N. 30 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 21 giugno 1993

                                 N. 30
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
  cancelleria il 21 giugno 1993 (della regione Calabria)
 Prorogatio - Disciplina della proroga degli organi amministrativi -
    Obbligo delle regioni a statuto ordinario di adeguare i rispettivi
    ordinamenti  ai  principi fondamentali stabiliti dal decreto-legge
    impugnato ed applicabilita' immediata  delle  norme  del  medesimo
    fino  all'assolvimento  di  detto obbligo da parte delle regioni -
    Previsione altresi': a) della cessazione  dalle  funzioni  con  la
    scadenza  del  mandato;  b)  di  un  periodo massimo di proroga di
    quarantacinque  giorni;  c)  della  sostituzione  da   parte   del
    presidente  del collegio nei confronti del collegio inadempiente -
    Asserita invasione della sfera di competenza regionale in  materia
    di  organizzazione  degli  uffici  (gia'  esercitata dalla regione
    ricorrente con legge 5 agosto 1992, n.  13)  con  incisione  sulle
    norme  legislative e statutarie che assegnano competenze ad organi
    collegiali regionali,  nonche'  sulla  potesta'  statutaria  delle
    regioni  e  sulla  disciplina  costituzionale del consiglio, della
    giunta e del presidente - Riferimento alla  sentenza  della  Corte
    costituzionale n. 208/1992 nonche' ai ricorsi nn. 17 e 28 del 1993
    proposti  dalla stessa regione avverso decreti-legge (decaduti) di
    contenuto sostanzialmente identico a quello in questione.
 (D.L. 20 maggio 1993, n. 150).
 (Cost., artt. 77, 117, 118, 121 e 122).
(GU n.30 del 21-7-1993 )
   Ricorre la regione Calabria, in persona del presidente della giunta
 regionale, on. Guido Rhodio, in forza di delibera 24 maggio 1993,  n.
 2188,  della giunta regionale immediatamente esecutiva, rappresentato
 e difeso, giusta  procura  speciale  a  margine  del  presente  atto,
 dall'avv.  Federico  Sorrentino e nel suo studio in Roma, lungotevere
 delle Navi, 30, elettivamente domiciliato, contro lo Stato e per esso
 il Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  per  la  dichiarazione
 d'illegittimita'  costituzionale  del  d.l.  20 maggio 1993, n. 150,
 recante  "Disciplina  della  proroga  degli  organi  amministrativi",
 pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 116
 del 20 maggio 1993.
                               F A T T O
    1. - Investita della questione di legittimita'  costituzionale  di
 una  norma di legge regionale che prevede la "decadenza" dei comitati
 regionali di controllo non rinnovati entro sessanta giorni dalla loro
 scadenza, la Corte con la sentenza 4 maggio 1992, n.  208,  affermava
 importanti  e, sotto certi aspetti, innovativi principi in materia di
 prorogatio  di  organi   amministrativi.   In   particolare   esclusa
 l'esistenza di norme dalle quali possa trarsi la generalirta' di tale
 istituto,  essa  concludeva che "ogni proroga, in virtu' dei principi
 desumibili  dal  citato  art.  97  della  Costituzione,  puo'  aversi
 soltanto se prevista espressamente dalla legge e nei limiti da questa
 indicati".
    "Un'organizzazione  caratterizzata  da  un  abituale  ricorso alla
 prorogatio - proseguiva la Corte - sarebbe difatti  ben  lontana  dal
 modello  costituzionale.  Se  e'  previsto  per  legge che gli organi
 amministrativi  abbiano  una  certa  durata  e  che  quindi  la  loro
 competenza sia temporalmente circoscritta, un'eventuale prorogatio di
 fatto sine die - demandando all'arbitrio di chi debba provvedere alla
 sostituzione  di  determinarne  la  durata pur prevista a termine dal
 legislatore  ordinario  -  violerebbe  il  principio della riserva di
 legge in materia di  organizzazione  amministrativa,  nonche'  quelli
 dell'imparzialita' e del buon andamento".
    Escluso,  quindi  che alla prorogatio possa attribuirsi valenza di
 "principio  di  carattere  generale",  il  Governo  -  non  ritenendo
 sufficiente   lo   strumento  legislativo  ordinario  -  decideva  di
 provvedere conformemente ai suggerimenti della Corte ed  a  tal  fine
 adottava  una serie di decreti-legge (nn. 381 e 439 del 1992, 7, 69 e
 150 del 1993): i  primi  quattro  decaduti  e  l'ultimo  oggetto  del
 presente giudizio.
    In   tutti   e   cinque   i   provvedimenti  viene  dichiarata  la
 perentorieta' della scadenza legislativamente  fissata  degli  organi
 amministrativi  dello  Stato  e  degli  enti pubblici (esclusi quelli
 elettivi e quelli a rilevanza costituzionale), stabilendosi  peraltro
 un periodo di proroga non superiore a quarantacinque giorni durante i
 quali gli organi scaduti possono adottare soltanto gli atti urgenti e
 indifferibili:  limite  ora  ampliato dall'art. 3, secondo comma, del
 d.l.  150/1993  che  vi  include  anche  gli   atti   di   ordinaria
 amministrazione.
    Si   prevede,   infine   che,   allorche'   la   competenza   alla
 ricostituzione spetti ad organi collegiali, questa  venga  trasferita
 al  presidente  del  collegio,  qualora essa non sia stata esercitata
 sino a tre giorni prima del suddetto periodo di proroga.
    Relativamene alle nomine  di  competenza  delle  regioni  e  delle
 provincie  autonome  di Trento e di Bolzano i primi tre decreti-legge
 (poi decaduti) stabilivano che "entro un anno dalla data  di  entrata
 in vigore della legge di conversione del presente decreto, le regioni
 a  statuto  ordinario,  nonche'  le  regioni  a statuto speciale e le
 provincie autonome di Trento e di Bolzano, provvedono ad  adeguare  i
 rispettivi ordinamenti alle disposizioni del presente decreto".
    Tale  formulazione  lasciava intendere un dovere di adeguamento da
 parte degli ordinamenti regionali a tutte le disposizioni del decreto
 legge ed intando la loro immediata vincolativita' in violazione della
 competenza legislativa e satutaria delle regioni interessate.
    Infine tutti i decreti legge successivi al  primo,  tra  le  norme
 finali  e  transitorie,  hanno  inserito  una disposizione secondo la
 quale "restano confermati gli atti di ricostruzione di organi scaduti
 anteriormente alla data di entrata in vigore  del  presente  decreto,
 che  siano  stati  adottati,  in sostituzione degli organi collegiali
 competenti,  dai   rispettivi   presidenti,   in   conformita'   alle
 disposizioni  vigenti  alla  data  di  compimento  degli atti stessi"
 (cioe': in conformita' alle disposizioni dei decreti-leggi decaduti).
    La regione Calabria ha impugnato sotto diversi  profili  il  d.l.
 7/1993  con  ricorso  gia' discusso dinanzi a codesta eccellentissima
 Corte all'udienza dello scorso  25  maggio  1993;  ed  ha  egualmente
 impugnato  il d.l. 69/1993 che, pur avendo almeno in parte recepito,
 nella formulazione dell'art.  9,  le  osservazioni  critiche  rivolte
 dalle  regioni,  non si sottraeva del tutto alle censure di invasione
 della competenza  regionale:  sotto  la  rubrica  "Adeguamento  della
 normativa  regionale", l'indicato articolo stabiliva, al primo comma,
 che "entro un anno dalla data di entrata in  vigore  della  legge  di
 conversione  del  presente  decreto,  le  regioni a statuto ordinario
 regolano le materie disciplinate dal decreto stesso nel rispetto  dei
 principi  fondamentali  posti  dalle  disposizioni in esso contenute.
 Tali  disposizioni  operano  direttamente  nei riguardi delle regioni
 fino a quando esse non abbiano legiferato  in  materia".  Il  ricorso
 relativo a questa seconda impugnativa e' comunque fissato alla camera
 di consiglio del 7 luglio 1993.
    2.  -  Decaduto il precedente per mancata conversione nei termini,
 il Governo propone ora un quinto decreto,  150/1993,  qui  impugnato,
 che,   riproducendo   quasi   negli   stessi  sostanziali  termini  i
 precedenti, se ne discosta ancora una volta  per  la  parte  relativa
 all'adeguamento  della  normativa regionale alle disposizioni da esso
 recate.
    Stabilisce, infatti, l'art. 9 al primo comma, che "le disposizioni
 di cui al presente decreto operano direttamente  nei  riguardi  delle
 regioni a statuto ordinario fino a quando esse non avranno adeguato i
 rispettivi ordinamenti ai principi generali ivi contenuti".
    Prescindendo  dal  discutibile  riferimento ai "principi generali"
 contenuti nel  decreto,  tale  articolo,  pur  formulato  in  maniera
 parzialmente  differente  rispetto  al  corrispondente  articolo  del
 precedente  decreto,  se  per  un  verso,  come  gia'  si   osservava
 relativamente   al   quarto  d.l.,  attenua  l'impatto  sul  sistema
 regionale delle nuove disposizioni legislative, non elimina  tuttavia
 la  lesione  della  competenza  regionale denunciata con i precedenti
 ricorsi;  sicche'  la  regione  Calabria   deve   ancora   rivolgersi
 all'eccellentissima  Corte  per denunciare l'illegittimita' del d.l.
 20 maggio 1993, n. 150, sotto i seguenti profili di
                             D I R I T T O
    Violazione degli artt. 117, 118, 122 e 123, ancche in  riferimento
 all'art.  77,  ultima  comma,  della  Costituzione.  Invasione  della
 competenza regionale.
    3. - Preliminarmente deve sottolinearsi che la regione ricorrente,
 ancor prima che il Governo intervenisse con i decreti-legge di cui in
 narrativa, a precisare e  a  specificare  i  principi  costituzionali
 richiamati  dalla  Corte, ha adottato una propria disciplina, passata
 indenne al controllo governativo, del fenomeno della prorogatio,  con
 legge  regionale  5  agosto  1992,  n.  13, recante "Disciplina delle
 nomine di competenza della regione" (B.U.R. 10 agosto 1992, n.  104).
 L'art. 8 di questa legge, in particolare, stabilisce, al primo comma,
 che  "tutte  le  nomine e le designazioni di competenza della regione
 cessano con la scadenza della legislatura nel corso della quale si e'
 proceduto alle nomine o alle designazioni e sono rinnovabili per  una
 sola  volta", al secondo comma dispone che, "trascorsi novanta giorni
 dall'insediamento del consiglio regionale neo eletto, le persone nom-
 inate o  designate  negli  organismi  indicati  dell'art.  1  (organi
 regionali,  enti  dipendenti  dalla  regione,  u.s.l., eccettuati gli
 organi elettivi e i pubblici dipendenti) non  possono  continuare  ad
 esercitare  la funzione istituzionale e, nel caso in cui il consiglio
 regionale non effettui le nomine o le designazioni entro il  predetto
 termine  ai sensi dell'art. 5 della presente legge (che disciplina il
 relativo  procedimento),  provvede  la  giunta  regionale  ai   sensi
 dell'art.  28 dello statuto" (cioe' in via d'urgenza e con obbligo di
 ratifica entro trenta giorni).
    La legge regionale, dunque, per un verso, e' rispettosa  dell'art.
 97  della  Costituzione  sotto  i  profili indicati dalla sentenza n.
 208/1992  della  Corte:  esclude  la  proroga  di   fatto   a   tempo
 indeterminato  e  provvede  a  interventi sostitutivi e di urgenza in
 caso   di   inadempimento   dell'organo   competente   (il  consiglio
 regionale); per altro verso essa anticipa mediante il sopra descritto
 meccanismo le disposizioni dei decreti legge adottati dal Governo.
    Di qui la conclusione che il decreto oggi impugnato,  che  obbliga
 le regioni ad adeguare i propri ordinamenti ai "principi generali" da
 esso  posti,  non dovrebbe incidere sull'art. 8 della legge regionale
 n. 13/92, il quale contiene disposizioni  di  dettaglio,  bensi'  di-
 verse, ma sicuramente rispettose dei medesimi principi. Invero, fermo
 restando  il  rispetto  dell'art.  97  della  Costituzione, i decreti
 governativi stabiliscono:
      la cessazione delle funzioni con la scadenza del mandato;
      la previsione di un periodo massimo di proroga di quarantacinque
 giorni;
      la  sostituzione  da  parte  del  presidente  del  collegio  nei
 confronti del collegio inadempiente.
    Queste disposizioni corrispondono ad un principio fondamentale che
 vuole  la  cessazione  delle  funzioni  dell'organo alla sua scadenza
 naturale e prevede meccanismi sostitutivi rigidamente  articolati  in
 caso di inerzia competente alla ricostituzione.
    Non  par  dubbio  quindi  che  la  legge  regionale n. 13/1992 sia
 coerente con i principi enunciati dal d.l. n.  150/1993,  e  che  la
 diretta operativita' delle disposizioni di cui al decreto stesso, non
 abbia  modo  di  esplicarsi  nei  riguardi della regione Calabria per
 quanto gia' da questa disciplinato, mentre le altre disposizioni  del
 d.l.  relative  al  regime  degli  atti  ed alla responsabilita' per
 mancata ricostituzione nei termini, varranno  anche  per  la  regione
 ricorrente   come  riferimento  per  i  principi  fondamentali  della
 materia.
    Qualora pero' il primo comma dell'art. 9 non dovesse essere inteso
 nel senso che i "principi" cui le regioni a  statuto  ordinario  sono
 tenute  ad  adeguare  i  rispettivi  ordinamenti, ed in quanto non vi
 abbiano gia'  provveduto,  siano  solo  quelli,  gia'  esistenti,  da
 ricavarsi  dall'art.  97  della  Costituzione, secondo le indicazioni
 della Corte (cio' che sembrerebbe essere confermato  dal  riferimento
 ai  principi "generali" anziche' fondamentali del d.l. in questione)
 bensi' come abrogativo della disciplina regionale gia' adottata  e  i
 meccanismi   di  ricostituzione  degli  organi  scaduti  direttamente
 applicabili    alla    regione,    non     puo'     che     dedursene
 l'incostituzionalita' per le ragioni accennate in rubrica.
    4.  -  Per  tale ipotesi viene immediatamente in considerazione il
 secondo comma dell'art. 4, a termini del quale "Nei  casi  in  cui  i
 titolari   della   competenza   alla   riscostituzione  siano  organi
 collegiali e questi non procedano alle nomine o designazioni ad  essi
 spettanti  almeno  tre  giorni prima della scadenza della proroga, la
 relativa competenza e' trasferita ai rispettivi presidenti,  i  quali
 debbono comunque esercitarla entro la scadenza del termine medesimo".
    Questa disposizione viola tanto la competenza regionale in materia
 di  "ordinamento  degli uffici e degli enti dipendenti dalle regioni"
 (art. 117) quanto la competenza statutaria delle regioni  di  diritto
 comune   (art.   123),  incidendo  essa  sulle  norme  legislative  e
 statutarie  che  assegnano  competenze  ad  organi   collegiali.   La
 disposizione  impugnata, invero, crea una competenza nuova in capo ai
 presidenti di organi  collegiali,  sottraendo  ai  collegi  stessi  i
 corrispondenti  poteri.  Ed  e' evidente che una statuizione siffatta
 potrebbe provenire, per  gli  uffici  e  gli  enti  dipendenti  dalla
 regione  e  per  gli  stessi  organi  regionali,  dalla legge o dallo
 statuto regionale.
    Di piu' la disposizione in esame viola, insieme  con  la  potesta'
 statutaria  delle  regioni,  gli  artt. 121 e 122 della Costituzione,
 allorche' essa venga riferita a nomine di  competenza  del  consiglio
 regionale.  Infatti,  secondo  la norma costituzionale, il presidente
 del consiglio regionale non ha una posizione per cosi' dire  autonoma
 dal consiglio stesso dal quale e' eletto per dirigerne i lavori (122,
 terzo  comma) ne', a differenza del consiglio, della giunta e del suo
 presidente (art. 124, primo comma), possiede una propria ed  autonoma
 rilevanza esterna.
    Naturalmente  cio'  potrebbe  non  escludere che al presidente del
 consiglio regionale vengano conferite fuzioni di  rilevanza  esterna,
 purche'  non incompatibili con il suo compito di direzione dei lavori
 del  consiglio,  ma  tale  attribuzione,   innovando   specificamente
 all'organizzazione  regionale,  non  puo'  che  competere  alla fonte
 statutaria (art.  123)  e,  sulla  base  di  questa,  al  regolamento
 consiliare.
    Ne discende allora l'incostituzionalita', in riferimento ai citati
 parametri,  di  una  norma  statale  che  trasferisce  una competenza
 attribuita al consiglio regionale al  suo  presidente  e  che  fa  di
 questo un organo titolare di poteri amministrativi esterni.
    5.  -  Ugualmente  sulla  competenza  delle  regioni in materia di
 organizzazione dei loro  uffici  e  degli  enti  da  esse  dipendenti
 incidono  le  disposizioni relative al regime di proroga degli organi
 amministrativi scaduti e degli atti da questi emanati (art. 3).  Tali
 disposizioni,  limitando  la  competenza  degli  organi  prorogati  e
 sanzionando come illegittimi gli atti posti in essere al di fuori dei
 limiti da esse  indicati,  incidono  sulla  competenza  regionale  in
 materia, in violazione quindi dell'art. 117 della Costituzione.
    Tale  censura  va  estesa  al  successivo  art.  6 che sancisce la
 nullita' di diritto degli atti compiuti dagli organi scaduti.
    6. - Da ultimo deve denunciarsi l'art. 8  del  decreto  impugnato,
 nella   parte   in  cui  convalida  e  mantiene  fermi  gli  atti  di
 ricostituzione  adottati  da   presidenti   di   organi   collegiali,
 anteriormente  all'entrata in vigore del decreto, in sostituzione dei
 competenti collegi (secondo comma).
    Questa disposizione viola, non solo l'art. 77, ultimo comma, della
 Costituzione in relazione anche all'art. 15, secondo comma, lett. d),
 della legge n. 400/1988, ma anche, ed inscindibilmente, le competenze
 regionali in materia di organizzazione di uffici ed enti regionali.
    Invero,  ove  anche  dovesse  sostenersi  che   il   decreto-legge
 impugnato  possa comprimere, nei sensi che si sono appena contestati,
 le  competenze  regionali  in  materia,  esso  sicuramente  non  puo'
 convalidare  cio'  che in base alla costituzione e' invalido e quindi
 non puo' sottrarre al legislatore ne'  all'amministrazione  regionale
 il  potere  di qualificare come invalidi atti applicativi di decreti-
 legge non convertiti.
    In altre parole la disposizione impugnata non  solo  incide  sulla
 potesta'  legislativa  regionale  e su quella statutaria al di la' di
 quanto consentirebbero gli artt. 117 e 123, ma incide altresi'  sulla
 competenza  degli  organi collegiali, ai quali sarebbe cosi' impedito
 di  revocare gli illegittimi atti dei loro presidenti e di provvedere
 diversamente in ordine agli organi scaduti.
    Va poi aggiunto che la convalida  degli  atti  compiuti  sotto  il
 vigore  dei  precedenti  decreti, i quali, a differenza di quello qui
 impugnato e di quello che lo ha preceduto, obbligavano le regioni  ad
 adeguarsi  alla  totalita'  delle  loro disposizioni, fa si' che atti
 costituzionalmente illegittimi - quali quelli adottati in  esecuzione
 dei  precedenti  decreti-legge  invasivi  della  competenza regionale
 garantita dall'art. 117 - vengano ritenuti validi ed efficaci,  senza
 che  la  regione possa porvi rimedio, ripristinando l'ordine naturale
 delle competenze.
                               P. Q. M.
    Si chiede che, in accoglimento  del  presente  ricorso,  il  d.l.
 impugnato venga dichiarato incostituzionale in riferimento agli artt.
 117, 118, 121, 122, 123 e 77 della Costituzione.
      Roma, addi' 14 giugno 1993
                       Avv. Federico SORRENTINO

 93C0715