N. 396 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 aprile 1993

                                N. 396
  Ordinanza emessa il 7 aprile 1993 dal tribunale di sorveglianza di
  Milano nel procedimento di sorveglianza avverso la sospensione del
  godimento di regole trattamentali, sul reclamo di Nuvoletta Lorenzo
 Ordinamento penitenziario - Condannati per determinati reati -
    Assoggettabilita',   con   decreto   ministeriale,  ad  un  regime
    carcerario particolarmente restrittivo - Insussistenza di garanzie
    idonee ad assicurare un regolare contraddittorio delle parti cosi'
    come stabilito  per  analoghe  misure  dall'art.  14-ter,  o.p.  -
    Ingiustificata disparita' di trattamento con incidenza sul diritto
    di   difesa  e  sul  principio  della  tutela  giurisdizionale  in
    considerazione  anche  della  mancata  previsione  di   mezzi   di
    impugnazione.
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, secondo comma, e
    successive modificazioni).
 (Cost., artt. 3, 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma).
(GU n.29 del 14-7-1993 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Premesso che il detenuto Nuvoletta Lorenzo nato il 1› gennaio 1931
 a Marano di Napoli, attualmente ristretto nella casa circondariale di
 Milano  in  stato  di  custodia  cautelare  disposto  con sentenza 22
 gennaio 1992 del tribunale di Napoli che lo ha condannato  alla  pena
 di anni nove di reclusione per il reato di cui all'art. 416-bis o.p.,
 con istanza depositata il 21 gennaio 1993 ha proposto reclamo avverso
 l'applicazione  del  regime detentivo di cui all'art. 41-bis, secondo
 comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354,  introdotto  dall'art.  19
 del  d.l.  8  giugno  1992,  n. 306, convertito nella legge 7 agosto
 1992, n. 356;
    Premesso che l'interessato, ritualmente citato ai sensi  dell'art.
 14-ter  o.p., e' comparso all'odierna udienza e che l'amministrazione
 penitenziaria, ritualmente avvisata, non ha presentato memorie;
    Viste le conclusioni del p.g. e del difensore di cui al verbale di
 udienza;
                           OSSERVA IN FATTO
    Il reclamo proposto dal Nuvoletta concerne il decreto ministeriale
 con cui, in data 20 luglio 1992, egli  veniva  sottoposto  al  regime
 previsto  dall'art.  41-bis  della  legge 26 luglio 1975, n. 354, con
 conseguente  sospensione  del   godimento   delle   seguenti   regole
 trattamentali:    1)    corrispondenza   telefonica   ed   epistolare
 (quest'ultima se non sottoposta a visto di  controllo);  2)  colloqui
 visivi  con  frequenza superiore ad uno al mese e di durata superiore
 ad un'ora con familiari e  conviventi;  3)  colloqui  con  terzi;  4)
 ricezione  dall'esterno  di  somme  in  peculio superiori ad un certo
 ammontare mensile, nonche' di pacchi  contenenti  generi  ed  oggetti
 diversi  da  abiti, biancheria ed indumenti intimi; 5) organizzazione
 di  attivita'  culturali,  ricreative  e  sportive;   6)   nomina   e
 partecipazione  alle  rappresentanze  dei detenuti; 7) svolgimento di
 attivita'  artigianali;  8)  acquisto  al   sopravvitto   di   generi
 alimentari  richiedenti la cottura; 9) permanenza all'aria aperta per
 oltre due ore giornaliere.
    A fondamento del proprio reclamo, il detenuto assume che detto re-
 gime compromette il sueo equilibrio prisco-fisico, con grave  rischio
 di un peggioramento delle sue gia' precarie condizioni di salute.
    Il reclamo del Nuvoletta appare identico a quello gia' proposto da
 altro  detenuto  (Ercolano Salvatore), per il quale questo tribunale,
 con ordinanza del 17 marzo 1993, ha ritenuto  di  sollevare,  dinanzi
 alla  Corte costituzionale, questione di legittimita' costituzionale;
 identico e', infatti, il  provvedimento  amministrativo  oggetto  del
 reclamo,  adottato,  ai  sensi dell'art. 41-bis o.p., dal Ministro di
 grazia e giustizia il 20 luglio 1992.
    In  relazione  al  reclamo  de  quo,  appare   dunque   necessario
 richiamare  coerentemente  le stesse considerazioni gia' svolte nella
 citata  ordinanza  del  17  marzo  1993,  prospettando  la   medesima
 questione di legittimita' costituzionale.
                              IN DIRITTO
    Preliminare  appare  la questione della ammissibilita' del reclamo
 ai sensi dell'art. 14-ter o.p. avverso il provvedimento ministeriale.
    Il dato dal quale occorre partire e' quello  relativo  all'assenza
 di  una specifica disposizione legislativa che preveda la facolta' di
 reclamo  avanti  alla  magistratura  di  sorveglianza  da  parte  del
 detenuto, avverso il provvedimento amministrativo di applicazione del
 regime detentivo di cui all'art. 41-bis o.p.
    A  fronte della mancanza di un'espressa disposizione normativa che
 contempli la possibilita' di un controllo  giurisdizionale  ad  opera
 della   autorita'   giudiziaria  ordinaria  nei  confronti  dell'atto
 ministeriale sospensivo delle regole trattamentali, occorre stabilire
 se possa applicarsi in via analogica la disciplina dettata  dall'art.
 14-ter  o.p.  per  il  reclamo  avverso  il  regime  di  sorveglianza
 particolare di cui all'art. 14-bis o.p.
    Ritiene questo collegio che non possa farsi ricorso, per analogia,
 alla procedura  contemplata  dal  citato  art.  14-ter  o.p.,  stante
 l'impossibilita'  di  assimilare,  quanto  alla  ratia  legis  ed  ai
 presupposti, il regime di sorveglianza  particolare  ex  art.  14-bis
 o.p. a quello di cui al secondo comma dell'art. 41-bis o.p.
    In  proposito,  deve  osservarsi  come  certamente diverse sono le
 finalita' cui tendono i due istituti della sorveglianza particolare e
 della sospensione delle normali regole del trattamento penitenziario.
    Mentre il primo risponde all'evidente intento di garantire, da  un
 lato,   la  tutela  della  sicurezza  e  dell'ordine  nelle  carceri,
 assicurando  comunque  il   normale   svolgimento   delle   attivita'
 trattamentali  volte  al  perseguimento  della  finalita' rieducativa
 della pena, e, d'altro lato, la convivenza pacifica e paritaria tra i
 reclusi, il regime previsto dal citato art.  41-bis,  secondo  comma,
 o.p.,  il  quale  sostanzialmente  riproduce l'abrogato art. 90 o.p.,
 mira a tutelare esigenze estranee al governo interno  degli  istituti
 ed  inerenti,  invece,  alla  situazione  esterna  agli  stessi,  che
 potrebbe essere compromessa da iniziative di persone ristrette.
    Non deve dimenticarsi, infatti, che l'occasion legis  determinante
 l'emanazione  del  d.l.  8  giugno  1992,  n.  306,  successivamente
 convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, il quale ha  introdotto
 il  secondo  comma  dell'art.  41-bis  o.p.,  fu  proprio  una  grave
 situazione di emergenza esterna.
   Peraltro, l'intento del legislatore  di  utilizzare  il  regime  di
 sospensione  delle  regole  trattamentali  non come strumento teso ad
 assicurare  l'ordine  all'interno  degli  istituti   di   pena,   ma,
 piuttosto,  come  mezzo  di contrasto di situazioni di grave pericolo
 per l'ordine pubblico, e' espressamente richiamato dal secondo  comma
 dell'art.  41-bis  o.p. il quale fa riferimento a "motivi di ordine e
 di sicurezza pubblica" e attribuisce al  Ministro  degli  interni  il
 potere  di  richiedere  l'adozione  del  provvedimento di sospensione
 delle regole trattamentali.
    Anche la diversa collocazione sistematica  degli  artt.  14-bis  e
 41-bis  o.p.  depone per una sostanziale diversita' dei due istituti;
 invero, mentre il primo e' inserito nel  capo  terzo  concernente  le
 modalita'  del  trattamento,  il  secondo  si  trova  nel capo quarto
 relativo al regime penitenziario.
    Se certamente diversi debbono configurarsi, per le ragioni sin qui
 esposte, la ratio ed i presupposti del provvedimento di  sorveglianza
 particolare  applicato  nei  casi previsti dalle lettere a), b), e c)
 dell'art. 14-bis, primo comma, o.p., rispetto a quelli del regime  di
 cui  al  secondo comma dell'art. 41-bis, o.p., nondimeno quest'ultimo
 si differenzia, nei suoi presupposti, dalla  fattispecie  di  cui  al
 quinto comma dell'art. 14-bis o.p.
    Mentre  nelle  ipotesi di cui al primo comma dell'art. 14-bis o.p.
 gli elementi dai quali desumere la pericolosita' sociale dei detenuti
 da  sottoporre  al  regime  di  sorveglianza  particolare  ineriscono
 esclusivamente  alla  condotta  intramuraria,  il  quinto comma della
 norma  medesima  subordina l'applicazione delle restrizioni detentive
 all'esistenza di comportamenti, sintomatici di pericolosita',  tenuti
 non solo in costanza di detenzione ma anche in liberta'.
    Tuttavia anche quest'ultima fattispecie e' sostanzialmente diversa
 da  quella introdotta dall'art. 19 della legge n. 356/1992; invero la
 sottoposizione  al  regime  di  cui  all'art.  41-bis  o.p.  riguarda
 esclusivamente  "i  detenuti  per  taluno dei delitti di cui al primo
 comma dell'art. 41-bis della legge  26  luglio  1975,  n.  354",  con
 riferimento ai quali il legislatore pare aver sancito una presunzione
 di pericolosita' sociale in relazione al mero titolo di reato.
    L'ipotesi   di   applicazione   della   sorveglianza   particolare
 introdotta al quinto comma dell'art. 14-ter o.p. si fonda, invece, su
 precedenti    penitenziari    o    altri    comportamenti     tenuti,
 independentemente   dalla   natura   dell'imputazione,  in  stato  di
 liberta', con l'espressa esclusione del mero riferimento alla  natura
 del  reato  per il quale il detenuto e' indagato o ha subito condanna
 (cfr. in tal senso Cass. sezione prima, sent. 7 ottobre 1987).
    Sulla base delle considerazioni fin  qui  esposte  ritiene  questo
 collegio   che,   non   potendosi   applicare  in  via  analogica  il
 procedimento  previsto  dall'art.  14-ter  o.p.  per  le  ipotesi  di
 sorveglianza  particolare,  occorre verificare se il provvedimento di
 sospensione delle regole trattamentali ex art. 41-bis, secondo comma,
 o.p. sia sottoponibile al controllo giurisdizionale avanti  ad  altre
 autorita' giudiziarie.
    Ci si puo' chiedere se sia ravvisabile la giurisdizione in materia
 del magistrato di sorveglianza.
    In  proposito  va  in primo luogo esservato che non e' rinvenibile
 alcuna norma che attribuisca al detenuto la facolta'  di  instaurare,
 con  le  garanzie  del  contraddittorio,  dinanzi  al  magistrato  di
 sorveglianza, un procedimento giurisdizionale avente  ad  oggetto  il
 provvedimento  di  cui all'art. 41-bis o.p. cosi' come il legislatore
 ha invece previsto all'art. 69 o.p., richiamando la procedura di  cui
 all'art.  14-ter  o.p., per i reclami avanzati in materia di lavoro e
 di esercizio del potere disciplinare.
    Come e' noto, il magistrato di sorveglianza, in qualita' di organo
 monocratico,  esercita   una   funzione   diretta   a   sovrintendere
 l'esecuzione  delle  pene,  tramite  l'attivita'  di  vigilanza sulla
 organizzazione degli istituti di prevenzione e di  pena  (consistenza
 anche  nel  prospettare  al Ministero le esigenze dei vari servizi) e
 della custodia nei confronti degli imputati, assicurando il  rispetto
 delle norme imposte da leggi e regolamenti.
    In capo al magistrato di sorveglianza e' ravvisabile, pertanto, un
 potere di controllo sulla legalita' dell'azione della amministrazione
 penitenziaria sia periferica che centrale.
    Se  le  doglianze dedotte dal detenuto sottoposto al regime di cui
 al secondo comma dell'art. 41-bis o.p., nell'ambito di  detto  potere
 di  vigilanza,  ben  possono  essere  prospettate  al  magistrato  di
 sorveglianza nella forma del reclamo, cosi' come  previsto  dall'art.
 35  o.p.,  tuttavia  non appare configurabile, nell'esercizio di tale
 potere sancito dall'art. 69, primo  e  secondo  comma,  o.p.,  alcuna
 forma di tutela giurisdizionale.
    Tale norma nulla stabilisce in ordine alle modalita' con cui viene
 concretamente    esercitata   la   funzione   di   vigilanza,   salva
 l'indicazione di un generico potere di  prospettazione  al  Ministero
 delle  necessita' di volta in volta emergenti in relazione ai servizi
 penitenziari volti ad attuare il trattamento rieducativo.
    A fronte del silenzio del  legislatore,  il  quale  non  introduce
 alcun  mezzo di impugnazione specifico da esperire dinanzi all'organo
 monocratico, il suddetto potere di controllo certamente non assume la
 veste dell'atto  giurisdizinale,  bensi'  di  un'attivita'  meramente
 amministrativa, seppure promanante da una autorita' giudiziaria.
    Se  quindi  il  detenuto sottoposto al regime penitenziario di cui
 all'art. 41-bis, secondo comma, o.p., il quale si  ritenga  leso  dal
 provvedimento   penitenziario,   non   dispone  di  alcuno  strumento
 giurisdizionale  da  esperire   davanti   all'autorita'   giudiziaria
 ordinaria, resta da accertare se rimane per il detenuto reclamante la
 facolta'  di  adire l'autorita' giudiziaria amministrativa, secondo i
 principi generali che regolano la giustizia amministrativa.
    E' da ricordare, in proposito, che,  nella  vigenza  dell'art.  90
 della  legge  26  luglio  1975, n. 354, il quale disciplinava analogo
 potere ministeriale di sospensione delle regole del  trattamento,  il
 t.a.r.  affermava  il  proprio  difetto  di giurisdizione sui reclami
 proposti dai detenuti avverso l'atto amministrativo di sottoposizione
 al regime di cui all'art. 90 o.p. (t.a.r. Lazio, sezione prima, sent.
 13 settembre 1984, n. 771). In particolare il  t.a.r.  osservava  che
 "agli  effetti  del  riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e
 giudice amministrativo, cio'  che  conta  non  e'  la  qualificazione
 giuridica  che  l'istante conferisce alla posizione soggettiva di cui
 chiede tutela, ma la reale consistenza di detta posizione cosi'  come
 risulta  disciplinata  dalle fonti di normazione .." non potendo " ..
 dubitarsi che i provvedimenti ministeriali  che  hanno  disposto  nei
 confronti  dei ricorrenti la sospensione delle regole del trattamento
 carcerario (art. 90 della legge 26 luglio 1975, n. 354), incidono  in
 via   immediata   e   diretta   su  posizioni  giuridiche  soggettive
 qualificabili come diritti di liberta' costituzionalmente  garantiti.
 Nei   confronti   delle  determinazioni  impugnate  i  ricorrenti  si
 presentano quindi come titolari di diritti soggettivi  inviolabili  i
 quali,  proprio per la loro inerenza della persona umana e per essere
 costituzionalmente    garantiti    innanzitutto     nei     confronti
 dell'autorita'  pubblica,  per  definizione  non  sono degradabili ad
 interessi legittimi .. Nei loro confronti sono  infatti  ipotizzabili
 forme  di  restrizione  nei  casi  e  con  le procedure garantistiche
 espressamente previsti dalla legge, ma mai la  loro  degradazione  ad
 interessi  legittimi,  la  quale  presuppone  poteri ablatori in capo
 all'amministrazione di cui quest'ultima certamente non dispone".
    Le considerazioni riportate paiono a questo  tribunale  pienamente
 condivisibili.  Non  vi  e',  infatti,  chi  non  veda come il regime
 penitenziario di cui al secondo comma dell'art.  41-bis  o.p.  incida
 non  certo  su  posizioni  di  mero  interesse  legittimo e come tali
 tutelabili in via esclusivamente amministrativa, bensi'  sui  diritti
 essenziali  della  persona  umana  (in  primo  luogo  il diritto alla
 liberta' personale ed inoltre,  anche  i  diritti  alla  liberta'  di
 espressione  e  di comunicazione) riconosciuti dalla Costituzione, la
 cui compressione non  puo'  mai  determinare  l'affievolimento  degli
 stessi ad interessi legittimi.
    Se,  quindi,  la  posizione  giuridica  soggettiva  su  cui incide
 direttamente  l'atto  amministrativo   ministeriale   rientra   nella
 categoria  dei diritti soggettivi, ne deriva, in ossequio al criterio
 del  riparto  della  giurisdizione,  il  difetto   di   giurisdizione
 dell'autorita'   giudiziaria  amministrativa  in  ordine  ai  reclami
 avanzati dai detenuti  sottoposti  al  regime  penitenziario  di  cui
 all'art. 41-bis o.p.
    Ritiene  questo  collegio che la mancata previsione di un mezzo di
 impugnazione avverso il provvedimento emesso ai sensi  dell'art.  41-
 bis,   secondo   comma,   o.p.,   contrasti   con   alcuni   principi
 costituzionali e, che, pertanto, detta norma debba essere  sottoposta
 al vaglio della Corte costituzionale.
    Va  in  primo  luogo  affermata  la  rilevanza  della  prospettata
 questione di legittimita' costituzionale ai fini della decisione.
    Invero, il giudizio instaurato avanti a questo tribunale ha,  come
 fine  essenziale,  quello  di consentite un controllo di legittimita'
 dell'operato dell'amministrazione penitenziaria che ha sottoposto  il
 detenuto  Nuvoletta Lorenzo al regime trattamentale di cui al secondo
 comma dell'art. 41-bis o.p.
    Orbene, l'eventuale  pronuncia  di  illegittimita'  costituzionale
 della norma richiamata nella parte in cui non prevede la possibilita'
 per il detenuto di impugnare il provvedimento ministeriale sospensivo
 delle  regole  del  trattamento,  consentirebbe a questo tribunale di
 esaminare il merito del reclamo e quindi di  pronunciarsi  in  ordine
 alla  legittimita'  del  provvedimento  di  cui il detenuto chiede la
 disapplicazione.
    Quanto alla non manifesta infondatezza  della  questione,  ritiene
 questo tribunale che il secondo comma dell'art. 41-bis o.p. appaia in
 contrasto con i seguenti principi costituzionali:
      1)  art.  3  della  Costituzione  laddove  a situazioni eguali -
 detenuti che si vedono comprimere i propri diritti personali a fronte
 di maggiori esigenze di sicurezza e di controllo della  pericolosita'
 di  volta  in  volta  individuale  -  non  corrisponderebbero  eguali
 garanzie giurisdizionali.
    Invero, mentre il provvedimento dell'amministrazione penitenziaria
 che dispone il regime di  sorveglianza  particolare  consistente,  ai
 sensi  dell'art.  14-quater  o.p.,  in restrizioni dell'esercizio dei
 diritti dei detenuti e delle regole del  trattamento,  e'  sottoposto
 alla  giurisdizione  del  tribunale  di  sorveglianza  attraverso  la
 proporzione del reclamo previsto dall'art. 14-ter o.p.  assistito  da
 tutta  una  serie  di  garanzie  idonee  ad  assicurare  un  regolare
 contraddittorio delle parti, l'atto amministrativo di  sottoposizione
 al regime penitenziario di cui al secondo comma dell'art. 41-bis o.p.
 che  pure,  si  e'  visto, incide in misura gravemente repressiva sui
 diritti essenziali dell'individuo costituzionalmente tutelati, sfugge
 a qualsiasi tipo di controllo di legalita' in ordine alla conformita'
 dello  stesso  alla  legge,  non  consentendo  a  colui  che  vi   e'
 sottoposto, di dolersi dell'eventuale illegittimita';
      2)  art.  24,  primo comma della Costituzione secondo cui "tutti
 possono agire in giudizio per la tutela dei  propri  diritti",  norma
 che  deve  essere letta insieme all'invocato principio di eguaglianza
 di cui costituisce una specificazione (Corte costituzionale  sentenza
 n. 55/1974).
    Il  diritto  alla tutela giurisdizionale sancito da tale norma "va
 annoverato  fra   i   principi   supremi   del   nostro   ordinamento
 costituzionale in cui e' intimamente connesso con lo stesso principio
 di   democrazia   l'assicurare   a  tutti  e  sempre,  per  qualsiasi
 controversia, un giudice ed un giudizio" (cosi' ha affermato la Corte
 costituzionale nella sentenza n. 18/1992).
    Nel caso che qui occupa, e pacifico, come  piu'  volte  ricordato,
 che  il provvedimento ministeriale di sottoposizione al regime di cui
 all'art.  41-bis  o.p.  incide  su  posizioni  giuridiche  soggettive
 qualificabili  come  diritti  e,  come tali, oggetto di indefettibile
 tutela  giurisdizionale  intesa  come   possibilita'   di   esercizio
 dell'azione  processuale  e,  una  volta instaurato il giudizio, come
 possibilita' di vedersi assicurata la facolta'  di  difesa  sotto  il
 duplice profilo della difesa tecnica e del rispetto del principio del
 contraddittorio;
      3)  art.  113, primo e secondo comma, della Costituzione secondo
 cui "contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa
 la tutela giurisdizionale dei diritti  e  degli  interessi  legittimi
 dinanzi  agli  organi della giurisdizione ordinaria o amministrativa.
 Tale tutela giurisdizionale non puo'  essere  esclusa  o  limitata  a
 particolari  mezzi  di  impugnazione  e  per determinate categorie di
 atti".
    La norma, che costituisce puntuale specificazione ed  applicazione
 di  quanto  disposto in termini generali dal primo comma dell'art. 24
 della  Costituzione  e  che  deve  essere  letta  in  connessione  al
 principio  di eguaglianza, garantisce la giurisdizione dell'autorita'
 giudiziaria ordinaria in materia di diritti  soggettivi  dei  singoli
 che si ritengano lesi da un atto della pubblica amministrazione.
    Corollari  del  principio  di  cui  al  primo comma sono i divieti
 sanciti dal successivo secondo comma.
    La regola della indefettibilita' della tutela  prevista  dall'art.
 113  della  Costituzione non pare rispettata nel caso di specie posto
 che avverso il provvedimento ministeriale che applica  nei  confronti
 del  singolo detenuto il regime penitenziario di cui al secondo comma
 dell'art. 41-bis o.p., incidente, si ripete, sui  diritti  soggettivi
 del  medesimo,  la  legge  non  attribuisce al recluso alcun mezzo di
 impugnazione avanti all'autorita' giudiziaria ordinaria,  laddove  la
 magistratura  di  sorveglianza  e  pacificamente  riconosciuta  quale
 giudice naturale della situazione giuridica sotanziale  del  detenuto
 nei  suoi  rapporti  con  l'amministrazione  penitenziaria, allorche'
 l'operato di questa venga ad incidere sui suoi diritti soggettivi.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  41-bis, secondo comma, della
 legge 26  luglio  1975,  n.  354,  e  successive  modificazioni,  per
 violazione  degli  artt.  3,  24,  primo  comma, 113, primo e secondo
 comma, della Costituzione nei sensi di cui in motivazione;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Sospende il procedimento di cui sopra;
    Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinarnza  sia
 notificata  all'interessato, al difensonre, alla Direzione della casa
 circondariale di Milano, al  procuratore  generale  della  Repubblica
 presso  la corte d'appello di Milano, al Presidente del Consiglio dei
 Ministri, nonche' comunicata al Presidente della Camera dei  deputati
 ed al Presidente del Senato.
      Milano, addi' 7 aprile 1993
                   Il presidente: PICCINNI LEOPARDI
                                      L'estensore: (firma illeggibile)
 93C0770