N. 76 SENTENZA 26 febbraio - 11 marzo 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 "
 Processo penale - Dibattimento  -  Incompetenza  per  materia  e  per
 territorio - Ordine della trasmissione degli atti al giudice ritenuto
 competente  anziche'  al  p.m.  presso  di  esso  -  Incidenza  sulle
 valutazioni dell'imputato circa la convenienza del rito speciale  che
 dipendono  dalla  concreta impostazione data al procedimento dal p.m.
 riguardo  ai  profili  legati   alla   competenza   per   materia   -
 Illegittimita' costituzionale.
 "
 Processo  penale  -  Dibattimento  -  Esercizio dell'azione penale da
 parte di un p.m. equiordinato in caso  di  intervenuta  dichiarazione
 d'incompetenza  per territorio - Identita' del fatto e del titolo del
 reato contestato - Rispetto dei ruoli processuali - Non fondatezza.
 "
 (C.P.P., art. 23, primo comma).
 
 (Cost., artt. 102, primo comma, e 112; c.p.p., artt. 1  e  50,  primo
 comma).
(GU n.12 del 17-3-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 23 del codice di
 procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 23  dicembre  1991
 dal Pretore di Isernia, il 16 marzo 1992 dal Tribunale di Roma, il 21
 gennaio  e  28  febbraio  1992 dal Tribunale di Udine, il 13 febbraio
 1992 dal Tribunale di Varese, il  25  marzo  1992  dal  Tribunale  di
 Potenza,  il 23 dicembre 1991 (n. 3 ordinanze) dal Pretore di Messina
 - Sezione distaccata di Francavilla di Sicilia, il 4 giugno 1992  (n.
 2  ordinanze)  dal  Tribunale  di  Avezzano  e  il 1› giugno 1992 dal
 Tribunale di Torino, rispettivamente iscritte ai nn. 264,  280,  285,
 288,  320,  425, 432, 433, 434, 469, 470 e 493 del registro ordinanze
 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  nn.  21,
 22, 26, 37, 38 e 40, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 19 novembre  1992  il  Giudice
 relatore Francesco Guizzi;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Con sentenza pronunciata il 23 ottobre 1991, il Tribunale di
 Isernia  -  dichiarata  la  propria  incompetenza   per   materia   -
 trasmetteva  gli  atti  al Pretore del luogo, il quale, con ordinanza
 del 23 dicembre 1991, sollevava, in relazione agli articoli 3,  24  e
 25  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 23 del codice di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui
 prevede  che  il giudice del dibattimento, quando dichiara la propria
 incompetenza, ordini la trasmissione degli atti al giudice competente
 e non al pubblico ministero presso quest'ultimo.
    A dire del remittente, il disposto dell'art. 23 del codice di rito
 violerebbe  la  norma  contenuta  nell'art.  3  della   Costituzione,
 palesandosi  una disparita' di trattamento tra colui che e' citato al
 giudizio del pretore a seguito della  dichiarazione  di  incompetenza
 del tribunale e colui che e' citato davanti al pretore, attraverso le
 vie  fisiologiche,  dal  pubblico  ministero.  Solo nel secondo caso,
 infatti, l'imputato potrebbe evitare il dibattimento, facendo ricorso
 ai riti alternativi e, in particolare, al giudizio abbreviato.
    Si  pone  altresi'  in  rilievo  anche una violazione dell'art. 24
 della Costituzione,  non  potendo  l'imputato  far  ricorso  ai  riti
 alternativi  con  evidente menomazione del suo diritto di difesa. Ne'
 varrebbe opporre la considerazione in base alla quale l'imputato gia'
 in precedenza sarebbe stato  nella  condizione  di  adire  tali  riti
 innanzi  al  giudice  (incompetente) dell'udienza preliminare, atteso
 che la dichiarazione d'incompetenza travolgerebbe tutti gli atti  con
 la sanzione della nullita' (salve le eccezioni di cui all'art. 26 del
 codice di procedura penale).
    Viene  infine  segnalato  dal  remittente un preteso contrasto con
 l'art. 25 della Costituzione e, in ispecie, con  il  principio  della
 precostituzione  del  giudice  naturale ivi contenuto, poiche' per il
 disposto  della  norma  censurata  il  pretore  dovrebbe  formare  il
 fascicolo  per  il  dibattimento,  mentre  invece  egli  e', ai sensi
 dell'art.   558   del   codice   di   procedura   penale,   investito
 legittimamente del processo solo quando riceve il fascicolo medesimo.
    2. - Con due ordinanze di identico contenuto, emesse il 21 gennaio
 e  il  28 febbraio 1992, il Tribunale di Udine ha sollevato questione
 di legittimita' costituzionale del predetto art.  23  in  riferimento
 agli  artt.  3,  primo  comma,  e 24 della Costituzione. Gli imputati
 erano stati citati a giudizio davanti al Pretore di Udine,  il  quale
 aveva  declinato  con  sentenza  la  propria competenza per materia e
 aveva ordinato la trasmissione degli atti al Tribunale.
    Essendo stata  esercitata  in  modo  erroneo  l'azione  penale,  i
 prevenuti   si   troverebbero   ora  privati  non  solo  dell'udienza
 preliminare, ma  soprattutto  della  possibilita'  di  richiedere  il
 giudizio  abbreviato.  La  qual  cosa comporterebbe una disparita' di
 trattamento rispetto a coloro che, pur imputati del  medesimo  titolo
 di  reato, siano stati tratti a giudizio senza passare attraverso una
 pronuncia di incompetenza.
    Oltre alla lesione del principio di eguaglianza dei  cittadini  di
 fronte  alla legge, la norma impugnata, per le stesse considerazioni,
 violerebbe il diritto di difesa dell'imputato. Secondo  il  Tribunale
 remittente,   infatti,   non  si  potrebbe  accedere  a  una  diversa
 interpretazione  della  nozione  di  "giudice  competente",  di   cui
 all'art.  23, che andrebbe univocamente interpretato come giudice del
 dibattimento, in considerazione del principio di non regressione  del
 processo  in  una  fase  precedente  a quella in cui viene dichiarata
 l'incompetenza. Ne' sarebbe possibile proporre, per la  prima  volta,
 l'istanza per il rito abbreviato dinanzi al tribunale, poiche' in tal
 modo  si  verrebbe a introdurre nell'ordinamento una nuova disciplina
 di tale istituto processuale (regolato dagli  artt.  438  e  ss.  del
 codice  di  procedura  penale) mediante una interpretazione analogica
 con effetto normativo preclusa al giudice ordinario.
    3. - Con ordinanza pronunciata il 13 febbraio 1992,  il  Tribunale
 di   Varese,   investito   del   procedimento   successivamente  alla
 dichiarazione di incompetenza per materia da  parte  del  Pretore  di
 Varese,   ha   sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 23, primo  comma,  del  codice  di  procedura  penale,  per
 contrasto  con  l'art.  3  della Costituzione, nella parte in cui non
 prevede la  trasmissione  degli  atti  al  giudice  per  le  indagini
 preliminari.
    Ha  osservato  il Tribunale che, stante il principio di divieto di
 regressione del procedimento, il "giudice competente",  indicato  dal
 predetto  art. 23 come destinatario degli atti, dovrebbe individuarsi
 nel giudice del  dibattimento  e,  quindi,  una  volta  trasmesso  il
 procedimento dal pretore al tribunale, si perverrebbe al risultato di
 privare  l'imputato  dell'udienza  preliminare  e  della  facolta' di
 richiedere il rito abbreviato. Tale restrizione, a  carico  dei  soli
 imputati  che  abbiano  visto  instaurare  il  giudizio davanti ad un
 giudice incompetente, sarebbe con  tutta  evidenza  ingiustificata  e
 determinerebbe  una  disparita' di trattamento rispetto a coloro che,
 imputati dello stesso titolo di reato, non abbiano sofferto  l'errore
 procedurale. Ne' le esigenze di celerita' processuale, che secondo il
 remittente  sarebbero  alla  base  della  norma censurata, potrebbero
 giustificatamente prevalere sull'interesse dell'imputato a conseguire
 attraverso il rito abbreviato una diminuzione della pena.
    4. - Con ordinanza del 16 marzo 1992, a seguito della declaratoria
 di incompetenza per materia del Pretore,  il  Tribunale  di  Roma  ha
 sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 23,
 primo comma, del codice di rito per violazione degli  artt.  3  e  24
 della Costituzione.
    Ha  osservato  il  Tribunale  che,  in base al principio della non
 regredibilita' del processo a una fase antecedente, si deve escludere
 la  possibilita'  di  una  interpretazione  diversa  da  quella   che
 individua  nel  giudice  del  dibattimento il destinatario degli atti
 trasmessi per effetto della sentenza di incompetenza per  materia  di
 cui  all'art.  23,  primo  comma.  Quando  il  legislatore  ha voluto
 ravvisare un diverso destinatario - e' l'ipotesi contenuta  nell'art.
 22,  terzo comma, dello stesso codice - lo ha, infatti, espressamente
 detto. L'indicazione del "giudice competente" non potrebbe  ritenersi
 come  riferita  al  giudice  per  le indagini preliminari, atteso che
 quest'ultimo non avrebbe poteri di iniziativa, ma  agirebbe  solo  su
 impulso  del  pubblico  ministero e, dunque, essa dovrebbe intendersi
 rapportata al giudice del dibattimento.
    Per   l'imputato   conseguirebbe   la   privazione    dell'udienza
 preliminare  e,  quindi,  della possibilita' di far valere le ragioni
 della  sua   innocenza,   con   palese   sacrificio   del   principio
 costituzionale   sancito   dall'art.   24,   secondo   comma,   della
 Costituzione.
    La norma impugnata verrebbe  a  creare  anche  una  disparita'  di
 trattamento, censurabile sotto il profilo dell'art. 3, tra l'imputato
 nei  cui  confronti  il  processo  si sia svolto ab initio secondo le
 norme che regolano il procedimento innanzi al tribunale e quello che,
 per lo stesso reato, sia sottoposto  al  giudizio  del  tribunale  in
 seguito a una sentenza pretorile di incompetenza.
    5.  -  Con  sentenza  pronunciata  il  25 marzo 1991 il Pretore di
 Potenza, dichiarata la propria incompetenza per materia,  trasmetteva
 gli  atti al Tribunale del luogo, che con ordinanza del 25 marzo 1992
 sollevava, in relazione agli artt. 3, 24 e  112  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 23 del codice di
 procedura penale.
    A dire del remittente, il disposto  di  tale  articolo  violerebbe
 l'art.  3 della Costituzione, rivelando una disparita' di trattamento
 tra colui che e' citato a giudizio  del  tribunale  in  seguito  alla
 dichiarazione  di  incompetenza  del  pretore  e  colui che e' invece
 citato,  secondo  il  citato  iter,  davanti   al   tribunale.   Solo
 nell'ultimo  caso  si  instaurerebbe  l'udienza  preliminare  con  la
 possibilita' di definire in questa sede il processo.  D'altra  parte,
 si  verrebbe a determinare anche una violazione del diritto di difesa
 (art. 24, secondo comma, della Costituzione): il  sistema  introdotto
 dal  nuovo  codice priverebbe, infatti, l'imputato sia della facolta'
 di  avvalersi  dell'udienza  preliminare,  nella  quale   difendersi,
 evitando  il rinvio a giudizio ed il pubblico dibattimento, sia della
 possibilita'  di  utilizzare  i  riti  alternativi  (in  ispecie,  il
 giudizio  abbreviato) sulla base di valutazioni riferite alla diversa
 entita' del reato quale ritenuto nella sentenza di  incompetenza.  La
 norma   impugnata,   infine,   urterebbe   contro  l'art.  112  della
 Costituzione, venendo a spogliare il  pubblico  ministero  presso  il
 giudice  competente  dei suoi poteri di iniziativa che, certo, non si
 potrebbero ritenere validamente  esercitati  dal  pubblico  ministero
 presso il giudice dichiaratosi incompetente.
    6. - Con tre ordinanze di identico contenuto, emesse tutte in data
 23  dicembre  1991,  il  Pretore  di  Messina - sezione distaccata di
 Francavilla di Sicilia, investito  dei  procedimenti  sulla  base  di
 altrettante  pronunce  di  incompetenza per territorio del Pretore di
 Catania,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'   costituzionale
 dell'art.  23 del codice di procedura penale, in relazione agli artt.
 1 e 50, primo comma, dello stesso codice, per violazione degli  artt.
 102,  primo  comma,  e  112  della  Costituzione,  nella parte in cui
 prevede che il giudice del dibattimento di primo grado, dichiarandosi
 incompetente (per territorio), ordini la trasmissione degli  atti  al
 giudice  ritenuto  competente  anziche'  al pubblico ministero presso
 quest'ultimo.
    Ha osservato il Pretore che ben piu' razionale  soluzione  sarebbe
 quella di imporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero al
 fine  di  consentire  a  quest'ultimo  la  scelta tra la proposizione
 dell'accusa e la sua archiviazione (ove l'accusa sia  smentita  dagli
 atti  raccolti o non abbastanza provata). L'art. 23, primo comma, del
 codice di rito vincolerebbe, invece, il pubblico ministero (anche nel
 caso di un  procedimento  male  instaurato)  alle  valutazioni  delle
 risultanze  processuali  fatte  dal  suo  omologo  presso  il giudice
 incompetente, violando il  principio  della  titolarita'  dell'azione
 penale  da  parte del pubblico ministero presso il giudice competente
 per territorio.
    Tale meccanismo, del tutto irrazionale, sarebbe in  contrasto  con
 gli artt. 102, primo comma, e 112 della Costituzione.
    7.  -  Con  due  ordinanze di identico contenuto, pronunciate il 4
 giugno 1992, il  Tribunale  di  Avezzano,  investito  dei  giudizi  a
 seguito  della dichiarazione di incompetenza per materia da parte del
 Pretore  di  Celano,   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 23, primo comma, per contrasto con gli artt.
 3 e 24 della Costituzione.
    Ha  osservato il Tribunale che il principio di non regressione del
 processo, come enunciato nel predetto articolo del  codice  di  rito,
 viene a privare l'imputato dell'intera fase dell'udienza preliminare,
 tipica  del  processo  di  tribunale, con riflessi ablativi di alcuni
 diritti  e  facolta'  di  difesa,  quali  la  richiesta  di  giudizio
 abbreviato  ovvero  la  possibilita' del proscioglimento all'esito di
 tale udienza, con un'evidente violazione dei principi  costituzionali
 della  parita'  di trattamento e dell'inviolabilita' del diritto alla
 difesa di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    8.  -  Con  ordinanza  dell'1  giugno 1992 emessa dal Tribunale di
 Torino conseguentemente alla declaratoria di incompetenza per materia
 del Pretore, e' stata sollevata, per violazione degli artt. 112, 3  e
 24  della  Costituzione,  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 23, primo comma, del  codice  di  procedura  penale,  nella
 parte  in  cui  si  prevede  la  trasmissione  degli atti dal giudice
 incompetente per materia al giudice di competenza superiore.
    Ha osservato il Tribunale che la normativa impugnata,  innovatrice
 rispetto  alla  disciplina prevista dal codice abrogato, realizza una
 vera e propria perpetuatio judicii. Imponendo il  non  ritorno  degli
 atti  all'ufficio  del  pubblico  ministero nel caso di dichiarazione
 d'incompetenza di altro giudice,  essa  comporterebbe  un'investitura
 diretta   del  giudice  identificato  come  competente  e,  pertanto,
 contrasterebbe con l'art. 112 della Costituzione che pone in capo  al
 solo  pubblico  ministero  il  potere-dovere  di  esercitare l'azione
 penale.
   Se il principio della perpetuatio judicii appare corretto nel  caso
 della  dichiarazione  d'incompetenza  territoriale  (poiche' l'azione
 penale sarebbe gia' stata iniziata e lo spostamento del  procedimento
 nulla  aggiungerebbe  al  gia'  avvenuto  esercizio  dell'azione), in
 presenza d'una declaratoria d'incompetenza per materia tale esso  non
 sarebbe.  In  questo  caso il fatto potrebbe risultare diverso o piu'
 grave rispetto a quello  originariamente  contestato  e,  allora,  si
 renderebbe  necessaria l'iniziativa del pubblico ministero per la sua
 definizione. In mancanza, essendo il giudice a rilevare d'ufficio  la
 diversita' e ordinare la trasmissione degli atti a quello competente,
 egli  finirebbe  per  divenire  partecipe  dell'esercizio dell'azione
 penale, cio' che per Costituzione gli e' precluso.
    Inoltre, nel  passare,  da  una  sede  processuale  di  competenza
 inferiore  a  un'altra di competenza superiore, si verrebbe a privare
 l'imputato della possibilita' di richiedere il  rito  abbreviato  che
 egli  poteva  non  avere interesse a richiedere di fronte ad un reato
 minore, mentre potrebbe avere interesse a richiedere di fronte  a  un
 reato  piu'  grave  non  ritualmente  contestatogli.  Senza il vaglio
 dell'udienza preliminare, si verrebbe a spogliare l'imputato  di  una
 garanzia  propria  del  procedimento di primo grado che non si svolge
 davanti al pretore, palesandosi un  contrasto  con  l'art.  3,  primo
 comma,  della Costituzione (per disparita' di trattamento di fronte a
 situazioni oggettivamente eguali) e con l'art. 24, secondo comma (per
 la   limitazione    delle    potenzialita'    difensive    assicurate
 all'imputato).
    9.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale
 ha chiesto, con altrettanti atti di intervento,  la  declaratoria  di
 infondatezza di ogni questione di costituzionalita' sollevata.
    A sostegno di tale assunto, l'Avvocatura ha osservato che la ratio
 dell'art.  23,  primo comma, del codice di procedura penale e' quella
 di  evitare  la  regressione  del  procedimento  alla  fase  iniziale
 dell'esercizio  dell'azione  penale  da parte del pubblico ministero.
 Con la conseguente necessita' di rimettere il procedimento al giudice
 competente per la stessa fase (quella del  dibattimento)  in  cui  il
 processo  si  trovava,  si'  che il decreto di citazione non varrebbe
 come atto di esercizio dell'azione  penale,  ma  solo  di  fissazione
 della nuova udienza dibattimentale.
    Si tratterebbe dunque d'una scelta di economia processuale che non
 violerebbe alcun principio costituzionale: la trasmissione degli atti
 al  giudice  competente non priverebbe l'organo nel suo complesso del
 potere di esercizio dell'azione penale, ne' trasferirebbe in capo  al
 giudice competente un potere di valutazione circa tale esercizio.
    La procedura di cui all'articolo in questione non violerebbe alcun
 principio costituzionale:
       a)  non  quello  di  eguaglianza  (art.  3 della Costituzione),
 giacche' la situazione dell'imputato citato per  la  prima  volta  in
 giudizio sarebbe diversa rispetto a quella di colui nei cui confronti
 l'azione  penale  e'  stata gia' esercitata, anche se deve proseguire
 davanti a un giudice diverso;
       b)  non  quello  del  diritto  di   difesa   (art.   24   della
 Costituzione),  perche'  nella fase precedente l'imputato ha avuto la
 possibilita'  di  richiedere  i  riti  alternativi,  ma  non  ne   ha
 usufruito, percio' "bruciando" tale sua facolta';
       c)  non,  infine,  quello  del  giudice naturale (art. 25 della
 Costituzione), in quanto al nuovo giudice  viene  trasmesso  solo  il
 fascicolo dibattimentale e non anche quello del pubblico ministero.
    Circa  l'infondatezza  della  questione  sollevata  dal Pretore di
 Messina - sezione distaccata di Francavilla di Sicilia,  l'Avvocatura
 ha  osservato  che  l'art.  112  della  Costituzione  non  puo' dirsi
 violato, in quanto l'azione penale e' stata correttamente  esercitata
 dall'ufficio  del  p.m.,  anche  se  poi  risultato  incompetente per
 territorio, mentre il profilo relativo  all'art.  102,  primo  comma,
 della  Costituzione,  invocato  nelle  tre  ordinanze  in  precedenza
 richiamate, non troverebbe alcuna  giustificazione  dal  momento  che
 detta   norma  tutela  il  principio  della  giurisdizione  ordinaria
 rispetto a quelle speciali, si' che la relativa questione non  sembra
 avere alcun collegamento con il caso in esame.
                        Considerato in diritto
    1.   -   Le   dodici   ordinanze   sopra  analizzate  sottopongono
 all'attenzione della Corte questioni di  costituzionalita'  dell'art.
 23, primo comma, del codice di procedura penale:
       a)  nella parte in cui prevede che il giudice del dibattimento,
 quando dichiara  la  propria  incompetenza  per  materia,  ordini  la
 trasmissione  degli  atti  al giudice ritenuto competente anziche' al
 pubblico ministero presso  quest'ultimo  (ordinanze  del  Pretore  di
 Isernia  e dei Tribunali di Udine, Roma e Potenza, Avezzano e Torino)
 e, in un caso  (ordinanza  del  Tribunale  di  Varese),  anziche'  al
 relativo  giudice  per  le indagini preliminari, variamente motivando
 con riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 112 della Costituzione;
       b) nella parte in cui prevede che il giudice  del  dibattimento
 del   primo  grado,  quando  dichiara  la  propria  incompetenza  per
 territorio, ordini la trasmissione degli  atti  al  giudice  ritenuto
 competente  anziche'  al  pubblico ministero presso quest'ultimo (tre
 ordinanze del Pretore di Messina - sezione distaccata di  Francavilla
 di  Sicilia),  sempre  motivando con riferimento agli artt. 102 e 112
 della Costituzione.
    2. - La questione sub a) e' fondata, la' dove  si  duole  che  gli
 atti  non  siano  trasmessi  al  pubblico ministero presso il giudice
 ritenuto competente per materia in sede di applicazione dell'art. 23,
 primo comma, codice di procedura penale.
    Il  discorso  non  puo'  non prendere le mosse dalla indiscutibile
 premessa  che  la  soluzione  ivi  delineata  quale   seguito   della
 declaratoria  d'incompetenza  per  materia  da  parte del giudice del
 dibattimento priva l'imputato della  possibilita'  di  richiedere  il
 giudizio  abbreviato  in ordine alla situazione profondamente diversa
 insorta per effetto di un errore  in  precedenza  da  altri  commesso
 nella   individuazione  della  competenza  per  materia  e  solo  ora
 riscontrato dal giudice investito del dibattimento. E cio' tanto  nel
 caso  in  cui  gli  atti  vengano trasmessi dal pretore al tribunale,
 quanto nel caso  inverso,  entrambi  variamente  riscontrabili  nelle
 vicende   oggetto   dei  procedimenti  a  quibus,  ma  non  senza  la
 possibilita' di ampliare la visuale anche  ai  casi  di  incompetenza
 ravvisata da o verso la Corte di assise.
    La  declaratoria  d'incompetenza  rivela,  di  per se', l'avvenuta
 violazione delle norme  penali  e  processuali  su  cui  si  basa  la
 ripartizione  della  competenza  per  materia: una violazione che - o
 dovuta ad una erronea applicazione  delle  disposizioni  preposte  al
 riparto  della stessa o dovuta a una erronea qualificazione giuridica
 del  fatto  -  riguarda  non  soltanto  l'individuazione  dell'organo
 chiamato  in  concreto  a  esercitare  la  giurisdizione, ma anche la
 sostanza stessa dell'azione penale. Quale che sia, dunque, la "fonte"
 di siffatta valutazione, risulta lesivo  del  diritto  di  difesa  il
 precludere  all'imputato,  in  una  situazione  cosi'  modificata, la
 possibilita' di richiedere rispetto ad  essa  l'instaurazione  di  un
 rito   che   comporta   notevoli  benefici  (soprattutto  in  termini
 sanzionatori) qual e' il giudizio abbreviato.  Un  rito  che,  certo,
 l'imputato  non  aveva  ritenuto  di  attivare  o  che  gli era stato
 impedito di ottenere dal  mancato  consenso  del  pubblico  ministero
 ovvero  dal  rigetto del giudice per le indagini preliminari, ma cio'
 sulla base di un errore (v. anche l'art. 21, primo comma,  codice  di
 procedura penale) attribuibile al pubblico ministero.
    E'  indubitabile,  infatti, che le valutazioni dell'imputato circa
 la convenienza del rito speciale vengono a dipendere anzitutto  dalla
 concreta  impostazione  data  al processo dal pubblico ministero, con
 particolare riguardo ai profili legati alla competenza  per  materia,
 quali l'esatta individuazione del correlativo giudice, con importanti
 riflessi  sulle  metodologie  processuali corrispondenti alle diverse
 competenze per materia. Analogamente, la  valutazione  da  parte  del
 pubblico  ministero o del giudice delle indagini preliminari circa la
 definibilita'  del  processo   allo   stato   degli   atti   potrebbe
 concludersi,   in   relazione   alla  nuova  situazione  processuale,
 diversamente  da  quanto  ritenuto  relativamente   alla   situazione
 originaria  nel  senso  di  non  dar corso alla richiesta di giudizio
 abbreviato allora presentata dall'imputato.
    Va aggiunto che la variazione presa in esame  dalle  ordinanze  di
 rinvio   a  giudizio  non  riguarda  una  evenienza  per  cosi'  dire
 fisiologica del procedimento, come quella della contestazione  di  un
 reato  concorrente  o  di  una  circostanza  aggravante emergente dal
 dibattimento ai sensi dell'art. 517 codice di  procedura  penale,  in
 ordine  alla  quale  questa  Corte  ha considerato non illegittima la
 preclusione dei riti speciali (sent. n. 593 del 1990 e ordd. nn.  213
 del  1992,  515,  116  e  11 del 1991), ma, in quanto derivante da un
 errore, pone  riparo  a  una  "patologia"  processuale  che,  proprio
 perche' tale, non puo' risolversi in un pregiudizio per l'imputato di
 essa non responsabile.
    L'art.  23,  primo  comma,  codice  di  procedura penale va dunque
 dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui  prevede
 che,  a  seguito della dichiarazione di incompetenza per materia, gli
 atti siano trasmessi al  giudice  ritenuto  competente,  anziche'  al
 pubblico ministero presso quest'ultimo.
    Restano  pertanto  assorbiti  gli ulteriori parametri invocati dai
 giudici a quibus.
    3. - La questione sub b),  sollevata  dal  Pretore  di  Messina  -
 sezione  distaccata  di  Francavilla  di  Sicilia  con  riguardo alla
 declaratoria di incompetenza territoriale, non e', invece, fondata.
    Nella situazione presa in considerazione dal Pretore remittente  -
 non  riscontrandosi  una novita' di contestazione dell'accusa tale da
 ledere il diritto di difesa dell'imputato in ordine alla  scelta  del
 rito,  come  implicitamente riconosce lo stesso giudice a quo, con il
 non eccepire la violazione degli artt. 3 e 24  della  Costituzione  -
 non vi e' lesione dei due parametri invocati (artt. 102, primo comma,
 e  112  della  Costituzione,  in  relazione  agli artt. 1 e 50, primo
 comma,  codice  di  procedura   penale).   Infatti,   nonostante   la
 intervenuta  dichiarazione  d'incompetenza  per  territorio, l'azione
 penale a carico dell'imputato,  data  l'identita'  del  fatto  e  del
 titolo  di  reato  contestato,  risulta  esercitata da un ufficio del
 pubblico ministero equiordinato, senza partecipazione di alcun organo
 giudicante  alla  formulazione  dell'accusa,  con  conseguente  pieno
 rispetto  dei  ruoli,  quali  gli artt. 102, primo comma, e 112 della
 Costituzione   contribuiscono   a   delineare,   trovando    puntuale
 rispondenza  negli  artt.  1  e  50, primo comma, codice di procedura
 penale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i ricorsi:
       a)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale,  dell'art.  23,
 primo  comma,  codice  di procedura penale nella parte in cui dispone
 che, quando il giudice del  dibattimento  dichiara  con  sentenza  la
 propria  incompetenza  per materia, ordina la trasmissione degli atti
 al  giudice  competente  anziche'  al   pubblico   ministero   presso
 quest'ultimo.
       b)   dichiara   non   fondata   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 23, primo comma, codice di procedura  penale
 sollevata,  in  riferimento  agli artt. 102, primo comma, e 112 della
 Costituzione, e in relazione agli artt. 1 e 50, primo  comma,  codice
 di  procedura  penale, dal Pretore di Messina - sezione distaccata di
 Francavilla di Sicilia con le ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                         Il redattore: GUIZZI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria l'11 marzo 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0225