N. 382 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 1993
N. 382 Ordinanza emessa l'11 marzo 1993 dal tribunale amministrativo regionale per il Veneto sul ricorso proposto da Fabiani Massimo ed altri contro Ministero di grazia e giustizia Impiego pubblico - Magistratura - Uditore giudiziario, gia' referendario parlamentare del Senato della Repubblica - Attribuzione di trattamento economico ad personam superiore a quello spettantegli come magistrato, per diritto al computo del maturato economico della precedente carriera - Richiesta di allineamento stipendiale di magistrati di pari o maggiore anzianita' - Ius superveniens e norma di interpretazione autentica - Divieto di adozione di provvedimenti di allineamento stipendiali "ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992" - Violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza, di imparzialita' e di buon andamento della p.a. nonche' di pienezza della tutela giurisdizionale. (D.L. 19 settembre 1992, n. 284 (recte: 384), art. 7, settimo comma, convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438). (Cost., artt. 3, 97 e 113).(GU n.29 del 14-7-1993 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso n. 859/1992 proposto da Massimo Fabiani, Carlo Citterio, Mariano Alviggi, Alessandro Severi, Michele Bianchi, Carmelo Sigillo, Isabella Cesari, Valeria Ardito, Marzio Bruno Guidorizzi, Maria Grazia Omboni, Valeria Sanzari, Elisabetta Meyer, Maria Ignazia D'Arpa, Paola Cameran, Marcello Colasanto, Pasquale D'Ascola, Francesco Lamagna, Laura Donati, Luciano Mario Butti, Eugenio Polcari, Giuseppe Caracciolo, Mauro Bellano, Bruno Castagnoli, rappresentati e difesi dagli avv.ti Cesare Janna e Franco Zambelli, con elezione di domicilio presso lo studio del secondo in Venezia Mestre, via Ospedale 9/12, come da mandato in calce al ricorso; contro il Ministero di grazia e giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge, per l'accertamento del diritto dei ricorrenti, magistrati dell'ordine giudiziario, all'allineamento stipendiale sulla posizione retributiva del collega Antonio Francesco Esposito ex art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito nella legge 20 novembre 1982, n. 869; Visto il ricorso, notificato il 19 marzo 1992 e depositato presso la segreteria il 24 marzo 1992 con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della amministrazione intimata; Viste le memorie prodotte; Visti gli atti tutti della causa; Uditi alla pubblica udienza dell'11 marzo 1993 (relatore il consigliere Lorenzo Stevanato) l'avv. Janna per i ricorrenti e l'avv. dello Stato Muscarello per l'amministrazione statale resistente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O I ricorrenti, magistrati dell'ordine giudiziario, invocano l'applicazione del c.d. "allineamento stipendiale", istituto introdotto dall'art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n. 869, successivamente confermato per il personale di magistratura dall'art. 1 della legge 8 agosto 1991, n. 265. Deducono a sostegno del ricorso che l'istituto dell'allineamento stipendiale, rimedio di carattere generale del pubblico impiego volto ad evitare situazioni di squilibrio retributivo, e' conforme a principi costituzionali (artt. 3, 36, 97 e 107 della Costituzione) secondo cui a parita' di funzione deve corrispondere lo stesso trattamento economico. L'applicabilita' di tale istituto ai magistrati ordinari e' espressamente riconosciuta dal primo comma dell'art. 1 della legge 8 agosto 1991, n. 265, col limite che sono valutabili soltanto i piu' favorevoli trattamenti economici conseguiti nelle carriere dirigenziali dell'amministrazione dello Stato o equiparate. Le ulteriori limitazioni a tale principio recate dai commi primo e terzo si applicano per il futuro, ma non possono comprimere il diritto gia' maturato dai ricorrenti prima dell'entrata in vigore della legge n. 265 del 1991. Cio' premesso, i ricorrenti espongono di avere tutti un'anzianita' di carriera superiore a quella del loro collega Antonio Francesco Esposito il quale, nominato uditore giudiziario nel 1989, ha conservato il piu' favorevole trattamento economico maturato nella precedente carriera (equiparata a quella dirigenziale dello Stato) di referendario parlamentare presso il Senato della Repubblica. Chiedono pertanto che sia riconosciuto il loro diritto a percepire un trattamento retributivo non inferiore a quello dell'anzidetto magistrato, con la condanna dell'amministrazione alla corresponsione delle relative differenze retributive con interessi e rivalutazione monetaria. L'amministrazione statale intimata, costituitasi in giudizio, ha controdedotto puntualmente instando per la reiezione del ricorso. La difesa erariale in particolare ha osservato che l'istituto dell'allineamento stipendiale, disciplinato retroattivamente dall'art. 1 della legge n. 265 del 1991 che ha natura interpretativa, sarebbe escluso dal terzo comma per i concorsi di primo grado (com'e' quello di accesso alla magistratura ordinaria) e che esso comunque non sarebbe stato applicabile al caso, poiche' il dott. Esposito non proviene da una carriera dirigenziale dello Stato o equiparata, come prescritto dal primo comma. Infine, ha eccepito che l'abrogazione dell'allineamento stipendiale, recata dall'art. 2, quarto comma, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, e dalla relativa interpretazione autentica di cui all'art. 7 del d.l. 18 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, ha eliminato in radice la possibilita' di accoglimento del ricorso. Nell'ampia memoria prodotta in giudizio nell'imminenza dell'udienza di discussione, i ricorrenti hanno poi osservato che l'abrogazione dell'allineamento stipendiale, recata dall'art. 2, quarto comma, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, e la relativa interpretazione autentica di cui all'art. 7 del d.l. 18 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, non incide sul diritto maturato dai ricorrenti all'allineamento stipendiale del personale di magistratura. Infatti si tratterebbe di disposizioni prive di efficacia retroattiva, inapplicabili al caso dei ricorrenti che hanno gia' acquisito il diritto in questione: cio' riguarderebbe anche l'art. 7 del d.l. n. 384 del 1992, la cui natura di interpretazione autentica sarebbe solo apparente, avendo contenuto innovativo. Una diversa impostazione, ad avviso degli interessati, non potrebbe non ingenerare sospetti di incostituzionalita' per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, in quanto emergerebbe lo sviamento e l'irragionevolezza dello strumento usato per eludere il principio di irretroattivita'. D I R I T T O 1. - Nel far valere la pretesa all'allineamento stipendiale, i magistrati ricorrenti premettono di avere tutti un'anzianita' maggiore di quella del collega Antonio Francesco Esposito: tale circostanza e' pacifica, non essendo stata contestata dall'Amministrazione resistente. Il presupposto dell'allineamento si sarebbe realizzato nel 1989 allorche' il dott. Antonio Francesco Esposito fu nominato uditore giudiziario conservando il piu' favorevole trattamento economico maturato nella precedente carriera di referendario parlamentare presso il Senato della Repubblica. 2. - Occorre premettere che l'istituto dell'allineamento stipendiale e' stato introdotto dall'art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n. 869, per il personale militare con norma del seguente tenore: "al personale con stipendio inferiore a quello spettante al collega con pari o minore anzianita' di servizio, ma promosso successivamente e' attribuito lo stipendio di quest'ultimo". La giurisprudenza formatasi successivamente ha riconosciuto nell'anzidetta disposizione un principio o rimedio di carattere generale, idoneo ad evitare un'ingiustificata disparita' di trattamento derivante dalla conservazione di trattamenti retributivi personalizzati: all'allineamento consegue infatti il riequilibrio della retribuzione degli appartenenti al medesimo ruolo, in possesso della medesima anzianita' (cfr. cons. St., sez. sesta, 26 marzo 1990, n. 410; Corte conti, sez. contr. Stato, 13 luglio 1984, n. 1472; 28 settembre 1984, n. 1479; 3 febbraio 1985, n. 1518; 3 febbraio 1989, n. 2093; 16 luglio 1992, n. 67; t.r.g.a. Trentino-A.A., sez. Trento, 12 giugno 1989, n. 174 e 3 settembre 1992, n. 321; t.a.r. Sicilia, sez. Catania 27 agosto 1990, n. 640; t.a.r. Lazio, sez. I, 24 maggio 1991, n. 739 e 11 febbraio 1992, n. 138; t.a.r. Puglia, sez. Lecce 13 aprile 1989, n. 315). 3. - Tale principio, variamente inteso ed applicato dalla giurisprudenza che ne ha via via definito gli specifici presupposti, e' stato infine confermato, ma anche delimitato, per il personale di magistratura dalla legge 8 agosto 1991, n. 265. Nella fattispecie all'esame rilevano il primo ed il terzo comma: il primo esclude l'allineamento per trattamenti economici conseguiti in settori diversi dalle carriere dirigenziali dello Stato o equiparate; il secondo esclude nel caso di accesso alla magistratura mediante concorso di primo grado la valutazione di trattamenti che nella precedente carriera erano stati a loro volta acquisiti mediante allineamento. Nessuna di queste limitazioni riguarda tuttavia il caso dell'esame: non la prima, poiche' la carriera di referendario al Senato e' equiparata a quella dirigenziale dello Stato (cfr. Cons. St., sez. quarta, 26 febbraio 1985, n. 64) tant'e' che altrimenti non sarebbe stato applicato l'art. 202 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, per il mantenimento al dott. Esposito del superiore trattamento economico nel passaggio di carriera; non la seconda, poiche' il miglior trattamento retributivo conservato dal dott. Esposito non deriva da un allineamento stipendiale nella precedente carriera, ma soltanto dalla maggiore entita' del relativo stipendio come ammette la stessa difesa erariale. In ogni caso, il presupposto da cui sorgerebbe il diritto al preteso allineamento stipendiale si e' verificato prima dell'entrata in vigore della legge n. 265 del 1991 e questa non e' retroattiva. L'Avvocatura dello Stato sostiene di contro che la natura interpretativa farebbe propendere per l'efficacia retroattiva dell'art. 1 della legge n. 265 del 1991. Ora, sembra al Collegio che in realta' tale normativa abbia soltanto circoscritto e limitato l'istituto, implicitamente riconoscendone la portata generale e la derivazione dalla fonte costituita dall'art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n. 869. Comunque, il collegio ritiene che le condizioni poste dal primo e dal terzo comma dell'art. 1 della legge n. 265 del 1991 siano rispettate nella fattispecie. Cio' stante, il riconoscimento del diritto non troverebbe alcun ostacolo: si confrontino anche le ragioni chiare e convincenti formu- late nella sentenza del t.r.g.a. del Trentino- A.A., sez. di Trento, 3 settembre 1992, n. 321, la cui impostazione appare perfettamente condivisibile. Ne' avrebbe rilevanza l'art. 2, quarto comma, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, emanato nelle more del giudizio, che a decorrere dalla sua entrata in vigore ha abrogato le disposizioni sull'allineamento, tra cui quella contenuta nell'art. 4 del d.l. n. 681/1982, convertito nella legge n. 869/1982. L'abrogazione vale infatti soltanto per il futuro e non elimina i diritti sorti nel passato in virtu' delle norme abrogate. 4. - Questa soluzione lineare e' pero' preclusa dall'art. 7, settimo comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 284, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, che recita: "L'art. 2, quarto comma, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, va interpretato nel senso che dalla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge non possono essere piu' adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992". Di questa disposizione possono darsi due possibili interpretazioni e precisamente: 1) che e' stato espunto dall'ordinamento, con effetto retroattivo, il diritto all'allineamento stipendiale; 2) che e' stato vietato all'amministrazione di procedere ad operazioni di allineamento stipendiale riferite a situazioni pregresse, pur senza eliminare il relativo diritto gia' maturato. Accedendo all'ipotesi interpretativa sub 1), si avrebbe che il legislatore ha inteso incidere retroattivamente su diritti perfetti maturati nell'ambito di un rapporto continuativo non ancora esaurito, e che tuttavia, per non violare esplicitamente il principio dell'affidamento e quello della certezza dei rapporti tra lo Stato ed i cittadini, e' ricorso all'utilizzo surrettizio di una norma interpretativa accessoria. Senonche', il legislatore interprete e' intervenuto senza che ve ne fosse alcun bisogno: la disposizione interpretata non rivela alcuna ambiguita' o incertezza di significato, ne' era sorto alcun contrasto interpretativo giurisprudenziale (del resto non ipotizzabile nel breve tempo intercorso), donde si puo' senz'altro dire che l'uso della tipica funzione dell'interpretazione autentica e' sviato dal fine istituzionale. L'ipotesi interpretativa sub 2) evidenzia il ricorso surrettizio ad una legge-provvedimento che anch'essa esorbita dalla propria funzione tipica. A prescindere dall'inadeguatezza della tecnica legislativa adoperata, la portata precettiva ed il carattere strumentale della norma rivelano, anche in questo caso, l'intima incoerenza e lo sviamento della funzione legislativa: il legislatore non si e' spinto fino a dichiarare che l'intento della legge e' quello di abrogare ex tunc un diritto gia' riconosciuto, ma nondimeno lo ha svuotato del suo contenuto e comunque della possibilita' di realizzarlo. In tal modo, pero', e' stata introdotta una disposizione legislativa che vieta all'amministrazione comportamenti o atti contrari al diritto sostanziale e tali da compulsare anche le pretese azionate in sede giurisdizionale, come nella presente fattispecie in cui il ricorso e' stato proposto prima dell'emanazione della norma abrogativa. In altri termini, il legislatore senza porsi alcun problema di diritto sostanziale ordina all'amministrazione di non applicare piu' l'allineamento stipendiale. 5. - In entrambi i significati, il collegio dubita della costituzionalita' di tale disposizione, che si palesa illogica ed irragionevole e, quindi, in contrasto col postulato fondamentale recato dall'art. 3 della Costituzione. Il dato dal quale occorre muovere per impostare correttamente la questione e' costituito dalla individuazione della ratio della norma. L'intento e' quello - evidente - di bloccare ogni ulteriore applicazione dell'istituto dell'allineamento stipendiale fondato su norme gia' abrogate, e per far questo il legislatore ha voluto incidere retroattivamente eliminando, ex tunc, ogni effetto delle norme abrogate. La disposizione, come si e' detto, e' formulata come un'interpretazione autentica. In realta', se cosi' fosse, la sua retroattivita' dovrebbe arrestarsi al momento dell'entrata in vigore della disposizione interpretata: di fatto si e' introdotta un'innovazione consistente nell'estensione della decorrenza della legge interpretata (cfr. Corte costituzionale 3 marzo 1988, n. 233; 31 luglio 1990, n. 380). La finalita' perseguita dalla legge "interpretata" era (ed e') quella di contenere la spesa pubblica riferita ai trattamenti stipendiali del pubblico impiego: finalita' che non appare irragionevole o comunque sindacabile nella presente congiuntura della finanza pubblica. Cio' che appare invece irragionevole e' l'interpretazione additiva successivamente introdotta: l'irretroattivita' costituisce un principio dell'ordinamento e la sua deroga si pone come fatto eccezionale da utilizzare solo in presenza di una effettiva causa giustificatrice, prevalente sui rapporti preteriti e sul principio di affidamento (cfr. Corte costituzionale 4 aprile 1990, n. 155). Qui invece sono stati lesi vari principi di rilevanza costituzionale, come quello dell'affidamento, della trasparenza nei rapporti tra Stato e cittadino, della certezza dei diritti maturati per i quali gli interessati coltivavano legittime aspettative, della correttezza della funzione giurisdizionale chiamata ad accertare tali diritti, paralizzata anch'essa nel suo lineare svolgimento dall'intervento retrospettivo del legislatore, nella finzione di un'inutile interpretazione autentica. La norma retroattiva produce inoltre un'ingiusta disparita' di trattamento applicandosi a rapporti sorti precedentemente ed ancora pendenti (cfr. Corte costituzionale 28 gennaio 1993, n. 39): la disparita' si verifica tra coloro che, alla stregua del medesimo presupposto, avevano gia' ottenuto l'applicazione amministrativa o una sentenza favorevole passata in giudicato (rapporti esauriti) e tutti gli altri (rapporti non ancora esauriti). Il Collegio non ignora il "peso" dell'esigenza finanziaria sottesa a tale disposizione, ma ritiene che la discrezionalita' legislativa poteva essere ugualmente esercitata in modo non incompatibile con gli anzidetti principi costituzionali: l'eliminazione dell'istituto era gia' stata raggiunta per il futuro; per il passato la necessita' di non espandere la spesa pubblica avrebbe potuto giustificare una temporanea sospensione dell'applicazione dell'istituto, oppure la graduazione dell'entita' delle relative corresponsioni retributive. L'abrogazione delle disposizioni che prevedono automatismi che influenzano il trattamento economico e' bensi' prevista anche dall'art. 2, lett. o) della legge-delega 23 ottobre 1992, n. 421 (recante la c.d. "privatizzazione" del pubblico impiego), ma previa sostituzione con disposizioni di accordi contrattuali che valorizzino la produttivita' individuale e collettiva. Tale criterio e' stato attuato con l'art. 72, secondo comma, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, che sposta tale effetto abrogativo al momento della sottoscrizione dei prossimi contratti collettivi. Si evidenzia quindi una sostanziale contraddittorieta' del legislatore nell'emanazione di disposizioni analoghe e ravvicinate nel tempo. Oltretutto, la particolarita' del rapporto di impiego dei magistrati (cfr. l'art. 2, lett. e), della legge-delega 23 ottobre 1992, n. 421, e l'art. 2, quarto comma, del d.P.R. 3 febbraio 1993, n. 29) potrebbe anche giustificare il mantenimento del particolare istituto secondo la disciplina, peraltro non espressamente ancora abrogata, della legge n. 265 del 1991. Comunque, se l'abrogazione delle norme concernenti l'allineamento stipendiale e' avvenuta a decorrere dall'11 luglio 1992 il blocco dell'allineamento riferito a situazioni pregresse non ha una giustificazione giuridica. Esclusa la materia penale la Costituzione non vieta leggi retroattive ma esse devono corrispondere al generale criterio di ragionevolezza e non deve violare gli altri principi costituzionali: condizioni queste che, per le anzidette ragioni, non sembrano rispettate. 6. - Sotto gli anzidetti profili e' quindi ravvisabile la violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza, di imparzialita' e di buon andamento dell'amministrazione nonche' di pienezza della tutela giurisdizionale: principi recati dagli artt. 3, 97 e 113 della Costituzione.
P. Q. M. Ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 7, settimo comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 284, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438; Sospende quindi il giudizio ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Venezia, in camera di consiglio l'11 marzo 1993. Il presidente f.f.: DE ZOTTI L'estensore: (firma illeggibile) Il segretario: (firma illeggibile) 93C0756