N. 126 ORDINANZA 25 - 29 marzo 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Fase preliminare - Misure coercitive - Tribunale
 della liberta' - Riesame - Esiguita' dei termini e  dell'organico  di
 magistrati   -   Impossibilita'  di  un  equo  giudizio  -  Rilevanza
 dell'istituto della immediata caducazione del provvedimento impugnato
 - Insussistenza della lesione del diritto di difesa - Possibilita' di
 adeguata motivazione della decisione - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P., artt. 309, nono e decimo comma, e 324, settimo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 24, 97 e 111, primo comma)
(GU n.15 del 7-4-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
 degli artt. 309, commi nono e  decimo,  e  324,  comma  settimo,  del
 codice  di  procedura  penale,  promosso  con  ordinanza emessa il 27
 dicembre 1991 dal  Tribunale  di  Reggio  Calabria  nel  procedimento
 penale  a  carico  di  Gelli  Licio  ed altri, iscritta al n. 746 del
 registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 50 prima serie speciale dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio  1993  il  Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Ritenuto che nel procedimento penale a carico di Giuseppe Pesce ed
 altri  104  indagati,  il  Tribunale del riesame di Reggio Calabria -
 chiamato a pronunciarsi su richieste di riesame proposte da  indagati
 avverso  decreti  di  sequestro emessi dalla Procura della Repubblica
 presso il Tribunale di Palmi - ha sollevato,  con  ordinanza  del  27
 dicembre   1991   (R.O.   n.  746/1992),  questione  di  legittimita'
 costituzionale degli artt. 309, commi nono e  decimo,  e  324,  comma
 settimo,  del  codice  di procedura penale per violazione degli artt.
 97,  primo  e  secondo  comma,  24,  111,  primo  comma,  e  3  della
 Costituzione;
      che  nell'ordinanza  di  rinvio  il Tribunale remittente afferma
 che, nel termine di dieci giorni previsto dagli artt. 324 e  309  del
 codice  di  procedura  penale  per  il  riesame  delle  ordinanze che
 dispongono una  misura  coercitiva,  e'  stato  possibile  portare  a
 compimento  solo il giudizio, relativamente piu' urgente, riguardante
 i  ricorsi   degli   indagati   sottoposti   a   custodia   cautelare
 (cinquantotto   su  sessantadue),  mentre  e'  risultato  impossibile
 completare la procedura ed adottare una decisione su quattro  ricorsi
 presentati da indagati non sottoposti a misura coercitiva personale;
      che  la  mancata  adozione  di una decisione sarebbe dovuta alla
 particolare    complessita'    dei    procedimenti,     all'esiguita'
 dell'organico  di  magistrati  e  personale  ausiliario della seconda
 sezione  penale  del  Tribunale  di  Reggio  Calabria  ed  ai   tempi
 ridottissimi  - e percio' sospetti di illegittimita' costituzionale -
 concessi al collegio giudicante dagli artt. 324 e 309 del  codice  di
 procedura penale;
      che  le  norme impugnate sarebbero innanzitutto in contrasto con
 l'art. 24 della Costituzione, perche' - secondo il giudice remittente
 - il principale interesse dell'indagato nel nuovo rito e' " quello di
 conseguire una decisione  del  giudice  del  riesame  certo  il  piu'
 possibile rapida, ma prima ancora .. accuratamente ponderata", mentre
 il  termine  di  dieci  giorni  per  la  decisione sulla richiesta di
 riesame  (decorrente  dalla  ricezione  degli  atti  da   parte   del
 Tribunale)  risulterebbe meramente teorico e del tutto inadeguato, da
 un lato perche'  eroso  dalle  operazioni,  a  volte  particolarmente
 complesse,  di notificazione agli imputati ed ai loro difensori degli
 avvisi della data fissata per l'udienza e, dall'altro, perche' l'art.
 309, nono comma, del codice di  procedura  stabilisce  che  gli  atti
 restano  depositati  in  cancelleria fino al giorno dell'udienza "con
 conseguente preclusione per i componenti del collegio di  riesame  di
 prenderne visione e di curarne lo studio";
      che  inoltre  le  disposizioni  impugnate violerebbero l'art. 97
 della Costituzione non essendo conforme al precetto di buon andamento
 dell'amministrazione  una  organizzazione  del   lavoro   giudiziario
 caratterizzata  da  rilevanti  disfunzioni  connesse  al regime della
 comunicazione e della notificazione degli avvisi "la cui inosservanza
 comporta la nullita' del procedimento camerale e  ..  la  conseguente
 perenzione  della  misura  cautelare  ex  art. 309, ultimo comma, del
 codice di procedura penale";
      che la normativa  denunciata  si  porrebbe,  sempre  secondo  il
 giudice  remittente,  in  contrasto  anche  con  il  precetto dettato
 dall'art.  111,  primo  comma,  della  Costituzione  sia  perche'  la
 facolta'   riconosciuta  all'indagato  di  indicare  i  motivi  della
 richiesta di  riesame  non  contestualmente  alla  presentazione  del
 ricorso  e  la conseguente possibilita' che il collegio sia investito
 della cognizione dei motivi  di  riesame  solo  all'udienza  camerale
 ostacolerebbero    l'adempimento    dell'obbligo    di    motivazione
 dell'ordinanza  collegiale,  sia  perche'  le   norme   impugnate   -
 consentendo  al  Tribunale  del  riesame  di annullare o riformare il
 provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli  enunciati
 o  di  confermarlo  per  ragioni  diverse  da  quelle  indicate nella
 motivazione del provvedimento stesso - renderebbero necessario che il
 Tribunale  del  riesame,  dopo  aver  ricevuto  gli  atti  il  giorno
 dell'udienza,   debba   prendere   visione  dell'intero  incartamento
 processuale a pochi giorni di distanza dalla scadenza del termine;
      che, infine, vi sarebbe un contrasto delle norme  impugnate  con
 il   principio   di   ragionevolezza,  essendo  "i  mezzi  apprestati
 (essenzialmente temporali) ... evidentemente inadeguati ai  fini  pur
 vincolanti prescritti (esame delle motivazioni dedotte e rinvenimento
 di altre presenti agli atti ed ignote alle parti)";
      che,  ad  avviso  del  giudice  remittente,  la  Corte  potrebbe
 risolvere la questione di  legittimita'  costituzionale  fissando  la
 decorrenza  del termine di dieci giorni previsto per il riesame dalla
 data  dell'udienza  e  non  piu'  come  attualmente  avviene   "dalla
 ricezione degli atti";
      che  nel  giudizio  dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
 dichiarata inammissibile ed, in subordine, infondata;
    Considerato  che,  in  base  al  combinato disposto dell'art. 309,
 decimo comma, e 324, settimo comma, del codice di  procedura  penale,
 la  mancata  adozione,  nel  termine  di dieci giorni dalla ricezione
 degli atti, della decisione del Tribunale sulla richiesta di  riesame
 di  un  provvedimento  di sequestro determina l'immediata caducazione
 del provvedimento impugnato;
      che - contrariamente a quanto assume il giudice remittente -  la
 previsione  di  un  termine perentorio per l'adozione della decisione
 sulla richiesta di riesame non  puo'  dirsi  lesiva  del  diritto  di
 difesa  sancito  dall'art.  24  della  Costituzione,  ma realizza, al
 contrario, una forma di tutela  del  soggetto  che  ha  impugnato  il
 sequestro, evitando che questi possa essere in alcun modo danneggiato
 da inadempienze o ritardi dell'autorita' giudiziaria;
      che  neppure  puo'  dirsi  violato  l'art. 97 della Costituzione
 giacche' le disfunzioni  e  gli  intralci  all'attivita'  giudiziaria
 lamentati   nell'ordinanza   di   rimessione   costituiscono   -  per
 riconoscimento dello stesso giudice a quo - il frutto  di  deficienze
 dell'organico  dei  magistrati  e del personale ausiliario nonche' di
 carenze organizzative  degli  uffici  coinvolti  nella  procedura  di
 riesame, ma non sono direttamente imputabili alle norme denunciate;
      che  le  disposizioni  procedurali  impugnate  non si pongono in
 contrasto con l'art. 111, primo comma,  della  Costituzione  giacche'
 non  rendono impossibile la motivazione della decisione adottata, che
 deve essere correlata ai tempi a disposizione del Tribunale  ed  alle
 complessive modalita' di svolgimento della procedura di riesame;
      che  la  fissazione  di  un  termine di dieci giorni, decorrente
 dalla data di ricezione degli atti, non si presenta irragionevole  in
 relazione  alle  operazioni  che devono essere svolte dal giudice del
 riesame, tanto piu' ove si consideri che
 le norme impugnate hanno considerevolmente elevato il termine di  tre
 giorni  (prorogabile per altri tre) gia' previsto per la procedura di
 riesame dall'art. 263- ter del codice di procedura penale abrogato;
      che  pertanto  la  questione  di   legittimita'   costituzionale
 sollevata   dal   Tribunale   di   Reggio   Calabria   va  dichiarata
 manifestamente infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  manifestamente  infondata  la  questione  di legittimita'
 costituzionale degli artt. 309, commi nono e  decimo,  e  324,  comma
 settimo,  del  codice  di  procedura penale sollevata, in riferimento
 agli artt. 24, 97, 111, primo comma,  e  3  della  Costituzione,  dal
 Tribunale di Reggio Calabria con l'ordinanza di cui in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: CHELI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 29 marzo 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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