N. 20 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 17 marzo 1993
N. 20 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 17 marzo 1993 (della regione Veneto) Impiego pubblico - Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego - Previsione della stipulazione di contratti collettivi nazionali vincolanti anche per le regioni - Attribuzione al Presidente del Consiglio dei Ministri del potere di impartire direttive durante la formazione dei contratti stessi ad un apposito organo tecnico (cui partecipano rappresentanti delle regioni) dotato di personalita' giuridica e con la funzione di rappresentanza della parte pubblica - Asserita violazione della sfera di competenza regionale in materia di rapporto di impiego del personale da esso dipendente - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 219/1984, 426/1985, 217/1987, 1001 e 1003 del 1988. (D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, artt. 50, 51 e 52). (Cost., artt. 97 e 117).(GU n.14 del 31-3-1993 )
Ricorso della regione Veneto nella persona del presidente pro- tempore della giunta regionale debitamente autorizzato con delibera della giunta n. 839 del 1½ marzo 1993, immediatamente esecutiva, rappresentata e difesa giusta mandato a margine del presente atto dagli avvocati prof. Giorgio Orsoni e Romano Morra in Venezia e Fabio Lorenzoni di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Alessandria, 130, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri in punto dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 50, 51 e 52 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, pubblicato nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale del 6 febbraio 1993 recante "Norme in materia di organizzazione nelle amministrazioni pubbliche, in attuazione dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421". F A T T O Con la legge di delega al Governo n. 421 del 23 ottobre 1992, sono state dettate norme per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanita', pubblico impiego, previdenza e finanza territoriale. In particolare, nell'art. 2 di detta legge al punto b) si autorizza, tra l'altro il Governo a prevedere: " .. strumenti per la rappresentanza negoziale della parte pubblica, autonoma ed obbligatoria, mediante un apposito organismo tecnico, dotato di personalita' giuridica, sottoposto alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri ..". La norma in questione, in sostanza, prevede che l'organismo di carattere tecnico e dotato di personalita' giuridica, cui partecipano le rappresentanza delle Regione per la formazione dell'accordo sindacale in sede di contrattazione collettiva, puo' operare unicamente "in conformita' alle direttive impartite dal Presidente del Consiglio dei Ministri". Tale vincolo e' in contrasto con l'art. 117 della Costituzione che attribuisce alle regioni la potesta' di emanare, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, norme legis- lative relative agli ordinamenti degli uffici, e con l'art. 97 della Costituzione che assicura il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione. La norma di cui all'art. 2, primo comma, punto d), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e' stata impugnata avanti Codesta ecc.ma Corte per la dichiarazione di incostituzionalita' della medesima in quanto in contrasto con l'art. 117 della Costituzione. Il d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, in attuazione dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, ha dettato "Norme in materia di organizzazione e rapporto di lavoro nelle amministrazioni pubbliche". Le norme di cui agli articoli 50, 51 e 52 del richiamato decreto legislativo sono in contrasto con l'art. 117 e 97 della Costituzione per gli stessi motivi dedotti con il ricorso avverso l'art. 2, primo comma, punto d), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, che, quindi, integralmente si riporta. D I R I T T O Un costante orientamento della Corte costituzionale manifesta la prioritaria e inderogabile necessita' di garantire l'autonomia regionale nelle materie di propria competenza, di cui all'art. 117 della Costituzione. Con sentenza n. 219 del 25 luglio 1984 la Corte ha affrontato i problemi di costituzionalita' della legge 29 marzo 1983, n. 93 (legge quadro sul pubblico impiego) dal punto di vista delle garanzie di autonomia delle regioni a statuto ordinario. In quella occasione e' stato affrontato il problema dell'incompatibilita' con il principio costituzionale di autonomia regionale dell'art. 10, ultimo comma, della legge n. 93/1983 nella parte in cui imponeva alle regioni una perfetta corrispondenza delle leggi regionali di recepimento dell'accordo sindacale al contenuto dello stesso, dichiarando fondata la questione di incostituzionalita'. La norma, infatti, non lasciava alcuno spazio all'autonomia regionale in sede di formulazione della legge di approvazione degli esiti della contrattazione collettiva. In seguito a tale pronuncia la disposizione veniva pertanto modificata nel senso indicato dalla Corte costituzionale con legge 8 agosto 1985, n. 426. L'art. 10 cosi' novellato, infatti, fa salvo che, la disciplina contenuta nell'accordo e approvata con provvedimento regionale in conformita' ai sigoli orientamenti, puo' esere oggetto dei necessari adeguamenti alle peculiarita' dell'ordinamento degli uffici regionali e degli enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni entro il limite delle disponibilita' finanziarie all'uopo stanziate nel bilancio regionale. L'imposizione, contenuta nella norma impugnata all'organismo tecnico di operare in conforita' alle direttive impartite dal Presidente del Consiglio dei Ministri, in sede di contrattazione collettiva, ripropone ora una inammissibile ingerenza nell'autonomia regionale in materia ad essa devoluta dalla Costituzione. Ancor piu' evidente e' l'incostituzionalita' dell'art. 50 della normativa delegata qui impugnata che avrebbe dovuto disciplinare la costituzione di un organismo tecnico per la rappresentanza negoziale della parte pubblica, mentre di fatto si limita a disciplinare i rapporti tra questo e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. In tal modo l'agenzia non e' organicamente collegata al sistema regioni- enti locali per la contrattazione che li riguarda. Ne' tale articolazione puo' essere demandata a quell'atto regolamentare che la norma delegata riserva alla stessa agenzia, giacche' se le garanzie delle prerogative regionali fossero affidate ad un atto interno di autoorganizzazione dell'agenzia, la stessa previsione di questo potere regolamentare confliggerebbe con la Costituzione. La Corte costituzionale ebbe successivamente a pronunciarsi confermando, con sentenza n. 1003 del 27 ottobre 1988, il proprio precedente orientamento di tutela delle prerogative regionali. La stessa dichiarava, infatti, che non spetta allo Stato recepire nel d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, le norme dell'accordo sindacale stipulato il 28 aprile 1987 per la parte concernente il personale delle regioni e conseguentemente annullava lo stesso decreto, nella parte in cui estendeva la propria efficacia a tale personale. La Corte ha voluto, con tale sentenza, riaffermare con estrema incisivita' che si deve escludere in ogni caso un intervento del Governo o di altri organi che si interpongano tra gli accordi sindacali ed il provedimento di approvazione regionale. La Corte ha affermato, infatti, che questa ingerenza puo' condizionare indebitamente la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni attraverso vincoli di contenuto che un decreto presidenziale o un altro atto puo' essere in grado di determinare nei confronti del successivo provvedimento regionale. Tale possibilita' viene attribuita dalla norma impugnata con particolare incisivita'; vista la speciale prerogativa riconosciuta al Presidente del Consiglio in sede di definizione del contenuto dell'accordo collettivo. Anche qui la normativa delegata all'art. 51 riserva al Governo la decisione finale circa l'approvazione dei contratti stipulati dall'agenzia anche per le regioni, per un verso confermando la illegittimita' della legge delegante gia' impugnata dalla regione Veneto, e per altro rinnovando la violazione della Costituzione che qui appunto si eccepisce. Con ulteriori sentenze nn. 217 e 1001 rispettivamente del 3 giugno 1987 e del 27 ottobre 1988 la Corte costituzionale ha posto in rilievo come l'accordo collettivo ha la rilevanza di un atto di cooperazione fra le parti sociali e le parti pubbliche direttamente interessate alla disciplina normativa del personale e degli uffici. Nell'operare il delicato bilanciamento delle forze e degli interessi in gioco, la legge quadro sul pubblico impiego ha previsto una serie di garanzie attinenti alle condizioni, alle modalita' procedurali ed ai tempi degli accordi, nonche' alla formazione delle delegazioni stipulanti, affinche' quegli accordi siano in grado di assolvere alla complessa funzione politica e costituzionale loro demandata. La necessita' di realizzare sia il principio di contrattazione collettiva sia il principio dell'autonomia legislativa delle regioni ha portato ad una procedura in cui ciascuna regione e' legittimata dalla legge a partecipare, in piena autonomia, ad ambedue le fasi fondamentali del procedimento: sia alla fase contrattuale, mediante la presenza di un proprio rappresentante nella delegazione di parte pubblica costituita per la stipula degli accordi, sia alla fase normativa, mediante l'approvazione con provvedimento regionale degli accordi stipulati. La norma di cui all'art. 2, lett. b), della legge n. 421/1992, invece, vuole condizionare la legge regionale di recepimento ad un previo procedimento che non e' di per se' ne' regionale ne' legislativo. Gia' una precedente bozza di disegno di legge, presentata alla Camera dei deputati dal competente Ministro, riconosceva un limitato intervento di direttiva al Presidente del Consiglio, compensato tuttavia da un altrettanto valido e quanto mai necessario potere di direttiva riconosciuta alle rappresentanze delle amministrazioni e degli enti interessati. Tale disegno faceva proprie le pronunce della Corte costituzionale in materia e contemperava i diversi poteri di intervento cercando di salvaguardare, almeno in parte, l'autonomia regionale. Nell'attuale legge di delega al Governo, e nella normativa delegata, invece, ogni garanzia di tale autonomia risulta essere vanificata. Da ultimo si rileva che la legge quadro sul pubblico impiego attribuisce al Consiglio dei Ministri solo ed unicamente la possibilita' di autorizzare o meno la sottoscrizione dell'accordo confermando al suo Presidente una mera funzione "notarile" di presentazione dello stesso, sotto forma di decreto, al Presidente della Repubblica per la sua promulgazione. L'art. 6 della legge n. 93/1983 prevede, infatti, che l'intervento del Consiglio dei Ministri non si estende alla procedura di formazione dell'accordo e di definizione del suo contenuto. La legge di delega impugnata dalla regione Veneto attribuisce, invece, al Presidente del Consiglio dei Ministri un duplice potere: uno di impartire delle direttive vincolanti e l'altro di intervenire ed ingerirsi durante la formazione dell'accordo collettivo. Tale previsione si pone in contrasto con la legge 23 agosto 1988, n. 400, contenente la disciplina dell'attivita' del Governo e l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in quanto la stessa non riconosce a tale organo monocratico una competenza ad emanare direttive vincolanti. Vi e' inoltre un conflitto con la legge quadro sul pubblico impiego in quanto la stessa escludeva che addirittura lo stesso organo collegiale del Consiglio dei Ministri potesse influire in qualunque forma sulla libera contrattazione collettiva. Si puo' pertanto ravvisare in cio' un ulteriore motivo di ingerenza e violazione dell'autonomia regionale in materia di sua esclusiva competenza. Infine, con l'art. 52 si disciplina al quarto comma una forma di concorso nelle spese da parte di altre amministrazioni pubbliche con i rispettivi bilanci senza rispettare l'insegnamento di Codesta ecc.ma Corte di cui alla sentenza n. 369 del 27 luglio 1992.
P. Q. M. Si chiede dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 50, 51 e 52 del d.lgs. n. 29 del 3 febbraio 1993, pubblicato nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale del 6 febbraio 1993 recante "Norme in materia di organizzazione nelle amministrazioni pubbliche, in attuazione dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421" per contrasto con l'art. 117 della Costituzione, nonche' per contrasto con l'art. 97 della Costituzione. Venezia-Roma, addi' 5 marzo 1993 Prof. Giorgio ORSONI - Prof. Romano MORRA - Avv. Fabio LORENZONI 93C0283