N. 4 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 25 gennaio 1993
N. 4 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 25 gennaio 1993 (della regione Lombardia) Definizione "di un quadro di riferimento unitario per l'adozione, da parte delle competenti autorita' delle misure volte a prevenire episodi acuti di inquinamento ed a contenere le concentrazioni di inquinanti ed i periodi di esposizione entro i limiti massimi di accettabilita', attraverso l'individuazione di livelli di attuazione e di allarme, e di tipologie graduabili di intervento" - Adozione di un atto di indirizzo e coordinamento, concernente la politica generale di Governo e l'indirizzo generale dell'azione amministrativa, mediante lo strumento del decreto interministeriale anziche' attraverso provvedimento del Consiglio dei Ministri - Asserita mancanza di specifico fondamento legislativo di detto atto di indirizzo - Lamentata invasione della sfera di competenza regionale in materia di tutela del territorio - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 150/1982, 338/1989, 37, 49, 359, 422 e 457 del 1991, 30 e 462 del 1992. (Decreto del Ministro dell'ambiente 12 novembre 1992, adottato di concerto con il Ministro delle aree urbane, il Ministro della difesa, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro dei trasporti, il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato ed il Ministro della sanita'). (Cost., artt. 9, secondo comma, 97, 117 e 118).(GU n.5 del 3-2-1993 )
Ricorso per la regione Lombardia, in persona del presidente pro- tempore della giunta regionale, dott.ssa Fiorella Chilardotti, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto, e in virtu' di deliberazione di autorizzazione a stare in giudizio, dagli avvocati professori Giuseppe Franco Ferrari e Giorgio Recchia, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, corso Trieste n. 88, per conflitto di attribuzione contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, a seguito e per effetto del decreto del Ministro dell'ambiente 12 novembre 1992 (in Gazzetta Ufficiale, serie gen., 18 novembre 1992, n. 272, pp. 15 e segg.), adottato di concerto con il Ministro delle aree urbane, il Ministro della difesa, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro dei trasporti, il Ministro dell'industria del commercio e dell'artigianato ed il Ministro della sanita', recante "Criteri generali per la prevenzione dell'inquinamento atmosferico nelle grandi zone urbane e disposizioni per il miglioramento della qualita' dell'aria". 1. - Come risulta dalle sue premesse (v. ultimo "Considerato"), l'atto impugnato aspira a "definire un quadro di riferimento unitario per l'adozione da parte delle autorita' competenti delle misure volte a prevenire episodi acuti di inquinamento ed a contenere le concentrazioni di inquinanti ed i periodi di esposizione entro i limiti massimi di accettabilita', attraverso l'individuzione di livelli di attenzione e di allarme, e di tipologie graduabili di interventi". Anche se non si autoqualifica espressamente in tal senso, e' dunque evidente che il d. min. ambiente 12 novembre 1992 cerca di proporsi come un vero e proprio atto di indirizzo e coordinamento: si tratta infatti di un quadro di riferimento "unitario", cui tutti i provvedimenti delle "autorita' competenti" (regioni comprese, dunque) debbono ispirarsi, e si tratta altresi' di un atto che intende definire "livelli" generali di inquinamento, e "tipologie" degli interventi pubblici in materia. La natura di atto (che aspira ad essere) di indirizzo e coordinamento e' confermata dall'art. 1 del decreto, che espressamente ne definisce le "finalita'". Ancora piu' chiaramente, il decreto pretende qui di fornire a tutte le "autorita' competenti" dei "criteri" non solo "generali" ma anche "omogenei" nonche' degli "elementi di orientamento" della loro azione nei casi di inquinamento atmosferico. Appunto nella pretesa di operare come atto di indirizzo e coordinamento, e' da individuare il primo, radicale vizio dell'atto impugnato. Anzitutto, la funzione di indirizzo e coordinamento e' da considerare parte della piu' ampia funzione di determinazione della politica generale del Governo e dell'indirizzo generale dell'adozione amministrativa, la quale non puo' non spettare - ex artt. 92 e segg. della Costituzione - al Consiglio dei Ministri. Esattamente, pertanto, la legge 23 agosto 1988, n. 400, riserva appunto al Consiglio dei Ministri "gli atti di indirizzo e di coordinamento dell'attivita' amministrativa delle regioni" (art. 2, terzo comma, lett. d)). Come ricorda la sentenza n. 457/1991 di codesta ecc.ma Corte (ma cfr. anche la sentenza n. 422/1991), quindi, un atto di indirizzo e coordinamento "non puo' comunque certamente essere adottato nella forma del decreto ministeriale". In secondo luogo, come codesta ecc.ma Corte ha perspicuamente ricordato in una sua recente pronuncia (sentenza n. 30/1992), sin dalla sentenza n. 150/1982 (poi confermata dalle sentenze nn. 338/1989, 37, 49 e 359/1991), e' fermo nella giurisprudenza costituzionale il principio secondo cui l'esercizio in via amministrativa, da parte dello Stato, della funzione d'indirizzo e coordinamento "e' giustificato solo se trova un legittimo e apposito supporto nella legislazione statale". Cio' significa: " a) che ogni esercizio della potesta' di indirizzo e coordinamento deve essere appositamente previsto da norma di legge statale, dirette a istituire la relativa funzione con riguardo a un determinato ambito di attivita' attribuito alle competenze delle regioni o delle province autonome; b) che .. gli atti di indirizzo e coordinamento possono validamente incidere sull'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni e alle province autonome soltanto sulla base di disposizioni di legge volte a delimitare 'il possibile contenuto sotanziale degli atti di questo tipo'" (nello stesso senso v. ora la recentissima sentenza n. 486/1992). Anche per l'atto impugnato si sarebbe dovuto dunque avere un supporto: a) legislativo; b) "apposito" (e cioe' specifico e non generico; c) concernente un ambito di attivita' regionale "specifico"; d) sufficientemente definito nei contenuti (e cioe' tale da identificare, a sua volta, il "possibile contenuto sostanziale" degli atti di indirizzo e coordinamento "supportati"). Nulla di tutto cio' accade, invece, nel caso di specie. Il decreto richiama, invero, nelle premesse, taluni atti legislativi, ma nessuno di questi e' idoneo a fornire il rigoroso supporto che la giurisprudenza costituzionale richiede per qualunque atto di indirizzo e coordinamento. Si deve anzitutto escludere che sia congruo il richiamo, da parte del decreto impugnato, della legge n. 833/1978, dell'art. 8 della legge n. 349/1986, dell'art. 8 della legge 59/1987, del d.lgs. n. 285/1992 (recante il nuovo codice della strada). Quanto alla legge n. 833/1978, essa si occupa in genere della pubblica sanita', e non contiene alcuna previsione specifica in materia. Quanto all'art. 8 della legge n. 349/1986, esso prevede poteri sostitutivi del ministro dell'ambiente nella materia di sua competenza: di tali poteri sostitutivi - come appresso vedremo - non ricorrono qui per nulla i presupposti. Quanto all'art. 8 della legge n. 59/1987, si tratta di disposizione che consente al Ministro dell'ambiente di adottare ordinanze contingibili e urgenti, le quali certo non sono in discussione qui, atteso che l'atto impugnato aspira ad essere provvedimento di indirizzo generale delle attivita' delle "autorita' competenti" in materia. Quanto infine al d.lgs. n. 285/1992 (recante il nuovo codice della strada), si deve osservare che all'art. 227, secondo comma, vi si prevede che - sentito il ministro dei lavori pubblici - il Ministro dell'ambiente possa emanare direttive per l'installazione, "dove rietenuto necessario", di "dispositivi .. per il rilevamento dell'inquinamento acustico e atmosferico". Non puo' percio' ritenersi che il decreto qui impugnato sia stato adottato nell'esercizio della competenza cosi' prevista. Il decreto non riguarda, infatti, semplicemente i criteri per l'installazione di reti di monitoraggio, ma si occupa degli interventi operativi da compiersi qualora si verifichino fenomeni di particolare inquinamento atmosferico, andando quindi ben al di la' di quanto previsto dall'art. 227 del codice della strada. Resta, quindi, il d.P.R. n. 203/1988. Anche esso, peraltro, non puo' ritenersi sufficiente perche' un atto come quello qui impugnato abbia adeguato fondamento legislativo. Come e' noto, tale decreto presidenziale da' attuazione a talune direttive comunitarie in materia di inquinamento, e disegna un sistema organico di competenze di settore, ad integrazione delle previsioni costituzionali di cui all'art. 117 della Costituzione ed agli statuti speciali. Ai sensi del d.P.R. n. 203/1988, viene riservata allo Stato la definizione (con d.P.C.M.) dei "valori limite" e dei "valori guida" di qualita' dell'aria per tutto il territorio nazionale (art. 3, secondo comma) nonche' (con il decreto Min. ambiente) la predisposizione delle "linee guida" per il contenimento delle emissioni; dei metodi di campionamento e analisi di combustibili e inquinanti; dei criteri di utilizzazione delle migliori tecnologie disponibili; dei criteri di adeguamento degli impianti esistenti; dei criteri per la elaborazione dei piani regionali per il risanamento e la tutela della qualita' dell'aria, anche se "tenedo conto delle esperienze regionali gia' acquisite"; del piano nazionale di tutela della qualita' dell'aria (sulla base dei piani regionali); dei criteri per la raccolta dei dati inerenti la qualita' dell'aria; dei criteri per l'inventario nazionale delle fonti di emissione, e l'individuazione (sentite le regioni interessate) di zone a carattere interregionale a particolare rischio di inquinamento atmosferico (art. 3, quarto comma). Tutto il resto, invece, e' di competenza delle regioni. Spetta infatti alle regioni (l'art. 4, primo comma, dello stesso d.P.R. n. 203/1988 dispone che "fatte salve le competenze dello Stato, la tutela dell'ambiente dall'inquinamento atmosferico spetta alle regioni": la formulazione dei piani di rilevamento, prevenzione, conservazione e risanamento del territorio "nel rispetto dei valori limite di qualita' dell'aria"; la fissazione dei valori limite di qualita' dell'aria (entro i valori guida fissati dallo Stato); "la fissazione, per zone particolarmente inquinate o per specifiche esigenze di tutela ambientale, nell'ambito dei pani di cui al punto a)" (e cioe' ai menzionati piani di rilevamento) "di valori limite delle emissioni piu' restrittivi dei valori minimi di emissione defi- nite nelle linee guida .."; "l'indirizzo e il coordinamento dei sistemi di controllo e di rilevazione degli inquinanti atmosferici e l'organizzazione dell'inventario regionale delle emissioni"; "la predisposizione di relazioni annuali sulla qualita' dell'aria" (art. 4). E' assai dubbio che il ministro dell'ambiente abbia qui inteso esercitare poteri previsti dal d.P.R. n. 203/1988. A parte la palese distonia tra i contenuti normativi di questo e quelli del decreto impuganto (che viene qui di seguito evidenziata), si puo' subito rilevare che gli stessi atti di indirizzo e coordinamento affidati dal d.P.R. n. 203/1988 alla competenza del ministro dell'ambiente debbono rispondere a requisiti procedurali che qui, invece, sono mancati. In particolare, le linee guida per il contenimento delle emissioni e gli altri principi di cui all'art. 3, secondo comma, del d.P.R. n. 203/1988, debbono essere adottati "sentita la conferenza dei presidenti delle giunte regionali", cio' che qui - invece - non si e' fatto. 2. - Cio' che piu' conta, comunque, e' che nel sistema del d.P.R. n. 203/1988 il ruolo delle Regioni nella prevenzione e nella lotta all'inquinamento atmosferico e' di assoluto rilievo. Anche il d.P.R. 10 gennaio 1992, recante "atto di indirizzo e coordinamento in materia di sistemi di rilevazione dell'inquinamento urbano", ha preso atto della centralita' del ruolo delle regioni, come dimostra il fatto che nessuna delle sue previsioni esclude le regioni medesime dal "governo" del settore. Cosi', l'art. 1 riconosce alle regioni il potere di "individuare .. zone a rischio del territorio regionale .. nelle quali possono verificarsi episodi acuti di inquinamento atmosferico"; l'art. 3 prevede che siano le regioni a promuovere intese perche' i comuni si muniscano di reti di monitoraggio della qualita' dell'aria; l'art. 4 attribuisce al Ministro dei trasporti il potere di adottare procedure semplificate per l'applicazione di meccanismi anti-inquinamento sui veicoli, ma pur sempre "sulla base di intese con le regioni e i comuni". Parimenti, il decreto Ministro dell'ambiente 20 maggio 1991 (recante "criteri per la raccolta dei dati inerenti la qualita' dell'aria") riserva alle regioni il potere di individuare le "zone del territorio per le quali, a causa del manifestarsi di condizioni meteorologiche sfavorevoli persistenti ed alla presenza di sorgenti fisse o mobili con rilevante potenzialita' emissiva, possono verificarsi episodi acuti di inquinamento atmosferico .." (art. 9, secondo comma). Anche l'ord. Ministro ambiente 28 dicembre 1991, infine, fa salvo in particolare il potere della regione Lombardia di adottare i provvedimenti necessari in caso di inquinamento atmosferico, nei comuni di Milano e in quelli limitrofi. 3. - Ove - sia pure non convincentemente - si negasse all'atto impugnato la qualifica di atto (che pretende d'essere) di indirizzo e coordinamento, riconoscendosi allo stesso natura normativa e sostanza regolamentare, non verrebbe per questo meno la sua illegittimita'. Anzitutto, resterebbe il vizio consistente nella carenza di specifico fondamento legislativo del potere qui esercitato dal Ministro. Inoltre, regolamenti statali in materie di competenza regionale non possono intervenire (art. 17, primo comma, lett. b), della legge n. 400/1988), se non (sentenza n. 49/1991) "con efficacia dispositiva o suppletiva" (mentre - come - risultera' dal successivo esame del contenuto dell'atto impugnato - qui si pretende di dettare una disciplina operativa e si indirizzo che si sovrappone agli interventi regionali). E comunque "deve trattarsi, in ogni caso di regolamenti deliberati dal Consiglio dei Ministri nelle forme e nei limiti stabiliti dall'art. 17 della legge n. 400/1988" (cosi' la stessa sentenza n. 49/1991). Se l'impugnato decreto fosse da qualificarsi come "regolamento", dunque, risulterebbe viziato per inosservanza dei sopradescritti principi. Nel merito, poi, l'atto impugnato detemina un completo stravolgimento dell'ordine costituzionale delle competenze Stato- regioni, ulteriormente (e ragionevolmente) definito dal cit. d.P.R. n. 203/1988 e confermato dagli ulteriori atti gia' menzionati al par. precedente. Tale stravolgimento e' senz'altro illegittimo, atteso che codesta ecc.ma Corte ha gia' chiarito che un regolamento ministeriale "risulta naturalmente sprovvisto della forza necessaria per apportare modificazioni o variazioni al quadro delle competenze regionali gia' delineate da precedenti fonti primarie" (sentenza n. 97/1992), e che "un regolamento ministeriale di esecuzione e di attuazione di una legge statale non puo' porre norme volte a limitare la sfera delle competenze delle regioni in materie loro attribuite" (sentenza n. 461/1992, e sentenze nn. 49, 204, 391 del 1991, ivi citt.). Per comprendere quanto ampio e profondo sia detto stravolgimento, basta rilevare quanto segue: a) il decreto impugnato individua "comuni ed aree sperimentali" che sono tenuti ad applicare le sue disposizioni sin dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (art. 3, primo comma, lett. a)). Cio' contrasta con la salvaguardia del potere di programmazione regionale (sul quale, da ultimo, v. la sentenza n. 135/1992), e con la specifica previsione del d.P.R. n. 203/1988, che, come si e' visto, affida alle regioni "la fissazione, per zone particolarmente inquinate o per specifiche esigenze di tutela ambientale .. di valori limite delle emissioni piu' restrittivi dei valori minimi di emissione definiti nelle linee guida .."; b) Si prevede (art. 1, primo comma, lett. c)) che i comuni possano anche volontariarmente dotarsi di reti di rilevamento dell'inquinamento atmosferico "nell'ambito di un accordo di programma con la provincia competente". Viene percio' meno il potere di "indirizzo e coordinamento" dei "sistemi di controllo e di rilevazione degli inquinanti atmosferici", gia' previsto in favore delle Regioni dall'art. 4 del d.P.R. n. 203/1988, come pure il potere di promuovere intese perche' i comuni si muniscano di reti di monitoraggio della qualita' dell'aria, gia' confermato dall'art. 3 del d.P.R. 10 gennaio 1992; c) si dispone (art. 1, secondo comma) che una zona dichiarata "a rischio" di inquinamento atmosferico possa essere dichiarata fuori dal campo di applicazione del decreto solo se per tre anni consecutivi "non si sono verificati episodi acuti di inquinamento", esercitando cosi' un potere di identificazione diretta e puntuale di limiti temporali, non previsto da alcuna disposizione di rango legislativo; d) si impone alla regione di individuare l'autorita' competente all'adozione dei provvedimenti necessari a seguito di fenomeni di inquinamento atmosferico "nel presidente della giunta regionale o nel sindaco, o in un suo delegato .. fatta salva la facolta', qualora siano individuate come zone particolarmente esposte a rischio di inquinamento vaste aree intercomunali o l'intero territorio provinciale, di individuare l'autorita' competente nella giunta provinciale, che ha facolta' di delegare il presidente o un assessore". Se, come sembra corretto, si ritiene che nella materia sia gia' la legge n. 833/1978 a stabilire l'autorita' competente, identificandola nella autorita' sanitaria, il decreto qui impugnato viola un assetto di competenze gia' fissato dalla legge. Se, invece, si ritiene il contrario, si deve concludere nel senso che il decreto impugnato abbia dettato una normativa di dettaglio sicuramente lesiva del potere regionale di autoorganizzazione dei suoi uffici e servizi, percio' violativa degli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione (cfr. sentenza n. 174/1991); e) si determina analiticamente la composizione dell'"organo tecnico" di cui all'art. 5, primo comma, in violazione, anche qui, degli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione; f) si affida a tale organo tecnico una pluralita' di compiti assai diversificati, che piu' opportunamente potrebbero essere esercitati da una molteplicita' di organi diversi, anche qui in violazione degli artt. 97, 117 e 188 della Costituzione; g) si ledono poi, per molti aspetti, con l'affidamento dei predetti compiti allo stesso organo tecnico le competenze regionali costituzionalmente garantite. In proposito, si deve considerare che l'allegato 2 al decreto impugnato prevede che, oltre ad accertare il raggiungimento degli stati di attenzione e di allarme e a individuare le fonti di inquinamento coinvolte, l'organo tecnico possa formulare "previsioni sulla persistenza del fenomeno", indicare "la tipologia delle possibili misure atte a ridurre l'inquinamento atmosferico", e pianificare "campagne intensive di misura di inquinanti convenzionali e non convenzionali". Viene cosi' pregiudicato l'esercizio del potere regionale di programmazione di cui al gia' cit. art. 4 del d.P.R. n. 203/1988, anche qui violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione; h) si attribuisce (art. 5, terzo comma) alla "autorita' competente" il potere di adottare appositi piani di intervento operativo, oltretutto nell'ambito di criteri fissati in allegato dello stesso atto qui impuganto. Atteso che - come gia' visto - detta "autorita' competente" ben puo' non coincidere con l'autorita' regionale, si viola dunque il potere regionale di pianificare razionalmente non solo la prevenzione dell'inquinamento, ma anche il risanamento del territorio "nel rispetto dei valori limite di qualita' dell'aria", ai sensi del cit. art. 4 del d.P.R. n. 203/1988; i) si determinato - al punto 3 dell'allegato 3 - criteri estremamente analitici per la redazione dei predetti piani di intervento operativo. Per espressa previsione del punto 4 dello stesso allegato 3, detti piani sono diversi dai piani regionali di risanamento e tutela della qualita' dell'aria, di cui al d.P.C.M. 28 marzo 1983 e al d.P.R. n. 203/1988. Anche in questo caso, pertanto, la potesta' regionale di pianificazione in materia viene gravemente compromessa. Ne', a rendere meno viziato l'atto impugnato, varrebbe il richiamo al fatto che lo stesso punto 4 dell'allegato 3 dispone che i piani di intervento operativo debbono assicurare "la coerenza della propria formulazione con i dettati dei piani regionali" (cosi' dispone, del resto, anche l'art. 5, terzo comma). Subito dopo, infatti, si prevede che i piani di intervento operativo possono essere lo strumento per il raggiungimento anticipato di "alcuni limitati obiettivi dei piani regionali", e per l'individuazione dei "punti sui quali i piani regionali eventualmente richiedono integrazioni o modifiche", cio' che rende a dir poco aleatoria l'esigenza di "coerenza" precedentemente affermata. Inoltre, sempre il punto 4 dell'allegato 3 postula una coesistenza fra i piani regionali e quelli di intervento operativo, qualificando arbitrariamente i primi "strumenti di pianificazione a medio-lungo termine", e confinandoli quindi al ruolo di mezzi di "proposizione e attuazione di interventi prevalentemente di carattere strutturale", cio' che non risulta affatto da quanto dispone il d.P.R. n. 203/1988, che percio' anche per tale profilo risulta violato; l) si elencano minutamente - con l'allegato 4 - le misure che i piani di intervento operativo dovranno contenere (ben dieci categorie di misure, e loro volta articolata in numerosissimi - sino a 19Ý - punti). Si prevede altresi' che nell'adozione di tali misure si debbano semplicemente "considerare" i provvedimenti indicati dai "piani regionali di risanamento e tutela della qualita' dell'aria" e dai "piani regionali dei trasporti", e percio' si finisce per ammettere che quanto detti piani prevedono possa essere contraddetto da cio' che, in sede di redazione dei piani operativi, stabilisce un organo tecnico di - prima dimostrata - illegittima costituzione. Oltretutto, il decreto impugnato non fissa alcun criterio di scelta fra le misure elencate, limitandosi (al punto 1 dell'allegato A) a stabilire che le misure atte a contenere il volume del traffico e le emissioni delle sorgenti fisse debbono essere adottate "con gradualita'". Si conferisce pertanto all'organo tecnico un enorme potere discrezionale, che per la sua stessa ampiezza risulta lesivo della autonomia regionale. Anche in questo caso, dunque, vengono disattese le previsioni del d.P.R. n. 203/1988 e violati gli artt. 117 e 118 della Costituzione; m) si menzionano in concreto - sempre nell'allegato 4 - moltissime misure la cui previsione, di per se', determina una invasione della sfera di competenza regionale. Fra le tante si puo' ricordare anzitutto la disciplina analitica di varie forme di controllo delle emissioni inquinanti (allegato 4, punto 8), che viene dettata senza alcuna salvaguardia del gia' menzionato potere regionale di indirizzo e coordinamento "dei sistemi di controllo e di rilevazione degli inquinanti atmosferici" previsto dall'art. 4, primo comma, lett. f), del d.P.R. n. 203/1988. E si puo' ricordare anche la previsione della "riduzione graduale, in rapporto all'intensita' dell'inquinamento, sino al minimo tecnico delle attivita' industriali che emettono almeno uno degli inquinanti di riferimento" (allegato 4, punto 9, n. 3); che non tiene conto del fatto che l'adozione di provvedimenti limitativi delle emissioni di impianti inquinanti e' di sicura competenza regionale, come conferma lo stesso d.P.R. n. 203/1988 (artt. 6 e 15). La previsione delle misure che possano essere dettate dai piani di intervento operativi, formulate dal decreto impugnato, e' peraltro da considerarsi viziata nella sua interezza, in quanto determina una generale lesione delle attribuzioni regionali. Il decreto impugnato ha infatti l'ambizione di essere la sola fonte delle misure anti-inquinamento attinenti al traffico veicolare e pedonale, in attesa della approvazione dei piani urbani del traffico di cui all'art. 36 del nuovo codice della strada (d.P.R. n. 285/1992). Mentre il sesto comma di detto art. 36 dispone che "il piano urbano del traffico veicolare viene adeguato agli obbiettivi generali della programmazione economico-sociale e territoriale fissati dalla regione ai sensi dell'art. 3, quarto comma, della legge 8 giugno 1990, n. 142", nulla di simile si dispone nel decreto impugnato. Si consente dunque all'organo tecnico di adottare piani di immediato intervento operativo del tutto irrispettosi della programmazione (territoriale ed economico-sociale) della regione, in patente violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione; n) si determinano analiticamente e nel dettaglio gli effetti degli stati di attenzione e di allarme (art. 6, secondo, terzo e quarto comma), anche qui pregiudicando l'esercizio del potere regionale di programmazione di cui al gia' cit. art. 4 del d.P.R. n. 203/1988, ed in violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione. 4. - Per negare la radicale illegittimita' dell'atto impugnato non varrebbe invocare le ragioni dell'"emergenza", sottese alla gravita', dello stato attuale dell'inquinamento atmosferico in molte aree del nostro Paese. A parte il fatto che l'emergenza non puo' determinare l'alterazione dell'ordine delle competenze Stato-regioni (sentenza n. 307/1983), si deve infatti rilevare che in specifico riferimento alla regione Lombardia mancavano del tutto i presupposti per l'adozione di un atto cosi' radicalmente lesivo delle competenze costituzionali di questa, come quello qui impugnato. La regione Lombardia, invero, si e' da tempo diligentemente attivata per il raggiungimento degli obiettivi considerati dall'impugnato decreto, e lo ha fatto identificando modalita' di intervento piu' rigorose ed efficaci di quelle previste dal decreto medesimo. Anzitutto, la regione Lombardia ha predisposto quella molteplicita' di servizi tencnici che, come rilevato alla lett. f) del par. precedente, consente di fronteggiare il fenomeno dell'inquinamento con maggiore professionalita' di quella che puo' essere garantita dall'"organo tecnico" unico previsto dal decreto impugnato. Inoltre - e soprattutto - la regione ha previsto che i provvedimenti atti a far fronte alle emergenze da inquinamento atmosferico entrino in vigore con tempestivita' ben maggiore di quanto non preveda il decreto impugnato. Con delibera n. 2709 del 27 novembre 1990, infatti, la regione Lombardia ha approvato una direttiva "per la salvaguardia della qualita' dell'aria" nella quale si prevedono due livelli di allerta per l'inquinamento atmosferico, e si dispone che "i provvedimenti a carattere prescrittivo conseguente al secondo livello devono essere operanti entro le ore 6 del giorno successivo a quello della comunicazione relativa al raggiungimento del livello" (art. 2, sesto comma). Il decreto impugnato prevede invece che i provvedimenti necessari entrino in vigore "alle ore 6 del secondo giorno successivo a quello in cui si e' data .. comunicazione all'autorita' competente". Si tratta, come si vede, di un ritardo che potrebbe avere effetti gravissimi sulla salute e la incolumita' pubblica, aggravato dal fatto che - ai sensi del decreto impugnato - i provvedimenti opportuni debbono semplicemente "entrare in vigore" entro il termine indicato, mentre la direttiva regionale impone che nel diverso termine ivi previsto essi siano "operanti", il che significa che tutte le amministrazioni interessate dal provvedimento dovranno aver gia' concretamente predisposto tutte le strutture e gli accorgimenti organizzativi per l'immediata applicazione dei provedimenti. Il decreto impugnato prevede poi che "lo stato di attenzione e lo stato di allarme vengono disattivati .. qualora le concentrazioni di inquinanti, rilevate durante un ciclo giornaliero, risultino inferiori ai livelli che hanno determinato lo stato di attenzione o di allarme" (art. 6, sesto comma). Ben piu' rigorosamente, la regione Lombardia ha previsto (con delibera di g.r. n. 14605 del 5 novembre 1991, integrativa della direttiva sopradescritta) che i provvedimenti a carattere prescrittivo attivati in conseguenza del secondo livello di inquinamento sono disattivati non prima del secondo giorno successivo al verificarsi delle condizioni di disattivazione. Solo qualora le previsioni meteorologiche per le successive quarantotto ore escludano il rischio del perdurare dello stato critico per l'inquinamento, si prevede che i provvedimenti cessino di avere efficacia dal giorno successivo (v. la delibera di g.r. n. 18265 del 30 gennaio 1992). Cio' nella chiara consapevolezza che le ragioni di ritiro dei provvedimenti non debbono dipendere da condizioni transitorie ed aleatorie, ma da un miglioramento stabile dei tassi di inquinamento. Infine, la stessa tipologia dei provvedimenti adottabili, prevista dalla citata delibera di g.r. n. 18265 del 30 gennaio 1992, appare essere assai piu' rigorosa di quella risultante dal decreto impugnato. 5. - Come risulta da quanto detto al par. precedente, la disciplina gia' da tempo dettata (e di recente ulteriormente perfezionata) dalla regione Lombardia risulta piu' efficace e rigorosa di quella dettata dal decreto impugnato. Cio' ne induce un ulteriore motivo di illegittimita', atteso che l'art. 4, lett. a), del d.P.R. n. 203/1988 consente al Ministro dell'ambiente di adottare i criteri per l'elaborazione dei piani regionali di risanamento e tutela della qualita' dell'aria "tenuto conto delle esperienze regionali gia' acquisite". Tra queste e' certamente e in primo luogo quella della regione Lombardia, che risulta invece completamente trascurata dall'impugnato decreto ministeriale, in violazione di una specifica (e quant'altre mai ragionevole) previsione legislativa. Una previsione che - si badi - non puo' certo ritenersi rispettata per il fatto che l'allegato 4 al decreto, relativo alla "indicazione delle misure da adottare nei piani di intervento operativo", afferma di aver tenuto conto "dell'esperienza acquisita con gli analoghi provvedimenti presi in diverse citta' italiane". Non vi e' alcuna prova, infatti, che l'esperienza della regione Lombardia sia stata effettivamente tenuta in considerazione, ed anzi il minor rigore del decreto impugnato sta a testimoniare - semmai - esattamente il contrario.
P. Q. M. Voglia, in accoglimento del presente ricorso, dichiarare che non spetta allo Stato, e per esso al Ministro dell'ambiente, di dettare per decreto la disciplina dei criteri generali per la prevenzione dell'inquinamento atmosferico nelle grandi zone urbane e disposizioni per il miglioramento della qualita' dell'aria, e per l'effetto annullare l'atto qui impugnato. Milano-Roma, addi' 16 gennaio 1993 Avv. prof. Giuseppe Franco FERRARI - Avv. prof. Giorgio RECCHIA 93C0065