N. 246 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 ottobre 1992- 12 maggio 1993
N. 246 Ordinanza emessa il 27 ottobre 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 12 maggio 1993) dalla Corte di cassazione, sez. lavoro, nel procedimento civile vertente tra I.N.A.D.E.L. e Ingemi Giuseppa Lavoro (controversie in materia di) - Dipendenti da enti locali iscritti all'I.N.A.D.E.L. - Somme dovute a titolo di riliquidazione dell'indennita' premio di servizio - Rivalutazione monetaria - Esclusione - Discriminazione rispetto ad altri crediti previdenziali - Insufficiente garanzia previdenziale - Richiamo ai principi della sentenza n. 156/1991 - Questione gia' sottoposta all'esame della Corte e restituita al giudice a quo con l'ordinanza n. 218/1992 per il riesame della rilevanza per ius superveniens e riproposta da quest'ultimo sul presupposto della permanente rilevanza. (D.L. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma, convertito in legge 29 ottobre 1987, n. 440). (Cost., artt. 3 e 38).(GU n.23 del 2-6-1993 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'Istituto nazionale assistenza dipendenti enti locali - I.N.A.D.E.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Livorno n. 58, presso l'avv. Luciano Bason, che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del ricorso, ricorrente; contro Ingemi Giuseppa, elettivamente domiciliata in Roma, presso la cancelleria della Corte suprema di cassazione, rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Mobilia, giusta procura speciale a margine del controricorso, controricorrente, per l'annullamento della sentenza del tribunale di Messina in data 15 aprile 1988, depositata il 5 dicembre 1988, n. 178/1988, r.g. 759/1987; Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 ottobre 1992 dal cons. rel. dott. Caianiello; Sentito l'avv. F. Mobilia; Udito il p.m. nella persona del sost. proc. gen. dott. Antonio Leo, che ha concluso per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale; RITENUTO IN FATTO Con sentenza depositata il 5 dicembre 1988, il tribunale di Messina, pronunciando sull'appello proposto dall'Inadel avverso la sentenza in data 13 giugno 1987 del pretore di Messina, giudice del lavoro, che, in accoglimento della domanda proposta da Ingemi Giuseppina, dipendente da ente locale collocata a riposo il 1 marzo 1985, aveva condannato l'istituto a corrispondere a quest'ultima, a titolo di riliquidazione dell'indennita' premio di servizio (I.P.S.) la maggiore somma di L. 13.112.748, con il risarcimento del danno per il ritardato pagamento secondo gli indici di rivalutazione Istat e con gli interessi legali a decorrere dalla data della prima liquidazione dell'indennita', confermava la sentenza, relativamente ai riconosciuti oneri accessori, che ricorrevano nella specie tutti i presupposti per l'applicabilita' dell'art. 1224 cod. civ., ed escludendo che potesse essere invocato al riguardo dall'istituto l'art. 23, quarto comma, del d.l. 31 agosto 1987, n. 359, convertito con legge n. 440 del 1987, secondo cui le somme dovute per riliquidazione dell'I.P.S. non danno luogo a corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria, perche' tale disposizione non aveva effetto retroattivo. Avverso tale sentenza l'Inadel proponeva ricorso per cassazione, deducendo vizi di violazione delle anzidette norme e dell'art. 429, terzo comma, del c.p.c. Con ordinanza 19 settembre 1991, questa Corte sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23, quarto comma, del d.l. 31 agosto 1987, n. 359, convertito nella legge 29 ottobre 1987, n. 440, nella parte in cui dispone che le somme dovute a titolo di riliquidazione dell'indennita' premio di servizio non danno luogo alla corresponsione della rivalutazione monetaria, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost. e in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991. Con ordinanza n. 218, resa il 4 maggio 1992 e depositata l'11 maggio 1992, la Corte costituzionale ha ordinato la restituzione degli atti a questa Corte di cassazione, al fine del riesame della rilevanza della questione dopo l'emanazione (successiva all'ordinanza di rimessione) della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (disposizioni in materia di finanza pubblica), che all'art. 16, sesto comma, ha dettato una nuova disciplina in materia di rivalutazione dei crediti previdenziali, disponendo che "l'importo dovuto a titolo di interessi e portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del credito". OSSERVA IN DIRITTO La questione di costituzionalita' sollevata da questa Corte con la precedente ordinanza del 19 settembre 1991 conserva tutta la sua rilevanza pregiudiziale nel presente giudizio, anche a seguito della intervenuta nuova disciplina in materia di rivalutazione dei crediti previdenziali, di cui all'art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412. Siffatta sopravvenuta nuova disciplina, non appare applicabile ratione temporis, ex art. 11 preleggi, al caso di specie. La disposizione in esame, infatti, stabilendo testualmente che "gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti a corrispondere gli interessi legali, sulle prestazioni dovute, a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda", e di poi precisando che "l'importo dovuto a titolo di interessi e' portato in detrazione sulle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subi'to dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito", ha certamente innovato rispetto all'art. 429, terzo comma, del c.p.c. - applicabile anche ai crediti previdenziali, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 156/1991 - postoche' essa, lungi dal dettare un nuovo modo di svolgimento di un rapporto di durata, e da essere percio' immediatamente efficace sui rapporti pendenti, ha invece determinato un nuovo contenuto del credito, con conseguente efficacia soltanto sui fatti costitutivi del credito stesso successivi alla sua entrata in vigore. In tali sensi e' la giurisprudenza di questa Corte, espressa nelle cause Inps c/ Spatola (ud. 21 gennaio 1992). Inps c/ Di Rocco (ud. 24 gennaio 1992) e Inadel c/ Pedemonte e altri (ud. 20 ottobre 1992). Attesa dunque la irretroattivita' della sopravvenuta nuova disciplina in materia di rivalutazione dei crediti previdenziali, appare evidente il permanere della rilevanza, in termini di pregiudizialita', nel presente giudizio, della sollevata questione di costituzionalita' del citato quarto comma dell'art. 23 del d.l. n. 359/1987, nel testo risultante dalla dichiarazione di parziale illegittimita' costituzionale, di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 1060 del 6 dicembre 1988 (che ha, appunto, dichiarato l'illegittimita' di tale disposizione solo nella parte statuente l'esclusione degli interessi), posta invece la retroattivita' di tale disposizione, la cui eventuale applicazione nel caso di specie comporterebbe comunque l'esclusione del diritto della Ingemi alla rivalutazione monetaria, riconosciuta dal giudice di merito, con la conseguente cassazione dell'impugnata sentenza. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, con riferimento sia all'art. 3 della Costituzione (posta la discriminazione del credito de quo, relativamente alla rivalutazione monetaria, rispetto ad ogni altro credito previdenziale), sia all'art. 38 della Costituzione (atteso l'inadeguato modo di provvedere alle comuni esigenze di vita del lavoratore cessato dal servizio), e con specifico riferimento al principio di sostanziale equiparazione dei crediti previdenziali ai crediti di lavoro, con conseguente applicazione anche ai primi del criterio della rivalutazione automatica sancito dall'art. 429, terzo comma, del c.p.c., di cui alla citata sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 12 aprile 1991, valgono le considerazioni gia' svolte con la prima ordinanza di rimessione, che appare opportuno riprodurre per esigenze di completezza e necessarie ulteriori precisazioni. E' utile all'uopo osservare che, la sopra anche richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 1060/1988, ebbe a ritenere legittima (contrariamente a quanto invece, come si e' visto, ritenuto per gli interessi) l'esclusione della rivalutazione monetaria, in base a rilievi che non possono considerarsi ormai piu' giustificati alla luce della soluzione adottata con la sentenza n. 156/1991. Questi erano i rilievi: a) per i crediti previdenziali, a differenza di quelli di lavoro privato, non trova applicazione l'art. 429 del c.p.c., bensi' l'art. 1224, secondo comma, cod. civ., in base al quale la rivalutazione non compete automaticamente ma occorrono la domanda di pagamento del maggior danno e la dimostrazione del pregiudizio patrimoniale sofferto; b) la tematica relativa agli interessi e' autonoma rispetto alla rivalutazione, in quanto la decorrenza dei termini di pagamento determina automaticamente la mora dell'Istituto, giacche' "i tempi del meccanismo di liquidazione della prestazione sono prefissati per legge decorrenti dalla richiesta del dipendente, pur in assenza dell'emissione del mandato di pagamento"; c) la previsione normativa della esclusione della rivalutazione monetaria corrisponde ad una valutazione non arbitraria, e sufficientemente razionale, del legislatore, dettata dalla necessita' di sanare la situazione finanziaria venutasi a creare a seguito della sentenza della stessa Corte costituzionale n. 236/1986, che, risolvendo dubbi interpretativi, aveva sancito l'inclusione nell'I.P.S. dell'indennita' integrativa speciale comprensiva degli incrementi di contingenza; d) il citato art. 23 e' norma eccezionale di durata temporanea (limitata alla contribuzione previdenziale per il quadriennio 1982-1986) e regola situazioni soggettive disomogenee rispetto agli ordinari crediti previdenziali; e) la non eccessivita' della decurtazione dovuta alla mancata rivalutazione non incide sulle condizioni poste dagli artt. 36 e 38 della Costituzione. Il nuovo orientamento espresso dalla piu' recente sentenza della Corte costituzionale n. 156/1991, modificando un indirizzo giurisdizionale consolidato ed affermando l'assimilazione dei crediti previdenziali ai crediti retributivi, ai fini della rivalutazione automatica prevista dall'art. 429, terzo comma, c.p.c. (e questa costituendo una modalita' di attuazione dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, in quanto dettata come parametro delle esigenze di vita del lavoratore), dovrebbe di per se' rendere ingiustificati ed ormai inconferenti i rilievi in forza dei quali, con la precedente sentenza n. 1060/1988, la Corte costituzionale ebbe ad affermare la legittimita' della esclusione, operata dal citato art. 23, quarto comma del d.l. n. 359/1987, della rivalutazione monetaria dal computo del credito della riliquidazione dell'I.P.S. spettante al lavoratore cessato dal servizio. E' infatti evidente che, una volta affermata e riconosciuta la perfetta equiparazione di tutti i crediti previdenziali ai crediti retributivi, e cio' ai fini della prevista applicazione del principio della rivalutazione automatica di cui all'art. 429, terzo comma, del c.p.c., che e' espressione di una modalita' di attuazione dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, la mancata estensione anche al credito de quo di siffatto principio comporta, non soltanto la violazione dell'art. 3 della Costituzione, ma anche la violazione dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione che, sotto l'aspetto funzionale (di surroga o integrazione di un reddito di lavoro cessato o ridotto), appunto, avvicina le prestazioni previdenziali ai crediti di lavoro. E' chiaro, infatti, che, il riconoscere legittima l'esclusione della rivalutazione monetaria per i crediti previdenziali di cui all'art. 23 cit., imporrebbe l'esclusione proprio del criterio automatico di rivalutazione e priverebbe, cosi', di una significativa porzione le spettanze accreditate all' ex dipendente per effetto di meccanismi di liquidazione prefissati per legge (applicazione dell'indice Istat di rivalutazione monetaria), per i quali non e' necessario, analogamente a quanto previsto per gli interessi legali, alcun accertamento della responsabilita' dell'Ente debitore, ne' prova del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore per il ritardato adempimento; ed ove, peraltro, per entrambi i benefici, quanto al credito in questione, la decorrenza e' fissata, in applicazione dell'art. 7 della legge n. 533 del 1973, allo scadere del centoventesimo giorno dalla maturazione del diritto, coincidente con il collocamento a riposo dell'interessato. Non decisive, peraltro, sotto il profilo prettamente giuridico, si rivelano le ragioni di carattere "pragmatico", legate all'esiguita' della decurtazione - neppure poi sostenibili alla luce dell'effetto cumulativo della rivalutazione automatica con gli interessi legali, ammesso dall'art. 429, terzo comma, del c.p.c., e posta, come si e' visto all'inizio, l'inapplicabilita' al caso di specie del diverso e piu' riduttivo criterio dettato dall'art. 16, sesto comma, della sopravvenuta legge n. 412/1991, rispetto ai soli crediti previdenziali, la cui eventuale inconciliabilita' con il principio previsto dall'art. 429 non presenta pertanto, comunque motivo di interesse e rilevanza nel presente giudizio - e alla necessita' di non aggravare ulteriormente la cassa dell'Ente. Allo stesso modo, d'altro canto, l'inderogabile esigenza di difesa del potere d'acquisto della prestazione previdenziale, anche essa necessaria per soddisfare, nella ormai riconosciuta assimilazione alla prestazione retributiva, gli ordinari bisogni della vita, ed attuata mediante il meccanismo della rivalutazione automatica, non puo' essere elusa, attesa la sua rilevanza costituzionale, dalla eccezionalita' della disposizione di cui al citato art. 23, siffatta eccezionalita' non rappresentandosi come ragionevole motivo giustificativo di un trattamento per i crediti di riliquidazione dell'I.P.S. meno favorevole rispetto a quello riservato agli altri crediti previdenziali (almeno rispetto a quelli maturati nello stesso periodo di tempo di riferimento e, come tali, neppure ricadenti nella piu' restrittiva disciplina introdotta dal citato art. 16, sesto comma, della legge n. 412/1991) ed essendo comuni agli uni e agli altri le ragioni di salvaguardia del potere d'acquisto in funzione dei bisogni anzidetti.
P. Q. M. La Corte dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione e in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 156/1991, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23, quarto comma, del d.l. 31 agosto 1987, n. 359, convertito in legge 29 ottobre 1987, n. 440, nella parte in cui dispone che le somme dovute a titolo di riliquidazione dell'indennita' premio di servizio non danno luogo alla corresponsione della rivalutazione monetaria, e cio' anche dopo l'entrata in vigore della legge 30 dicembre 1991, n. 412. Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il presente giudizio sul ricorso n. 12405/1989. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al procuratore generale presso la Corte di cassazione, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, 27 ottobre 1992 Il presidente: FARINARO Depositata in cancelleria oggi, 9 dicembre 1992. Il collaboratore di cancelleria: DEL FRANCO 93C0552