N. 380 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 gennaio 1993
N. 380 Ordinanza emessa l'8 gennaio 1993 dal tribunale amministrativo regionale della Liguria, sezione I, Genova sul ricorso proposto da De Giacomo Carmine contro il Ministero delle finanze Impiego pubblico - Carriera dirigenziale - Attribuzione di trattamento economico superiore a quello spettante per computo del maturato economico nella carriera direttiva - Richiesta di allineamento stipendiale di funzionario piu' anziano nella carriera dirigenziale - Ius superveniens e norma di interpretazione autentica - Divieto di adozione di provvedimenti di allineamento stipendiale ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992 - Discriminazione tra chi abbia ottenuto il provvedimento di allineamento stipendiale prima dell'entrata in vigore della norma in esame e chi se ne veda negare il diritto - Lesione del principio di buon andamento e di imparzialita' della p.a. (Legge 14 novembre 1992, n. 438, art. 7, settimo comma; d.l. 19 settembre 1992, n. 384). (Cost., artt. 3 e 97).(GU n.29 del 14-7-1993 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente sentenza-ordinanza sul ricorso n. 244/1992 proposto da Carmine de Giacomo, rappresentato e difeso dal dott. proc. P. Montobbio, ed elettivamente domiciliato presso di lui, in Genova, via Roma, 5/2, ricorrente, contro il Ministero delle finanze, in persona del Ministro p.t., resistente, per l'annullamento del provvedimento emesso il 3 dicembre 1991, n. 4/7076 - div. IV e di ogni altro eventuale atto connesso, presupposto, conseguenziale; Visto il ricorso con i relativi allegati; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti tutti gli atti della causa; Udita alla pubblica udienza del giorno 8 gennaio 1993 la relazione del primo referendario Alessandro Botto e udito altresi' l'avv. P. Montobbio per il ricorrente; Ritenuto e considerato quanto segue; ESPOSIZIONE DEL FATTO Con ricorso notificato il 7 febbraio 1992 Carmine de Giacomo impugnava, chiedendone l'annullamento, il provvedimento con cui era stata respinta la sua richiesta tesa ad ottenere l'equiparazione stipendiale con colleghi di pari o minore anzianita' nella qualifica di primo dirigente ed instava per la condanna dell'amministrazione resistente al pagamento delle somme dovute a tale titolo, oltre rivalutazione e interessi. Affermava il ricorrente, primo dirigente dell'amministrazione periferica delle imposte dirette (Ministero delle finanze), in servizio presso l'ispettorato compartimentale delle imposte dirette della regione Liguria, di aver constatato che alcuni colleghi, aventi minore anzianita' della propria nel ruolo della carriera di primo dirigente, percepivano uno stipendio superiore al suo. Pertanto, egli aveva inoltrato richiesta alla direzione generale delle imposte dirette al fine di ottenere l'allineamento del proprio stipendio a quello di detti colleghi, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 869/1982. L'amministrazione finanziaria, peraltro, con l'atto impugnato in questa sede, aveva respinto la richiesta, ritenendo ostativa a cio' la maggiore anzianita' nella carriera direttiva dei colleghi presi a raffronto. Secondo il ricorrente cio' sarebbe illegittimo, poiche' l'amministrazione avrebbe dovuto considerare, ai fini in esame, l'anzianita' nella carriera dirigenziale e non anche il pregresso periodo di servizio nella carriera direttiva, trattandosi di termini di raffronto non comparabili tra di loro. Il meccanismo dell'allineamento stipendiale, definito dalla giurisprudenza rimedio di carattere generale, dovrebbe infatti servire ad evitare ingiusti scavalcamenti stipendiali da parte di chi si trova in posizione deteriore di ruolo, in quanto giunto successivamente alla qualifica dirigenziale. La motivazione adottata nel caso di specie dalla p.a. per negare il richiesto beneficio sarebbe comunque indeterminata, perplessa e quindi illegittima. All'odierna udienza, sentito il difensore del ricorrente, la causa veniva trattenuta in decisione dal Collegio. MOTIVI DELLA DECISIONE Rileva in via preliminare il collegio come il ricorso introduttivo, nell'atto originale, risulti carente della sottoscrizione del difensore. A tale proposito osserva peraltro il collegio come possa farsi adesione a quella interpretazione meno rigoristica, fornita dalla giurisprudenza amministrativa e della corte di cassazione, secondo cui la sottoscrizione del procuratore, apposta per autentica della procura rilasciata a margine dell'atto, vale come sottoscrizione ed assunzione di paternita' dell'atto stesso (cfr. Cass. 3370/1979; 746/1978; 3279/1977; 2861/1074; 2852/1974; t.a.r. Lazio, Latina, 89/1988; t.a.r. Emilia Romagna 8/1980 ecc.). Poiche' nel caso di specie il dott. proc. Paolo Montobbio risulta aver autenticato la firma del ricorrente apposta sulla procura ad litem rilasciata a margine del ricorso introduttivo, ne discende, in applicazione del suesposto principio, che irrilevante deve ritenersi la mancata sottoscrizione del ricorso in calce allo stesso. Nessuna invalidita' puo' altresi' individuarsi nell'anomalia insita nella notifica del ricorso introduttivo, effettuata peraltro correttamente presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato, risultando la relativa relazione dell'ufficiale giudiziario apposta non in calce al solo ricorso, ma alla copia dei documenti allegati allo stesso, in quanto con cio' si e' soltanto provveduto ad inoltrare direttamente all'avvocatura erariale, oltre al ricorso, anche la relativa documentazione. Quanto al merito, occorre rilevare come nelle more del giudizio sia intervenuta una norma ostativa all'accoglimento del ricorso e precisamente l'art. 7, settimo comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438, norma che vieta l'emanazione di atti di allineamento stipendiale, ancorche' riferiti a periodi anteriori all'11 luglio 1992. (Tale norma, infatti, interpreta l'art. 2, quarto comma, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modifiche nella legge 8 agosto 1992, n. 359, che aveva abolito l'istituto dell'allineamento stipendiale mediante esplicita soppressione delle norme che lo prevedevano, nel senso di ritenere non piu' adottabili provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992, data di entrata in vigore del suddetto decreto-legge). Orbene, ritiene il collegio che tale norma risulti in conflitto con diverse disposizioni contenute nella Carta costituzionale e pertanto si configuri come non manifestamente infondata l'eccezione di legittimita' costituzionale di tale norma, che con la presente decisione si rimette al giudizio della Corte costituzionale. Prima di affrontare tale tematica, peraltro, osserva il collegio come la questione di legittimita' costituzionale si palesi rilevante nella fattispecie oggetto del presente giudizio. Infatti, non puo' condividersi l'assunto dell'amministrazione in forza del quale e' stato negato il beneficio economico richiesto dal ricorrente, secondo cui cioe' la maggiore anzianita' di servizio nella carriera direttiva, di cui sono in possesso i colleghi il cui stipendio e' stato preso a raffronto dal De Giacomo, sarebbe ostativa all'operativita' del meccanismo dell'allinemaneto stipendiale, dal momento che la carriera dirigenziale, al contrario di quanto sostenuto di recente dalla giurisprudenza contabile, deve configurarsi come autonoma rispetto a quella direttiva (contra C.d.C., 26 aprile 1991, n. 44). Cio' reso tra l'altro evidente dal fatto che l'accesso alla dirigenza non e' riservato esclusivamente al personale appartenente alla carriera direttiva e cio' rende palesemente infondata l'argomentazione adottata dal Ministero delle finanze per respingere la richiesta del ricorrente, poiche' la presenza nel ruolo dei dirigenti di dipendenti provenienti dalla carriera direttiva, pur essendo situazione frequente, non si configura quale regola necessitata (si veda, a tale proposito, il disposto di cui all'art. 8 della legge 10 luglio 1984, n. 301, che disciplina l'accesso alla dirigenza mediante pubblico concorso cui possono partecipare, tra gli altri, professori e ricercatori universitari, liberi professionisti, dirigenti di imprese private). Evidente e' pertanto l'impossibilita' di utilizzare la pregressa anzianita' di servizio nella carriera direttiva per impedire nel caso di specie l'applicazione del meccanismo dell'allineamento stipendiale, delineato dall'art. 4 della legge n. 869/1982 (conversione in legge del d.l. 27 settembre 1982, n. 681) e definito dalla giurisprudenza amministrativa come rimedio di carattere generale per ovviare ad indebiti scavalcamenti di stipendio tra dipendenti appartenenti allo stesso ruolo. D'altronde, essendo proprio questa la ratio dell'istituto in esame, non puo' ritenersi che l'anzianita' di servizio rilevante possa essere anche quella maturata in servizi pregressi all'immissione nel ruolo all'interno del quale si e' verificato lo scavalcamento, retributivo da parte di chi occupi posizione deteriore. Ne' puo' ritenersi ostativo al riconoscimento di quanto richiesto dal ricorrente il disposto di cui all'art. 1 della legge 8 agosto 1991, n. 265, non trattandosi di valutare elementi retributivi derivanti da posizioni personali di stato o spettanti per effetto di incarichi o funzioni non aventi carattere di generalita', operando l'invocato allineamento stipendiale solo sul piano della mera anzianita' di servizio nel ruolo della dirigenza. Ostativo al predetto accoglimento deve invece ritenersi il disposto di cui all'art. 7, settimo comma, della legge 14 novembre 1992, n. 438 (di conversione del d.l. 19 settembre 1992, n. 384) che, come sopra esposto, impedisce l'adozione di provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' riferiti a periodi pregressi. Di conseguenza rilevante si configura la questione di legittimita' costituzionale della predetta norma, poiche' in caso di espunzione dall'ordinamento giuridico della stessa, dovrebbe riconoscersi come fondata la domanda proposta dal ricorrente. Non manifestamente infondata deve altresi' valutarsi tale questione di legittimita' costituzionale, poiche' l'impossibilita' di adottare ulteriori provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' riferiti a diritti maturati in periodi pregressi, si configura, mediante l'utilizzo improprio dello strumento interpretativo, quale norma in effetti retroattiva, che viene ad incidere negativamente su posizioni giuridiche gia' perfezionatesi ed aventi la consistenza di diritti soggettivi perfetti. Che si tratti di norma effettivamente non interpretativa e' reso evidente dal fatto che a nessun dubbio interpretativo dava adito l'art. 2 del d.l. n. 333/1992, norma che si limitava a sopprimere, dalla sua entrata in vigore, l'istituto dell'allineamento stipendiale, mentre, come correttamente evidenziato dalla Corte costituzionale, soltanto una effettiva oscurita' e ambiguita' della legge, tale da creare contrasti dottrinali e giurisprudenziali, potrebbe giustificare una legge interpretativa (Corte costituzionale n. 187/1981) e comunque, anche in tali casi l'interpretazione autentica dovrebbe valere per il futuro, onde non incidere, vanificandole, su eventuali pronunce giurisdizionali, di contrario avviso, nel frattempo divenute definitive. L'aver comunque previsto nella norma in esame, in assenza di detti presupposti, la non adottabilita' di ulteriori provvedimenti di allineamento, ancorche' riferiti a periodi anteriori l'11 luglio 1992, non puo' dunque non configurarsi quale introduzione di una nuova norma, di carattere retroattivo, soppressiva delle relative situazioni soggettive gia' maturate. Orbene, il principio della irretroattivita' della legge (non penale), pur non essendo espressamente sancito da una norma costituzionale, e' senza dubbio principio cardine del nostro ordinamento giuridico, definito dalla stessa Corte costituzionale antica conquista della nostra civilta' giuridica (Corte costituzionale nn. 118/1957; 133/1975 e 91/1982). Tale principio soddisfa infatti numerosi principi di rango costituzionale, quali la ragionevolezza, la logicita', la giustizia manifesta, l'equo contemperamento ecc. Cio' trova puntuale riscontro nel caso di specie, ove infatti appare evidente che l'art. 7, settimo comma, della legge n. 384/1992 comporta una ingiustificata disparita' di trattamento tra dipendenti pubblici in analoghe situazioni, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, solo che si pensi al differente trattamento riservato a chi abbia gia' ottenuto un provvedimento di allineamento stipendiale prima dell'entrata in vigore della norma in esame rispetto a chi, invece, magari solo a causa di ritardi burocratici, ancorche' in relazione allo stesso periodo di maturazione del diritto, si sia visto negare il beneficio in questione. Una tale situazione di sperequazione potrebbe altresi' riverberarsi negativamente sulla stessa efficienza dell'amministrazione poiche' il pubblico dipendente non allineato vedrebbe conservato un maggiore trattamento economico a favore di colleghi casualmente gia' raggiunti da provvedimenti di allineamento e cio' non potrebbe che influire negativamente sul rendimento dei primi, con conseguente violazione del principio di buon andamento, oltre che di imparzialita', sancito dall'art. 97 della Costituzione. In altre parole, il legittimo affidamento riposto dal cittadino nell'applicazione di una determinata disposizione normativa in relazione a diritti soggettivi gia' maturati non puo' venire frustrato, in assenza di particolari situazioni di eccezionalita' che giustifichino una normativa straordinaria, dall'intervento retroattivo del legislatore, che venga ad incidere (irrazionalmente) su situazioni omogenee. Poiche' nel caso che ci occupa non si ravvisa, e comunque non risulta normativamente evidenziata, alcuna situazione di straordinarieta' che possa giustificare tale comportamento del legislatore, ne consegue che, ad avviso del collegio, si configura come non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, settimo comma, della legge 14 novembre 1992, n. 438, di conversione del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.
P. Q. M. Parzialmente pronunciando sul ricorso in epigrafe, accerta la regolarita' del ricorso stesso e della relativa notifica e, con contestuale ordinanza, dichiara rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, settimo comma, della legge 14 novembre 1992, n. 438, di conversione del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione nei sensi di cui in motivazione; Sospende il definitivo giudizio sul ricorso in epigrafe; Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale affinche' si pronunci sulla predetta questione; Dispone altresi' che la presente sentenza-ordinanza, a cura della segreteria, sia notificata a tutte le parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Genova, nella camera di consiglio del giorno 8 gennaio 1993. Il presidente: VIVENZIO Il consigliere: FRANCO Il primo referendario relatore ed estensore: BOTTO Depositato in segreteria il 5 febbraio 1993. Il segretario generale: (firma illeggibile) 93C0752