N. 9 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 8 febbraio 1993

                                 N. 9
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria l'8 febbraio 1993 (della provincia autonoma di Trento)
 Finanza pubblica allargata - Interventi urgenti in materia di finanza
    pubblica - Riduzione per le  province  autonome  di  Trento  e  di
    Bolzano,   per  l'anno  1993,  del  42  per  cento  delle  risorse
    provenienti dal Fondo sanitario nazionale o dall'attribuzione  dei
    contributi  sanitari  -  Conferma  per gli anni successivi al 1993
    delle aliquote di riduzione di cui all'art. 4,  undicesimo  comma,
    della  legge  30 dicembre 1991, n. 412 - Asserita violazione della
    sfera di autonomia  finanziaria  della  provincia  di  Trento  non
    giustificabile  (come  viceversa  e'  stato  ritenuto per analoghe
    riduzioni operate con la suddetta  legge  n.  412/1991,  parimenti
    impugnata,  dalla  Corte  costituzionale con sentenza n. 356/1992,
    sul presupposto del carattere provvisorio delle  riduzioni  stesse
    in  attesa  dell'emanazione della legge di "riforma sanitaria") in
    quanto con il decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.  502,  e'
    stata  disciplinata la "riforma sanitaria" stessa - Ingiustificata
    disparita' di trattamento delle province  autonome  rispetto  alle
    regioni   di  diritto  comune,  nonche'  alle  regioni  a  statuto
    speciale, per le quali la riduzione opera in  misura  inferiore  -
    Violazione  del  principio  di copertura finanziaria per l'accollo
    alla provincia autonoma  dell'onere  finanziario  derivante  dalla
    riduzione dei fondi e contributi - Riferimento alle sentenze della
    Corte costituzionale nn. 381/1990, 356, 392, 427 e 462 del 1992.
 (Legge 23 dicembre 1992, n. 498, art. 8, primo comma).
 (Cost., artt. 3, 5 e 81; statuto Trentino-Alto Adige, titolo sesto).
(GU n.8 del 17-2-1993 )
    Ricorso  della  Provincia  Autonoma  di  Trento,  in  persona  del
 presidente della giunta provinciale  Gianni  Bazzanella,  autorizzato
 con  deliberazione  della  giunta provinciale n.   410 del 25 gennaio
 1993, rappresentato e difeso dagli avvocati  prof.  Valerio  Onida  e
 Gualtiero  Rueca, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in
 Roma, largo della Gancia, 1, come da mandato speciale  a  rogito  del
 notaio  dott.    Pierluigi Mott di Trento in data 26 gennaio 1993, n.
 58436 di rep., contro il Presidente del Consiglio dei  Ministri  pro-
 tempore,   per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 8, primo comma, della legge 23 dicembre 1992, n. 498.
    L'art. 8, primo comma, della  legge  23  dicembre  1992,  n.  498,
 concernente  "Interventi  urgenti  in  materia  di finanza pubblica",
 dispone che "per le regioni a statuto  speciale  e  per  le  province
 autonome  di  Trento  e  Bolzano,  le  risorse  provenienti dal fondo
 sanitario nazionale o dalla attribuzione dei contributi  sanitari  in
 attuazione  dell'art.  1,  primo  comma,  lettera  i,  della legge 23
 ottobre 1992, n. 421, sono ridotte, per l'anno 1993, .. .. del 42 per
 cento  ..  .. per le province autonome di Trento e Bolzano .. ... per
 gli anni successivi restano confermate le aliquote  di  riduzione  di
 cui  all'art.  4,  undicesimo comma, della legge 30 dicembre 1991, n.
 412".
    Non e' la prima volta, come e' noto, che la provincia autonoma  di
 Trento,  al  pari  di  altre  regioni  a  statuto speciale e province
 autonome, ma in misura piu' consistente, vede ridursi, ad  opera  del
 legislatore statale, la quota annualmente ad esso spettante del fondo
 sanitario  nazionale;  e  cio'  nonostante che l'art. 5, primo comma,
 della legge 30  novembre  1989,  n.  386,  contenente  norme  per  il
 coordinamento  della  finanza  della  regione  Trentino-Alto Adige, e
 delle province autonome con  la  riforma  tributaria,  esplicitamente
 preveda  che  la  provincia  partecipa  alla  ripartizione  dei fondi
 nazionali "istituiti per garantire livelli minimi di  prestazioni  in
 modo  uniforme  su tutto il territorio nazionale, secondo i criteri e
 le modalita' per gli stessi previsti".
    Una prima riduzione,  nella  misura  del  20%,  venne  disposta  a
 partire  dal  1990  dall'art.  19, primo comma, del d.l. 28 dicembre
 1989, n. 415, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge  28
 febbraio   1990,  n.  38.  Questa  Corte,  investita  della  relativa
 questione di legittimita' costituzionale, la  dichiaro'  non  fondata
 con  la  sentenza  n.  381/1990,  rilevando che trattavasi di "misure
 provvisorie, volte ad allineare le entrate prese in considerazione su
 un livello minimo calcolato in base a parametri di omogeneita'  delle
 rispettive   prestazioni   in   riferimento   all'intero   territorio
 nazionale", e che facevano salvi i "futuri aggiustamenti" nell'ambito
 di "una  riconsiderazione  globale  della  materia,  basata  su  piu'
 approfondite  analisi  del rapporto tra i flussi finanziari esistenti
 fra lo Stato e le regioni (e le  province  autonome)  e  le  funzioni
 esercitate  da  queste  ultime";  e  che,  pur  rientrando  il  fondo
 sanitario fra quelli la partecipazione ai  quali  e'  garantita  alle
 province  autonome dall'art. 5, primo comma, della legge n. 386/1989,
 questo non impedisce "che il  legislatore  proceda  ad  aggiustamenti
 progressivi  in  vista  del superamento degli squilibri eventualmente
 formatisi tra le singole regioni (o province autonome)".
    Successivamente l'art. 4, primo comma,  della  legge  30  dicembre
 1992,  n.  412,  ha  previsto,  a  far  tempo dal 1992, una ulteriore
 riduzione della quota del fondo  sanitario  spettante  alle  province
 autonome di Trento e Bolzano, portanto il "taglio" alla misura del 28
 per  cento. Anche tale disposizione e' stata riconosciuta dalla Corte
 non illegittima, con la sentenza n. 356/1992,  in  vista  ancora  una
 volta dell'"urgenza e provvisorieta'", che caratterizzavanola misura,
 "in  attesa  della definitiva legge di riordino della materia", e sul
 presupposto che comunque la quota del fondo sanitario assegnata  alla
 province   autonome   rappresentasse   comunque   una  determinazione
 quantitativa cui la spesa sanitaria  avrebbe  dovuto  adeguarsi,  nel
 garantire i livelli minimi obbligatori di assistenza, salvo il potere
 delle  province di finanziare con propri mezzi ulteriori prestazioni,
 e che dunque  la  disposta  riduzione  rappresentasse  una  legittima
 misura  di  dimensionamento  da  parte  dello  Stato delle risorse da
 destinare ad una spesa che,  per  la  parte  essenziale,  secondo  la
 Corte,  deve gravare sullo Stato per assicurare livelli assistenziali
 uniformi (cfr. punti 3, 4 e 5.2 del considerato in diritto).
    Nel  frattempo, pero', il legislatore statale e' andato delineando
 un sistema di finanziamento del servizio sanitario interamente nuovo;
 in base ad esso, il fondo sanitario nazionale  e  le  quote  di  esso
 rispettivamente  attribuite  alle singole regioni e province autonome
 vengono commisurati non piu' alla spesa "storica", bensi' a  "livelli
 di  assistenza  sanitaria  da assicurare in condizioni di uniformita'
 sul territorio nazionale", cui si correlano "standard organizzativi e
 di attivita' da utilizzare per il calcolo del parametro capitario  di
 finanziamento  per  ciascun  livello  assistenziale"  (art.  4, primo
 comma, legge n. 412/1991). La  spesa  sanitaria  superiore  a  quella
 parametrica  correlata  ai  livelli  obbligatori  uniformi  e'  posta
 interamente a carico delle regioni e delle province autonome (art. 4,
 quinto comma, legge n. 412/1991).
    Gia' in base a questi principi, in forza dei quali  la  quota  del
 fondo  sanitario  da  attribuire  a  ciascuna regione non e' piu' una
 quota  "astratta",  ne'  un  finanziamento   correlato   alla   spesa
 "storica",   ma   e'  commisurata  ad  un  fabbisogno  oggettivamente
 calcolato  e  rapportato  ai  livelli  di  assistenza  imposti   come
 obbligatori  dalla  legge  statale,  una  riduzione della quota cosi'
 determinata, in una misura discrezionalmente stabilita  e  per  nulla
 collegata  a  parametri  oggettivi  di  fabbisogno, appare una deroga
 eccezionale ed anomala, difficilmente giustificabile.
   Ma con il 1993  si  e'  infine  realizzato  l'atteso  riordino  del
 servizio sanitario (art. 1 legge n. 421/1992 e d.lgs. n. 502/1992), e
 in particolare si e' compiuto un altro passo nella trasformazione del
 sistema  di  finanziamento  del servizio sanitario medesimo. L'art. 1
 della legge 23 ottobre 1992, n. 421,  nel  dettare  i  principi  e  i
 criteri  sulla  base  dei  quali  il  Governo  e'  stato  delegato  a
 provvedere  con  decreti  legislativi  ad   riordino   del   servizio
 sanitario,   ai  fini,  fra  l'altro,  della  "ottimale  e  razionale
 utilizzazione  delle  risorse   destinate   al   servizio   sanitario
 nazionale, del perseguimento della migliore efficienza del medesimo a
 garanzia  del  cittadino,  di equita' distributiva e del contenimento
 della spesa sanitaria", da un lato ha ribadito l'obbligo di "definire
 principi relativi ai  livelli  di  assistenza  sanitaria  uniformi  e
 obbligatori  .. .., stabilendo comunque l'individuazione della soglia
 minima di riferimento,  da  garantire  a  tutti  i  cittadini,  e  il
 parametro  capitario  di  finanziamento  da assicurare alle regioni e
 alle province autonome per l'organizzazione di detta  assistenza,  in
 coerenza con le risorse stabilite dalla legge finanziaria" (lett. g);
 dall'altro  lato ha stabilito che si debba "prevedere l'attribuzione,
 a decorrere dal 1½ gennaio 1993, alle regioni e province autonome dei
 contributi  per  le  prestazioni  del  servizio  sanitario  nazionale
 localmente   riscossi   con  riferimento  al  domicilio  fiscale  del
 contribuente e la contestuale riduzione del fondo sanitario nazionale
 di parte corrente", e la imputazione alle  regioni  e  alle  province
 autonome  degli  "effetti  finanziari  per  gli  eventuali livelli di
 assistenza sanitaria superiori a quelli uniformi, per le dotazioni di
 presidi e di posti letto accedenti gli standard previsti  e  per  gli
 eventuali  disavanzi  di  gestione  da  ripianare  con totale esonero
 finanziario dello Stato" (lett. i).
    In questo contesto, la disposizione contenuta nell'art.  8,  primo
 comma, della legge n. 498/1992 appare non solo un fuor d'opera, ma un
 deliberato  in  palese  contraddizione  con  i principi di disciplina
 della  materia,   nonche'   con   i   principi   di   eguaglianza   e
 ragionevolezza,  gravemente  lesivo  dell'autorita' finanziaria delle
 province autonome.
    Infatti con esso si dispone non solo una  drastica  riduzione,  di
 quasi  la  meta',  della  quota  del  fondo  spettante  alle province
 autonome  in  base  agli  stessi  criteri  e  parametri  centralmente
 stabiliti  in  rapporto  al costo necessario per assicurare i livelli
 minimi uniformi di assistenza, ma - quel  che  e'  piu'  grave  -  si
 sottrae  alla provincia autonoma una parte del gettito dei contributi
 sanitari riscossi nel suo territorio, e versati dai  contribuenti  in
 essi domiciliati.
    Ora,  se  in  ipotesi il gettito nazionale dei contributi sanitari
 coprisse l'intero costo dei  servizi,  e  se  il  gettito  localmente
 riscosso   in  alcune  regioni  o  province  autonome  eccedessse  il
 fabbisogno  locale  relativo  ai   livelli   minimi   di   assistenza
 prescritti,  protrebbe  al  limite,  apparire  ammissibile, in base a
 criteri di solidarieta', la devoluzione di tale eccedenza del gettito
 dei  contributi  riscossi  nelle  regioni  piu'  ricche  al  fine  di
 compensare il deficit di altre regioni.
    Ma,  come  si  sa, non e' cosi'. Il gettito complessivo, a livello
 nazionale, dei contributi sanitari e'  ben  lontano  dal  coprire  la
 spesa   sanitaria,   anche   quella   correlata   ai  livelli  minimi
 obbligatori. E questa situazione  si  ripete  in  tutte  le  regioni.
 Cosi',  nella  provincia  di  Trento, il gettito dei contributi copre
 solo il 65-70% della spesa sanitaria, e dunque il 30-35% di  esso  e'
 coperto o dovrebbe essere coperto dalla quota del fondo nazionale.
    Orbene,  le disposizioni in questione, prevedendo una decurtazione
 del 42% delle risorse spettanti alla  provincia,  derivanti  sia  dal
 fondo  nazionale  sia  dall'attribuzione  dei contributi sanitari, di
 fatto comporta che alla provincia non solo non venga attribuita dallo
 Stato una lira in piu' rispetto al gettito locale dei contributi,  ma
 che  una  quota di tale gettito, pari almeno al 7% della spesa totale
 (42-35), che  equivale  a  quasi  l'11%  del  gettito  medesimo,  sia
 sottratta alla provincia per essere devoluta allo Stato.
    Lo   Stato,   dunque,   in   provincia  di  Trento  non  solo  non
 finanzierebbe piu', nemmeno in minima parte,  il  costo  dei  servizi
 sanitari,  ma  per di piu' verrebbe a lucrare una parte ragguardevole
 dei contributi sanitari che i contribuenti  della  provincia  versano
 per usufruire dei servizi garantiti per legge a tutti i cittadiniÝ
    Tutto  cio', per di piu', pur continuando, lo Stato, a mantenre il
 controllo del servizio, assoggettato  alla  minuzionsa  e  vincolante
 disciplina della legge statale.
    Non  e'  chi  non  veda  la totale illogicita' e irrazionalita' di
 siffatto disposto, che risulta dunque in  palese  contrasto  con  gli
 artt.  3,  5  e  81,  quarto comma, della Costituzione nonche' con le
 norme dello Statuto speciale che garantiscono l'autonomia finanziaria
 delle province autonome e con l'art. 5, primo comma, della  legge  n.
 386/1989.
    Esso  infatti  riduce  irragionevolmente  le risorse finanziarie a
 disposizione   della   provincia;   ne   comprime    conseguentemente
 l'autonomia;  realizza  una ingiuficata disparita' di trattamento nei
 confronti delle altre regioni ad autonomia ordinaria  e  speciale;  e
 comporta  una  riduzione di entrate a fronte di spese incomprimibili,
 senza indicare i mezzi  per  fronteggiare  l'onere  (donde  anche  la
 violazione dell'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468).
    D'altra  parte  non possono in alcun modo valore, nei confronti di
 tale disposizione, le giustificazioni che hanno indotto questa Corte,
 nelle sentenze n. 381/1990 e n. 356/1992, a far  salve  le  riduzioni
 precedentemente  operate  sulla  quota  del fondo sanitario assegnata
 alle province autonome.
    Non la giustificazione della provvisorieta' del provvedimento,  in
 attesa   del  riordino  definitivo  del  servizio.  Questo  e'  ormai
 delineato dall'art. 1 della legge n. 421 del 1992, ed attuato con  il
 d.lgs. n. 502/1992; ciononostante la disposizione qui impugnata da un
 lato  attua  per  il  1993  la drastica riduzione che si e' detto, in
 pieno contrasto anche con il nuovo sistema di finanziamento previsto,
 dall'altro lato  consolida  per  il  futuro  e  rende  definitive  le
 aliquote  di riduzione stabilite dall'art. 4, undicesimo comma, della
 legge 30 dicembre 1991, n. 412, trasformandole da misure  provvisorie
 in  una  disciplina  stabile,  al  di  fuori  di  qualsiasi oggettivo
 adeguamento al costo effettivo delle prestazioni minime garantite  in
 modo uniforme.
    Non  vale  piu'  nemmeno  la  giustificazione  che si traeva dalla
 potesta' riconosciuta  allo  Stato  di  dimensionare  con  una  certa
 discrezionalita'  il finanziamento del servizio, poiche' la riduzione
 disposta prescinde del tutto dai parametri di fabbisogno e  di  costo
 relativi  al  servizio,  comportando  addirittura,  come si e' visto,
 l'attribuzione allo Stato, per il 1993,  di  una  parte  del  gettito
 contributivo  riscosso  nella  provincia,  e  comunque  una riduzione
 definitiva della quota del fondo pur dopo che questo viene ad  essere
 calcolato  in  relazione  ai  parametri capitari collegati ai livelli
 uniformi di assistenza imposti.
    D'altra parte, se pur e' vero che l'art. 5 della legge n. 386/1989
 non garantisce una  determinata  dimensione  della  quota  del  fondo
 sanitario attribuita alla provincia, e' pur vero che esso dispone che
 la  provincia  partecipa al riparto dei fondi istituiti per garantire
 livelli minimi di prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio
 nazionale (come il fondo sanitario) "secondo i  criteri  ..  per  gli
 stessi previsti" dalle leggi statali.
    Non  puo'  dunque ritenersi legittima una qualsiasi determinazione
 quantitativa, del tutto scissa, e anzi in totale contraddizione,  con
 i   criteri   fissati  dalla  legge  per  il  riparto  dei  fondi  in
 correlazione ai costi; ed e' dunque  violato  anche  l'art.  5  della
 legge n. 386/1989.
    Non  si  dica  che  l'anomala decurtazione delle risorse spettanti
 alla provincia  trova  una  certa  giustificazione  pratica,  se  non
 logica,  nella  circostanza  che  la  provincia  stessa gode di altre
 entrate in misura superiore alle altre regioni, rappresentando dunque
 una sorta di misura di compensazione.
    Quanto alla entrate proprie in senso  stretto,  bastera'  rilevare
 che  nel  campo  della sanita' le province autonome non dispongono di
 alcun potere di imporre tasse o  contributi  o  tariffe  o  forme  di
 compartecipazione  alla  spesa  da  parte  degli assistiti, diverso e
 maggiore di quelli riconosciuti a tutte le regioni.
    Le province autonome e le regioni  speciali,  a  differenza  delle
 regioni  ordinarie,  godono invece, com'e' noto, di un vero regime di
 compartecipazione al gettito dei tributi erariali.  E  questo  e'  il
 grande  argomento  di  cui si fanno forti coloro che considerano tali
 enti come privilegiati rispetto agli altri enti di autonomia.
    Ma l'argomento e' totalmente inconferente ai fini del problema qui
 discusso.   Supponiamo,   per   un   momento,   che   il   regime  di
 compartecipazioneal gettito dei tributi erariali, stabilito a  favore
 delle  province  autonome,  dovesse  rivelarsi  tale  da comportare a
 favore di esse un riparto proporzionale eccessivo  in  rapporto  alle
 funzioni  da  esse  svolte  (che  sono peraltro assai piu' numerose e
 ampie, come e' noto, di quelle trasferite alle regioni ordinarie).
    Ebbene  il  legislatore  statale  avrebbe,  a  questo  punto,  due
 possibilita': o quella, che costituirebbe invero la strada maestra di
 devolvere  alle  province autonome ulteriori funzioni oggi trattenute
 in capo allo Stato, cosi' da adeguare il  riparto  delle  funzioni  a
 quello  stabilito  per  il  gettito  dei  tributi;  ovvero  quella di
 adeguare le compartecipazioni al gettito tributario oggi riconosciuta
 alle province, all'effettivo riparto delle funzioni.
    Lo Stato pero' si guarda bene dal percorrere la prima strada e  al
 contrario  continua  ad  intervenire con propri mezzi finanziari, nel
 territorio  delle  province,  anche  in  materie   rientranti   nelle
 competenze  statutarie  di  queste,  per non voler cedere la gestione
 degli interventi, e cio' con le piu' varie giustificazioni in  genere
 legate  a presunte esigenze di programmazione nazionale; si vedano ad
 esempio, di recente, i casi decisi da questa Corte  con  le  sentenze
 nn. 392, 427 e 462 del 1992).
    Ma  lo  Stato non percorre nemmeno l'altra strada, quella cioe' di
 un adeguamento ipotetico delle compartecipazioni all'attuale  riparto
 delle funzioni.
    Si dira' che la modifica delle compartecipazioni comporta modifica
 delle   norme   statutarie  che,  pur  essendo  possibile  con  legge
 ordinarie, ai sensi dell'art. 104 dello statuto speciale,  presuppone
 pero'  l'intesa  con  le  province;  e  che non potendo attendersi di
 ottenere  facilmente  l'intesa  su  una   riduzione   delle   entrate
 tributarie   attribuite   alle  province,  lo  Stato  deve  ricorrere
 all'espediente di  agire  sui  trasferimenti  dal  proprio  bilancio,
 riducendoli  (come appunto fa con il fondo sanitario), in quanto tali
 riduzioni non passano attraverso la necessaria intesa  con  gli  enti
 autonomi.
    Ma  l'argomento dialettico prospettato (e che non va molto lontano
 - crediamo - dalla realta' dei propositi e degli intenti con  cui  si
 muove il legislatore centrale in questa materia) svela da solo la sua
 intima  contraddizione  e  il suo insanabile contrasto con i principi
 costituzionali. Se, infatti, la riduzione  delle  risorse  attribuite
 per  il  servizio  sanitario  - con la sottrazione alla provincia non
 solo delle risorse  corrispondenti  ai  livelli  minimi  uniformi  di
 assistenza,  ma  di  una  parte  delle  stesse  risorse  contributive
 riscosse nella provincia medesima - serve a realizzare per altra  via
 quella  riduzione  di  risorse che si ritiene di non poter realizzare
 attraverso  la  riduzione  delle  compartecipazioni,  per  l'ostacolo
 statutario derivante dalla necessita' dell'intesa, cio' significa che
 tale  riduzione  e'  un  espediente  apertamente elusivo dello stesso
 dettato  statutario.  Se  lo  statuto  ha  voluto  che  la   garanzia
 dell'autonomia  passasse  anche attraverso la garanzia procedimentale
 dell'intesa per la modifica delle relative  norme,  e'  evidentemente
 lesivo  di  questa garanzia, e dunque dell'autonomia, l'espediente di
 sottrarre  alle  province  altre risorse, ad essa spettanti, e per le
 quali tale sottrazione non trova autonoma giustificazione.
    La realta' e' pero' che e' ancora mancata quella "riconsiderazione
 globale della  materia,  basata  su  piu'  approfondite  analisi  del
 rapporto  tra i flussi finanziari esistenti fra lo Stato e le regioni
 (e le province autonome) e le funzioni esercitate da queste  ultime",
 secondo  la  prospettiva  indicata  dalla  Corte  nella  sentenza  n.
 381/1990 (n. 5 del considerato in diritto).
    I rapporti fra Stato e regioni e province autonome sono regolati e
 devono essere retti dai  principi  costituzionali  e  da  criteri  di
 lealta'  reciproca:  non  c'e'  spazio,  in  una  disciplina  di tale
 rapporto che voglia essere costituzionalmente coerente, per  furberie
 o  colpi  di  mano.  Anche  la  sacrosanta  esigenza dell'equita' nel
 riparto  delle  risorse  deve  passare  attraverso  regole  chiare  e
 ragionevolmente fondate, non attraverso l'uso di strumenti impropri.
    Dalla Corte, il cui arbitrato rappresenta la piu' alta garanzia di
 salvaguardia  del quadro di equilibrio costituzionale anche nel campo
 delle  autonomie,  la  provincia  ricorrente  si   attende   non   un
 trattamento  di favore, ma la limpidezza di una decisione fondata sui
 criteri costituzionalmente sanciti e sul canone della ragionevolezza,
 piuttosto che sul facile ma ingannevole richiamo a  presunte  ragioni
 pratiche  e alle necessita' dell'emergenza, volto a giustificare cio'
 che altrimenti non puo' qualificarsi se  non  come  un  irragionevole
 arbitrio.
                               P. Q. M.
    La  provincia  ricorrente  chiede  che  la Corte voglia dichiarare
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8, primo comma, della legge
 23 dicembre 1992, n. 498, nella parte in cui prevede per il  1993  la
 riduzione  del  42  per  cento  delle  risorse  provenienti dal Fondo
 sanitario nazionale e dalla attribuzione dei contributi  sanitari,  e
 spettanti  alla  provincia autonoma di Trento, e prevede inoltre, per
 gli anni successivi, la conferma della aliquota di riduzione  di  cui
 all'art.  4,  undicesimo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412,
 per violazione degli artt. 3 e 5 della Costituzione e  dell'autonomia
 finanziaria  garantita  alla  Provincia  dal  titolo VI dello statuto
 speciale per il Trentito-Alto Adige, nonche' dell'art. 5 della  legge
 30 novembre 1989, n. 386 e dell'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n.
 468.
      Roma, addi' 28 gennaio 1993.
            Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA

 93C0107