indirizzo generale dell'adozione
 amministrativa, la quale non puo' non spettare - ex artt. 92 e  segg.
 della   Costituzione   -  al  Consiglio  dei  Ministri.  Esattamente,
 pertanto, la legge  23  agosto  1988,  n.  400,  riserva  appunto  al
 Consiglio  dei  Ministri  "gli  atti  di indirizzo e di coordinamento
 dell'attivita' amministrativa delle regioni" (art.  2,  terzo  comma,
 lett.  d)).  Come  ricorda  la sentenza n. 457/1991 di codesta ecc.ma
 Corte (ma cfr. anche la sentenza n. 422/1991),  quindi,  un  atto  di
 indirizzo  e  coordinamento  "non  puo'  comunque  certamente  essere
 adottato nella forma del decreto  ministeriale".  In  secondo  luogo,
 come  codesta  ecc.ma  Corte  ha  perspicuamente ricordato in una sua
 recente pronuncia  (sentenza  n.  30/1992),  sin  dalla  sentenza  n.
 150/1982  (poi  confermata  dalle  sentenze  nn.  338/1989,  37, 49 e
 359/1991), e' fermo nella giurisprudenza costituzionale il  principio
 secondo  cui l'esercizio in via amministrativa, da parte dello Stato,
 della funzione d'indirizzo e coordinamento "e' giustificato  solo  se
 trova  un  legittimo e apposito supporto nella legislazione statale".
 Cio' significa: " a) che ogni esercizio della potesta' di indirizzo e
 coordinamento deve essere appositamente previsto da  norma  di  legge
 statale,  dirette  a istituire la relativa funzione con riguardo a un
 determinato ambito di  attivita'  attribuito  alle  competenze  delle
 regioni  o delle province autonome; b) che .. gli atti di indirizzo e
 coordinamento    possono    validamente    incidere    sull'autonomia
 costituzionalmente  garantita  alle  regioni e alle province autonome
 soltanto sulla base di disposizioni di legge volte a  delimitare  'il
 possibile  contenuto  sotanziale  degli  atti di questo tipo'" (nello
 stesso senso v. ora la recentissima sentenza n. 486/1992).
    Anche  per  l'atto  impugnato  si  sarebbe  dovuto dunque avere un
 supporto: a) legislativo; b) "apposito"  (e  cioe'  specifico  e  non
 generico;   c)   concernente   un   ambito   di  attivita'  regionale
 "specifico"; d) sufficientemente definito nei contenuti (e cioe' tale
 da identificare, a sua volta, il  "possibile  contenuto  sostanziale"
 degli atti di indirizzo e coordinamento "supportati").
    Nulla di tutto cio' accade, invece, nel caso di specie. Il decreto
 richiama, invero, nelle premesse, taluni atti legislativi, ma nessuno
 di   questi   e'  idoneo  a  fornire  il  rigoroso  supporto  che  la
 giurisprudenza  costituzionale  richiede  per   qualunque   atto   di
 indirizzo e coordinamento.
    Si  deve anzitutto escludere che sia congruo il richiamo, da parte
 del decreto impugnato, della legge n.  833/1978,  dell'art.  8  della
 legge  n.  349/1986,  dell'art.  8 della legge 59/1987, del d.lgs. n.
 285/1992 (recante il nuovo codice della strada).
    Quanto alla legge n. 833/1978, essa  si  occupa  in  genere  della
 pubblica  sanita',  e  non  contiene  alcuna  previsione specifica in
 materia.
    Quanto all'art. 8 della legge n.  349/1986,  esso  prevede  poteri
 sostitutivi   del   ministro   dell'ambiente  nella  materia  di  sua
 competenza: di tali poteri sostitutivi - come appresso vedremo -  non
 ricorrono qui per nulla i presupposti.
    Quanto   all'art.   8   della  legge  n.  59/1987,  si  tratta  di
 disposizione che  consente  al  Ministro  dell'ambiente  di  adottare
 ordinanze  contingibili  e  urgenti,  le  quali  certo  non  sono  in
 discussione  qui,  atteso  che  l'atto  impugnato  aspira  ad  essere
 provvedimento  di indirizzo generale delle attivita' delle "autorita'
 competenti" in materia.
    Quanto infine al d.lgs. n. 285/1992 (recante il nuovo codice della
 strada), si deve osservare che all'art. 227,  secondo  comma,  vi  si
 prevede  che  - sentito il ministro dei lavori pubblici - il Ministro
 dell'ambiente possa  emanare  direttive  per  l'installazione,  "dove
 rietenuto   necessario",   di  "dispositivi  ..  per  il  rilevamento
 dell'inquinamento acustico e atmosferico". Non puo' percio' ritenersi
 che il decreto qui impugnato sia stato adottato nell'esercizio  della
 competenza   cosi'   prevista.  Il  decreto  non  riguarda,  infatti,
 semplicemente i criteri per l'installazione di reti di  monitoraggio,
 ma  si  occupa  degli  interventi  operativi  da compiersi qualora si
 verifichino fenomeni di particolare inquinamento atmosferico, andando
 quindi ben al di la' di quanto  previsto  dall'art.  227  del  codice
 della strada.
    Resta,  quindi,  il  d.P.R. n. 203/1988. Anche esso, peraltro, non
 puo' ritenersi sufficiente perche' un atto come quello qui  impugnato
 abbia  adeguato  fondamento  legislativo.  Come e' noto, tale decreto
 presidenziale  da'  attuazione  a  talune  direttive  comunitarie  in
 materia  di inquinamento, e disegna un sistema organico di competenze
 di settore, ad integrazione delle previsioni  costituzionali  di  cui
 all'art. 117 della Costituzione ed agli statuti speciali.
    Ai  sensi  del  d.P.R.  n. 203/1988, viene riservata allo Stato la
 definizione (con d.P.C.M.) dei "valori limite" e dei  "valori  guida"
 di  qualita'  dell'aria  per  tutto  il territorio nazionale (art. 3,
 secondo  comma)  nonche'  (con   il   decreto   Min.   ambiente)   la
 predisposizione   delle  "linee  guida"  per  il  contenimento  delle
 emissioni;  dei  metodi  di campionamento e analisi di combustibili e
 inquinanti; dei criteri di utilizzazione  delle  migliori  tecnologie
 disponibili; dei criteri di adeguamento degli impianti esistenti; dei
 criteri  per la elaborazione dei piani regionali per il risanamento e
 la tutela della qualita' dell'aria,  anche  se  "tenedo  conto  delle
 esperienze  regionali  gia' acquisite"; del piano nazionale di tutela
 della qualita'  dell'aria  (sulla  base  dei  piani  regionali);  dei
 criteri  per la raccolta dei dati inerenti la qualita' dell'aria; dei
 criteri per  l'inventario  nazionale  delle  fonti  di  emissione,  e
 l'individuazione (sentite le regioni interessate) di zone a carattere
 interregionale  a  particolare  rischio  di  inquinamento atmosferico
 (art. 3, quarto comma).
    Tutto il resto, invece, e' di  competenza  delle  regioni.  Spetta
 infatti  alle  regioni (l'art. 4, primo comma, dello stesso d.P.R. n.
 203/1988 dispone che "fatte  salve  le  competenze  dello  Stato,  la
 tutela   dell'ambiente   dall'inquinamento  atmosferico  spetta  alle
 regioni": la formulazione  dei  piani  di  rilevamento,  prevenzione,
 conservazione  e  risanamento del territorio "nel rispetto dei valori
 limite di qualita' dell'aria"; la fissazione  dei  valori  limite  di
 qualita'  dell'aria  (entro  i valori guida fissati dallo Stato); "la
 fissazione, per  zone  particolarmente  inquinate  o  per  specifiche
 esigenze  di  tutela ambientale, nell'ambito dei pani di cui al punto
 a)" (e cioe' ai menzionati piani di rilevamento)  "di  valori  limite
 delle emissioni piu' restrittivi dei valori minimi di emissione defi-
 nite  nelle  linee  guida  ..";  "l'indirizzo  e il coordinamento dei
 sistemi di controllo e di rilevazione degli inquinanti atmosferici  e
 l'organizzazione  dell'inventario  regionale  delle  emissioni";  "la
 predisposizione di relazioni annuali sulla qualita' dell'aria"  (art.
 4).
    E'  assai  dubbio  che  il ministro dell'ambiente abbia qui inteso
 esercitare poteri previsti dal d.P.R. n. 203/1988. A parte la  palese
 distonia  tra  i  contenuti  normativi di questo e quelli del decreto
 impuganto (che viene qui di  seguito  evidenziata),  si  puo'  subito
 rilevare  che  gli  stessi atti di indirizzo e coordinamento affidati
 dal d.P.R. n. 203/1988 alla  competenza  del  ministro  dell'ambiente
 debbono  rispondere  a  requisiti  procedurali  che qui, invece, sono
 mancati. In particolare, le linee guida  per  il  contenimento  delle
 emissioni  e gli altri principi di cui all'art. 3, secondo comma, del
 d.P.R. n. 203/1988, debbono essere adottati  "sentita  la  conferenza
 dei  presidenti  delle giunte regionali", cio' che qui - invece - non
 si e' fatto.
    2. - Cio' che piu' conta, comunque, e' che nel sistema del  d.P.R.
 n.  203/1988  il  ruolo delle Regioni nella prevenzione e nella lotta
 all'inquinamento atmosferico e' di assoluto rilievo.
    Anche il d.P.R. 10 gennaio 1992,  recante  "atto  di  indirizzo  e
 coordinamento  in materia di sistemi di rilevazione dell'inquinamento
 urbano", ha preso atto della centralita'  del  ruolo  delle  regioni,
 come  dimostra  il  fatto che nessuna delle sue previsioni esclude le
 regioni medesime dal "governo" del settore. Cosi', l'art. 1 riconosce
 alle regioni  il  potere  di  "individuare  ..  zone  a  rischio  del
 territorio regionale .. nelle quali possono verificarsi episodi acuti
 di inquinamento atmosferico"; l'art. 3 prevede che siano le regioni a
 promuovere   intese   perche'  i  comuni  si  muniscano  di  reti  di
 monitoraggio  della  qualita'  dell'aria;  l'art.  4  attribuisce  al
 Ministro  dei  trasporti il potere di adottare procedure semplificate
 per l'applicazione di meccanismi anti-inquinamento  sui  veicoli,  ma
 pur sempre "sulla base di intese con le regioni e i comuni".
    Parimenti,  il  decreto  Ministro  dell'ambiente  20  maggio  1991
 (recante "criteri per la  raccolta  dei  dati  inerenti  la  qualita'
 dell'aria")  riserva  alle  regioni il potere di individuare le "zone
 del territorio per le quali, a causa del manifestarsi  di  condizioni
 meteorologiche  sfavorevoli  persistenti ed alla presenza di sorgenti
 fisse  o  mobili  con  rilevante  potenzialita'   emissiva,   possono
 verificarsi  episodi  acuti  di inquinamento atmosferico .." (art. 9,
 secondo comma).
    Anche l'ord. Ministro ambiente 28 dicembre 1991, infine, fa  salvo
 in  particolare  il  potere  della  regione  Lombardia  di adottare i
 provvedimenti necessari in  caso  di  inquinamento  atmosferico,  nei
 comuni di Milano e in quelli limitrofi.
   3.  -  Ove  -  sia  pure non convincentemente - si negasse all'atto
 impugnato la qualifica di atto (che pretende d'essere) di indirizzo e
 coordinamento, riconoscendosi allo stesso natura normativa e sostanza
 regolamentare, non verrebbe per questo meno  la  sua  illegittimita'.
 Anzitutto, resterebbe il vizio consistente nella carenza di specifico
 fondamento  legislativo  del  potere  qui  esercitato  dal  Ministro.
 Inoltre, regolamenti statali in materie di competenza  regionale  non
 possono  intervenire  (art. 17, primo comma, lett. b), della legge n.
 400/1988), se non (sentenza n. 49/1991) "con efficacia dispositiva  o
 suppletiva"  (mentre  -  come  -  risultera' dal successivo esame del
 contenuto dell'atto impugnato  -  qui  si  pretende  di  dettare  una
 disciplina operativa e si indirizzo che si sovrappone agli interventi
 regionali).  E  comunque "deve trattarsi, in ogni caso di regolamenti
 deliberati dal Consiglio  dei  Ministri  nelle  forme  e  nei  limiti
 stabiliti  dall'art.  17  della  legge  n. 400/1988" (cosi' la stessa
 sentenza n. 49/1991).
    Se l'impugnato decreto fosse da qualificarsi  come  "regolamento",
 dunque,  risulterebbe  viziato  per  inosservanza  dei sopradescritti
 principi. Nel merito, poi,  l'atto  impugnato  detemina  un  completo
 stravolgimento  dell'ordine  costituzionale  delle  competenze Stato-
 regioni, ulteriormente (e ragionevolmente) definito dal cit.   d.P.R.
 n. 203/1988 e confermato dagli ulteriori atti gia' menzionati al par.
 precedente. Tale stravolgimento e' senz'altro illegittimo, atteso che
 codesta ecc.ma Corte ha gia' chiarito che un regolamento ministeriale
 "risulta naturalmente sprovvisto della forza necessaria per apportare
 modificazioni  o variazioni al quadro delle competenze regionali gia'
 delineate da precedenti fonti primarie" (sentenza n.  97/1992), e che
 "un regolamento ministeriale di esecuzione e  di  attuazione  di  una
 legge  statale  non  puo' porre norme volte a limitare la sfera delle
 competenze delle regioni in materie  loro  attribuite"  (sentenza  n.
 461/1992, e sentenze nn. 49, 204, 391 del 1991, ivi citt.).
    Per  comprendere quanto ampio e profondo sia detto stravolgimento,
 basta rilevare quanto segue:
       a) il decreto impugnato individua "comuni ed aree sperimentali"
 che sono tenuti ad applicare le sue disposizioni sin  dalla  data  di
 pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale (art. 3, primo comma, lett.
 a)). Cio' contrasta con la salvaguardia del potere di  programmazione
 regionale  (sul  quale, da ultimo, v. la sentenza n. 135/1992), e con
 la specifica previsione del d.P.R.  n.  203/1988,  che,  come  si  e'
 visto,  affida  alle regioni "la fissazione, per zone particolarmente
 inquinate o per specifiche esigenze di tutela ambientale .. di valori
 limite  delle  emissioni  piu'  restrittivi  dei  valori  minimi   di
 emissione definiti nelle linee guida ..";
       b)  Si  prevede  (art.  1,  primo comma, lett. c)) che i comuni
 possano  anche  volontariarmente  dotarsi  di  reti  di   rilevamento
 dell'inquinamento atmosferico "nell'ambito di un accordo di programma
 con  la  provincia  competente".  Viene  percio'  meno  il  potere di
 "indirizzo  e  coordinamento"  dei  "sistemi  di   controllo   e   di
 rilevazione  degli  inquinanti  atmosferici", gia' previsto in favore
 delle Regioni dall'art. 4 del d.P.R. n. 203/1988, come pure il potere
 di promuovere intese  perche'  i  comuni  si  muniscano  di  reti  di
 monitoraggio  della  qualita'  dell'aria, gia' confermato dall'art. 3
 del d.P.R. 10 gennaio 1992;
       c) si dispone (art. 1, secondo comma) che una  zona  dichiarata
 "a rischio" di inquinamento atmosferico possa essere dichiarata fuori
 dal   campo  di  applicazione  del  decreto  solo  se  per  tre  anni
 consecutivi "non si sono verificati episodi acuti  di  inquinamento",
 esercitando  cosi' un potere di identificazione diretta e puntuale di
 limiti temporali,  non  previsto  da  alcuna  disposizione  di  rango
 legislativo;
       d) si impone alla regione di individuare l'autorita' competente
 all'adozione  dei  provvedimenti  necessari  a seguito di fenomeni di
 inquinamento atmosferico "nel presidente della giunta regionale o nel
 sindaco, o in un suo delegato .. fatta  salva  la  facolta',  qualora
 siano  individuate  come  zone  particolarmente  esposte a rischio di
 inquinamento  vaste  aree   intercomunali   o   l'intero   territorio
 provinciale,  di  individuare  l'autorita'  competente  nella  giunta
 provinciale,  che  ha  facolta'  di  delegare  il  presidente  o   un
 assessore".  Se,  come  sembra corretto, si ritiene che nella materia
 sia gia' la legge n. 833/1978  a  stabilire  l'autorita'  competente,
 identificandola  nella  autorita' sanitaria, il decreto qui impugnato
 viola un assetto di competenze gia' fissato dalla legge. Se,  invece,
 si  ritiene il contrario, si deve concludere nel senso che il decreto
 impugnato abbia dettato una normativa di dettaglio sicuramente lesiva
 del potere regionale di autoorganizzazione dei suoi uffici e servizi,
 percio' violativa degli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione  (cfr.
 sentenza n. 174/1991);
       e)  si  determina  analiticamente  la composizione dell'"organo
 tecnico" di cui all'art. 5, primo comma, in  violazione,  anche  qui,
 degli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione;
       f)  si  affida  a tale organo tecnico una pluralita' di compiti
 assai  diversificati,  che  piu'  opportunamente  potrebbero   essere
 esercitati  da  una  molteplicita'  di  organi  diversi, anche qui in
 violazione degli artt. 97, 117 e 188 della Costituzione;
       g) si ledono poi, per  molti  aspetti,  con  l'affidamento  dei
 predetti  compiti  allo stesso organo tecnico le competenze regionali
 costituzionalmente garantite. In proposito, si deve  considerare  che
 l'allegato  2 al decreto impugnato prevede che, oltre ad accertare il
 raggiungimento degli stati di attenzione e di allarme e a individuare
 le fonti di inquinamento coinvolte, l'organo tecnico possa  formulare
 "previsioni  sulla  persistenza del fenomeno", indicare "la tipologia
 delle possibili misure atte a ridurre l'inquinamento atmosferico",  e
 pianificare "campagne intensive di misura di inquinanti convenzionali
 e non convenzionali". Viene cosi' pregiudicato l'esercizio del potere
 regionale  di programmazione di cui al gia' cit. art. 4 del d.P.R. n.
 203/1988,  anche  qui  violazione  degli  artt.  117  e   118   della
 Costituzione;
       h)  si  attribuisce  (art.  5,  terzo  comma)  alla  "autorita'
 competente" il  potere  di  adottare  appositi  piani  di  intervento
 operativo,  oltretutto  nell'ambito  di  criteri  fissati in allegato
 dello stesso atto qui impuganto. Atteso che - come gia' visto - detta
 "autorita'  competente"  ben  puo'  non  coincidere  con  l'autorita'
 regionale,  si  viola  dunque  il  potere  regionale  di  pianificare
 razionalmente non solo la prevenzione dell'inquinamento, ma anche  il
 risanamento  del  territorio  "nel  rispetto  dei  valori  limite  di
 qualita' dell'aria", ai sensi del cit. art. 4 del d.P.R. n. 203/1988;
       i) si determinato -  al  punto  3  dell'allegato  3  -  criteri
 estremamente  analitici  per  la  redazione  dei  predetti  piani  di
 intervento operativo. Per  espressa  previsione  del  punto  4  dello
 stesso  allegato  3,  detti piani sono diversi dai piani regionali di
 risanamento e tutela della qualita' dell'aria, di cui al d.P.C.M.  28
 marzo  1983  e al d.P.R. n. 203/1988. Anche in questo caso, pertanto,
 la potesta' regionale di pianificazione in materia  viene  gravemente
 compromessa.  Ne',  a rendere meno viziato l'atto impugnato, varrebbe
 il richiamo al fatto che lo stesso punto 4  dell'allegato  3  dispone
 che  i  piani di intervento operativo debbono assicurare "la coerenza
 della propria formulazione con i dettati dei piani regionali"  (cosi'
 dispone,  del  resto,  anche  l'art.  5,  terzo  comma). Subito dopo,
 infatti, si prevede che  i  piani  di  intervento  operativo  possono
 essere  lo  strumento  per  il  raggiungimento  anticipato di "alcuni
 limitati obiettivi dei piani regionali", e per  l'individuazione  dei
 "punti   sui   quali   i  piani  regionali  eventualmente  richiedono
 integrazioni o modifiche",  cio'  che  rende  a  dir  poco  aleatoria
 l'esigenza  di  "coerenza" precedentemente affermata. Inoltre, sempre
 il punto 4 dell'allegato  3  postula  una  coesistenza  fra  i  piani
 regionali    e   quelli   di   intervento   operativo,   qualificando
 arbitrariamente i primi "strumenti di  pianificazione  a  medio-lungo
 termine",  e confinandoli quindi al ruolo di mezzi di "proposizione e
 attuazione di interventi prevalentemente di  carattere  strutturale",
 cio' che non risulta affatto da quanto dispone il d.P.R. n. 203/1988,
 che percio' anche per tale profilo risulta violato;
       l) si elencano minutamente - con l'allegato 4 - le misure che i
 piani di intervento operativo dovranno contenere (ben dieci categorie
 di  misure,  e  loro volta articolata in numerosissimi - sino a 19Ý -
 punti). Si prevede altresi'  che  nell'adozione  di  tali  misure  si
 debbano  semplicemente  "considerare"  i  provvedimenti  indicati dai
 "piani regionali di risanamento e tutela della qualita' dell'aria"  e
 dai  "piani  regionali  dei  trasporti",  e  percio'  si  finisce per
 ammettere che quanto detti piani prevedono possa essere  contraddetto
 da  cio' che, in sede di redazione dei piani operativi, stabilisce un
 organo tecnico di -  prima  dimostrata  -  illegittima  costituzione.
 Oltretutto,  il  decreto impugnato non fissa alcun criterio di scelta
 fra le misure elencate, limitandosi (al punto 1  dell'allegato  A)  a
 stabilire  che le misure atte a contenere il volume del traffico e le
 emissioni  delle  sorgenti  fisse  debbono   essere   adottate   "con
 gradualita'".  Si  conferisce  pertanto  all'organo tecnico un enorme
 potere discrezionale, che per la sua stessa ampiezza  risulta  lesivo
 della  autonomia  regionale.  Anche  in  questo caso, dunque, vengono
 disattese le previsioni del d.P.R. n. 203/1988 e  violati  gli  artt.
 117 e 118 della Costituzione;
       m)  si  menzionano  in  concreto  -  sempre  nell'allegato  4 -
 moltissime misure la  cui  previsione,  di  per  se',  determina  una
 invasione  della  sfera di competenza regionale. Fra le tante si puo'
 ricordare  anzitutto  la  disciplina  analitica  di  varie  forme  di
 controllo delle emissioni inquinanti (allegato 4, punto 8), che viene
 dettata   senza   alcuna  salvaguardia  del  gia'  menzionato  potere
 regionale di indirizzo e coordinamento "dei sistemi di controllo e di
 rilevazione degli inquinanti atmosferici" previsto dall'art. 4, primo
 comma, lett. f), del d.P.R. n. 203/1988. E si puo' ricordare anche la
 previsione della  "riduzione  graduale,  in  rapporto  all'intensita'
 dell'inquinamento, sino al minimo tecnico delle attivita' industriali
 che emettono almeno uno degli inquinanti di riferimento" (allegato 4,
 punto  9,  n.  3);  che  non  tiene conto del fatto che l'adozione di
 provvedimenti limitativi delle emissioni di impianti inquinanti e' di
 sicura competenza  regionale,  come  conferma  lo  stesso  d.P.R.  n.
 203/1988  (artt.  6  e  15).  La  previsione delle misure che possano
 essere dettate dai  piani  di  intervento  operativi,  formulate  dal
 decreto  impugnato,  e'  peraltro  da  considerarsi viziata nella sua
 interezza,  in  quanto   determina   una   generale   lesione   delle
 attribuzioni  regionali.  Il decreto impugnato ha infatti l'ambizione
 di essere la sola fonte delle misure anti-inquinamento  attinenti  al
 traffico veicolare e pedonale, in attesa della approvazione dei piani
 urbani  del traffico di cui all'art. 36 del nuovo codice della strada
 (d.P.R. n. 285/1992). Mentre il sesto comma di detto art. 36  dispone
 che  "il  piano  urbano  del  traffico  veicolare viene adeguato agli
 obbiettivi  generali   della   programmazione   economico-sociale   e
 territoriale  fissati  dalla  regione  ai  sensi  dell'art. 3, quarto
 comma, della legge 8 giugno 1990,  n.    142",  nulla  di  simile  si
 dispone  nel decreto impugnato. Si consente dunque all'organo tecnico
 di  adottare  piani  di  immediato  intervento  operativo  del  tutto
 irrispettosi della programmazione (territoriale ed economico-sociale)
 della  regione,  in  patente  violazione  degli artt. 117 e 118 della
 Costituzione;
       n) si determinano analiticamente e nel  dettaglio  gli  effetti
 degli  stati  di  attenzione  e  di allarme (art. 6, secondo, terzo e
 quarto  comma),  anche  qui  pregiudicando  l'esercizio  del   potere
 regionale  di programmazione di cui al gia' cit. art. 4 del d.P.R. n.
 203/1988, ed in violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    4. - Per negare la radicale illegittimita' dell'atto impugnato non
 varrebbe invocare le ragioni dell'"emergenza", sottese alla gravita',
 dello stato attuale dell'inquinamento atmosferico in molte  aree  del
 nostro  Paese.  A parte il fatto che l'emergenza non puo' determinare
 l'alterazione dell'ordine delle competenze Stato-regioni (sentenza n.
 307/1983), si deve infatti rilevare che in specifico riferimento alla
 regione Lombardia mancavano del tutto i presupposti per l'adozione di
 un atto cosi' radicalmente lesivo delle competenze costituzionali  di
 questa, come quello qui impugnato.
    La  regione  Lombardia,  invero,  si  e'  da  tempo diligentemente
 attivata  per   il   raggiungimento   degli   obiettivi   considerati
 dall'impugnato  decreto,  e  lo  ha  fatto identificando modalita' di
 intervento piu' rigorose ed efficaci di quelle previste  dal  decreto
 medesimo.
    Anzitutto,    la   regione   Lombardia   ha   predisposto   quella
 molteplicita' di servizi tencnici che, come rilevato  alla  lett.  f)
 del   par.   precedente,   consente   di   fronteggiare  il  fenomeno
 dell'inquinamento con maggiore professionalita' di  quella  che  puo'
 essere  garantita  dall'"organo  tecnico"  unico previsto dal decreto
 impugnato.
    Inoltre  -  e  soprattutto  -  la  regione  ha  previsto   che   i
 provvedimenti  atti  a  far  fronte  alle  emergenze  da inquinamento
 atmosferico entrino in  vigore  con  tempestivita'  ben  maggiore  di
 quanto  non preveda il decreto impugnato. Con delibera n. 2709 del 27
 novembre  1990,  infatti,  la  regione  Lombardia  ha  approvato  una
 direttiva  "per la salvaguardia della qualita' dell'aria" nella quale
 si prevedono due livelli di allerta per l'inquinamento atmosferico, e
 si dispone che "i provvedimenti a carattere prescrittivo  conseguente
 al  secondo  livello devono essere operanti entro le ore 6 del giorno
 successivo a quello della comunicazione  relativa  al  raggiungimento
 del  livello"  (art.  2,  sesto  comma). Il decreto impugnato prevede
 invece che i provvedimenti necessari entrino in vigore  "alle  ore  6
 del  secondo  giorno  successivo  a  quello  in  cui  si  e'  data ..
 comunicazione all'autorita' competente". Si tratta, come si vede,  di
 un  ritardo  che  potrebbe avere effetti gravissimi sulla salute e la
 incolumita' pubblica, aggravato dal fatto che - ai sensi del  decreto
 impugnato  - i provvedimenti opportuni debbono semplicemente "entrare
 in vigore" entro il termine indicato, mentre la  direttiva  regionale
 impone che nel diverso termine ivi previsto essi siano "operanti", il
 che   significa   che   tutte   le  amministrazioni  interessate  dal
 provvedimento dovranno aver gia' concretamente predisposto  tutte  le
 strutture   e   gli   accorgimenti   organizzativi   per  l'immediata
 applicazione dei provedimenti.
    Il decreto impugnato prevede poi che "lo stato di attenzione e  lo
 stato  di allarme vengono disattivati .. qualora le concentrazioni di
 inquinanti,  rilevate  durante  un   ciclo   giornaliero,   risultino
 inferiori  ai  livelli che hanno determinato lo stato di attenzione o
 di allarme" (art. 6, sesto comma). Ben piu' rigorosamente, la regione
 Lombardia ha previsto (con delibera di g.r. n. 14605 del  5  novembre
 1991, integrativa della direttiva sopradescritta) che i provvedimenti
 a  carattere prescrittivo attivati in conseguenza del secondo livello
 di  inquinamento  sono  disattivati  non  prima  del  secondo  giorno
 successivo  al  verificarsi  delle condizioni di disattivazione. Solo
 qualora le previsioni meteorologiche per  le  successive  quarantotto
 ore  escludano  il  rischio  del  perdurare  dello  stato critico per
 l'inquinamento, si prevede  che  i  provvedimenti  cessino  di  avere
 efficacia  dal giorno successivo (v. la delibera di g.r. n. 18265 del
 30 gennaio 1992). Cio' nella chiara consapevolezza che le ragioni  di
 ritiro   dei   provvedimenti  non  debbono  dipendere  da  condizioni
 transitorie ed aleatorie, ma da un miglioramento stabile dei tassi di
 inquinamento.
    Infine, la stessa tipologia dei provvedimenti adottabili, prevista
 dalla citata delibera di g.r. n. 18265 del 30  gennaio  1992,  appare
 essere   assai   piu'  rigorosa  di  quella  risultante  dal  decreto
 impugnato.
    5.  -  Come  risulta  da  quanto  detto  al  par.  precedente,  la
 disciplina  gia'  da  tempo  dettata  (e  di  recente   ulteriormente
 perfezionata)   dalla  regione  Lombardia  risulta  piu'  efficace  e
 rigorosa di quella dettata dal decreto impugnato.
   Cio' ne induce un ulteriore motivo di  illegittimita',  atteso  che
 l'art.  4,  lett.  a),  del  d.P.R.  n. 203/1988 consente al Ministro
 dell'ambiente di adottare i  criteri  per  l'elaborazione  dei  piani
 regionali  di  risanamento  e tutela della qualita' dell'aria "tenuto
 conto delle esperienze  regionali  gia'  acquisite".  Tra  queste  e'
 certamente  e  in  primo  luogo  quella  della regione Lombardia, che
 risulta  invece  completamente  trascurata   dall'impugnato   decreto
 ministeriale,  in  violazione  di  una  specifica  (e quant'altre mai
 ragionevole) previsione legislativa.
    Una previsione che - si badi - non puo' certo ritenersi rispettata
 per il fatto che l'allegato 4 al decreto, relativo alla  "indicazione
 delle  misure da adottare nei piani di intervento operativo", afferma
 di aver tenuto conto  "dell'esperienza  acquisita  con  gli  analoghi
 provvedimenti  presi  in  diverse  citta' italiane". Non vi e' alcuna
 prova, infatti, che l'esperienza della regione  Lombardia  sia  stata
 effettivamente  tenuta in considerazione, ed anzi il minor rigore del
 decreto impugnato sta  a  testimoniare  -  semmai  -  esattamente  il
 contrario.
                               P. Q. M.
    Voglia,  in  accoglimento del presente ricorso, dichiarare che non
 spetta allo Stato, e per esso al Ministro dell'ambiente,  di  dettare
 per  decreto  la  disciplina  dei criteri generali per la prevenzione
 dell'inquinamento atmosferico nelle grandi zone urbane e disposizioni
 per il  miglioramento  della  qualita'  dell'aria,  e  per  l'effetto
 annullare l'atto qui impugnato.
      Milano-Roma, addi' 16 gennaio 1993
    Avv. prof. Giuseppe Franco FERRARI - Avv. prof. Giorgio RECCHIA

 93C0065