N. 152 SENTENZA 1 - 8 aprile 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza -  Lavoratori  autonomi  -  Pensioni  INPS  -
 Limitazioni   -   Applicazione  anche  alle  pensioni  liquidate  con
 decorrenza  successiva  al  31  dicembre  1983  -   Disposizione   da
 inquadrare   nell'ambito   di   provvedimenti  governativi  intesi  a
 soddisfare  esigenze  di  contenimento   della   spesa   pubblica   e
 previdenziale  -  Erroneita'  dei  presupposti  interpretativi  - Non
 fondatezza.
 
 (D.-L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, nono comma, convertito, con
 modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n.  638).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.16 del 14-4-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici:  prof.  Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
 BALDASSARRE, prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.
 Luigi   MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
 Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,
 prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma nono,
 del decreto-legge 12  settembre  1983,  n.  463  (Misure  urgenti  in
 materia  previdenziale  e sanitaria e per il contenimento della spesa
 pubblica,   disposizioni   per   vari    settori    della    pubblica
 amministrazione   e  proroga  di  taluni  termini),  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 11 novembre 1983,  n.  638,  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  2  aprile  1992  dal  Pretore  di  Trento  nel
 procedimento civile vertente  tra  Prandato  Severino  e  l'I.N.P.S.,
 iscritta  al  n.  685  del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  46,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1992;
    Visti   gli   atti   di   costituzione   di  Prandato  Severino  e
 dell'I.N.P.S.  nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente   del
 Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  23  febbraio  1993  il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi gli  avvocati  Giovanni  Angelozzi  per  Prandato  Severino,
 Fabrizio  Ausenda,  Tiziano  Treu e Giancarlo Perone per l'I.N.P.S. e
 l'Avvocato dello Stato Pier  Giorgio  Ferri  per  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio civile promosso da Prandato Severino
 per  ottenere  che  la  pensione  a  carico  della  gestione speciale
 lavoratori autonomi  del  commercio  liquidatagli  dall'I.N.P.S.  con
 decorrenza  1› settembre 1987 gli fosse riliquidata senza tener conto
 del limite di lire 10.000 per ogni anno  di  anzianita'  contributiva
 utile  a  pensione  stabilito dall'art. 6, ottavo comma, del decreto-
 legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella
 legge 11 novembre 1983, n. 638, il Pretore  di  Trento,  aderendo  ad
 un'eccezione    prospettata   in   via   subordinata   dalla   difesa
 dell'I.N.P.S., sollevava, con ordinanza del 16 febbraio 1990 (r.o. n.
 359 del 1990), in riferimento all'art.  3  Cost.,  una  questione  di
 legittimita'  costituzionale  del  nono  comma del medesimo articolo,
 nella parte in  cui  non  prevede  che  detto  limite,  imposto  alle
 pensioni  liquidate  dal  1›  ottobre al 31 dicembre 1983 ed a quelle
 anteriori al 1› ottobre 1983, rispettivamente,  dai  commi  ottavo  e
 decimo  della  medesima disposizione, si applichi anche alle pensioni
 con decorrenza successiva al 31 dicembre 1983.
    Questa Corte, con ordinanza n. 507 del 1990, restituiva  gli  atti
 al  giudice  rimettente  perche'  riesaminasse  se la questione fosse
 ancora rilevante, in ragione dell'entrata in vigore,  nel  frattempo,
 della  legge  2 agosto 1990, n. 233, recante "Riforma dei trattamenti
 pensionistici dei lavoratori autonomi", la  quale,  nel  dettare  una
 nuova  disciplina  della  materia, ha espressamente abrogato (art. 5,
 comma terzo) la norma impugnata, disponendo altresi' (art.  5,  comma
 decimo)  che "con effetto dal 1› luglio 1990 sono riliquidate secondo
 le disposizioni della presente legge, se piu' favorevoli, le pensioni
 con decorrenza tra il 1› gennaio 1982  e  il  30  giugno  1990".  Con
 ordinanza  del  2 aprile 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il
 14  ottobre  1992),  il  Pretore  di Trento ha riproposto la medesima
 questione, sostenendone la perdurante rilevanza, dato che, anche  ove
 il  sistema di calcolo introdotto dalla nuova norma conducesse ad una
 liquidazione  piu'  favorevole  di  quella  conseguente  alla   norma
 impugnata  (ed  ora  abrogata),  cio'  riguarderebbe  solo il periodo
 successivo al 1› luglio 1990, mentre per il periodo 1› settembre 1987
 - 30 giugno  1990  dovrebbe  comunque  applicarsi  -  per  l'espressa
 previsione del citato comma decimo dell'art. 5 della legge n. 233 del
 1990 - la disposizione ritenuta viziata.
    Ad  avviso  del  Pretore rimettente, l'omessa previsione, nel nono
 comma  del  predetto  art.  6,  del  citato  limite  di  lire  10.000
 violerebbe  l'art.  3  Cost. poiche' introdurrebbe, senza ragionevole
 motivo  e  in  presenza  di  situazioni   giuridiche   omogenee,   un
 trattamento differenziato e piu' vantaggioso a favore dei titolari di
 pensioni con decorrenza successiva al 1983 rispetto ai pensionati con
 decorrenza anteriore.
    2.  -  Nel  giudizio  cosi'  instaurato  si e' costituita la parte
 privata  Prandato  Severino,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.  G.
 Angelozzi,  che  ha  chiesto il rigetto della questione, potendo essa
 risolversi in via interpretativa. A suo avviso, scopo del citato art.
 6 e' di ricondurre annualmente  l'importo  della  pensione  liquidata
 anteriormente  (comma  decimo)  o  successivamente al 1› ottobre 1983
 (commi ottavo e nono) ad un valore  adeguato  al  potere  d'acquisto,
 attraverso   la   moltiplicazione  del  coefficiente  di  adeguamento
 previsto per l'anno 1965 (86,4) con quello di aggiornamento  riferito
 all'anno di decorrenza della prestazione (5,74 per il 1983).
    A  tale  adeguamento  sono  stati apposti (nel comma ottavo) i due
 limiti di lire 10.000 per ogni  anno  di  contribuzione  effettiva  e
 dell'importo  del  trattamento minimo vigente nella gestione, ma essi
 varrebbero solo per le pensioni liquidate anteriormente al 1› gennaio
 1984: cio' sia per la dizione del nono comma, sia perche' tali limiti
 (ed in particolare il primo),  in  quanto  dettati  per  graduare  il
 passaggio  dal  vecchio  al  nuovo  criterio  di  liquidazione  delle
 pensioni (applicazione del coefficiente di moltiplicazione  del  5,74
 per  il  1983),  andrebbero  intesi come norma derogatoria rispetto a
 quella  generale  introduttiva  di   detto   criterio.   A   ritenere
 altrimenti,  lo  sbarramento delle lire 10.000 diverrebbe iniquo, per
 via   dell'inflazione,   renderebbe   impossibile   il    superamento
 dell'importo   del   trattamento   minimo   garantito   per  legge  e
 vanificherebbe  la  portata  innovativa  del  nuovo  criterio.  Dato,
 infatti,  che  la  contribuzione  dei  lavoratori  autonomi  ha, come
 supporto, una quota  fissa  per  tutti  in  funzione  della  semplice
 iscrizione  negli elenchi ed una quota variabile correlata al reddito
 d'impresa,   sarebbe   assolutamente    iniquo    che    l'erogazione
 pensionistica  fosse  comunque  ristretta nelle lire 10.000 (per ogni
 anno di contribuzione utile) non indicizzate o nel trattamento minimo
 garantito, a dispetto  della  variabilita'  della  contribuzione.  In
 particolare,  il  limite  di lire 10.000, se poteva considerarsi equo
 fino al 1983 allorche' il trattamento minimo era di lire 257.000, non
 lo sarebbe piu' nel 1990, quando detto trattamento minimo era di lire
 496.000.
    Di conseguenza, la mancata estensione di  detto  limite  oltre  il
 1983  non  determina,  secondo la parte privata, alcuna disparita' di
 trattamento.
    3.  - Si e' costituito anche l'I.N.P.S., parte nel giudizio a quo,
 rappresentato e difeso dagli avv.ti  E.  Zicavo  e  F.  Ausenda,  che
 chiede  che  la  questione  sia  dichiarata manifestamente infondata,
 dovendo la norma impugnata interpretarsi - giusta quanto deciso dalla
 Corte di cassazione (sentenza 28 giugno 1990 - 27 novembre  1991,  n.
 12714)  -  nel  senso che il trattamento di maggior favore, stabilito
 dal comma  nono  per  le  pensioni  che  avrebbero  avuto  decorrenza
 successiva   al   31   dicembre   1983,   abbia   come  parametro  di
 legittimazione il criterio generale  dettato  dal  comma  precedente,
 quale  limite insuperabile per la concessione del beneficio. Il comma
 ottavo, infatti, pur se  espressamente  riferito  alle  pensioni  con
 decorrenza 1› ottobre - 31 dicembre 1983, va posto in correlazione al
 comma  decimo,  che estende la stessa disciplina alle pensioni aventi
 decorrenza  anteriore,  e  contiene,  ad  avviso  dell'I.N.P.S.,   la
 normativa  generale circa le modalita' di adeguamento delle pensioni:
 la quale, pur in  mancanza  di  espresso  richiamo  nel  comma  nono,
 dovrebbe  applicarsi  anche alle pensioni successive. Cio', alla luce
 della  ratio  della   disciplina,   rappresentata,   per   un   lato,
 dall'esigenza  di  contenimento  della  spesa  pubblica  (che  ispira
 l'intera legge n. 638 del  1983),  e,  dall'altro,  dall'esigenza  di
 mantenere   un   minimo   di   proporzionalita'  tra  la  prestazione
 contributiva e la controprestazione previdenziale.
    4. - Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  nel
 giudizio  per  il  tramite  dell'Avvocatura  Generale dello Stato, ha
 chiesto - richiamando  le  conclusioni  rassegnate  nella  precedente
 occasione  - che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque
 infondata, potendo essa risolversi in via interpretativa: il suddetto
 limite di lire 10.000 per ogni anno di anzianita' contributiva  utile
 a   pensione  dovrebbe  infatti  ritenersi  applicabile  a  tutte  le
 pensioni, a prescindere dalla loro decorrenza, la  quale  inciderebbe
 solo  sul  profilo dell'aggiornamento del coefficiente di adeguamento
 dell'importo base.
                        Considerato in diritto
    1. - L'art.  6  del  decreto-legge  12  settembre  1983,  n.  463,
 convertito,  con  modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638
 introduce, al comma ottavo, un nuovo metodo di calcolo delle pensioni
 dei lavoratori  autonomi,  stabilendo  che  la  pensione  base  venga
 rivalutata  con il coefficiente 5,74, con cio' restando assorbiti gli
 aumenti previsti da disposizioni precedenti. Prevede,  peraltro,  che
 l'ammontare della pensione determinato con il nuovo sistema non possa
 superare  ne'  l'importo  di  lire 10.000 per ogni anno di anzianita'
 contributiva utile a pensione,  ne'  quello  del  trattamento  minimo
 vigente  nelle  gestioni (salvo l'eventuale maggior importo derivante
 dal previgente sistema di calcolo).
    Tale normativa  si  applica,  in  forza  del  comma  ottavo,  alle
 pensioni liquidate con decorrenza dal 1› ottobre al 31 dicembre 1983,
 ed  in  forza  del  comma  decimo,  a  quelle liquidate anteriormente
 all'ottobre 1983 (con assorbimento, per queste ultime, degli  aumenti
 per perequazione automatica intervenuti alla data di decorrenza della
 pensione).
    Il  comma  nono,  a  sua  volta,  stabilisce  che "in attesa della
 riforma del sistema pensionistico, per le pensioni di  cui  al  comma
 precedente  aventi decorrenza successiva al 1983 il coefficiente 5,74
 sara' annualmente  aggiornato,  in  sostituzione  degli  aumenti  per
 perequazione  automatica  intervenuti dal 1› gennaio di ciascun anno,
 in base ai coefficienti di cui all'art. 3,  comma  undicesimo,  della
 legge  29  maggio 1982, n. 297 riferiti all'anno 1965". Il Pretore di
 Trento censura quest'ultima disposizione muovendo dal presupposto che
 essa introduca, per gli anni successivi al 1983, tale  meccanismo  di
 aggiornamento del nuovo sistema di calcolo, senza che l'importo cosi'
 determinato  venga  a  soffrire  del duplice limite imposto dal comma
 precedente, ed in particolare di quello di lire 10.000 per ogni  anno
 di   anzianita'   contributiva  utile  a  pensione.  E  poiche'  tale
 disposizione sarebbe applicabile alla pensione oggetto  del  giudizio
 principale per il periodo 1› settembre 1987 - 1› luglio 1990 (data di
 entrata in vigore della nuova disciplina della materia introdotta con
 l'art.  5  della legge 2 agosto 1990, n. 233, in relazione alla quale
 questa Corte - decidendo sulla medesima questione  con  ordinanza  n.
 507  del  1990  -  dispose  la  restituzione degli atti al rimettente
 perche' riesaminasse se essa fosse ancora rilevante), il Pretore  as-
 sume  che  essa  violerebbe  l'art.  3 della Costituzione, perche' il
 trattamento piu'  vantaggioso  conseguente  all'inapplicabilita'  del
 predetto  limite  alle  pensioni  successive al 1983 sarebbe privo di
 giustificazione.
    2. - L'Avvocatura Generale dello Stato e la  difesa  dell'I.N.P.S.
 chiedono  che  la questione sia dichiarata infondata perche' muove da
 un presupposto interpretativo erroneo, e cioe' che il predetto limite
 di lire 10.000 per ogni  anno  di  anzianita'  contributiva  utile  a
 pensione  non  si  applichi  alle  pensioni  successive al 1983; ed a
 conforto di tale  tesi  adducono  l'interpretazione  della  Corte  di
 cassazione  (sentenza  28 giugno 1990 - 27 novembre 1991, n. 12714) -
 peraltro condivisa da alcuni giudici di merito - secondo la quale  il
 limite si applica anche a tali pensioni.
    Questa  Corte  ritiene di dover prendere atto dell'interpretazione
 adottata dal giudice di legittimita', in quanto essa, oltre ad essere
 applicata nella prassi, e' fondata su validi argomenti.
    Innanzitutto,  sul  piano  letterale,  e'   da   considerare   che
 l'impugnato  comma nono prevede l'aggiornamento del coefficiente 5,74
 "per le pensioni di cui al comma precedente" e che quest'ultimo, dopo
 aver introdotto tale coefficiente, stabilisce che "in ogni caso"  non
 puo' essere superato l'anzidetto, duplice limite. La correlazione tra
 questi  due  dati  testuali induce a ritenere che il limite valga per
 entrambe le fasce di pensionati considerate nei due commi.
    In  secondo  luogo,  appare  decisivo   considerare   che,   nelle
 intenzioni   del  legislatore,  il  nuovo  sistema  di  calcolo,  con
 aggiornamento  annuale,  non  era  concepito  come   regolamentazione
 definitiva  della  materia, bensi' come disciplina destinata a valere
 solo  provvisoriamente,  "in  attesa  della   riforma   del   sistema
 pensionistico":  dato testuale, questo, che trova conferma nei lavori
 preparatori, ove si da' atto dell'impegno  assunto  dal  Governo,  in
 sede  di conversione del decreto-legge n. 463 del 1983, di presentare
 in tempi ravvicinati un disegno  di  legge  di  riforma  del  sistema
 previdenziale  (cfr.  il  parere  sul disegno di legge di conversione
 della XIII Commissione permanente della Camera dei  deputati  -  Atto
 Camera  n.  424-A  -  IX Legislatura). La circostanza che la prevista
 riforma non si sia realizzata se non in tempi assai piu' lunghi nulla
 toglie all'univoco significato della disposizione.
    E' illogico, infine, ritenere che, nella fase di transizione ad un
 nuovo  sistema  pensionistico  -  che  nella legge n. 233 del 1990 e'
 risultato radicalmente diverso dal precedente - il legislatore  abbia
 rinunciato  ad  apporre  un  limite  che  -  come  osserva  la difesa
 dell'I.N.P.S. - appare inteso a preservare una certa proporzionalita'
 tra la prestazione contributiva e la controprestazione previdenziale.
 Cio',  soprattutto  perche'  la  disposizione  in  esame  si  iscrive
 nell'ambito di un provvedimento governativo complessivamente inteso a
 soddisfare  esigenze  di  contenimento  della  spesa pubblica - ed in
 particolare di quella previdenziale - che furono ben  presenti  anche
 all'atto della sua conversione (cfr. il parere sopra citato).
    Alla luce delle suesposte considerazioni, la questione deve essere
 dichiarata   infondata  perche'  poggia  su  un  erroneo  presupposto
 interpretativo.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  6, comma nono, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463
 (Misure urgenti  in  materia  previdenziale  e  sanitaria  e  per  il
 contenimento  della  spesa  pubblica,  disposizioni  per vari settori
 della  pubblica  amministrazione  e  proroga  di   taluni   termini),
 convertito,  con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638,
 sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal  Pretore
 di Trento con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 1› aprile 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria l'8 aprile 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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