N. 274 SENTENZA 28 maggio - 10 giugno 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza   e   assistenza   -   Enasarco   -   Figli    maggiorenni
 infraventiseienni  iscritti  a corsi di studi universitari - Pensione
 di reversibilita' - Esclusione quando, a qualsiasi titolo, abbiano un
 reddito  proprio  -  Mancata  previsione  di  una   decurtazione   in
 proporzione   alla  misura  di  tale  reddito  -  Irragionevolezza  -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge 2 febbraio 1973, n. 12, c.d. terzo  e  settimo  comma,  n.  3,
 dell'art. 20)
 
 (Cost., artt. 3 e 34).
(GU n.25 del 16-6-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato  GRANATA,  prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita'  costituzionale  del  combinato  disposto
 dell'art. 20, terzo e settimo comma, numero 3, della legge 2 febbraio
 1973,  n.  12 (Natura e compiti dell'Ente nazionale di assistenza per
 gli  agenti  e  rappresentanti  di  commercio  e  riordinamento   del
 trattamento  pensionistico  integrativo  a  favore degli agenti e dei
 rappresentanti di commercio), promossi con le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 16 giugno 1992 dal Pretore di  Lecce  nel
 procedimento   civile   vertente   tra   Liaci   Paola   ed  altro  e
 l'E.N.A.S.A.R.C.O., iscritta al n. 500 del registro ordinanze 1992  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 40, prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
      2) ordinanza emessa il 15 luglio 1992 dal  Pretore  di  Pescara,
 nel   procedimento   civile   vertente   tra   Sabatini   Fabrizio  e
 l'E.N.A.S.A.R.C.O.,iscritta al n. 40 del registro  ordinanze  1993  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica n. 7, prima
 serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Liaci  Paola  ed  altro  e
 dell'E.N.A.S.A.R.C.O.,  nonche' gli atti di intervento del Presidente
 del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 20 aprile 1993 il Giudice relatore
 Fernando Santosuosso;
    Uditi  gli  avvocati  Salvatore  Cabibbo per Liaci Paola ed altro,
 Bartolo Spallina per  l'E.N.A.S.A.R.C.O.  e  l'Avvocato  dello  Stato
 Plinio Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Nel corso di un procedimento civile vertente tra Giampiero e
 Paola Liaci e l'E.N.A.S.A.R.C.O., in cui  i  ricorrenti,  nella  loro
 qualita'    di    studenti    universitari    figli   di   dipendente
 E.N.A.S.A.R.C.O.,gia' a carico del loro dante causa  al  momento  del
 suo  decesso,  hanno chiesto che venisse loro riconosciuto il diritto
 alla pensione di reversibilita' E.N.A.S.A.R.C.O. di cui  all'art.  20
 della  legge  2  febbraio  1973,  n.  12,  il  Pretore  di Lecce, con
 ordinanza del 16 giugno 1992, ha sollevato, in riferimento all'art. 3
 della Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
 combinato  disposto  dell'art.  20,  terzo e settimo comma, numero 3,
 della legge 2 febbraio 1973 n. 12, nella  parte  in  cui  esclude  il
 diritto alla pensione di reversibilita' E.N.A.S.A.R.C.O. a favore dei
 figli  maggiorenni infraventiseienni che siano studenti universitari,
 quando a qualsiasi titolo godano di  un  reddito  proprio,  ancorche'
 insufficiente per le necessita' di vita e di mantenimento.
   Rileva  il  giudice  a  quo  che la disposizione appare logicamente
 incoerente ed  irrazionale,  in  quanto  riconosce  il  diritto  alla
 pensione  di  reversibilita'  di  cui  trattasi  in  capo  al  figlio
 superstite  maggiorenne   infraventiseienne   che   frequenti   corsi
 universitari  allorche' questi risulti privo di un qualsiasi reddito,
 e non invece a colui che, a parita' delle altre  condizioni,  risulti
 titolare  di un reddito insufficiente per le sue necessita' di vita e
 di mantenimento.
    1.1. - Nel giudizio  davanti  alla  Corte  si  sono  costituiti  i
 ricorrenti, sostenendo la fondatezza della questione.
    Al  riguardo,  le  parti rilevano che l'illogicita' del sistema di
 cui alla normativa oggetto di giudizio sarebbe gia'  stata  acclarata
 dalla  sentenza n. 145 del 1987 di questa Corte, i cui principi - ivi
 riferiti ai figli maggiorenni inabili - possono essere richiamati nei
 confronti dei figli maggiorenni universitari  stante  l'identita'  di
 ratio  della  norma.  Se  infatti  quest'ultima  e'  da  rinvenire, a
 giudizio delle parti,  nella  volonta'  di  concedere  agli  studenti
 quell'aiuto  che  loro  spettava  in  ragione  della vivenza a carico
 dell'assicurato,  una  volta  che  questi  sia   venuto   a   mancare
 risulterebbe privo di ragione eliminare tale tutela in presenza della
 formale  titolarita' di un reddito qualsiasi, ancorche' insufficiente
 a sostituire l'aiuto concreto derivante dalla  precedente  vivenza  a
 carico.
    Ad  ulteriore  motivo di illogicita' della disposizione impugnata,
 la parte rileva che la stessa legge  n.  12  del  1973  struttura  la
 pensione  di  cui  trattasi  come  "trattamento integrativo" (art. 2,
 primo comma, ed enunciazione titolo II). Vi sarebbe infatti contrasto
 tra il requisito dell'inesistenza  di  qualsiasi  reddito  per  poter
 accedere  al  diritto in questione, e la sussistenza - in ogni caso -
 di titolarita' di pensione corrisposta dall'INPS (rispetto alla quale
 quella di reversibilita' fungerebbe da integrazione).
    1.2. - Si e' altresi' costituito l'E.N.A.S.A.R.C.O., chiedendo che
 la   questione   sia   dichiarata  inammissibile  od,  in  subordine,
 infondata.
    L'inammissibilita' e' eccepita in quanto  la  pronuncia  richiesta
 non  si  collegherebbe  alla violazione del principio di eguaglianza,
 bensi' spingerebbe la Corte ad operare una scelta tra piu'  soluzioni
 astrattamente  possibili,  ovvero richiederebbe un'integrazione delle
 disposizioni   vigenti,   compito   di   esclusiva   pertinenza   del
 legislatore.
    Cio'  in quanto, aggiunge l'Ente richiamando l'ordinanza di questa
 Corte n. 356 del  1988,  non  rientrerebbe  nei  poteri  della  Corte
 l'indicazione   di   un   particolare   limite   reddituale,  la  cui
 determinazione verrebbe invece richiesta nel caso di specie.
    Nel  merito,  rileva  che  l'illegittimita'  e  la  disparita'  di
 trattamento  invocate  dal  Pretore  non  sussistono,  in  quanto  il
 trattamento in questione e' di origine pattizia, e  non  ha  pertanto
 natura  di  previdenza od assistenza sociale, mentre la disparita' di
 trattamento invocata (tra figli  superstiti  titolari  di  reddito  e
 figli  superstiti che ne siano privi) attiene a situazioni giuridiche
 soggettivamente ed oggettivamente differenti, in relazione alle quali
 non puo' essere sindacata la scelta  discrezionale  del  legislatore.
 Anche  il  richiamo  alla sentenza n. 145 del 1987 appare, a giudizio
 dell'E.N.A.S.A.R.C.O., inconferente,  giacche'  la  diversita'  delle
 situazioni   esaminate   in   quella   sentenza  con  quelle  ora  in
 considerazione e' di tale evidenza da non consentire alcun raffronto,
 anche indiretto.
    1.3. - Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei  ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 concludendo  nel  senso  dell'inammissibilita'   o,   in   subordine,
 dell'infondatezza della questione.
    Sul punto dell'inammissibilita', l'Avvocatura richiama la sentenza
 n.  106 del 1991, con cui questa Corte aveva dichiarato inammissibile
 la medesima questione ora riproposta dallo stesso Pretore per mancata
 individuazione del parametro di costituzionalita'. Sebbene  -  rileva
 l'Avvocatura  -  nella presente ordinanza il Pretore indichi la norma
 parametro  (art.  3  della  Costituzione),  cio'  non   e'   tuttavia
 sufficiente  ad escludere la genericita' della motivazione sul punto,
 giacche' il richiamo alla disposizione costituzionale non e'  operato
 dal   giudice   a  quo  come  richiesta  di  confronto,  bensi'  come
 sottolineatura di una gia'  acclarata  illegittimita'  di  una  norma
 irrazionalmente discriminatoria ed iniqua.
    Nel merito, rileva l'impossibilita' di un raffronto tra situazioni
 profondamente  dissimili  quale  e'  quella  di  un minore invalido a
 carico che fruisca di un reddito insufficiente, da integrare  con  le
 richieste  provvidenze,  rispetto  a  quella  di  chi, nelle medesime
 condizioni, attenda agli studi e pretenda di fruire  del  trattamento
 pensionistico  di  reversibilita'  fino al ventiseiesimo anno. Mentre
 nel primo caso, infatti, e' in gioco il valore  della  sopravvivenza,
 nel   secondo   viene   in   considerazione  invece  il  fattore  del
 completamento degli studi che, pur  costituendo  rilevante  esigenza,
 non  ha  lo  stesso  valore  assorbente  ed imprescindibile che ha il
 primo; e peraltro puo' consentire la  possibilita'  di  integrare  in
 qualche misura le sue possibilita' di guadagno.
    2.  - Con ordinanza emessa il 15 luglio 1992, pervenuta alla Corte
 costituzionale il 28 gennaio 1993, il Pretore di Pescara,  nel  corso
 di   un   procedimento   civile  vertente  tra  Fabrizio  Sabatini  e
 l'E.N.A.S.A.R.C.O.,   ha   sollevato   questione   di    legittimita'
 costituzionale  del  combinato  disposto  dei  commi terzo e settimo,
 numero 3, dell'art. 20 della legge n. 12 del 1973, nella parte in cui
 non   prevede   il   diritto   alla   pensione   di    reversibilita'
 E.N.A.S.A.R.C.O.  a  favore  dei superstiti maggiorenni, frequentanti
 una scuola professionale o iscritti a corsi  di  studi  universitari,
 qualora in possesso di un reddito proprio, in riferimento agli art. 3
 e 34 della Costituzione.
   A  parere  del giudice a quo, i principi e le considerazioni svolti
 da questa Corte nella sentenza n. 145 del 1987 sono estensibili anche
 alle  ipotesi  di  superstite   maggiorenne   infraventiseienne   che
 frequenti  una  scuola  professionale o sia iscritto a corsi di studi
 universitari, in quanto tra le due categorie di soggetti non  sarebbe
 dato  ravvisare  una  marcata  diversita'  con  riguardo  ai mezzi di
 soddisfacimento delle esigenze di vita e di sostentamento. Nel  primo
 caso,  infatti,  i limiti e le difficolta' di procacciamento di detti
 mezzi sono dati dallo stato di inabilita' psico-fisica del  soggetto;
 nel secondo, da una condizione di impegno intellettivo gia' di per se
 stessa  qualificata  ed  incompatibile con la necessita' di cumulo di
 essa con una ulteriore attivita' lavorativa. Da qui un'ingiustificata
 disparita' di trattamento operata dalla normativa  impugnata  tra  il
 soggetto  studente  ed  altri  superstiti  fruitori,  nella  medesima
 condizione, di analoghi trattamenti  previdenziali,  con  conseguente
 violazione  dell'art.  3  della  Costituzione.  Per  altro  verso, la
 disposizione  si  porrebbe  in  contrasto   con   l'art.   34   della
 Costituzione,  in quanto tendente a concepire la portata del disposto
 costituzionale in termini riduttivi e limitativi  nei  confronti  del
 superstite maggiorenne studente.
    2.1.   -   Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  si  e'  costituito
 l'E.N.A.S.A.R.C.O.,  chiedendo  che  la  questione   sia   dichiarata
 inammissibile  od,  in  subordine,  infondata,  adducendo motivazioni
 analoghe a quelle prospettate nel giudizio indicato in  precedenza  e
 sopra riportate.
    A queste vengono aggiunte le motivazioni che inducono a respingere
 la questione sollevata in riferimento all'art. 34 della Costituzione,
 per  le  quali  l'Ente rileva che il cosiddetto "diritto allo studio"
 non puo' dilatarsi sino a far ritenere che il  legislatore  debba  in
 ogni  caso  assicurare,  e  per  intero,  i  mezzi  occorrenti per la
 prosecuzione degli studi, senza poter operare alcuna  graduazione  in
 relazione ai redditi eventualmente goduti dai soggetti interessati.
    2.2.  - Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o,  in
 subordine, infondata, sulla base di argomentazioni analoghe a  quelle
 prospettate nel giudizio indicato in precedenza e sopra riportate; ad
 esse aggiungendo il rilievo che la sentenza n. 106 del 1991 di questa
 Corte  esclude  la  possibilita'  di  considerare  la  categoria  dei
 superstiti maggiorenni inabili al lavoro come  tertium  comparationis
 rispetto a quella cui appartiene il ricorrente.
    3.  - In prossimita' dell'udienza l'E.N.A.S.A.R.C.O. ha presentato
 memoria per ribadire e sviluppare le tesi gia' sostenute nell'atto di
 intervento.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Dai  Pretori  di  Lecce  e  di  Pescara  e' stata sollevata
 questione di legittimita' costituzionale del  combinato  disposto  di
 cui  all'art. 20, terzo e settimo comma, numero 3, dell'art. 20 della
 legge 2 febbraio 1973, n. 12 (Natura e compiti dell'Ente nazionale di
 assistenza  per  gli  agenti  e   rappresentanti   di   commercio   e
 riordinamento  del  trattamento  pensionistico  integrativo  a favore
 degli agenti e dei rappresentanti di commercio), nella parte  in  cui
 esclude  il  diritto alla pensione di reversibilita' E.N.A.S.A.R.C.O.
 per i figli maggiorenni infraventiseienni che siano  iscritti  ad  un
 corso di studi universitari (Pretore di Lecce) ovvero anche di scuole
 professionali (Pretore di Pescara), quando a qualsiasi titolo abbiano
 un reddito proprio, ancorche' insufficiente per le necessita' di vita
 e   di   mantenimento,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  34  della
 Costituzione (secondo parametro  invocato  soltanto  dal  Pretore  di
 Pescara).
    Data l'analogia, le questioni possono, unificati i giudizi, essere
 decise con unica sentenza.
    2.  -  Va preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilita'
 prospettata   dall'E.N.A.S.A.R.C.O.,    secondo    cui    l'eventuale
 accoglimento della questione richiederebbe per la Corte la necessita'
 di  operare  una  scelta  tra piu' soluzioni astrattamente possibili,
 cosi'  invadendo  il  campo  riservato  alla   discrezionalita'   del
 legislatore.
    Al  riguardo,  va rilevato come questa Corte abbia gia' avuto modo
 di  affermare  che  "il  far  dipendere  l'insorgenza  del   rapporto
 giuridico  previdenziale  in  favore  di  un figlio maggiorenne ( ..)
 dalla  condizione  della  totale  mancanza  di  redditi  propri   del
 superstite  (  ..)  e',  nella  tassativa  indiscriminatezza  di tale
 condizione, contrario ai piu' elementari canoni dell'equita' e  della
 logica"  (sentenza  n.  145  del  1987),  affermando nel contempo che
 l'indicazione di un particolare limite  reddituale  non  rientra  nei
 poteri   della   Corte   ma  spetta  alla  scelta  discrezionale  del
 legislatore (ordinanza n. 356 del 1988 e sentenza 145 del  1987).  E'
 soltanto  quest'ultimo  aspetto,  pertanto,  che - in quanto relativo
 alla scelta fra  diverse  soluzioni  non  contrastanti  con  principi
 costituzionali  -  segna  un  limite  all'intervento di questa Corte:
 mentre la discrezionalita' del legislatore non puo' essere  invocata,
 com'e'  evidente,  nella parte della disciplina in cui l'affermazione
 di un principio si  pone  fondamentalmente  in  contrasto  con  norme
 costituzionali.
    Deve  parimenti  escludersi  il  rilievo,  prospettato  in  questo
 giudizio dall'E.N.A.S.A.R.C.O., secondo  cui  la  questione  andrebbe
 rigettata  in  quanto il trattamento in questione, essendo di origine
 storicamente pattizia, non avrebbe natura di previdenza od assistenza
 sociale. Al riguardo va rilevato come, se da un lato questa Corte  ha
 gia'  ritenuto  (sia  pure  implicitamente)  rientrante  nel rapporto
 giuridico previdenziale il trattamento  previsto  dalla  disposizione
 impugnata  (sentenza  n. 145 del 1987), l'esatta qualificazione della
 prestazione di cui si discute, essendo questa comunque stabilita  con
 legge,  non e' in ogni caso decisiva per la soluzione della questione
 sottoposta all'esame di questa Corte.
    3.   -   Non   puo'   neppure   essere   accolta   l'eccezione  di
 inammissibilita'  prospettata  dal  Presidente  del   Consiglio   dei
 ministri,  tendente ad affermare l'impossibilita' di un raffronto tra
 situazioni  profondamente  dissimili,  quale  quella  di  un   minore
 invalido  a  carico  che  fruisca  di  un  reddito  insufficiente, da
 integrare con le richieste provvidenze, rispetto  a  quella  di  chi,
 nelle  medesime  condizioni,  attenda agli studi e pretenda di fruire
 del trattamento pensionistico di reversibilita' fino al ventiseiesimo
 anno di eta'.  A  parte  il  rilievo  che  la  comparazione  andrebbe
 comunque  operata  con  riferimento  ai maggiorenni infraventiseienni
 inabili (cui si riferisce la precedente pronuncia di questa Corte), e
 non ai minori inabili, la questione sollevata dai giudici a quibus, e
 relativamente alla quale in questa sede  si  discute,  non  individua
 come  tertium comparationis, cui riferire la violazione del principio
 di eguaglianza, la situazione degli inabili al lavoro, bensi'  quella
 di coloro che, sebbene abili al lavoro, non godano di alcun reddito.
    In  altre parole, il riferimento operato dai giudici a quibus alla
 sentenza n.  145  del  1987  di  questa  Corte  non  e'  operato  per
 individuare nella situazione ivi considerata il tertium comparationis
 rispetto  al  caso  ora  esaminato,  bensi'  per  rinvenire una ratio
 decidendi che con il caso di specie presenterebbe  rilevanti  profili
 di analogia.
    4.  -  La  questione  di  legittimita'  costituzionale,  oltre che
 ammissibile, appare meritevole di accoglimento.
    Come primo approccio, potrebbe rilevarsi che  l'espressione  della
 norma  impugnata  circa  la  condizione negativa della mancanza di un
 reddito proprio non puo' essere intesa in senso assoluto, dal momento
 che lo stesso carattere "integrativo" della pensione E.N.A.S.A.R.C.O.
 - rispetto a quella prevista dalla  legge  n.  613  del  1966  -  non
 esclude, ma anzi contempla la possibilita' della coesistenza di detta
 pensione  con  altro  seppur  modesto  introito  pensionistico.  Deve
 inoltre considerarsi che per altre affini  categorie  di  orfani  (di
 guerra  e dei dipendenti pubblici), le corrispondenti norme (art. 70,
 primo comma, d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915; art. 85, secondo comma,
 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092) ritengono  nullatenente  anche  chi
 risulti  titolare  di  redditi minimi, nella misura in cui questi non
 sono assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche.  E
 lo  stesso  legislatore tributario considera viventi a carico anche i
 familiari con redditi propri inferiori ad una certa misura.
    D'altro lato, in  una  precedente  occasione  e'  stata  messa  in
 rilievo  la  valutazione operata dal legislatore della dedizione agli
 studi da parte degli orfani quale indice presuntivo della sussistenza
 della situazione di bisogno degli stessi (sentenza n. 366 del 1988).
    5. - Ma questa Corte ritiene che l'accoglimento della questione di
 costituzionalita' discenda soprattutto  dalla  ratio  sostanzialmente
 analoga  a  quella  posta  alla  base della pronuncia di accoglimento
 contenuta nella sentenza n. 145  del  1987  -  pur  senza  negare  le
 indubbie  differenze  tra i due casi - secondo cui il contrasto con i
 principi dell'art. 3 della Costituzione va ravvisato  nell'incoerenza
 intrinseca  della  disposizione che, mentre riconosce il diritto alla
 pensione di reversibilita' nel presupposto della "vivenza  a  carico"
 di  figli  economicamente non autonomi, esclude poi dalla titolarita'
 di questo diritto quei figli che, non possedendo redditi  sufficienti
 a  renderli  autonomi, neppure sono in grado di procurarseli a motivo
 della condizione di inabili ovvero (come  nel  presente  caso)  della
 loro dedizione agli studi.
    La  rilevata  illogicita'  si  riscontra altresi' nel fatto che la
 norma non fa alcuna distinzione fra i  figli  possessori  di  redditi
 propri  inferiori  alla  misura della pensione di reversibilita' ed i
 figli che hanno redditi superiori a detta  pensione;  mentre  sarebbe
 stato ragionevole conservare il trattamento pensionistico graduandolo
 nella  misura  in  cui  esso vada ad integrare il reddito proprio, in
 modo da assicurare le stesse risorse  economiche  sia  a  coloro  che
 hanno diritto a percepire integralmente la pensione, sia ai figli che
 percepiscono un reddito ad essa inferiore.
    6.  -  La  fondatezza  della  questione  sotto  il  profilo  della
 ragionevolezza risulta rafforzata dal riferimento operato dal Pretore
 di Pescara all'art. 34 della Costituzione poiche',  se  questa  norma
 proclama  il  diritto  allo  studio  e  l'impegno  della Repubblica a
 renderlo effettivo fino al raggiungimento dei gradi piu'  alti,  cio'
 puo'  realizzarsi  in modo efficiente ove sia dedicato a tale impegno
 intellettuale  tanto  tempo  da  lasciare  ben  poco  (o  addirittura
 nessuno)  spazio  all'espletamento di altro lavoro redditizio. Con la
 conseguenza di  rendere  ancora  piu'  logico  che,  almeno  fino  al
 ventiseiesimo  anno  di eta', i figli i quali si impegnano a studiare
 possano effettivamente  farlo  solo  se  il  loro  eventuale  reddito
 insufficiente venga proporzionalmente integrato fino a raggiungere la
 stessa  soglia della pensione di reversibilita' riconosciuta a coloro
 che sono nella condizione di integrale vivenza a carico.
    7.  -  Se  la  ratio  del   riconoscimento   della   pensione   di
 reversibilita' e', come si e' osservato, il perdurare della vivenza a
 carico  dei  figli maggiorenni infraventiseienni per l'impossibilita'
 di procurarsi un sufficiente reddito  proprio  attraverso  un  lavoro
 retribuito  a  causa  della dedizione del loro tempo disponibile agli
 studi, sarebbe peraltro logico esigere, da parte del legislatore, non
 soltanto  l'iscrizione  alle  scuole  o  all'universita',  ma   anche
 l'effettivita' della frequenza ed il profitto nel rendimento.
    Va  rilevato  infatti che la disposizione costituzionale (art. 34,
 terzo comma, della Costituzione) riconosce il diritto di  raggiungere
 i  gradi  piu'  alti  degli  studi  ai  "capaci e meritevoli", la cui
 valutazione, come  si  ricava  anche  dai  lavori  preparatori  della
 Costituzione,  implica un riscontro relativamente al "profitto". Cio'
 varrebbe ad  escludere,  fra  l'altro,  che  la  tutela  finisca  per
 incoraggiare  i  casi  di  tante  formali  iscrizioni  seguite  da un
 inadeguato (o nessuno) impegno.
    Per la scuola media e  professionale,  la  disposizione  impugnata
 richiede  che i figli "frequentino", mentre per gli universitari essa
 si limita a richiedere il requisito della  mera  "iscrizione":  altre
 norme,  al  contrario  (ad  esempio  quella  relativa  al  rinvio del
 servizio di leva, contenuta nell'art. 19, terzo comma, della legge 31
 maggio 1975, n.  191)  prevedono  un  agevole  sistema  di  controllo
 dell'effettiva dedizione, sia pure limitata, agli studi universitari.
    Tuttavia,   non   spetta  alla  Corte  costituzionale,  bensi'  al
 legislatore, adottare soluzioni analoghe a  quelle  indicate;  e  del
 resto  questo aspetto della norma sembra esulare dall'oggetto diretto
 della questione di costituzionalita' qui sollevata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  l'illegittimita' costituzionale del
 combinato disposto dei commi 3 e 7, n. 3, dell'art. 20 della legge  2
 febbraio  1973,  n.  12,  nella  parte  in cui prevede la perdita del
 diritto alla pensione  di  reversibilita'  per  i  figli  maggiorenni
 infraventiseienni  che  frequentino  scuole  o  universita', quando a
 qualsiasi titolo abbiano un reddito proprio, anziche'  prevedere  che
 dalla  pensione  di  reversibilita'  sia  decurtata la misura di tale
 reddito proprio.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 maggio 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: SANTOSUOSSO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 10 giugno 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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