N. 435 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 maggio 1993
N. 435 Ordinanza emessa il 18 maggio 1993 dal pretore di Napoli, sezione distaccata di Sorrento, nel procedimento penale a carico di Aloschi Gloria Processo penale - Procedimento pretorile - Dibattimento - Contestazioni suppletive aventi ad oggetto fatti costituenti reato gia' noti al p.m. e, per errore, non contestati nel decreto di citazione a giudizio - Richiesta di patteggiamento dell'imputato - Dissenso del p.m. per tardivita' - Riammissione in termini - Lamentata omessa previsione - Irragionevole lesione del principio di eguaglianza con compressione del diritto di difesa. (C.P.P. 1988, art. 519). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.35 del 25-8-1993 )
IL PRETORE Premesso che nel corso del dibattimento, all'esito dell'escussione del tecnico comunale, e, comunque sulla scorta della relazione dallo stesso redatta e gia' inviata alla procura circondariale di Napoli, unitamente alla notizia di reato, il rappresentante del p.m. ha provveduto, ai sensi dell'art. 517 del c.p.p. a contestare all'imputata Aloschi Gloria altri reati, aventi ad oggetto violazioni alla legge urbanistica e a quelli di tutela paesaggistica, connessi ai reati ascritti nel decreto di citazione a giudizio; che, stante la contumacia dell'imputata, veniva ai sensi dell'art. 520 c.p.p. notificato alla medesima il verbale di causa, con la fissazione di altra udienza per la prosecuzione del giudizio; che, il p.m. si opponeva eccependo l'intempestivita' della richiesta; che, a questo punto la difesa dell'imputata ha ritenuto di sollevare questione di legittimita' costituzionale in riferimento all'art. 519 del c.p.p. per contrasto con gli artt. 3 e 24 secondo comma Costituzione, nella parte in cui detta norma non prevede che, quanto al rito pretorile, nel caso di contestazione suppletiva ai sensi dell'art. 517 del c.p.p. l'imputato possa essere rimesso in termini per proporre richiesta di pena patteggiata quando la contestazione suppletiva abbia ad oggetto fatti integranti reato e circostanze gia' noti al pubblico ministero, ma per errore di questi, non contestati nel decreto di citazione a giudizio; O S S E R V A Si rileva come la questione cosi' sollevata, non sia manifestamente infondata, in particolare nell'ambito del giudizio pretorile, tenuto conto della circostanza che, in tale ambito, il decreto di citazione a giudizio contenente il tema di accusa, rispetto al quale l'imputato valuta il rischio processuale che sullo stesso incombe, e di conseguenza, opta per il rito (ordinario, patteggiamento), piu' opportuno, viene licenziato direttamente dal p.m. (mancando la previsione dell'udienza preliminare). Per altro, va evidenziato che non osta ad una positiva delibazione della proposta questione la precedente giurisprudenza della Corte costituzionale sul punto. La Consulta ha infatti osservato, che sarebbe irrazionale consentire che si addivenga ad un rito differenziato sulla base delle "contingenti valutazioni dell'imputato sull'andamento del processo" (sent. n. 593/90), che "rientra nelle valutazioni, che l'imputato deve compiere, l'evenienza della contestazione suppletiva a seguito dell'istruttoria dibattimentale" (sent. n. 213/1992), che il relativo rischio rientra naturalmente nel calcolo dell'imputato, "onde egli non ha che da addebitare a se medesimo le conseguenze della propria scelta" (sent. n. 316/92). Tuttavia le ricordate decisioni risultano adottate sulla scorta di parametri costituzionali di riferimento diversi o diversamente orientati rispetto a quelli che qui sono invocati. E soprattutto risulta del tutto differente la situazione in fatto sottostante le ricordate pronunce, in quanto qui ci troviamo di fronte non gia' alla evenienza di una contestazione suppletiva originata dalla istruttoria dibattimentale, bensi' dinanzi ad una contestazione originata da un errore dell'organo dell'accusa, ovvero da una scelta (insindacabile da parte dell'imputato: ben avrebbe potuto il p.m. operare uno stralcio) del pubblico ministero circa la delimitazione dell'area dei fatti per i quali ha inteso esercitare l'azione penale attraverso l'emissione del decreto di citazione. Risulta, qui, pertanto, esclusa la possibilita' di addossare all'imputato il "rischio" della scelta dibattimentale, in quanto tale scelta, lungi dall'essere informata alla concreta situazione processuale, si rileva piuttosto obbligata, o quantomeno modellata sulla iniziativa dell'organo dell'accusa che ha manifestato, esercitando l'azione penale in maniera incompleta, una situazione difforme da quella reale. Cio' premesso, si denuncia il contrasto della norma oggetto dell'incidente con l'art. 3 e con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Appare invero irragionevole la differenziazione che emerge (non rispetto all'art. 518 del c.p.p.: v. decisioni innanzi ricordate; ma) rispetto al diverso governo che, sulla scorta della denunciata normativa, p.m. ed imputato hanno circa la scelta del rito. Non sfugge che attraverso la formulazione di un capo di imputazione incompleto rispetto alle risultanze contenute negli atti di cui al proprio fascicolo, il pubblico ministero influenza la scelta del rito; nel caso di specie dal decreto di citazione a giudizio risultava elevata una imputazione relativamente alla quale l'imputato non aveva alcun interesse a formulare richiesta di patteggiamento, trattandosi di fatto che documentalmente (gia' al p.m.) risultava commesso, almeno in parte, da soggetto diverso. Pertanto, ammesso di non voler ritenere consentito un comportamento ai limiti del favoreggiamento e/o dell'autocalunnia, l'imputato non poteva chiedere alcuna pena patteggiata per un reato al quale egli era del tutto estraneo. E' tale potere unilaterale di influenzare l'opzione del rito - senza alcuna possibilita' di tempestivo recupero della completezza della contestazione (v. art. 423 c.p.p.) trattandosi di imputazione gestita autarchicamente, senza filtro giurisdizionale preliminare, assente nel rito pretorile -, sia pure in buona fede, comporta il rischio di un patologico aggiramento del diritto di difesa, inteso non solo come interesse costituzionalmente assistito a contraddire l'ipotesi accusatoria, ma come facolta' di scegliere il quo modo difensivo previa valutazione informata e consapevole. Di qui, rilevata la peculiarita' della situazione rispetto all'ordinario modello processuale previsto per i giudizi dinanzi al tribunale (art. 549 del c.p.p.) il denunciato contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione. In sostanza: dal momento che l'operato del p.m. risulta assistito da una presunzione di legalita' (arg. ex art. 124 del c.p.p.) e soprattutto dal momento che il principio di completezza delle indagini preliminari piu' e piu' volte ribadito dalla Consulta, comportano un legittimo affidamento dell'imputato sulle scelte compiute dal p.m., consentire la contestazione suppletiva di fatti di reato e circostanze gia' conosciute al p.m. ma non contestati col decreto di citazione a giudizio, equivarrebbe a legittimare la situazione in cui volutamente il p.m. lascia incomplete le indagini al fine di impedire l'accesso al rito abbreviato (c.d. "dissenso implicito per fatti concludenti"), ipotesi di cui si e' interessata la Corte costituzionale nella sent. n. 92/1992 escludendone la compatibilita' al sistema. Paradossalmente si dovrebbe ritenere necessario sempre e comunque dubitare della buona fede dell'organo dell'accusa, e soffermarsi a valutare la possibilita' che egli rinvii a giudizio per il reato x meditando pero', previa vanificazione della facolta' di richiedere il patteggiamento e, quindi, previa esclusione dell'evenienza di una pronuncia del giudice che ritenga immotivato un eventuale dissenso esplicito, di ottenere una piu' grave sanzione per il reato y, a lui gia' noto anche se non ritualmente contestato. Del resto alcune recentissime pronunce della Corte costituzionale appaiono muoversi inequivocabilmente nella direzione innanzi indicata. Con la sentenza n. 76/1993, infatti, la Consulta ha ritenuto inaccettabile costituzionalmente che l'imputato potesse - li' per l'erronea individuazione del giudice competente; qui per erronea contestazione - essere privato della possibilita' di richiedere un rito differenziato "per effetto di un errore in precedenza da altri commesso .. attribuibile al pubblico ministero". Pertanto la Corte, pronunciando l'illegittimita' della norma censurata in quella circostanza, ha affermato che e' necessario "offrire riparo da una patologia processuale che, proprio perche' tale, non puo' risolversi in un pregiudizio per l'imputato di essa non responsabile". Sulla medesima lunghezza d'onda, infine, si colloca la sent. n. 101/1993: laddove "risulti che la inosservanza del termine per formulare la richiesta di applicazione di una pena sia stata determinata da un evento non evitabile dall'interessato, sarebbe molto difficile - rileva la Corte - negare che la impossibilita' di ottenere i relativi benefici concreti una ingiustificata compressione del diritto di difesa". Allo scopo di recuperare legalita' al procedimento in siffatta situazione la Consulta rinvia all'istituto della restituzione in termini di cui all'art. 175 del c.p.p., norma generale e applicabile anche in occasioni del tipo di quella qui in esame. Sul punto la Corte rileva infatti la non incompatibilita' di una restituzione in termini e quindi di un rito patteggiato rispetto ad un dibattimento gia' iniziato, conservando (il patteggiamento) anche in tal caso, sia pure parzialmente, la propria efficacia deflattiva. Resta ovvio, come prosegue la Corte, che gli atti di istruzione dibattimentale gia' compiuti - se non invalidi - mantengono ed esprimono intatta la loro efficacia.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 519 del c.p.p. in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma, della Costituzione, siccome formulata dalla difesa dell'imputato. Sospende il presente giudizio penale, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, e ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera dei Deputati, al Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli e al Procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Napoli. Sorrento, addi' 18 maggio 1993 Il pretore: D'ISA 93C0825