N. 244 SENTENZA 5 - 19 maggio 1993
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Espropriazione per pubblica utilita' - Occupazioni temporanee - Proroga dei termini di scadenza - Impedimento ai proprietari dell'azione in giudizio per le indennita' di espropriazione ed il risarcimento dei danni - Richiamo alla giurisprudenza della Corte (cfr. sentenze nn. 223/1983, 67/1959, 91/1963, 216/1990 e 1022 e 530 del 1988) in materia di congruita' dell'indennita' - Insussistenza di compromissione dei diritti del proprietario - Possibilita' di richiedere il giusto indennizzo sin dal momento dell'occupazione del bene - Sussistenza del diritto a richiedere l'immediata liquidazione dell'indennita' di occupazione - Insussistenza di un diritto al risarcimento del danno - Non fondatezza. (D.-L. 29 dicembre 1987, n. 534, art. 14, secondo comma, convertito in legge 29 febbraio 1988, n. 47; legge 20 maggio 1991, n. 158, art. 22). (Cost., artt. 24 e 42).(GU n.22 del 26-5-1993 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative ed interventi di carattere assistenziale ed economico), convertito dalla legge 29 febbraio 1988, n. 47 e dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative), promosso con ordinanza emessa il 13 febbraio 1992 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel procedimento civile vertente tra Pascarella Giovanni ed il Comune di Cervino, iscritta al n. 38 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Republica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 21 aprile 1993 il Giudice relatore Gabriele Pescatore; Ritenuto in fatto 1. - Il tribunale di S. Maria Capua Vetere, con ordinanza 13 febbraio 1992 - emanata nel corso di un giudizio di risarcimento dei danni, promosso nel 1988 dal proprietario di un immobile assoggettato nel 1985 ad occupazione d'urgenza (finalizzata all'occupazione di una strada) per la durata di cinque anni - ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 42 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, secondo comma, del d.-l. 29 dicembre 1987, n. 534, conv. nella legge 29 febbraio 1988, n. 47 e dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158 in quanto, "prorogando i termini di scadenza delle occupazioni temporanee autorizzate ai sensi dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, non consentono ai proprietari dei beni occupati, sui quali e' stata realizzata l'opera pubblica, di agire in giudizio per il ristoro dei danni subiti". Secondo il giudice a quo la scadenza del termine di occupazione legittima costituisce una condizione dell'azione di risarcimento e, come tale, deve verificarsi nel corso del giudizio. Per effetto delle proroghe intervenute, viceversa, il termine di scadenza - determinato con il decreto che autorizzava l'occupazione in cinque anni dall'immissione in possesso, avvenuta il 10 aprile 1985 - e' stato prorogato di due anni, ai sensi dell'art. 14 del d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, convertito nella legge 29 febbraio 1988, n. 47, e ancora di altri due anni, ai sensi dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158. Da qui la rilevanza della questione, in quanto, in mancanza della declaratoria d'illegittimita' costituzionale delle norme impugnate, la domanda di risarcimento dovrebbe essere rigettata, persistendo legittimamente l'occupazione sino al 10 aprile 1994. Il contrasto delle ripetute proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni con gli artt. 24 e 42, terzo comma, della Costituzione e' dedotto in riferimento alla circostanza che il proprietario del bene occupato puo' agire in giudizio solo per ottenere l'indennita' di occupazione, la quale non copre l'intera area del pregiudizio sofferto. Infatti "il titolare del bene occupato, pur avendone perso la disponibilita' per effetto della realizzazione dell'opera pubblica, nel termine autorizzato continua ad esserne il proprietario e deve, quindi, sopportare i relativi oneri" e non puo' agire "per il ristoro dei danni, benche' la realizzazione dell'opera pubblica abbia determinato la compressione delle facolta' connesse alla proprieta' del bene occupato". Le proroghe suddette - secondo il giudice a quo - con la loro continua reiterazione, pongono in essere un espediente per impedire al proprietario di ottenere l'indennita' di espropriazione prevista dall'art. 42, terzo comma, della Costituzione. 2. - Dinanzi a questa Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata, tenuto conto che ai proprietari dei beni occupati spetta, per tutto il periodo di occupazione, la relativa indennita' e, al termine dell'occupazione legittima, essi potranno agire a tutela di ogni altro loro diritto. Considerato in diritto 1. - Questa Corte e' chiamata a decidere sulla legittimita' costituzionale dell'art. 14, secondo comma, del d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, conv. nella legge 29 febbraio 1988, n. 47 e dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158, i quali hanno prorogato i termini di scadenza delle occupazioni temporanee autorizzate ai sensi dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865. Secondo il giudice a quo dette proroghe violerebbero gli artt. 24 e 42 della Costituzione, costituendo un espediente per impedire ai proprietari dei beni occupati di agire in giudizio per ottenere le indennita' di espropriazione ed il risarcimento dei danni per il protrarsi del termine originariamente stabilito. 2. - La questione non e' fondata. L'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, dopo avere statuito al primo comma che l'occupazione d'urgenza delle aree da espropriare perde efficacia se non e' seguita, nel termine di tre mesi, dalla emanazione del relativo decreto, stabili', nel secondo comma, che "l'occupazione puo' essere protratta fino a cinque anni dalla data di immissione nel possesso". Tale ultimo termine e' stato prorogato una prima volta (di un anno) dalla legge 29 luglio 1980, n. 385; poi, fino al 31 maggio 1982, dall'art. 1 del d.l. 28 luglio 1981, n. 396, cosi' come conv. dall'articolo unico della legge 25 settembre 1981, n. 535; successivamente, fino al 31 dicembre 1982, dall'art. 1 del d.l. 29 maggio 1982, n. 298, conv. nella legge 29 luglio 1982, n. 481, e fino al 31 dicembre 1983 dall'articolo unico della legge 23 dicembre 1982, n. 943. Dette proroghe sono successive alla declaratoria d'illegittimita' costituzionale - pronunciata con la sentenza n. 5/1980 - dei criteri di determinazione dell'indennita' di espropriazione delle aree a destinazione edificatoria, stabiliti dalla legge n. 10 del 1977. Questa Corte (sent. n. 223/1983) ravviso' uno stretto collegamento fra quelle proroghe e la normativa dettata dall'art. 1 della legge n. 385 del 1980, dichiarata incostituzionale per violazione degli artt. 42 e 136 della Costituzione, in quanto diretta - tra l'altro - ad impedire la piena ed immediata operativita' della sentenza n. 5/1980. Fu pronunciata, pertanto, la illegittimita' dell'articolo unico della legge n. 535 del 1981, nonche' quella conseguenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, delle altre su menzionate norme di proroga, non impugnate dai giudici remittenti. Nella stessa sentenza n. 223, peraltro, la Corte costituzionale auspico' un intervento legislativo che desse "una nuova e permanente disciplina delle indennita' per la espropriazione delle aree edificabili", eliminando l'incertezza circa i possibili costi degli espropri, rendendoli economicamente ragionevoli, pur nel rispetto dell'art. 42 della Costituzione. Cio' in conformita' del principio secondo il quale l'indennizzo garantito dalla Costituzione non deve corrispondere necessariamente al valore reale del bene, ma essere "congruo" in relazione al contemperamento fra l'"interesse generale" all'espropriazione e l'interesse del proprietario al giusto ristoro per il sacrificio del suo diritto (cfr. al riguardo, per la giurisprudenza piu' antica le sentenze n. 67/1959 e n. 91/1963 e, per quella piu' recente, le sentenze n. 216/1990 e nn. 1022 e 530 del 1988). 3. - La nuova disciplina delle indennita' di espropriazione, pur essendo necessaria ed urgente, ha avuto un iter legislativo estremamente lento ed e' stata attuata solo con la legge 8 agosto 1992, n. 359 (art. 5- bis aggiunto, in sede di conversione, al d.l. 11 luglio 1992, n. 333). Tale ritardo ha esplicato gravi riflessi sull'attivita' amministrativa, determinando situazioni di incertezza e di asseriti inadempimenti e creando un diffuso contenzioso. Le norme impugnate dai giudici remittenti - cosi' come il precedente art. 1, comma 5-bis, aggiunto al d.l. 22 dicembre 1984, n. 901 dalla legge di conversione 1 marzo 1985, n. 42 - sono state emanate (secondo quanto si evince dai lavori parlamentari) al fine di protrarre la validita' delle occupazioni dei suoli connesse ai procedimenti espropriativi, in attesa che il Parlamento procedesse all'approvazione della nuova disciplina delle indennita' di esproprio. A tale scopo, ai sensi dell'anzidetto comma 5-bis, per le occupazioni di urgenza in corso alla data di entrata in vigore di quest'ultima, la scadenza del termine quinquennale di cui al secondo comma dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e' stata prorogata di un anno e la proroga e' stata successivamente protratta, complessivamente, di altri quattro anni dall'art. 14, secondo comma, del d.l. n. 534 del 1987 e dall'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158. Trattasi di un periodo di tempo sicuramente lungo, che non ha consentito la tempestiva liquidazione ed il pagamento delle indennita' di espropriazione, nonche' l'esperibilita' delle azioni per il risarcimento dei danni da occupazione illegittima. Ma tali ritardi, determinati da riconosciute esigenze obiettive, sorrette da motivi di pubblico interesse, non possono essere considerati tali da compromettere i diritti del proprietario con lesione dell'art. 42 della Costituzione. Va osservato al riguardo che le norme di adozione delle proroghe in questione sono sorrette da una ratio diversa da quella posta a fondamento della disciplina dichiarata illegittima con la sentenza n. 223/1983. Quest'ultima normativa era elusiva di una dichiarazione d'incostituzionalita', mentre la disciplina in esame persegue lo scopo di dare attuazione all'invito di questa Corte volto a realizzare la sistemazione della materia in modo conforme ai principi dalla Corte stessa fissati. E' da rilevare poi, secondo quanto e' stato affermato con la sentenza n. 365/1992, che l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, nello statuire che la proprieta' privata puo' essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale, "da' fondamento e disciplina, con le relative implicazioni costituzionali, non soltanto agli atti espropriativi in senso proprio, ma pure a quelli inerenti all'occupazione del bene, imponendo un giusto indennizzo anche per la durata di tale occupazione, che impedisce al proprietario la disponibilita' e il godimento del bene". Tale indennizzo, dopo la declaratoria d'illegittimita' costituzionale - contenuta nella sentenza n. 470/1990 - dell'art. 20, quarto comma, della legge n. 865 del 1971 (nel testo modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10), puo' essere, invero, richiesto dall'interessato sin dal momento dell'occupazione del bene. Ne deriva che le norme impugnate, pur protraendo la legittimita' delle occupazioni, determinando alcune remore temporali nell'ambito del procedimento espropriativo, non producono lesione all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, trovando la loro giustificazione nella peculiarita' della situazione alla quale hanno inteso provvedere. Ed e' inoltre da osservare che alle anzidette remore, che gravano il proprietario, corrisponde il suo diritto a chiedere l'immediata liquidazione dell'indennita' di occupazione. La legittimita' delle proroghe preclude l'esistenza di un diritto al risarcimento del danno e la conseguente tutela ex art. 24 della Costituzione. E' pertanto infondata anche la questione di legittimita' costituzionale sollevata in riferimento a tale norma.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative ed interventi di carattere assistenziale ed economico), convertito dalla legge 29 febbraio 1988, n. 47 e dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative), sollevata in riferimento agli artt. 24 e 42 della Costituzione, dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 1993. Il Presidente: CASAVOLA Il redattore: PESCATORE Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 19 maggio 1993. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 93C0541