N. 391 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 novembre 1992- 23 giugno 1993

                                N. 391
       Ordinanza emessa il 2 novembre 1992 (pervenuta alla Corte
  costituzionale il 23 giugno 1993) dalla commissione tributaria di
  primo grado di Firenze sul ricorso proposto da Roggi Sergio contro
  Intendenza di finanza di Firenze
 Imposta locale sui redditi (ILOR) - Redditi delle imprese familiari -
    Possibilita' di imputare, dopo l'entrata in vigore del testo unico
    delle  imposte  sul reddito (d.P.R. n. 917/1986), al collaboratore
    familiare una quota di reddito non superiore al 49% dell'ammontare
    risultante dalla  dichiarazione  dell'imprenditore  -  Conseguenze
    alla  luce  delle  norme  sul  citato  testo unico e di quelle del
    d.P.R. n. 42/1988: previsione, per  i  redditi  dei  collaboratori
    familiari,  di  una esenzione dell'imposta solo nel caso in cui il
    reddito percepito dal titolare dell'impresa prima dell'entrata  in
    vigore   del   citato   testo  unico  fosse  superiore  al  51%  -
    Irragionevolezza  con  incidenza  sul  principio  della  capacita'
    contributiva.
 (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 115, secondo comma, lett. c);
    d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 36).
 (Cost., artt. 3 e 53).
(GU n.29 del 14-7-1993 )
               LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha  emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 82/5156 presentato
 il 30 aprile 1982 (avverso: s/rif su i.rimb. Ilor  -  77(Compreso)79)
 da:  Roggi  Sergio,  residente  a  Prato  in  via  Roma,  308, contro
 l'Intendenza di finanza di Firenze.
    Con ricorso presentato il 30 aprile 1982, Sergio  Roggi  ricorreva
 contro  il silenzio rifiuto dell'Intendenza di finanza in ordine alla
 sua  istanza  di  rimborso  di   somme   corrisposte   in   sede   di
 autotassazione  a  fini  Ilor  esponendo che a seguito della sentenza
 della Corte costituzionale n. 42  del  1980  egli  aveva  diritto  al
 rimborso  delle  somme pagate sul reddito di collaboratore di impresa
 familiare, nel quale la  componente  patrimoniale  deve  considerarsi
 inesistente.   Chiedeva  pertanto  in  via  principale  ordinarsi  il
 rimborso  delle  somme  di  L.  4.319.000;  in  subordine  sollevarsi
 questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1 del d.P.R. 29
 settembre 1973, n. 599, in relazione all'art. 53 della Costituzione.
    A sua volta l'Intendenza di finanza con nota del 20 febbraio  1992
 si  opponeva  alla  domanda,  osservando  che il reddito dell'impresa
 familiare non puo' considerarsi che  reddito  della  medesima  specie
 anche  per  la parte imputabile ai collaboratori, secondo il testuale
 disposto dell'art. 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597,  e  rimane
 pienamente  soggetto  ad  Ilor.  Faceva ancora notare l'Intendenza di
 finanza che a suo avviso non introduceva modifiche nei riguardi della
 ricorrente l'intervento dell'art. 115 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n.
 917, che aveva escluso dall'imposta i redditi delle imprese familiari
 imputati ai familiari collaboratori, neppure alla luce  del  disposto
 dell'art.  36  del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, che aveva esteso le
 disposizioni del testo unico (quindi anche  l'art.  115)  ai  periodi
 d'imposta  antecedenti,  a  condizione che "le relative dichiarazioni
 risultassero ad esse conformi". Affermava l'Intendenza di finanza che
 la disposizione dell'art. 36 deve essere  intesa  nel  senso  ch'essa
 stabilisce  una  causa  di  non  punibilita'  dei  comportamenti  che
 risultano ora conformi  alla  nuova  normativa,  non  gia'  come  una
 disposizione  transitoria di applicabilita' del testo unico a tutti i
 rapporti   pendenti,   ostandovi    il    generale    principio    di
 irretroattivita'  della legge. Concludeva pertanto per il rigetto del
 ricorso.
    Rileva la commissione che questione preliminare nel caso di specie
 e'  quella  di  accertare  se  il  rapporto  tributario  fosse   gia'
 definitivo   all'atto  dell'intervento  della  sentenza  della  Corte
 costituzionale n. 42 del 28 marzo 1982. Dispone difatti l'art. 36 del
 d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, che restano in  ogni  caso  fermi  gli
 accertamenti e le liquidazioni di imposta divenuti definitivi.
    La  data  cui  deve  farsi  riferimento per valutare se, alla data
 della domanda di rimborso, il  rapporto  fosse  definito  o  meno  e'
 quella  in  cui  e'  stato  effettuato  il pagamento a saldo, essendo
 l'acconto una anticipazione provvisoria di quanto dovuto in base alla
 liquidazione definitiva avvenuta appunto  con  il  pagamento  del  20
 maggio.  Il rapporto deve considerarsi definitivo quando esso non sia
 piu' giuridicamente esposto ad impugnativa. Nel  caso  di  specie  e'
 agevole  rilevare  che  tale situazione non si era ancora verificata,
 ne' alla stregua dell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973,  n.  602,
 che prevede un termine di decadenza di 18 mesi dal versamento diretto
 per la presentazione di istanza di rimborso all'Intendenza di finanza
 nel  caso  di  inesistenza dell'obbligo di versamento, ne', a maggior
 ragione, alla luce dell'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972,  n.  636,
 nel  caso  che  si  ritenga  applicabile questa disposizione in luogo
 dell'art. 38.
    Stabilito questo primo punto, la questione che  la  causa  propone
 riguarda  l'interpretazione da parte al disposto dell'art. 36 laddove
 richiede, per l'estensione  delle  disposizioni  piu'  favorevoli  ai
 periodi d'imposta precedenti, che le relative dichiarazioni risultino
 "ad  esse  conformi". E' innanzitutto da precisare che la costruzione
 sintattica della norma, non felicissima, va intesa nel senso  che  la
 conformita'  ch'essa  richiede  sia  riferita  a "le disposizioni del
 testo unico"; l'estensione opera in altre parole a condizione che  le
 dichiarazioni  relative  a  periodi  d'imposta  antecedenti  al  1988
 risultino conformi al tenore del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.  Si
 domanda  se  debbasi  aver  riguardo  ad  una  conformita'  meramente
 formale,  ovvero  sostanziale.  Se  cioe'  l'estensione  dipenda  dal
 rispetto  delle  condizioni  di forma in cui le dichiarazioni debbono
 essere presentate  in  forza  del  d.P.R.  n.  917/1986,  ovvero  dal
 rispetto  di  condizioni  regolatrici  del rapporto sostanziale. Pare
 ovvio che il riferimento  riguarda  le  condizioni  sostanziali,  non
 foss'altro  per  il  motivo  che  il  d.P.R. n. 917/1986 non contiene
 disposizioni particolari riguardo alla forma delle dichiarazioni,  ed
 e'   invece  interamente  rivolto  alla  disciplina  sostanziale  dei
 rapporti tributari inerenti alle singole imposte.  Se  cosi'  e',  la
 fondamentale  differenza che nella disciplina del rapporto tributario
 relativo al reddito del collaboratore d'impresa familiare  si  rileva
 tra  l'anno  1980,  periodo cui si riferisce il ricorso in oggetto, e
 l'anno 1986 in cui fu approvato il  testo  unico  delle  imposte  sui
 redditi   riguarda   la  diversa  regolamentazione  della  misura  di
 partecipazione all'impresa del collaboratore familiare.  Infatti  per
 effetto dell'art. 3 del d.l. 19 dicembre 1984, n. 853, convertito in
 legge  17  febbraio  1985,  n.  17,  il quarto comma, dell'art. 5 del
 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597  fu  modificato  nel  senso  che  al
 collaboratore  familiare potesse essere imputato una quota di reddito
 dell'impresa non superiore al  49%  dell'ammontare  risultante  dalla
 dichiarazione  dell'imprenditore,  laddove  questa  limitazione nella
 stesura originaria dell'art. 5 non esisteva, essendo invece stabilito
 che l'imputazione del reddito a ciascun familiare fosse proporzionale
 alla sua quota di partecipazione agli utili fissata con atto pubblico
 o scrittura privata autenticata.  La  diversita'  di  disciplina  qui
 segnalata  importa  giuridicamente,  alla luce del disposto dell'art.
 115 del d.P.R. n. 917/1986 e 36 del d.P.R.  n.  42/1988,  che  se  il
 titolare  dell'impresa  familiare  percepiva,  in  epoca  antecedente
 all'entrata in vigore della legge n. 17/1985, una  quota  di  reddito
 superiore  al  51% il reddito del collaboratore va esente da imposta,
 se invece la misura della sua partecipazione  era  inferiore  a  tale
 limite  il  reddito  del  collaboratore  e'  soggetto ad Ilor. Questa
 diversificazione di effetti pare alla commissione del tutto priva  di
 una  qualsiasi  ragionevole  spiegazione,  ed  appare  il  frutto  di
 interferenze tra norme affatto  casuali.  L'irrazionalita'del  regime
 impositivo quale risulta dalla ricostruzione sopra esposta merita, ad
 avviso di questo collegio, di essere sottoposta all'esame della Corte
 regolatrice  affinche'  valuti  se  essa non risulti in contrasto coi
 principi di ragionevolezza e di uguaglianza che debbono presiedere la
 formulazione  delle  leggi,  nonche'  al  principio  della   generale
 soggettazione  all'obbligo  di partecipazione alle spese pubbliche in
 ragione della propria capacita' contributiva.
                               P. Q. M.
    Ritenuta la  rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza  della
 questione  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 115, secondo
 comma, lett. c) del d.P.R. 22 settembre 1986, n. 917 e 36 del  d.P.R.
 4  febbraio  1988, n. 42, in relazione al principio di ragionevolezza
 della legge e agli artt. 3 e 53 della Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Sospende   il  giudizio  in  corso  e  manda  alla  segreteria  di
 provvedere alle comunicazioni di legge.
                        Il presidente: NANNUCCI

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