N. 254 ORDINANZA 24 - 27 maggio 1993
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Imputato - Convalida dell'arresto - Obbligo di scelta tra la richiesta di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena oppure la richiesta di un termine a difesa - Successivo dibattimento - Prevista sospensione - Erroneita' del presupposto interpretativo del giudice a quo - Facolta' e non obbligo del giudicabile - Manifesta infondatezza. (C.P.P., art. 566, ottavo comma). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.23 del 2-6-1993 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 566, ottavo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18 settembre 1992 dal Pretore di Gela nel procedimento penale a carico di La Bella Angelo ed altri, iscritta al n. 790 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 31 marzo 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri; Ritenuto che, con l'ordinanza in epigrafe, il Pretore di Gela ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 566, ottavo comma, del codice di procedura penale "nella parte in cui dispone che la formulazione della richiesta di applicazione della pena sia fatta subito dopo l'udienza di convalida e non, invece, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento"; che il giudice a quo premette che "secondo l'interpretazione dell'art. 566, sesto, settimo ed ottavo comma, del codice di procedura penale generalmente accolta" l'imputato, dopo la convalida dell'arresto, deve subito scegliere tra due facolta': la formulazione della richiesta di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena, oppure la richiesta di un termine per preparare la difesa. Mentre l'esercizio della prima facolta' non preclude, in caso di dissenso del pubblico ministero, l'esercizio della seconda, la richiesta del "termine a difesa" precluderebbe, invece, definitivamente, la possibilita' di chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena allorche' ha inizio il dibattimento "all'udienza preliminare successiva alla scadenza del termine" concesso; che sulla base di tale interpretazione il remittente rileva che la norma impugnata, oltre a contrastare con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, non consente il pieno esercizio della difesa, posto che, da un lato, attribuisce la facolta' di chiedere un termine per preparare la difesa tecnica, dall'altro rende parzialmente inutile questa facolta' impedendo al difensore di studiare il caso e le sue conseguenze e di valutare, assieme all'imputato, l'opportunita' di chiedere l'applicazione della pena evitando il pubblico dibattimento e l'eventuale sentenza di condanna; che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione. Considerato che il presupposto interpretativo sulla base del quale e' sollevata la questione di legittimita' costituzionale e' manifestamente errato in quanto, ai sensi degli artt. 449 e segg. del codice di procedura penale, il Pretore, prima della formale dichiarazione di apertura del dibattimento, deve informare l'imputato della facolta' di chiedere un termine per preparare la difesa, con la conseguenza che, nel caso di esercizio di detta facolta', il dibattimento, non ancora aperto, e' sospeso fino all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine (art. 451, sesto comma); che, quindi, secondo il chiaro disposto dell'art. 446, primo comma, la richiesta di applicazione della pena e' tempestivamente formulata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado; che nessuna eccezione a tale regola reca la disposizione impugnata dal giudice a quo nella quale le richieste di termine a difesa o di applicazione di uno dei riti speciali previsti dagli artt. 444 e 438 del codice di procedura penale vengono semplicemente riconosciute come facolta' che il giudicabile "puo'" (e non "deve") formulare subito dopo l'udienza di convalida, e cioe' a partire da quel momento processuale, sicche' la richiesta di applicazione della pena puo' ben intervenire fino al normale termine previsto nel citato art. 446, primo comma, del codice di procedura penale; che nello stesso senso si e' gia' espressa la giurisprudenza della Corte di Cassazione; che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e n. 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 566, ottavo comma, del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Gela, con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1993. Il Presidente: CASAVOLA Il redattore: FERRI Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 27 maggio 1993. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 93C0565