N. 6 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 febbraio 1993

                                 N. 6
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 4 febbraio 1993 (della regione Lombardia)
 Finanza pubblica allargata - Interventi urgenti in materia di finanza
    pubblica  -  Disposizioni  relative  ai  prezzi  contrattuali  dei
    pubblici   appalti  -  Eliminazione  della  revisione  dei  prezzi
    contrattuali e del metodo del "prezzo chiuso" ed  imposizione  del
    criterio   del   prezzo   contrattuale   invariabile  -  Affermata
    applicabilita'  della  normativa  impugnata  anche  agli   appalti
    stipulati  dalle  regioni - Applicazione per le opere di qualunque
    importo delle norme del decreto legislativo 19 dicembre  1991,  n.
    406 e della direttiva del Consiglio CEE n. 90/531 del 17 settembre
    1990  e  successive  norme  di  recepimento  - Asserita invasione,
    mediante una normativa puntuale e di  dettaglio,  della  sfera  di
    competenza   regionale   in   materia   di   "amministrazione  del
    patrimonio", "contabilita' e  contratti"  e  "lavori  pubblici  di
    interesse   regionale",   materia   gia'  disciplinata  con  legge
    regionale 12 settembre 1983, n. 70 - Sottrazione alla legislazione
    regionale degli spazi attinenti  alla  disciplina  in  materia  di
    opere  di  interesse  della  regione  di  qualunque importo, anche
    minimo e quindi anche al di sotto  del  valore  limite  di  cinque
    milioni  di  ECU  (cd. "soglia di rilevanza comunitaria") valevole
    per  le  opere  di  interesse  dello  Stato  -   Irragionevolezza,
    ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra Stato e regione e
    violazione dell'autonomia finanziaria della regione.
 (Legge 23 dicembre 1992, n. 498, artt. 15, quinto comma, 12, terzo
    comma, e 2, primo comma, lett. d)).
 (Cost., artt. 117, 118 e 119).
(GU n.8 del 17-2-1993 )
    Ricorso per illegittimita' costituzionale proposto  dalla  regione
 Lombardia,   in   persona  del  presidente  in  carica  della  giunta
 regionale,  dott.  Fiorella  Ghilardotti,  a  cio'  autorizzato   con
 delibera della giunta regionale che viene deposita assunta in data 26
 gennaio  1993,  rappresentata  e  difesa,  per  mandato  in  calce al
 presente atto, dagli avv.ti Maurizio Steccanella, del foro di Milano,
 e Giovanni C. Sciacca, del foro di Roma, presso il  quale,  in  Roma,
 via  G.B. Vico, n. 29, viene eletto domicilio; contro e nei confronti
 della  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,  in   persona   del
 Presidente  del  Consiglio in carica, sedente in Roma, palazzo Chigi,
 piazza Colonna, e legalmente domiciliata presso l'avvocatura generale
 dello Stato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; per la  declaratoria
 di illegittimita' costituzionale:
      1)  dell'art. 15, quinto comma, della legge 23 dicembre 1992, n.
 498, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  italiana,
 n.  304, del 29 dicembre 1992, recante "Interventi urgenti in materia
 di finanza pubblica";
      2) dell'art. 12, terzo comma, della medesima legge  23  dicembre
 1992, n. 498;
      3)  dell'art.  2, primo comma, lettera d), della legge anzidetta
 (n. 498/1992).
    Le impugnazioni per illegittimita'  costituzionale  dell'art.  15,
 quinto  comma,  e dell'art. 12, terzo comma, della legge portante gli
 "interventi urgenti in materia  di  finanza  pubblica",  23  dicembre
 1992, n. 498 (supra, sub 1) e sub 2)), si fondano su argomentazioni e
 deduzioni   in   parte   analoghe,   laddove,  con  riferimento  alla
 impugnazione dell'art. 2, primo comma, lett. d), trattasi pur  sempre
 -  come per le disposizioni precedentemente menzionate - di deduzione
 della "invasivita'"  delle  competenze  costituzionalmente  riservate
 alle  regioni  e  della conseguente violazione degli artt. 117, 118 e
 119  della  Costituzione,  ma  non  sara'   necessaria   una   estesa
 dimostrazione  degli effetti "invasivi", risultando - questi ultimi -
 palesi ictu oculi e ratione materiae.
    Ne  discende  che  -  nonostante  la  dichiarata   "analogia"   di
 argomentazioni  impugnative - sara' comunque necessaria una analitica
 e distinta ricostruzione dell'oggetto, della portata e degli  effetti
 con  riferimento  alle  prime  due  delle  disposizioni  di legge qui
 impugnate,  con  il  rischio  -  del  quale  questa  difesa  e'   ben
 consapevole e anticipatamente se ne scusa .. - di qualche inevitabile
 ripetizione deduttiva.
                                  I.
                         Art. 15, quinto comma
    L'art.  15  della  legge  23  dicembre  1992,  n.  498, dopo avere
 previsto, nei suoi primi quattro commi: talune misure di contenimento
 di  agevolazioni   creditizie   accordate   con   leggi   previgenti,
 finalizzate  a  favorire  interventi  nel settore del turismo e dello
 spettacolo  (primo   comma);   la   devoluzione   delle   conseguenti
 disponibilita'   finanziarie   alla   concessione  di  mutui  per  il
 completamento  di  impianti  sportivi  (secondo  comma);  le   regole
 procedimentali  (terzo comma) e le entita' massime (quarto comma) dei
 mutui concedibili ai sensi del secondo comma; introduce -  al  quinto
 comma  -  un nuovo, diverso e .. inatteso (l'articolo non reca alcuna
 "rubrica") disposto normativo, che prescinde in  toto  dalla  materia
 del  turismo,  dello  spettacolo, degli impianti sportivi e dei mutui
 concedibili, prescrivendo testualmente:
 "il quarto comma dell'art. 33 della legge 28 febbraio  1986,  n.  41,
 come modificato dall'art. 3, primo comma, del decreto-legge 11 luglio
 1992,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n.
 359, e' abrogato. Sono fatti salvi i contratti per i quali  sia  gia'
 intervenuta  l'approvazione  in data anteriore a quella della entrata
 in vigore della presente legge".
    Per comprendere il significato e la  portata  precettiva  di  tale
 "disposizione   criptica"   (cosi'   autorevolmente   definita  dalla
 dottrina: Marco Fabio Rinforzi, in "Guida normativa - Il Sole 24 Ore"
 del 22 gennaio 1993, in quanto "costituita da una .. catena di rinvii
 legislativi"),  occorre,  dunque,  ripercorrere  -  a  ritroso  -  il
 succedersi delle disposizioni legislative oggetto della abrogazione e
 comunque  ivi  richiamate,  le  quali  concernono  la  materia  della
 revisione dei prezzi contrattuali nei pubblici appalti.
    La revisione dei prezzi contrattuali nei pubblici appalti,  intesa
 come    deroga    all'originario   e   tralatizio   principio   della
 "invariabilita'",  ha  tratto  origine  da   due   elementi   causali
 storicamente  notori:  il succedersi di congiunture inflazionistiche,
 inizialmente cagionate da eventi  storici  (guerre  mondiali)  e  poi
 divenute  "organiche"  ed  inscindibili  dai processi evolutivi delle
 economie e dei mercati, e - sul piano giuridico e normativo  -  dalla
 impossibilita'  di  ignorare  la  "parallela"  previsione,  contenuta
 nell'art. 1664 del codice civile entrato in vigore nel 1942 (primo  e
 secondo   comma)  la  quale,  riducendo  taluni  impliciti  caratteri
 "aleatori"  del  contratto  di  appalto,  fece  apparire   iniquo   e
 "insostenibile"  un  regime  giuridico  del  tutto diverso ed opposto
 nella  esecuzione  dei  contratti di appalto delle opere e dei lavori
 pubblici. Fu cosi', che,  dopo  talune  decretazioni  "di  emergenza"
 risalenti  alla  prima  guerra  mondiale  e  agli anni immediatamente
 successivi (d.l. n. 890/1915; d.l.l. n. 107/1919; r.d. n.  422/1923;
 e  -  in  altra  congiuntura  -  r.d.l.  n.  1896/1937),  fu  con  il
 d.l.C.p.St. 6 dicembre 1947, n. 1501, che  la  revisione  dei  prezzi
 contrattuali  nei  contratti di appalto di opere e di lavori pubblici
 assunse carattere di istituto generalizzato, pure essendo,  comunque,
 configurato  -  all'epoca  -  come oggetto di una mera facolta' delle
 pp.aa. appaltanti.
    Fu la successiva legge 22 febbraio 1963, n. 14 a configurare (art.
 2) la revisione prezzi come autentico "diritto" dell'appaltatore.
    Tuttavia, per contenere l'onere finanziario ricadente sulle pp.aa.
 appaltanti   dalla   generalizzata   applicazione   degli    istituti
 revisionali,  le diverse leggi succedutesi nel tempo hanno dato largo
 spazio   all'istituto   della   "anticipazione"   (anticipo   versato
 all'appaltatore  sul corrispettivo pattuito), prevista, peraltro come
 ipotesi eccezionale e  derogatoria,  gia'  nel  1972,  allorche'  con
 d.P.R.  30  giugno  di quell'anno, n. 627, (art. 12), furono aggiunti
 tre commi (6, 7 ed 8) all'art. 12 del r.d. 18 novembre 1923, n.  2440
 (legge  di  contabilita' dello Stato), notoriamente applicabile, dopo
 la entrata in vigore della legge 9 giugno  1947,  n.  530,  anche  ai
 contratti stipulati dagli enti locali territoriali.
    Le   somme   anticipate  all'appaltatore,  infatti,  assunsero  la
 funzione di ridurre la incidenza del calcolo revisionale,  in  quanto
 idonee  a  porre  il  privato  contraente  al riparo - in parte qua -
 dell'incremento inflattivo dei costi da lui  sopportati,  escludendo,
 per   la  quota  corrispondente,  la  successiva  applicazione  della
 revisione del corrispettivo originariamente pattuito per l'appalto.
    La "anticipazione", inizialmente ammessa come mera facolta'  della
 p.a.,  fu  resa  anch'essa "obbligatoria" (diritto) dall'art. 3 della
 legge  10  dicembre  1981,  n.  741,  recante  "Ulteriori  norme  per
 l'accelerazione   delle  procedure  per  la  esecuzione  delle  opere
 pubbliche": alla corresponsione di essa, le pp.aa. apparvero, a  quel
 punto,  tenute  entro un termine fissato dalla legge stessa (sei mesi
 dalla presentazione della offerta: primo  comma),  e,  solo  dopo  il
 decorso  di  tale termine, fu concessa all'appaltatore la facolta' di
 rinunziarvi (secondo comma) facendo si'  che  l'intero  corrispettivo
 contrattuale  restasse suscettibile di successiva "revisione", ove ne
 ricorressero - beninteso - i presupposti.
    La successiva legge 28 febbraio 1986, n. 41, recante "Disposizioni
 per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
 (legge  finanziaria  1986)"  dispose  -  all'art. 33 suddiviso in sei
 commi - nei termini seguenti:
      con il primo comma, fu abrogato il  secondo  comma  dell'art.  3
 della  legge  10  dicembre  1981,  n. 741, per cui la "anticipazione"
 divenne   irrinunciabile   e   tassativa    (presumibilmente    nella
 considerazione che le pp.aa. non ricavassero, dall'omessa erogazione,
 vantaggi   finanziari   sufficientemente   compensativi  rispetto  al
 successivo  onere  di  sottoporre  a   revisione   l'intero   importo
 contrattuale);
      con  il secondo comma, fu esclusa qualunque revisione dei prezzi
 per i lavori relativi ad opere  pubbliche  appaltate  o  concesse  da
 tutte  le  pp.aa.  statali  e  locali, compresi gli enti pubblici, in
 presenza di contratti di durata "inferiore all'anno";
      con il terzo comma, furono regolamentate le condizioni, i limiti
 e  le  modalita'  di  calcolo della revisione che restava applicabile
 unicamente nei rapporti contrattuali di durata superiore all'anno;
      con  il  quarto  comma,  il  legislatore  del  1986  introdusse,
 nell'ordinamento  italiano,  un  istituto  del  tutto  nuovo: il c.d.
 "prezzo chiuso", vale a dire la facolta' della  p.a.  committente  di
 stabilire   l'incremento   "automatico"   del   5%   del   prezzo  di
 aggiudicazione, al netto del ribasso d'asta, per ogni anno intero  di
 effettuazione  dei  lavori  e  per  il  valore delle opere rimaste da
 eseguire, omettendo qualunque successiva applicazione di qualsivoglia
 calcolo revisionale;
      con  il  quinto  comma,  l'intera   regolamentazione   contenuta
 nell'articolo  (irrinunciabilita',  revisione unicamente ultrannuale,
 prezzo chiuso) fu estesa agli appalti  di  fornitura  di  beni  e  di
 servizi  (per  l'innanzi,  la  revisione  dei  prezzi  in  materia di
 forniture era controversa, e l'anticipazione era, in tali ambiti, del
 tutto ignota ..);
      con  il  sesto  comma,  infine,   furono   abrogate   tutte   le
 disposizioni in contrasto.
    Il   "prezzo   chiuso"  costitui',  evidentemente,  una  soluzione
 contrattuale  alternativa  rispetto  alla  revisione  prezzi   (ormai
 inevitabile, perche' configurata come "diritto" dalla legge n. 14 del
 1963),  ed esso apparve al legislatore potenzialmente preferibile per
 le pp.aa. (la legge n. 41 - legge finanziaria - ispiravasi a  criteri
 di   contenimento   della  spesa  pubblicaÝ)  allorche'  la  dinamica
 inflazionistica fosse risultata accentuata e conseguentemente foriera
 di effetti revisionali altamente onerosi.
    In tale quadro normativo, si e' dapprima inserito il decreto-legge
 11 luglio 1992, n. 333, portante "misure urgenti per  il  risanamento
 della    finanza    pubblica",    successivamente   convertito,   con
 modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n.  359,  il  cui  art.  3,
 primo  comma, ha modificato il secondo comma dell'art. 33 della legge
 n. 41/1986, eliminando l'inciso "aventi durata  inferiore  all'anno",
 ha  abrogato il terzo comma del medesimo art. 33 ed ha soppresso, nel
 quarto  comma  di  esso,  la  parola  "altresi'"  (che  era  riferita
 all'adozione  del  "prezzo  chiuso"),  con  il  che  - sia pure nella
 medesima forma  ..  criptica  segnalata  dall'autore  precedentemente
 citato - e' venuta meno ogni e qualsiasi possibilita' di applicare la
 revisione  dei  prezzi  contrattuali,  quale  che  sia  la durata del
 contratto di  appalto  o  di  concessione,  ed  e'  rimasta  la  sola
 possibilita' di ricorrere al metodo del "prezzo chiuso".
    Con  l'attuale  quinto comma, dell'art. 15 della legge 23 dicembre
 1992, n. 498, viene abrogato, infine, anche il quarto comma dell'art.
 33 della legge n. 41/1986, per cui rimane esclusa anche  la  facolta'
 di  ricorrere  al  "prezzo  chiuso" e, non essendo stata ripristinata
 alcuna possibilita' di revisione dei prezzi,  questi  ultimi  restano
 fissi  ed  immutabili  per  tutta  la durata del contratto, quale che
 quest'ultima sia e quali che siano le vicende economiche e  monetarie
 che possano, nel frattempo, intervenire.
    Non   risultando   intaccati,   in  nessuna  di  queste  "novelle"
 intervenute sul testo dell'art. 33 della legge  n.  41/1986,  ne'  la
 prima  parte  del secondo comma, ne' il quinto e sesto comma, risulta
 evidente che il "nuovo regime" risultante  dalla  applicazione  della
 legge  n.  498/1992  e'  inteso  dal  legislatore  come  direttamente
 operante anche con riferimento ai contratti delle regioni, degli enti
 da esse dipendenti  (come,  ad  esempio,  le  U.S.S.L.,  specie  dopo
 l'entrata  in  vigore dell'art. 3 del recentissimo d.P.R. 30 dicembre
 1992, n. 502) e degli enti locali, ivi compresi -  in  questa  ultima
 ipotesi  - i contratti che hanno ad oggetto la realizzazione di opere
 e lavori pubblici "di interesse regionale" (nozione, quest'ultima, di
 palese notorieta', risultante dal combinato disposto degli artt.  87,
 88,  89,  90  e  91  del  d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e altrettanto
 notoriamente non  coincidente  ed  assai  piu'  ampia  rispetto  alla
 categoria  delle  opere  e  dei  lavori pubblici di mera "competenza"
 della regione), come  tali  autonomamente  disciplinati  da  ciascuna
 regione,  nell'ambito  delle  materie:  "lavori pubblici di interesse
 regionale",  "amministrazione  del  patrimonio"  e  "contabilita'   e
 contratti".
    La ricorrente regione Lombardia, ad esempio, ha dato, delle "opere
 pubbliche  di interesse regionale", definizione legislativa, all'art.
 1 della propria legge regionale 12 settembre 1983, n. 70,  recante  -
 appunto  -  "Norme  sulla  realizzazione  delle  oo.pp.  di interesse
 regionale", non "eccepita", ne' "rinviata", ne' impugnata dal governo
 della Repubblica.  Il  detto  art.  1  della  legge  regionale  cosi'
 testualmente   recita:  "Le  disposizioni  della  presente  legge  si
 applicano alle opere e ai lavori  pubblici  di  interesse  regionale,
 intendendosi  per  tali,  ai  sensi dell'art. 117, primo comma, della
 Costituzione e dell'art. 87 del d.P.R. 24 luglio  1977,  n.  616,  le
 opere  ed  i  lavori  pubblici di qualsiasi natura, anche di edilizia
 residenziale, che si eseguono nel territorio della regione  Lombardia
 e  che  non  siano di competenza dello Stato a norma dell'art. 88 del
 suddetto decreto".
    Tutto cio' premesso, e considerato che le materie "amministrazione
 del patrimonio", "contabilita' e contratti"  e  "lavori  pubblici  di
 interesse   regionale"  appartengono  alla  indiscussa  ed  esclusiva
 competenza legislativa di ciascuna regione, a mente degli artt.  117,
 118  e  119 della Costituzione, e' palese che le peredette materie si
 troverebbero, per effetto della norma contenuta nella  legge  statale
 che  costituisce  oggetto  del  presente  ricorso, assoggettate ad un
 intervento  prescrizionale  di   carattere   specifico   e   puntuale
 (determinazione    del   corrispettivo   contrattuale)   vistosamente
 "invasivo" da parte del legislatore statale, per  effetto  del  quale
 ogni e qualsiasi contratto di appalto o di affidamento in concessione
 di  lavori ed opere pubbliche, ovvero di appalto di fornitura di beni
 e di servizi, concluso dalla regione, da  enti  da  essa  dipendenti,
 dalle  UU.SS.LL.,  ovvero  dagli  enti  locali  allorche' trattisi di
 esecuzione di lavori  ed  opere  pubbliche  di  interesse  regionale,
 dovrebbe essere stipulato a prezzo "invariabile".
    Viene  in  tal  modo  preclusa  la  scelta  della  amministrazione
 committente, di ricorrere - ad esempio - al favorevole  criterio  del
 "prezzo chiuso", quale sicuro "preventivo antidoto" contro successive
 richieste  di  applicazione  analogica  (a  questo punto inevitabile,
 anche sotto il profilo della legittimita' costituzionale  ex  art.  3
 della  Costituzione)  del  ben  piu'  oneroso  e  aleatorio  disposto
 dell'art. 1664, primo e secondo comma, del codice civile,  oltre  che
 quale "antidoto" alla lievitazione delle offerte nelle pubbliche gare
 di  appalto  (effetto  oggettivamente preventivabile con carattere di
 certezza) e alla generalizzazione delle "offerte in  aumento",  delle
 "riserve",  delle  richieste  di "nuovi prezzi" in corso d'opera, del
 contenzioso, delle possibili risoluzioni dei contratti per  eccessiva
 onerosita',  o  per insolvenza degli appaltatori (oltre che ad una ..
 patologica proliferazione  di  richieste  di  subappalto,  in  chiave
 compensativa).
    E'  palese che non occorre affatto dimostrare che la norma statale
 impugnata  per  illegittima  "invasivita'"   dal   punto   di   vista
 costituzionale,  sia  anche  "svantaggiosa", nei suoi contenuti e nei
 suoi effetti, per la regione ricorrente, volta che  violazione  degli
 artt.   117   e   seguenti  della  Costituzione  e  "invasivita'"  si
 verificherebbero e sarebbero fondatamente deducibili dinanzi la Corte
 ecc.ma indipendentemente dal "merito" delle disposizioni  invasive  e
 quand'anche  - in ipotesi - la norma contenuta nella legge statale si
 proponga obiettivi ritenuti "vantaggiosi" per le regioni.  Ma,  sotto
 l'ulteriore  profilo  della  irragionevolezza,  non guasta rilevare -
 nella  fattispecie  -  che  l'apparente   ratio   "calmieratrice"   e
 "rigorista"  del  quinto  comma  dell'art. 15 della legge 23 dicembre
 1992, n. 498, offre spazio, all'opposto, a prevedibili  generalizzati
 fenomeni  di  lievitazione  di  tutti  i prezzi di aggiudicazione dei
 pubblici appalti (non si dimentichi che le offerte  in  aumento  sono
 ammesse   da   leggi  tuttora  vigenti),  oltre  che  all'inevitabile
 applicazione giurisprudenziale dell'art. 1664 del  codice  civile  ai
 contratti  di  evidenza  pubblica,  e  alle  altre  conseguenze sopra
 ipotizzate, con immaginabile effetto letteralmente opposto rispetto a
 quanto il legislatore statale sembra essersi prefissato.
    In ogni caso, e per  mantenersi  esclusivamente  sul  piano  della
 illegittima   "invasione"  -  operata  dal  legislatore  statale  con
 disposizione normativa puntuale e di dettaglio - della  indiscutibile
 competenza legislativa regionale, bastera' ricordare quanto segue.
    Con  sentenza  30  ottobre-5 novembre 1984, n. 245, codesta ecc.ma
 Corte costituzionale, si  pronuncio'  su  ricorsi  di  illegittimita'
 costituzionale,  proposti  da  varie  regioni avverso l'art. 31 della
 legge 27 dicembre 1983, n. 730 ("legge  finanziaria  1984"),  con  il
 quale  il  legislatore  statale  aveva inteso avocare alla competenza
 dello Stato la redazione di capitolati generali per  i  contratti  di
 appalto di forniture di beni e servizi alle U.S.L.
    La  Corte,  dopo aver riconosciuto che la materia della disciplina
 contrattuale, rientra de plano nell'ambito della "amministrazione del
 patrimonio" e in quella della "contabilita'", come  tale  oggetto  di
 "competenza propria" delle regioni, e riferendo che neppure la difesa
 della   intervenuta   Presidenza   del  Consiglio  aveva,  in  quella
 occasione, contraddetto cio', ebbe a negare che potessero ravvisarsi,
 in norme di legge statale che incidano direttamente,  puntualmente  e
 al dettaglio (nel nostro caso, si tratta di determinazione del prezzo
 corrispettivo)  sulla  attivita'  contrattuale  di enti diversi dallo
 Stato, "interessi che per natura e dimensione attengano  alla  intera
 collettivita'    nazionale   e   restino   necessariamente   affidati
 all'apprezzamento degli organi centrali .., cosi' da giustificare  il
 "trasferimento"  delle  funzioni  in  esame dalle regioni allo Stato"
 (precisamente di questo si tratta anche nel caso  ora  sottoposto  al
 giudizio della ecc.ma CorteÝ).
    Alla  sussistenza  di quei soli interessi, infatti, codesta ecc.ma
 Corte aveva -  gia'  in  precedenza:  sentenza  n.  150  del  1982  -
 condizionato  la  legittimita'  di  interventi legislativi statali di
 "riappropriazione" di funzioni, quale vistosamente  e  innegabilmente
 e'  quelo  di  cui  si  tratta  in  questa sede, allorche' si dispone
 tassativamente che nessuna scelta compete piu'  alle  amministrazioni
 regionali  e  al  legislatore  regionale  nel campo delle opere e dei
 lavori pubblici di  interesse  regionale  ("sono  abrogate  tutte  le
 disposizioni  in  contrasto  ..", in base al sesto comma dell'art. 33
 della legge n. 41/1986, mantenuto in vigore), sullo  specifico  punto
 della  determinazione  dei  criteri  di calcolo e di liquidazione dei
 corrispettivi degli appalti e delle concessioni, tanto in materia  di
 lavori, che in materia di forniture di beni e di servizi.
    La inesistenza di "interessi che per natura e dimensione attengano
 alla  intera  collettivita'  nazionale"  non  puo' essere minimamente
 posta  in  dubbio  da   una   generica   e   inespressa   propensione
 "calmieratrice"  (che di fatto non trova coerente soddisfacimento, ma
 cio' appartiene al merito della  scelta  del  legislatore  statale  e
 attiene - semmai - alla "irragionevolezza" di detta scelta ..), posto
 che  la  disposizione  qui  impugnata non ha neppure portata limitata
 agli appalti affidati con  impiego  di  risorse  finanziarie  erogate
 dallo  Stato, laddove della amministrazione del "proprio" patrimonio,
 delle "proprie" risorse e della "propria"  contabilita',  le  regioni
 non   possono   vedersi   espropriate   con   norme   di   dettaglio,
 specificamente attinenti ad un  momento  particolare  della  gestione
 della fase di esecuzione dei contratti (calcolo del corrispettivo).
    La  riprova  che  il  legislatore  statale  non ha - in precedenti
 occasioni - ritenuto di elevare  a  "principi"  (?)  le  disposizioni
 modali  ed attuative della potesta' contrattuale dei diversi soggetti
 istituzionali del sistema autonomistico, e che esso non  giudica  che
 in  discipline  dotate di questo grado di specificita' risieda alcuna
 esigenza  di  tutela  di  interessi  generali  propri  della  "intera
 collettivita'   nazionale",   risultera'   di   particolare  evidenza
 allorche' verra' posta in trattazione la seconda parte  del  presente
 ricorso  (avverso il terzo comma dell'art. 12 della medesima legge n.
 498/1992), ma sembra opportuno farne un duplice  cenno  anticipatorio
 anche qui.
    1.  -  Il  recentissimo  d.P.R.  30 dicembre 1992, n. 502, recante
 "Riordino della disciplina in materia sanitaria", dispone (agli artt.
 3, 4 e 5) che le unita' sanitarie locali - esplicitamente configurate
 come enti strumentali delle regioni - abbiano una propria  "autonomia
 patrimoniale,  contabile, gestionale ..", ed altrettanto esso dispone
 per le istituende aziende  ospedaliere  (anch'esse  enti  strumentali
 delle regioni), demandando - per le une e per le altre - alle regioni
 di  emanare proprie leggi di contabilita' e sulla gestione degli enti
 predetti.
    2. - Il d.P.R. 19 dicembre 1991, n. 406, recante "Attuazione della
 direttiva 89/440/CEE in materia di procedura di aggiudicazione  degli
 appalti  di lavori pubblici" - che per essere norma di recepimento di
 direttiva comunitaria, attinge di  certo  al  piu'  alto  livello  di
 "generalita'"  degli interessi oggetto di tutela normativa - dispone,
 proprio in materia di contratti di evidenza pubblica, che le  regioni
 (art.  1,  quarto  comma)  emanino,  nelle materie di loro competenza
 (vale a dire con palese riferimento alle opere e lavori  pubblici  di
 interesse  regionale)  proprie leggi, specificando - peraltro - che i
 "principi"  ai  quali  dette  leggi  regionali  dovranno  uniformarsi
 concernono  soltanto:  la   pubblicita'   degli   appalti   e   delle
 concessioni,  il  contenuto dei bandi, i requisiti per concorrere, il
 divieto di prescrizioni  tecniche  discriminatorie,  l'ammissibilita'
 delle  associazioni  di  imprese, le procedure di aggiudicazione e le
 comunicazioni degli esiti di gara,  laddove  non  si  fa  cenno  alle
 modalita' di determinazione del corrispettivo.
    E  se si demandano alle regioni le anzidette potesta' legislative,
 circoscrivendo,  peraltro,  l'ambito  della  normativa  statale   "di
 principio"   nei  ricordati  tassativi  limiti,  non  vi  e'  di  che
 attardarsi in ulteriori argomentazioni per dimostrare -  viceversa  -
 l'illegittima invasivita' previsionale del qui impugnato quinto comma
 dell'art.  15  della  legge  23  dicembre  1992, n. 498, del quale si
 chiede  la  declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale   per
 violazione degli artt. 117, 118 e 199 della Costituzione.
                                  II.
                         Art. 12, terzo comma
    Con  riferimento  alla  "realizzazione  delle  opere necessarie al
 corretto  svolgimento  del  (pubblico)  servizio   nonche'   per   la
 realizzazione di infrastrutture ed altre opere di interesse pubblico,
 che  non  rientrino .. nelle competenze istituzionali di altri enti",
 oggetto di previsione - ad altri fini -  al  primo  comma,  il  terzo
 comma  dell'art.  12  della legge 23 dicembre 1992, n. 498, prescrive
 che "Per la realizzazione delle opere di qualunque importo di cui  al
 primo comma si applicano le norme del decreto legislativo 19 dicembre
 1991,  n.  406, e della direttiva n. 90/531/CEE del consiglio, del 17
 settembre 1990, e successive norme di recepimento".
    La disposizione comporta, pertanto:
      I) che, in aperto contrasto con quanto previsto al quarto  comma
 dell'art.  1  del  d.P.R.  19  dicembre 1991, n. 406 (esaminato poche
 righe sopra, con riferimento alla impugnazione dell'art.  15,  quinto
 comma),  nel  regime  degli  appalti di opere pubbliche che rientrano
 sicuramente nella - gia' ricordata - categoria delle "opere e  lavori
 pubblici  di interesse regionale" (anche se demandate alla esecuzione
 di province e comuni), non vi sara' alcuno  spazio  per  le  emanande
 leggi  regionali,  dovendosi,  invece, fare applicazione pedissequa e
 integrale dello stesso d.P.R. n. 406/1991;
      II)  che,  sempre  in  contrasto  con  il  citato  quarto  comma
 dell'art.  1  del  d.P.R.  n. 406, tutte le disposizioni contenute in
 quest'ultimo  dovranno  trovare  integrale,  puntuale   e   tassativa
 applicazione,  con  riferimento  a  quelle  opere  e a quei lavori di
 interesse regionale, laddove  la  ipotizzata  legislazione  regionale
 avrebbe dovuto unicamente rispettare taluni "principi", individuati -
 come  gia'  detto  - unicamente nella pubblicita' dei bandi, nel loro
 contenuto, nei requisiti soggettivi di partecipazione alle gare,  nel
 divieto   di   norme   tecniche   discrinimatorie   preferenziali  od
 escludenti, nella ammissione delle imprese raggruppate, nelle  proce-
 dure di aggiudicazione, nella comunicazione degli esiti di gara;
      III)  che,  addirittura,  la  normativa  di cui al d.P.R. n. 406
 dovra' trovare integrale applicazione per la realizzazione  di  opere
 di  qualunque importo e quindi anche al di sotto del valore-limite di
 5 milioni di ECU (c.d. "soglia di rilevanza comunitaria"), cosi'  che
 gli appalti per la esecuzione di opere e lavori pubblici di interesse
 regionale  vengono  interamente "comunitarizzati", anche se si tratti
 di  appalti  e concessioni del tutto identici a quelli che, avendo ad
 oggetto materie di competenza dello  Stato  ed  essendo  affidati  da
 organi  dello  Stato,  restano  invece - per effetto del loro modesto
 valore - soggetti soltanto alla piu' agile e meno  onerosa  normativa
 interna nazionaleÝ
    Basta  riflettere  sugli altissimi costi di pubblicita' in "regime
 europeo" (che vengono in tal modo "imposti"  alle  regioni  anche  in
 occasione  di  modeste  e  modestissime  commesseÝÝÝ) e all'oneroso e
 complesso procedimento preselettivo e selettivo che il  "regime  CEE"
 prescrive, per avvertire che la disposizione qui impugnata, oltre che
 contraddittoria  con  il  quarto  comma  dell'art.  1  del  d.P.R. n.
 406/1991 ed oltre  che  assurdamente  discriminatoria  fra  pubbliche
 amministrazioni   (rispettivamente   statali  e  regionali-locali  in
 materie di interesse regionale), risulta oggettivamente impositiva di
 oneri finanziari  specificamente  gravanti  sugli  enti  regionali  e
 locali  (la  maggior  parte degli appalti locali sara' al di sotto di
 quella soglia di valoreÝ);
      IV) che - addirittura - la direttiva CEE c.d. "settori  esclusi"
 (appalti  nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e delle
 telecomunicazioni), vale a dire la direttiva  n.  90/531/CEE  del  17
 settembre  1990,  sebbene  non  ancora legislativamente "recepita", e
 conseguentemente non applicata dagli organi dello Stato e dagli  enti
 pubblici   operanti   nelle  materie  di  competenza  statale,  deve,
 viceversa,  trovare  immediata   (   .."anticipata")   ed   integrale
 applicazione  (anche  qui,  senza  alcuno  spazio per la legislazione
 regionale) nella esecuzione di opere e lavori pubblici  di  interesse
 regionale,  seppur di competenza, quanto alla esecuzione, di province
 e comuni.
    Siffatta irragionevole e  altamente  "invasiva"  anticipazione  di
 vigenza  della  direttiva CEE traspare, del resto, dalla proposizione
 finale del terzo comma qui impugnato che allude  a  "successive"  (Ý)
 norme di recepimento ..
    Occorrerebbe,  a  questo punto, ripetere quanto gia' argomentato a
 proposito del quinto comma dell'art. 15 della legge n. 498/1992, pure
 impugnato in questa sede. Cio' questa difesa non fara', limitandosi a
 richiamare, anche su  questo  punto,  le  gia'  svolte  deduzioni  di
 invasivita',     di     ingiustificata     "riappropriazione",     di
 irragionevolezza  e  di  totale  assenza  delle  condizioni  per   la
 configurazione di precetti "di principio" a salvaguardia di interessi
 generali.
    Sotto questo ultimo profilo, basti denunciare quanto segue:
       A)  non  puo'  certamente  costituire  "principio" cio' che non
 viene prescritto per le amministrazioni statali  (applicazione  della
 normativa comunitaria al di sotto della soglia di valore di 5.000.000
 di ECU);
       B)  non  puo',  ugualmente,  costituire "principio" cio' che il
 legislatore statale non ha ancora prescritto agli organi dello Stato,
 vale  a  dire  l'attuazione  della  direttiva  "settori  esclusi"  n.
 90/531/CEE;
      C) in estrema ipotesi, anche in detta direttiva CEE non potranno
 non  esservi  taluni  "principi"  ai  quali  la emananda legislazione
 regionale dovra' attenersi, ma non  tutte  le  disposizioni  di  essa
 avranno  uguale  "rango"  (principi),  se  e' vero, come e' vero, che
 anche in sede di recepimento della direttiva n. 89/440/CEE in materia
 di  appalti  di  lavori  pubblici,  la  legge  nazionale  ha limitato
 l'ambito dei  "principi"  ai  sensi  del  gia'  citato  quarto  comma
 dell'art. 1 del d.P.R. n. 406/1991.
    Pertanto,  ai  profili comuni di "invasivita'" si aggiungono, qui,
 ulteriori  deduzioni  di  illegittimita'  sotto  specie  di  assoluta
 irragionevolezza  e  di vistosa disparita' fra discipline applicabili
 da parte degli  organi  statali  e  discipline  imposte  agli  organi
 regionali (e locali, in materie di interesse regionale, come tali de-
 mandate alla competenza legislativa delle regioni).
    Appaiono  sicuramente  violati  gli  artt.  117,  118  e 119 della
 Costituzione  e  si  chiede   la   declaratoria   di   illegittimita'
 costituzionale  del  terzo comma dell'art. 12 della legge 23 dicembre
 1992, n. 498.
                                 III.
                     Art. 2, primo comma, lett. d)
    Esposte le finalita' della previsione, il primo comma dell'art.  2
 della  legge  n.  498/1992,  conferisce  al  Governo della Repubblica
 delega ad emanare uno o piu' decreti legislativi, intesi, fra l'altro
 - lett. d) - a "disciplinare i  vincoli  e  gli  oneri  ai  quali  e'
 sottoposta    l'attivita'    di    cava    in    sede   di   rilascio
 dell'autorizzazione   all'esercizio   dell'attivita',    commisurando
 l'onere  ..  e  fissando  altresi'  modalita'  e  condizioni  per  la
 conservazione e la manutenzione degli alvei fluviali e  delle  difese
 spondali ..".
    Vengono,  conseguentemente,  attribuite  al  Governo,  in  sede di
 legislazione delegata, potesta' legislative puntuali e  di  dettaglio
 (vincoli,  oneri, canoni, modalita' e condizioni), in materie - "cave
 e  torbiere",  e  acque  interne  (la  prima  delle   quali   risulta
 espressamente  enunciata  nell'art.  117  della  Costituzione,  e  la
 seconda delle quali risulta definita  dal  combinato  disposto  degli
 artt.  90  e  91 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616) - di indiscussa e
 sicura competenza delle regioni.
    Non occorre neppure soffermarsi  a  constatare  che  la  palese  e
 dichiarata  "invasivita'",  per  "riappropriazione",  non e' di certo
 ovviata - come codesta Corte  ha  pur  rilevato  in  talune  analoghe
 occasioni  -  dalla  mera previsione di una consultazione ("sentita")
 della conferenza permanente Stato-regioni sul testo dei d.P.R.
    Nemmeno in questo caso, peraltro, potranno invocarsi interessi che
 per  "natura  e  dimensioni"  attengano  alla  "intera  collettivita'
 nazionale",  cosi'  da giustificare l'emanazione di norme statali "di
 principio", posto che specifici "vincoli", specifici "oneri", singole
 "modalita'"   e   concrete   "condizioni"   rappresentano   contenuti
 previsionali  "puntuali", di dettaglio, esecutive e modali, del tutto
 esulanti da qualsivoglia accezione di "principio", tanto piu' che  la
 delega  legislativa al Governo non appare intesa a "dettare criteri",
 ma addirittura a "disciplinare" tutto cio'.
   La violazione dell'art. 117 della Costituzione non potrebbe essere,
 nemmeno in questo caso, piu' evidente.
   Per  tutti  questi  motivi,  la  regione  Lombardia,   come   sopra
 impersonata,  rappresentata e difesa, chiede che codesta ecc.ma Corte
 costituzionale,  in  accoglimento  del   presente   ricorso,   voglia
 dichiarare costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt.
 117,  118  e  119  della Costituzione della Repubblica, oltre che per
 palese   irragionevolezza   (anche    sotto    il    profilo    della
 contraddittorieta'  legislativa  e  della irragionevole diversita' di
 disciplina fra organi dello Stato e  organi  regionali  e  locali  in
 materia di competenza ovvero di interesse regionale): il quinto comma
 dell'art.  15;  il  terzo comma dell'art. 12; e il primo comma, lett.
 d), dell'art. 2, tutti della legge 23 dicembre 1992, n. 498,  recante
 "Interventi urgenti in materia di finanza pubblica", pubblicata sulla
 Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica italiana n. 304 del 29 dicembre
 1992, con ogni conseguente statuizione.
    Col  presente  ricorso,  si  depositano:  copia  autentica   della
 delibera  della giunta regionale di proposizione del ricorso, nonche'
 copia della legge oggetto della  impugnazione,  benche'  trattisi  di
 atto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
      Milano-Roma, addi' 27 gennaio 1993
         Avv. Maurizio STECCANELLA - Avv. Giovanni C. SCIACCA

 93C0104