N. 272 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 marzo 1993
N. 272 Ordinanza emessa il 27 marzo 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Matera nel procedimento penale a carico di Saponara Marco Reato in genere - Indebito conseguimento (a seguito della esposizione di notizie o dati falsi) di erogazioni a carico del Fondo agricolo europeo - Prevista irrogazione della sanzione penale solo ove le erogazioni superino una determinata entita' (venti milioni) e siano superiori alla decima parte del beneficio spettante - Irragionevole previsione di una disciplina di favore rispetto a quella stabilita per la (ritenuta) sostanzialmente identica fattispecie di truffa di cui all'art. 640 del c.p., inapplicabile nel caso per il carattere speciale della norma impugnata. (D.L. 27 ottobre 1986, n. 701, art. 2, convertito, con modificazioni, nella legge 23 dicembre 1986, n. 898). (Cost., art. 3, primo comma).(GU n.24 del 9-6-1993 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI PREMESSA IN FATTO Il procuratore della Repubblica presso questo Ufficio ha trasmesso, per l'archiviazione, gli atti dell'emarginato procedimento penale nel quale Saponara Marco e' indagato in relazione al reato ex art. 2 della legge 23 dicembre 1986, n. 898, per aver indebitamente percepito un aiuto comunitario al settore agricolo, fatti commessi in Salandra sino all'anno 1991. Nella specie, l'archiviazione e' imposta dalla constatazione che non concorrono (giusta quanto previsto dall'art. 5.3 bis della legge 4 novembre 1987, n. 460) entrambe le condizioni previste dalla stessa norma perche' possa esser irrogata la sanzione penale: ovverosia, che la somma indebitamente percepita risulti pari o, superiore, a un decimo del beneficio legittimamente spettante, ed, al contempo, che la stessa sia superiore a lire venti milioni. La richiesta e' stata dal requirente formulata unitamente a quella, ulteriore e preordinata, acche' questo giudicante rimetta gli atti alla Corte costituzionale. Ritiene infatti il p.m. che detta normativa confligga con la carta fondamentale dello Stato. Vulnerato sarebbe il principio di eguaglianza e ragionevolezza, per la incongrua diversita' di trattamento che quella favorevolmente riserva a coloro che indebitamente percepiscono aiuti comunitari per l'agricoltura mediante esposizione di dati falsi, rispetto ad autori di fatti simmetrici, quali sono i comuni truffatori. Afferma il requirente: "Tali incongruenze non si possono liquidare con un semplice rilievo critico negativo o iscrivendole, secondo i canoni della moderna scienza della legislazione, nel novero delle tante manifestazioni schizofreniche di un ordinamento che stratificando norme su norme ha ormai perso il contatto con il reale; la questione non e' insomma di interesse meramente estetico o teoretico o storiografico ma decisamente pratico se si considerano le influenze di un tale sistema di privilegi sull'economia, sul costume e sulla diffusione di fenomenologie criminose "indotte"; si pensi al danno patrimoniale diretto che le frodi agricole arrecano alla comunita' europea (si calcola che questa eroga sovvenzioni indebite pari a circa il 20% della globale entita' degli aiuti; e questo per il solo settore agricolo); alla natura assistenziale e parassitaria della percezione finanziaria; alla potenzialita' criminogena del fenomeno sia in termini di reati strumentalmente connessi alla frode, sia in termini di riciclaggio delle illecite sovvenzioni in altri settori delinquenziali". CONSIDERAZIONI IN DIRITTO Osserva il decidente che i rilievi del p.m., in ordine alla non ortodossia costituzionale della normativa all'esame sono esatti e condivisibili. L'art. 2 della legge n. 898/86, invero, ha previsto il reato di chi "esponendo dati o notizie falsi, consegue indebitamente, per se' o altri, aiuti, premi, indennita', restituzioni, contributi o altre erogazioni a carico totale o parziale del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia". Con esso e' stato introdotta nell'ordinamento una particolare ipotesi di truffa (in tal senso: cassazione 13 aprile 1989, n. 5431, Palermo), la cui specialita' (che non e' sfuggita anche alla giurisprudenza di merito, v.: Corte d'appello di Napoli, 6 giugno 1989, Avino, in Foto it. 1990, 30 ss.) attiene a due elementi di diversificazione rispetto alla normativa di carattere generale: il primo, collegato alla peculiarita' degli artifici e raggiri, consistenti nella produzione di una documentazione ideologicamente, ovvero, in dati casi, materialmente falsa; il secondo, connesso al soggetto passivo del reato, ossia il Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia. Se questi sono i caratteri specializzanti, dei quali non e' difficile rilevare l'estrema marginalita' ai fini d'una convincente, oggettiva difformita' dei reati delineati da ciascuna delle rispettive previsioni normative, generale e speciale (che' i comportamenti umani in esse previsti appaiono contrastare in modo assolutamente analogo con i fini dello Stato, e postulare, pertanto, una medesima sanzione criminale), di non indifferente rilievo pratico sono, invece, le conseguenze che rivengono da detta diversificazione. "In primis", e' stata spostata in avanti la soglia della punibilita' essendo l'illecito connesso all'effettivo (e non piu' al tentato) conseguimento delle indebite sovvenzioni. Contrariamente avveniva in precedenza, vigente l'art. 9 del d.l. n. 1051/1967, convertito, con modificazioni, nella legge n. 10/1968 (norme per l'erogazione della integrazione di prezzo per l'olio di oliva di produzione 1967-1968, disciplina (abrogata dall'art. 5 della ripetuta legge n. 898/86) ai sensi della quale l'aver ottenuto i finanziamenti nello specifico settore dell'olio di oliva costituiva una circostanza aggravante del reato. Secondariamente, e' stata prevista la necessita' che la captazione penalmente rilevante si verifichi solo quando essa superi i venti milioni di lire e riguardi, al contempo, piu' del decimo del beneficio spettante: al di sotto di tali limiti v'e' soltanto una sanzione amministrativa. Si e' cosi' creata una ben ampia nicchia di comportamenti ontologicamente illeciti in cui i responsabili schivano la perseguibilita' penale. Infine, e' avvenuto che, anche quando sussistono le condizioni perche' detto ampio ambito di "immunita'" sia travalicato, le pene previste per il reato d'indebita percezione d'aiuti comunitari sono affatto inferiori a quelle dettate per coloro che pongono in essere - giusta quanto e' detto nell'art. 640- bis del c.p. (ipotesi di reato aggiunta al codice penale dall'art. 22 della legge 19 marzo 1990, n. 55) - "il fatto di cui all'art. 640". E' all'evidenza, pero', che - in ambo i casi - si tratta di "fatti" sostanzialmente identici (benevolmente il p.m. li definisce "simmetrici". Ce n'e' abbastanza per sostenere che l'autonoma previsione del reato di cui all'art. 2 della legge n. 898/1986, si ponga, in maniera non manifestamente infondata, in aperta violazione dei canoni di eguaglianza e ragionevolezza affermati nell'art. 3 della Costituzione. Essa, invero, e' la fonte d'una del tutto ingiustificata e discriminante disciplina di favore, la quale appare artatamente dettata per una settoriale categoria di truffatori, i quali fruiscono dell'evidenziato, triplice trattamento privilegiato, venendo sottratti, del tutto o in parte, alle pene previste per chi commette (o tenta) "tout court" il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Non ignora il decidente che ben potrebbe, a questo punto, esser evocato il principio d'inammissibilita' delle questioni di costituzionalita' per questioni rimesse a scelte riservate al legislatore (Corte costituzionale 7 aprile 1988, n. 425, Foro It. 1989, I, 292), e sostenersi che, anche nel caso della normativa qui denunciata, le evidenziate diversificazioni (rispetto alla disciplina generale codicistica) vanno riportate alla insindacabile volonta' del creatore del sistema giuridico. Senonche', non va dimenticato il carattere primario e fondamentale della Costituzione nell'ambito delle fonti dell'ordinamento statuale. Attesa detta priorita', e' evidente che dalla lettura della carta costituzionale bisogna partire non solo al fine dell'individuazione, nella scala gerarchica dei beni socialmente rilevanti, quelli a cui presidio e' posta l'"estrema ratio" costituita dalla sanzione penale, ma anche per sostenere che a comportamenti i quali in maniera analoga ledano, o mettano in pericolo, beni giuridici di rilievo deve corrispondere una medesima reazione dell'ordinamento. In sintesi, non e' consentito al legislatore, nonostante la discrezionalita' che gli compete, prescindere dall'osservanza delle direttive programmatiche, insite nel dettato costituzionale, le quali non solo ispirano la normazione futura, ma anche dettano il criterio per il controllo di legittimita' della legislazione esistente. Non e' ammissibile, cioe', che la disciplina penale tratti, in maniera macroscopicamente disomogenea, comportamenti che - a parte alcuni insignificanti elementi di diversita', attinenti al "contorno" dei fatti regolamentati - si pongono in sostanziale, identica posizione di conflitto con l'ordinamento giuridico. Tanto e' cio' che avviene, a parere del decidente, nel caso di chi fraudolentemente consegue, (o tenta di conseguire) indebiti aiuti comunitari per l'agricoltura, rispetto a chi, altrettanto fraudolentemente, consegue (o tenta di farlo) erogazioni pubbliche genericamente intese, concesse "da parte dello Stato, di altri enti pubblici e delle Comunita' europee" (art. 640-bis, ult. parte, del c.p.). Per tale ragione si impone la trasmissione degli atti al giudice delle leggi, affinche' valuti la ragionevolezza (o meno) della normativa che comporta il trattamento diversificato di siffatte identiche condotte. La rilevanza della questione e' palese: solo se la normativa denunciata venisse espunta dall'ordinamento potrebbe il giudicante evitare l'archiviazione degli atti, perche' all'indagato andrebbe ascritto - con le ulteriori valutazioni del caso (anche in punto di competenza) e sia pur nel rispetto dei limiti di cui all'art. 2 del c.p. - il reato di truffa aggravata.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara, per le ragioni su esposte, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 23 dicembre 1986, n. 898, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 ottobre 1986, n. 701, in relazione all'art. 3.1 della Costituzione; Dichiara sospeso il presente giudizio; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per gli adempimenti di sua competenza nei riguardi di dette parti e perche' copia della presente ordinanza venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Matera, addi' 27 marzo 1993 Il giudice per le indagini preliminari: VETRONE 93C0586