N. 53 SENTENZA 8 - 16 febbraio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
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 Processo penale - Ordinamento penitenziario - Procedimento di reclamo
 avverso  il  decreto  del  magistrato di sorveglianza che esclude dal
 computo della detenzione il periodo trascorso  in  permesso-premio  -
 Applicazione  degli  artt.  666  e  678  del  c.p.p.   - Esclusione -
 Procedimento privato delle richieste garanzie di giurisdizionalita' -
 Richiamo   alla   sentenza   n.  188  della  Corte  -  Illegittimita'
 costituzionale.
 "
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, artt. 236, secondo  comma;  legge  26
 luglio  1975,  n. 354, artt. 14-ter, primo, secondo, e terzo comma, e
 30-bis)
 "
 (Cost., artt. 13, primo e secondo comma, 24, secondo comma, 27, terzo
 comma e 76).
(GU n.9 del 24-2-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo
 SPAGNOLI,  prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo  CHELI,  dott.    Renato
 GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  236,  secondo
 comma,  del  d.lgs.  28  luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di
 coordinamento  e  transitorie  del  codice  di   procedura   penale),
 dell'art. 14-ter, primo, secondo e terzo comma, della legge 26 luglio
 1975,  n. 354 (introdotto dall'art. 2 della legge 10 ottobre 1986, n.
 633) e dell'art. 30-bis, terzo e quarto comma, della legge 26  luglio
 1975,  n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione
 delle misure privative  e  limitative  della  liberta'),  cosi'  come
 modificato  dall'art.  2 della legge 20 luglio 1977, n. 450, promosso
 con ordinanza emessa il 6 maggio 1992 dal Tribunale  di  sorveglianza
 di  Brescia  nel  procedimento  di  sorveglianza sul reclamo di Zambo
 Gaetano, iscritta al n. 406 del registro ordinanze 1992 e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  35,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 16 dicembre  1992  il  Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  dell'esame del reclamo di un detenuto avverso il
 decreto con cui  il  magistrato  di  sorveglianza,  per  l'irregolare
 condotta   tenuta  dal  condannato,  aveva  disposto  il  recupero  a
 detenzione del periodo trascorso in permesso premio, il Tribunale  di
 sorveglianza  di  Brescia,  con ordinanza emessa il 6 maggio 1992, ha
 sollevato questione di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
 agli  artt.  13,  primo e secondo comma, 24, secondo comma, 27, terzo
 comma, nonche' all'art. 76 della Costituzione (in relazione  all'art.
 2  della  direttiva  96 della legge n. 81 del 1987), degli artt. 236,
 secondo comma, del d.lgs. 28 luglio  1989,  n.  271,  14-ter,  primo,
 secondo e terzo comma, e 30-bis, terzo e quarto comma, della legge 26
 luglio  1975, n. 354, nella parte in cui non prevedono l'applicazione
 del "nuovo" procedimento  di  sorveglianza  per  la  trattazione  dei
 reclami  avverso  i  decreti  di  esclusione  dei permessi-premio dal
 computo della pena.
    Il giudice a quo, elencate alcune delle proprie  attribuzioni  (la
 sorveglianza  particolare  di  detenuti,  il  computo  del periodo di
 permesso o licenza, i permessi ai detenuti) osserva che, per  effetto
 dell'esclusione  dal nuovo procedimento di sorveglianza contenuta nel
 secondo comma dell'art. 236 delle disposizioni di coordinamento, deve
 essere  ancora  seguito,  nei  casi  in  argomento,  un  procedimento
 decisorio  circa  i  reclami "che non presenta certamente i caratteri
 della giurisdizionalita'".
    La mancanza della vocatio in  ius  e  la  non  ricorribilita'  per
 Cassazione   del   provvedimento   terminativo   non   appaiono  piu'
 compatibili al giudice a quo con lo spirito del nuovo codice  in  cui
 emergerebbe   la  volonta'  di  giurisdizionalizzare  tutta  la  fase
 esecutiva della pena cosi' come reso esplicito dalla Relazione.
    Nel testo di quest'ultima, in particolare, a  fronte  dell'intento
 di  regolare  nell'art.  666 un procedimento giurisdizionale unitario
 per tutte  le  competenze  del  Tribunale  di  sorveglianza,  non  si
 leggerebbe  alcuna  spiegazione della "grave deroga" introdotta per i
 procedimenti di cui sopra, deroga ritenuta lesiva dell'art. 13  della
 Costituzione  (non  potendo  la  materia  essere relegata nell'ambito
 amministrativo) ma ancor piu' lesiva  della  direttiva  n.  96  della
 legge  delega  che impone garanzie di giurisdizionalita'nella fase di
 esecuzione con riferimento ai provvedimenti concernenti  le  pene  ed
 esige il contraddittorio nei procedimenti incidentali.
    La  sopravvivenza  sine  die delle gia' viste procedure in tema di
 sorveglianza particolare e recupero  ad  espiazione  dei  periodi  di
 permesso,   viceversa,   non   assicurerebbe  alcuna  delle  suddette
 garanzie, malgrado la delicatezza della materia.
    Anche i procedimenti de quibus andrebbero  annoverati  tra  quelli
 "incidentali"  e non potrebbero svolgersi ormai al di fuori dell'area
 giurisdizionale, senza vulnerare  l'art.  24,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
    Ne' sarebbe piu' possibile - a pena della violazione dell'art. 27,
 terzo  comma,  della  Costituzione  -  considerare il permesso premio
 un'accidentale  modalita'  dell'esecuzione,  ovvero  argomentare  nel
 senso  della  sentenza  n. 188 del 1990, con la quale questa Corte ha
 escluso  l'illegittimita'  degli artt. 14-ter, terzo comma, e 53-bis,
 della legge n. 354  del  1975  con  riferimento  alla  partecipazione
 dell'imputato all'udienza, ma vigente il vecchio codice.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato,  concludendo  per
 l'inammissibilita'  della  questione  per  difetto  di  rilevanza con
 riguardo alla mancata previsione del ricorso  per  Cassazione  e  per
 l'infondatezza della stessa in quanto la partecipazione del difensore
 alla   camera   di  consiglio  garantirebbe  pienamente  il  detenuto
 interessato  (il  quale  ha  anche  facolta'  di  presentare  memorie
 proprie).
    Quanto  alla  natura  e funzione del permesso premio, l'Avvocatura
 richiama la gia' citata sentenza n. 188 del 1990 dalla quale  sarebbe
 mutuabile  la  coerenza  del rapporto tra finalita' rieducativa della
 pena e la disciplina (anche procedimentale) dei permessi.
                        Considerato in diritto
    1. - E' prospettata l'illegittimita' costituzionale dell'art.  236
 del d.lgs. n. 271 del 1989, recante le norme di attuazione del codice
 di  procedura  penale  dell'art. 14-ter, primo secondo e terzo comma,
 della legge n. 354 del 1975, concernente l'ordinamento penitenziario,
 nonche' 30-bis, terzo e quarto comma, della stessa legge.
   La prima di dette norme dispone che, nelle  materie  di  competenza
 del  Tribunale  di  sorveglianza,  anche dopo l'entrata in vigore del
 nuovo codice di procedura penale, continuino ad osservarsi le  regole
 procedimentali  dettate dalla seconda delle norme impugnate. E l'art.
 14-ter,  nel  disciplinare  il  reclamo   avverso   i   provvedimenti
 riguardanti  il  regime  di  sorveglianza  particolare,  descrive  un
 sintetico procedimento camerale, sia pure con la  partecipazione  del
 pubblico  ministero  e del difensore del detenuto e con la previsione
 della   facolta',   per   quest'ultimo   e   per    l'amministrazione
 penitenziaria, di presentare memorie.
   Per effetto del rinvio contenuto nel secondo comma dell'art. 53-bis
 del  richiamato  ordinamento  penitenziario,  tale procedimento viene
 seguito anche nel caso - qual e' quello di cui al giudizio a quo - di
 esclusione dal computo della pena del periodo di permesso o  licenza,
 mentre  sul  punto nulla aggiunge l'art. 30-bis della stessa legge n.
 354 del 1975. A parere del Tribunale di sorveglianza di Brescia, alla
 luce del nuovo e ben piu' articolato modello  processuale  introdotto
 dagli  artt.  666  e  678 del codice di procedura penale, proprio per
 tale  giudice,  la  deroga  che  la  denunciata  normativa   consente
 risulterebbe lesiva dell'inviolabilita' della liberta' personale, del
 diritto  di  difesa, delle finalita' rieducative della pena, nonche',
 in particolare, delle direttive poste dalla legge delega.
    2. - La questione e' fondata.
    Preliminare  ed  assorbente  rispetto  a  tutte   le   prospettate
 violazioni   dei   precetti   costituzionali   e'   la   verifica  di
 compatibilita' tra il rito ex art. 14 -ter ed il punto  96,  art.  2,
 della  legge  di  delegazione 16 febbraio 1987, n. 81 che, nella fase
 della esecuzione, con riferimento  ai  provvedimenti  concernenti  le
 pene  ,  impone  "garanzie  di giurisdizionalita'", consistenti nella
 "necessita'   del   contraddittorio"   e   nell'"impugnabilita'   dei
 provvedimenti".  Finalita'  del  legislatore  delegante  e' quindi il
 rispetto integrale - e senza possibilita' di distinzioni tra  le  di-
 verse  misure - delle garanzie costituzionali del diritto di difesa e
 della tutela della liberta'  personale  anche  nella  fase  esecutiva
 della  pena,  in  coerenza  con  il  progetto  rieducativo che questa
 sottende, nel porsi non piu' soltanto come giusta  ,  ma  anche  come
 utile .
    Questa Corte ha gia' esaminato la particolare situazione legata al
 recupero a detenzione del permesso-premio nel caso di immeritevolezza
 del  condannato, escludendo ogni carattere di afflittivita' ulteriore
 per la decisione di non sottrarre tale periodo dal computo della pena
 (sentenza n. 188 del 1990). Tale considerazione, fondata sulla natura
 sostanzialmente fiduciaria  del  permesso  e  sul  suo  carattere  di
 premialita'  progressiva, non vale tuttavia a consentire l'esclusione
 del beneficio dall'ambito della esecuzione, attesa l'ampia  accezione
 che   la   delega   conferisce   a  tale  categoria,  indistintamente
 richiamandovi "i provvedimenti concernenti le pene  e  le  misure  di
 sicurezza".
    Ne  consegue  che  la  regola  processuale  non puo' difettare dei
 requisiti,   posti   come   necessari,   della   vocatio   in    ius,
 dell'appagamento    integrale   dell'esigenza   di   contraddittorio,
 dell'impugnabilita' del provvedimento.
    Le  conclusioni  raggiunte  nella  citata  sentenza,  infatti,  si
 rapportavano  al  previgente regime, ne' avrebbero potuto tener conto
 del  nuovo  modulo  procedimentale  che  l'art.  666  del  codice  di
 procedura  penale  ha  tracciato  per  il processo di esecuzione, che
 l'art. 678 - nel richiamare questa norma  -  ha  altresi'  esteso  al
 Tribunale  di  sorveglianza,  ma che l'art. 236 delle disposizioni di
 attuazione  non  ha  reso  applicabile  in  subiecta  materia,  senza
 peraltro alcuna ragionevole spiegazione.
    Nel  consentire  la  vigenza  ulteriore  del  procedimento ex art.
 14-ter per il reclamo dei provvedimenti che imputano a detenzione  il
 periodo  di  permesso,  l'art.  236  si  pone  in  contrasto  con  le
 indicazioni nascenti dal citato  punto  96  e  realizzate  nel  nuovo
 processo  di  sorveglianza,  onde  ne  va dichiarata l'illegittimita'
 costituzionale per eccesso di delega.
    E' evidente infatti che la ristrettezza dello spatium  deliberandi
 di  dieci  giorni  imposta  al  tribunale preclude la possibilita' di
 osservare il termine di cui al terzo comma del piu' volte citato art.
 666, la impossibilita' per l'interessato di partecipare  al  giudizio
 non  puo'  essere validamente sostituita dalla facolta' di presentare
 memorie, la non ricorribilita' per  Cassazione  della  decisione  sul
 reclamo  (talvolta affermata dalla giurisprudenza di legittimita') e'
 elemento idoneo  a  privare  definitivamente  il  procedimento  delle
 richieste garanzie di giurisdizionalita'.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale degli artt. 236, secondo
 comma, del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271  (Norme  di  attuazione,  di
 coordinamento  e transitorie del codice di procedura penale), 14-ter,
 primo, secondo e terzo comma, e 30-bis della legge 26 luglio 1975, n.
 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario  e  sull'esecuzione  delle
 misure privative e limitative della liberta'), nella parte in cui non
 consentono  l'applicazione  degli  artt.  666  e  678  del  codice di
 procedura penale nel procedimento di reclamo avverso il  decreto  del
 magistrato  di  sorveglianza che esclude dal computo della detenzione
 il periodo trascorso in permesso-premio.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 1993.
                  Il Presidente e redattore: CASAVOLA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 16 febbraio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0151