N. 48 ORDINANZA 28 gennaio - 10 febbraio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  G.I.P.  -  Indagini  preliminari - Svolgimento -
 Proroga del termine - Inutilizzabilita' degli atti compiuti  dopo  la
 scadenza  -  Discrezionalita'  legislativa - Finalita' funzionalmente
 coordinata alle  determinazioni  del  p.m.  in  ordine  all'esercizio
 dell'azione penale - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P., artt. 407 e 553).
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 112).
(GU n.9 del 24-2-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo
 SPAGNOLI,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
 MENGONI, prof. Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano
 VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 407 del codice
 di procedura penale,  come  richiamato  dall'art.  553  dello  stesso
 codice,  promosso con ordinanza emessa il 4 febbraio 1992 dal Giudice
 per le  indagini  preliminari  presso  la  Pretura  circondariale  di
 Genova,  nel  procedimento  penale a carico del legale rappresentante
 della Fincantieri S.p.A., iscritta al n. 170 del  registro  ordinanze
 1992  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16,
 prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
    Ritenuto che il Giudice per  le  indagini  preliminari  presso  la
 Pretura circondariale di Genova, chiamato a delibare una richiesta di
 proroga delle indagini preliminari, dopo aver premesso che il termine
 massimo per l'espletamento di esse era "scaduto improrogabilmente" il
 5  novembre  1991,  nonostante  la tempestivita' degli interventi del
 pubblico ministero, e che  gli  ulteriori  accertamenti  per  il  cui
 compimento  era  stata richiesta la proroga apparivano indispensabili
 ai  fini  della  verifica  delle  responsabilita'  dell'indagato,  ha
 sollevato  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 407 del
 codice di procedura penale, "come  richiamato"  dall'art.  553  dello
 stesso   codice,   nella   parte   in   cui   "sancisce  la  radicale
 inutilizzabilita' di tutti gli atti  di  indagine  compiuti  dopo  la
 scadenza  del  termine"  massimo  per  lo  svolgimento delle indagini
 preliminari, deducendo la violazione:
       a) dell'art. 112 della Costituzione, per l'effetto paralizzante
 dell'esercizio dell'azione penale che consegue all'interruzione della
 attivita' di indagine, effetto, questo, non superabile con il ricorso
 agli  istituti  dell'avocazione  (per  la  brevita'  dei  termini   a
 disposizione  del  procuratore  generale)  o  della  riapertura delle
 indagini (avente  una  finalita'  incompatibile  con  il  divieto  di
 prosecuzione  delle indagini oltre il tetto massimo, che verrebbe, in
 tal modo, eluso);
       b) dell'art. 24 della Costituzione,  nei  confronti  sia  della
 persona  offesa  dal  reato  sia  dell'imputato: della prima, perche'
 interessata all'esercizio dell'azione penale;  del  secondo,  perche'
 irrimediabilmente  sottratto  alla  possibilita'  di  espletamento di
 indagini anche a suo favore;
       c) dell'art. 3 della Costituzione, sotto  un  duplice  profilo:
 per  la  disparita'  di  trattamento fra indagati, la cui sorte resta
 condizionata  alla  complessita'  delle  indagini  da  compiere;  per
 l'irragionevolezza   derivante  dal  pari  trattamento  riservato  ai
 procedimenti, a prescindere  dal  tipo  di  reato  contestato  e  dai
 concreti accertamenti necessari per l'esercizio dell'azione penale;
      e  che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
    Considerato  che la previsione di specifici limiti cronologici per
 lo  svolgimento  delle  indagini  preliminari  e  della   correlativa
 sanzione di inutilizzabilita' degli atti di indagine compiuti dopo la
 scadenza  dei termini stabiliti per quella fase costituisce il frutto
 di una precisa scelta operata dal legislatore delegante  al  fine  di
 soddisfare,  da  un  lato,  la "necessita' di imprimere tempestivita'
 alle investigazioni" e, dall'altro, "di  contenere  in  un  lasso  di
 tempo  predeterminato  la  condizione  di  chi  a  tali  indagini  e'
 assoggettato" (v. sentenza n. 174 del 1992 e  ordinanza  n.  222  del
 1992);
      che  una siffatta opzione si raccorda intimamente alle finalita'
 stesse della attivita' di indagine, la quale,  lungi  dal  riprodurre
 quella  funzione  "preparatoria"  del  processo che caratterizzava la
 fase  istruttoria  nel  codice  di  rito  previgente,  e'   destinata
 unicamente   a  consentire  al  pubblico  ministero  di  assumere  le
 determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione  penale  (art.  326
 c.p.p.),  con l'ovvio corollario che la tendenziale completezza delle
 indagini (v. sentenza n. 88 del  1991),  evocata  dall'art.  358  del
 codice  di procedura penale, viene funzionalmente a correlarsi non al
 compimento di tutti gli  atti  "necessari  per  l'accertamento  della
 verita'",  secondo  l'ampia  enunciazione che compariva nell'art. 299
 del codice abrogato, ma al ben piu'  circoscritto  ambito  che  ruota
 attorno alla scelta se esercitare o meno l'azione penale;
      che  in tale prospettiva, dunque, non v'e' alcuna contraddizione
 logica tra la previsione di un termine entro  il  quale  deve  essere
 portata  a  compimento  l'attivita' di indagine e il precetto sancito
 dall'art. 112 della Costituzione, non essendo quel termine, in se'  e
 per   se'   considerato,   un   fattore  che  sempre  e  comunque  e'
 astrattamente idoneo a turbare  le  determinazioni  che  il  pubblico
 ministero   e'   chiamato  ad  assumere  al  suo  spirare,  cosicche'
 l'eventuale necessita' di svolgere ulteriori atti  di  investigazione
 viene  a profilarsi unicamente come ipotesi di mero fatto che, per un
 verso, non impedisce allo stesso  pubblico  ministero  di  stabilire,
 allo  stato  delle  indagini  svolte,  se  esercitare o meno l'azione
 penale,  mentre,  sotto  altro  profilo,  puo'   rinvenire   adeguato
 soddisfacimento,  a  seconda delle scelte operate, o nella riapertura
 delle indagini prevista dall'art. 414 del codice di procedura  penale
 o  nella attivita' integrativa di indagine che l'art. 430 consente di
 compiere anche dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio;
      che, d'altra parte, va riservata alle discrezionali  scelte  del
 legislatore l'individuazione degli opportuni strumenti processuali in
 base  ai  quali  consentire  la  prosecuzione  delle  indagini, nelle
 eccezionali ipotesi in  cui  sia  risultato  impossibile  portarle  a
 compimento entro il termine massimo previsto dalla legge;
      che  la  pretesa  violazione  dell'art. 24 della Costituzione si
 rivela del tutto infondata non essendo il diritto di difesa in  alcun
 modo  pregiudicato  dalle  norme  oggetto di impugnativa che, essendo
 volte ad assicurare alla attivita' di indagine caratteri di snellezza
 e tempestivita', non  interferiscono  sotto  nessun  profilo  con  la
 ricerca  delle  fonti  di  prova  che  la  persona  offesa  e  quella
 sottoposta alle indagini possono autonomamente svolgere e indurre nel
 procedimento;
      che ugualmente infondata e' la dedotta disparita' di trattamento
 fra indagati  che  verrebbe  a  scaturire  dalla  maggiore  o  minore
 complessita'    delle    indagini,   cosi'   come   la   censura   di
 irragionevolezza  che  deriverebbe  dalla  identita'  del  regime   a
 prescindere  dalla  diversa  tipologia dei reati e degli accertamenti
 che si rendono  necessari,  giacche'  anche  a  questo  proposito  il
 giudice  a  quo  mostra  di  fare  appello  a evenienze di mero fatto
 prospettate  in  termini  ipotetici  che,  in  se'  considerate,  non
 presentano  riflessi  tali  da  incidere  sull'invocato  parametro di
 costituzionalita';
      e   che,   pertanto,   la   questione   deve  essere  dichiarata
 manifestamente infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  407  del  codice  di   procedura   penale,
 richiamato   dall'art.   553   dello  stesso  codice,  sollevata,  in
 riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della  Costituzione,  dal  Giudice
 per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Genova
 con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: VASSALLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0119