N. 56 SENTENZA 8 - 16 febbraio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Conversione del giudizio direttissimo  in  giudizio
 abbreviato   -   Dibattimento   -   Svolgimento  di  un'attivita'  di
 integrazione probatoria - Esclusione di  una  preventiva  valutazione
 giudiziale  di decidibilita' allo "stato degli atti" - Situazione non
 raffrontabile con il giudizio ordinario - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 452, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 76).
(GU n.9 del 24-2-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo
 SPAGNOLI,  prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo  CHELI,  dott.    Renato
 GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 452,  secondo
 comma,  del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 2, n.
 53, della legge 16  febbraio  1987,  n.  81  (Delega  legislativa  al
 Governo  della  Repubblica  per  l'emanazione  del  nuovo  codice  di
 procedura penale), 440, primo comma e 441, primo comma, del codice di
 procedura penale, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 7  aprile  ed
 il 19 maggio 1992 dal Tribunale di Piacenza nei procedimenti penali a
 carico  di Conti Alberto ed altro e Henchi Ajmi Ben Mohamed, iscritte
 ai nn. 324 e 423 del  registro  ordinanze  1992  e  pubblicate  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  nn.  26  e  37,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1992;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio instaurato con rito direttissimo nel
 quale l'imputato aveva chiesto il giudizio abbreviato,  ottenendo  il
 consenso  del  pubblico ministero, ed il difensore aveva poi eccepito
 la  non  acquisibilita',  ai  fini  di  detto  giudizio,  degli  atti
 contenuti  nel  fascicolo  del  pubblico  ministero,  il Tribunale di
 Piacenza - dopo aver rilevato che il potere del giudice  di  ordinare
 l'esibizione  di  tali atti e' previsto dall'art. 135 disp. att. cod.
 proc. pen. solo nel procedimento speciale di cui  all'art.  444  cod.
 proc.  pen.  ,  e  non  anche  in quello di cui all'art. 452, secondo
 comma,  cod.  proc.  pen.  ,  restando  cosi'  precluso al giudice di
 valutare  l'ammissibilita'  di  questo   sotto   il   profilo   della
 decidibilita'  allo  stato  degli  atti - ha sollevato d'ufficio, con
 ordinanza del 7 aprile 1992 (r.o.  n.  324/1992),  una  questione  di
 legittimita'  costituzionale  del  citato  art.  452,  secondo comma,
 assumendone il contrasto con gli artt. 76 e 3 della Costituzione;
    Premesso, in punto  di  rilevanza,  che  l'eventuale  accoglimento
 della  suddetta  eccezione incide sulla natura del rito e, in caso di
 condanna, sulla misura della pena, il Tribunale rimettente  sostiene,
 sotto  il primo profilo, che sarebbe violata la direttiva n. 53 (art.
 2) della legge delega n. 81 del 1987, dato che questa prevede che  il
 giudizio   abbreviato   puo'   essere   celebrato  solo  nell'udienza
 preliminare e pone come condizione di ammissibilita' che  il  giudice
 ritenga di poter decidere allo stato degli atti;
    La  circostanza,  poi, che nel giudizio abbreviato in questione, a
 differenza di quello ordinario (artt. 438 ss.), non sia prevista tale
 condizione e che per esso sia stabilito che il giudice, ove non possa
 decidere  allo  stato  degli  atti,  svolga   d'ufficio   "un'anomala
 attivita'  istruttoria" nelle forme previste dall'art. 422 cod. proc.
 pen. (la cui  applicabilita'  e'  invece  espressamente  esclusa  nel
 giudizio   ordinario:   art.   441),  concreterebbe,  ad  avviso  del
 rimettente, una irrazionale disparita' di trattamento (art.  3  della
 Costituzione);
    Sotto  altro profilo, analoga disparita' sarebbe ravvisabile se il
 giudizio in questione "si  dovesse  risolvere,  come  e'  stato  gia'
 osservato   dalla   dottrina,   in  un  giudizio  dibattimentale  con
 istruttoria, caratterizzato da una riduzione obbligatoria della  pena
 senza corrispettivo processuale";
    1.1.  -  La  medesima  questione  e'  stata sollevata dallo stesso
 Tribunale di Piacenza con altra ordinanza del 19 maggio 1992, recante
 motivazione identica.
    2. - Intervenendo nel primo dei suddetti  giudizi,  il  Presidente
 del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
 Generale  dello  Stato,  sostiene  che  la  prima  censura   non   e'
 correttamente proposta, perche' il punto della legge delega sul quale
 trova  fondamento la disciplina relativa alla trasformazione del rito
 nel giudizio direttissimo non e' il n. 53, che riguarda il potere del
 giudice di pronunciare anche  nell'udienza  preliminare  sentenza  di
 merito,  ma  il  n.  43,  che  conferisce  per  l'appunto al pubblico
 ministero  il  potere  di  presentare  l'imputato   direttamente   in
 giudizio;
    La  differenza,  poi, tra giudizio abbreviato ordinario e giudizio
 abbreviato atipico derivante dalla conversione del rito direttissimo,
 consistente nel fatto che solo nel primo vi e'  obbligo  di  decidere
 allo stato degli atti, si giustifica considerando che quest'ultimo si
 celebra  a brevissima distanza di tempo dalla ricezione della notizia
 di reato, cio' che giustifica sia una carenza d'indagine da parte del
 pubblico ministero che l'esigenza di far  ricorso  ad  un  correttivo
 idoneo ad integrare il materiale probatorio esistente. D'altra parte,
 risponde  a  criteri  di  razionalita' che, ove appaia impossibile la
 decisione allo stato  degli  atti,  si  eviti  la  retrocessione  del
 procedimento   dalla   fase   dibattimentale  a  quella  dell'udienza
 preliminare - certamente antieconomica -  e  la  ancor  piu'  gravosa
 retrocessione alla fase delle indagini preliminari;
    Del  resto,  osserva  l'Avvocatura,  la  differenza  di disciplina
 appare "destinata ad attenuarsi se non ad annullarsi alla luce  delle
 indicazioni  contenute  nella sentenza della Corte costituzionale" n.
 92 del 1992.
                        Considerato in diritto
    1. - Con le  ordinanze  indicate  in  epigrafe,  il  Tribunale  di
 Piacenza  dubita  che l'art. 452, secondo comma, cod. proc. pen. , in
 quanto stabilisce che il giudizio abbreviato derivante da conversione
 del giudizio direttissimo - a differenza di quello  ordinario  (artt.
 438  ss.  cod.  proc.  pen.)  -  si celebri in dibattimento e non sia
 condizionato alla sua decidibilita' allo stato degli atti, ma conosca
 anzi lo svolgimento d'ufficio di "un'anomala attivita'  istruttoria",
 contrasti:
      con  l'art.  76  della Costituzione, dato che la direttiva n. 53
 della legge delega prevede che il giudizio abbreviato si svolga  solo
 all'udienza preliminare e solo se il processo risulti decidibile allo
 stato degli atti;
      con  l'art. 3 della Costituzione, perche' le suddette differenze
 rispetto   al   giudizio   abbreviato    ordinario    concreterebbero
 un'irrazionale  disparita' di trattamento sia tra i due riti, sia tra
 situazioni processuali omogenee, dato che il  rito  in  questione  si
 risolverebbe   in   un   giudizio   dibattimentale  con  istruttoria,
 caratterizzato  da  una  riduzione  obbligatoria  della  pena   senza
 corrispettivo processuale.
    2. - La questione non e' fondata.
    La  censura  di  violazione  della  legge  delega  si  fonda su un
 meccanico raffronto tra la disciplina posta dalla norma  impugnata  e
 lo  schema  del  giudizio  abbreviato desumibile dal tenore letterale
 della direttiva n. 53 dell'art. 2 della legge delega. Tale direttiva,
 peraltro, proprio perche' contiene  la  disciplina  fondamentale  per
 l'ipotesi  tipica  di  giudizio  abbreviato  che  si innesti nel rito
 ordinario, non puo' ritenersi preclusiva di variazioni ed adattamenti
 che valgano a meglio inserirlo nei vari riti speciali che  lo  stesso
 legislatore delegante ha previsto;
    D'altra  parte  se  il legislatore delegato si fosse attenuto alla
 lettura  della  direttiva,  ed   in   particolare   alla   previsione
 concernente  lo  svolgimento  del  giudizio  abbreviato  nell'udienza
 preliminare, ne sarebbe derivato che tale giudizio non avrebbe potuto
 aver luogo nel processo pretorile e nei procedimenti speciali - tra i
 quali il rito direttissimo - caratterizzati dall'assenza dell'udienza
 preliminare. Essendo il giudizio abbreviato un  rito  particolarmente
 semplificato,  cio' avrebbe comportato una sostanziale pretermissione
 del criterio  generale  della  massima  semplificazione  posto  dalla
 direttiva  n.  1  della  legge delega; e, per altro verso, ne sarebbe
 derivata la sottrazione agli imputati nei cui confronti  si  instaura
 un  procedimento  speciale  della  possibilita'  di beneficiare della
 riduzione di pena collegata al  giudizio  abbreviato,  cio'  che  non
 avrebbe  potuto  dirsi  conforme  al  canone generale di rispetto dei
 principi della Costituzione - tra i quali quello  dell'eguaglianza  -
 posto dal primo comma dell'art. 2 della medesima legge delega;
    Quanto  poi  all'attribuzione  al giudice dibattimentale investito
 del giudizio direttissimo della competenza a  celebrare  il  giudizio
 abbreviato,  e'  noto che nel progetto preliminare (art. 446, secondo
 comma) era  previsto  che,  di  fronte  alla  richiesta  di  giudizio
 abbreviato,  il giudice dibattimentale avrebbe dovuto trasmettere gli
 atti al giudice dell'udienza preliminare.
    Ma poiche' una tale retrocessione avrebbe evidentemente comportato
 un allungamento dei tempi per l'introduzione di  detto  giudizio,  la
 scelta definitiva del legislatore delegato deve ritenersi coerente al
 gia' citato criterio della massima semplificazione;
    Nemmeno   merita   censura   la   previsione   che   non   a'ncora
 l'ammissibilita' del giudizio abbreviato derivante da conversione del
 giudizio  direttissimo  ad  una  previa  valutazione  giudiziale   di
 decidibilita'  allo  stato degli atti e che consente in tale giudizio
 lo  svolgimento,  nelle  forme   previste   dall'articolo   422,   di
 un'attivita' di integrazione probatoria: cio' che, secondo il giudice
 a  quo, darebbe luogo a violazione tanto dell'art. 76 che dell'art. 3
 della Costituzione;
    Al riguardo, deve ricordarsi che  questa  Corte,  occupandosi  del
 giudizio  abbreviato  ordinario sotto il profilo dell'incidenza sulla
 sua introduzione di scelte discrezionali del pubblico ministero circa
 le indagini da  esperire  o  comunque  connesse  alla  sua  strategia
 processuale,  ha  gia' affermato - nella sentenza n. 92 del 1992 - la
 necessita', "al fine di ricondurre l'istituto a piena sintonia con  i
 principi  costituzionali,  che  il vincolo derivante dalle scelte del
 pubblico ministero sia  reso  superabile  con  l'introduzione  di  un
 meccanismo  di  integrazione  probatoria",  che spetta al legislatore
 concretizzare.  "La  configurazione  del  giudizio  abbreviato   come
 giudizio  "a  prova contratta", rigorosamente delimitato dallo "stato
 degli atti", invero, "non e' affatto un  connotato  ineliminabile  di
 tale  giudizio":  tant'e' che nella sua configurazione originaria era
 previsto - sulla falsariga di analoghi istituti stranieri  -  che  il
 giudice  potesse  integrare  lo  stato  degli  atti disponendo quelli
 ulteriori indispensabili  per  la  decisione  (cfr.  il  testo  delle
 direttive  nn.  47  e 48 della legge delega del 1982, approvato dalla
 Commissione giustizia della Camera il 15 luglio 1982: atti Camera, IX
 legislatura, Rel.  min.  ,  doc.  691,  19).  Del  resto,  la  stessa
 Relazione  al  progetto preliminare del codice riferisce (p. 282) che
 "ampia parte" della  Commissione  redigente  sostenne  che  occorreva
 ammettere nel giudizio abbreviato un'integrazione probatoria;
    In questa prospettiva, il raffronto proposto dal giudice a quo non
 puo'  essere  preso  in  considerazione,  dato che e' proprio il dato
 normativo assunto come termine di comparazione a rivelarsi caduco. Ed
 e' anzi da aggiungere che  i  problemi  di  conformita'  ai  principi
 costituzionali gia' esaminati nella citata sentenza n. 92 del 1992 si
 ripresenterebbero a maggior ragione nel giudizio abbreviato derivante
 da  conversione  del  giudizio  direttissimo,  dato  che questo viene
 instaurato sulla base di una scelta esclusiva del pubblico  ministero
 e delle indagini da lui ritenute necessarie, senza che queste possano
 essere integrate nell'udienza preliminare ai sensi dell'art. 422 cod.
 proc. pen.;
    Ne'  puo',  infine,  condividersi  il  rilievo  del  giudice a quo
 secondo cui il giudizio in questione si risolverebbe in  un  giudizio
 dibattimentale  con  istruttoria,  caratterizzato  da  una  riduzione
 obbligatoria della pena senza corrispettivo processuale. Si e' invero
 gia' osservato, nella predetta sentenza, che la rinuncia  al  diritto
 ad  eventuali allegazioni difensive non e' un connotato ineliminabile
 del  giudizio  abbreviato, dato che a giustificare la riduzione della
 pena e' sufficiente la realizzazione dell'interesse  dell'ordinamento
 alla   semplificazione   attraverso   la  rinuncia  dell'imputato  al
 dibattimento ed il riconoscimento del valore di prova  agli  elementi
 acquisiti dal pubblico ministero.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  452,  secondo  comma,  del  codice  di  procedura   penale
 sollevata  in  riferimento  agli  artt. 3 e 76 della Costituzione dal
 Tribunale di Piacenza con ordinanze del 7 aprile
 e 19 maggio 1992.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 8 febbraio 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 16 febbraio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0154