N. 436 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 aprile 1993
N. 436 Ordinanza emessa il 28 aprile 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Bonvini Davide Processo penale - Misure cautelari personali - Divieto di custodia cautelare per le persone affette da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria - Presunzione legale di incompatibilita' tra malattia e carcerazione - Disparita' di trattamento tra detti indagati ed autori di reati affetti da altre malattie altrettanto gravi ed irreversibili per le quali non si accerti un'incompatibilita' con la carcerazione, nonche' tra cittadini vittime di reati commessi da malati di AIDS e quelli vittime di persone affette da malattia di pari gravita' - Violazione del principio di garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo. (C.P.P. 1988, art. 286-bis, aggiunto dal d.l. 13 marzo 1993, n. 60, art. 1). (Cost., artt. 2 e 3).(GU n.35 del 25-8-1993 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Visti gli atti del procedimento penale a carico di Bonvini Davide, nato a Milano il 13 settembre 1963, indagato per il delitto di cui agli artt. 81 cpv., 629, 61 nn. 1 ed 11 del c.p. in danno della madre Bonvini Giuseppina, in Milano, fino al 6 novembre 1992; Vista la istanza del pubblico ministero in data 13 febbraio 1993 con la quale lo stesso chiede che contro il Bonvini sia emessa misura della custodia cautelare in carcere ovvero, qualora questo giudice ritenga che a tale richiesta si opponga l'art. 286- bis del c.p.p., che sia sollevata la illegittimita' costituzionale di tale norma per contrasto con gli artt. 2 e 3 della Costituzione. O S S E R V A A) Rilevanza della questione. Il giudice ritiene che la richiesta di misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del Bonvini dovrebbe essere accolta sussistendo a carico dello stesso, da un lato, gravi indizi di colpevolezza, costituiti dalla denuncia della madre che appare del tutto attendibile, dall'altro l'esigenza cautelare di cui all'art. 274.1, lett. c) in quanto per la personalita' dell'indagato - al quale gia' e' stata in epoca recente applicata, su sua richiesta, per fatti del tutto analoghi, una pena non condizionalmente sospesa (proprio perche' vi era il pericolo di reiterazione della condotta illecita) - concreto e' il pericolo che l'indagato commetta altri delitti analoghi a quello per cui si procede. La esigenza cautelare sopra indicata, allo stato ed in questa fase, puo' essere salvaguardata solo con la misura della custodia cautelare in carcere in quanto la personalita' dell'indagato, vittima della tossicodipendenza, e' tale che non vi e' alcuna seria garanzia che lo stesso si attenga a prescrizioni. In ogni caso, poi: poiche' parte lesa del reato e' la madre, con la quale l'imputato convive, la misura degli arresti domiciliari presso l'abitazione non fornirebbe alcuna tutela alla parte lesa (che anzi, dalla applicazione di siffatta misura potrebbe anche essere pregiudicata); la misura di arresti domiciliari presso una comunita' non puo' essere adottata in questa fase in quanto una siffatta misura presuppone sempre un preliminare rapporto di accettazione tra comunita' ed assistito (condizione richiesta da tutte le comunita' di recupero per tossicodipendenti). Questo giudice ritiene pero' che la misura della custodia cautelare in carcere non puo' essere applicata in quanto l'art. 1 del d.l. 13 marzo 1993, n. 60, introducendo l'art. 286- bis del c.p.p. e reiterando un principio gia' espresso in precedenti decreti-legge poi non convertiti, ha stabilito il divieto di custodia cautelare nei confronti di chi sia affetto da infezione da HIV nei casi in cui ricorra una situazione di incompatibilita' con lo stato di detenzione ed ha altresi' stabilito che "l'incompatibilita' sussiste ed e' dichiarata dal giudice, nei casi di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria". Ne' varrebbe in contrario osservare che tale norma si limita a stabilire il divieto di mantenere in carcere chi si trovi in tale situazione e non anche il divieto di applicare la custodia cautelare in carcere a chi si trovi nella stessa condizione in quanto la ratio della norma e' sicuramente quella da stabilire un divieto di custodia cautelare in quelle ipotesi, cosi' come recita la assai ampia dizione della rubrica dell'articolo. Poiche', normalmente, al momento della applicazione della misura, la situazione di malattia non e' ancora nota, si e' previsto il divieto di mantenere la custodia in carcere nel momento in cui si accerti che la persona e' affetta da malattia in quelle forme, ma - identica essendo la ratio - si deve riconoscere che il divieto sussiste anche se, prima della applicazione della misura, la situazione di malattia e di incompatibilita' gia' sia nota ed accertata. Questo e' appunto quello che si verifica nel caso di specie. Nel corso del precedente processo svoltosi a carico del Bonvini per reati analoghi gia' era risultato che il Bonvini e' affetto da AIDS in fase conclamata, anche se le sue condizioni di salute erano compatibili con il regime di custodia cautelare (vedi consulenza medico-legale e psichiatrica disposta dal p.m. sul Bonvini, in particolare f. 126 atti, la' dove si osserva che "il trattamento medico in questa fase del processo morboso si attua in modo sostanzialmente non dissimile in un centro clinico carcerario .. ed in una divisione di malattie infettive richiedendo prevalentemente, allo stato, l'assunzione di farmaci e l'effettuzione di esami laboratoristici e strumentali di controllo, in gran parte effettuabili presso il centro clinico .."). Diagnosi identica di AIDS conclamata emerge dal provvedimento di differimento provvisorio dell'esecuzione del magistrato di sorveglianza in data 21 luglio 1992, differimento provvisorio tuttora in atto. Nel caso di specie, quindi, secondo la normativa introdotta dall'art. 1 del d.l. 13 marzo 1993 n. 60, si verte in una ipotesi di incompatibilita' stabilita per legge con lo stato di detenzione, anche se in concreto una incompatibilita' tra malattia e custodia cautelare e' stata esclusa. Questo giudice quindi ritiene che la richiesta del pubblico ministero non puo' essere decisa indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale sollevata. B) Non manifesta infondatezza della questione. Come gia' si e' detto l'art. 1 del d.l. 13 marzo 1993, n. 60, ha introdotto nel codice di procedura penale l'art. 286- bis del seguente letterale tenore: "Art. 286- bis (Divieto di custodia cautelare). 1. Non puo' essere mantenuta la custodia cautelare in carcere nei confronti di chi sia affetto da infezione da HIV e ricorra una situazione di incompatibilita' con lo stato di detenzione. L'incompatibilita' sussiste, ed e' dichiarata dal giudice, nei casi di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria ..". Tale norma stabilisce quindi un divieto assoluto di custodia cautelare in carcere nei confronti di chi si trovi in un determinato stadio della malattia - AIDS conclamata o grave deficienza immunitaria - e stabilisce in tali casi una presunzione legale di incompatibilita' tra malattia e carcerazione, indipendentemente da un accertamento sulla compatibilita' in concreto tra la malattia e la carcerazione. Tale norma, introducendo tale principio, ad avviso di questo giudice viola l'art. 3, primo comma, della Costituzione sotto un duplice profilo. In primo luogo tale norma crea una disparita' di trattamento, non giustificata ne' ragionevole, tra autori di illeciti penali affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, nei casi in cui non sussista per tale malattia una incompatibilita' con la carcerazione (come e' nel caso di specie) ed autori di illeciti penali affetti da altre malattie e altrattanto gravi ed altrettanto irreversibili, per i quali non si accerti una incompatibilita' in concreto tra situazione di malattia e carcerazione. In secondo luogo tale norma crea una disparita' di trattamento, non giustificata e non ragionevole, tra i cittadini che siano vittime di reati commessi da autori affetti da AIDS conclamata o grave, ma compatibile con la carcerazione, e cittadini che siano vittime di reati commessi da autori affetti da altre malattie di pari gravita' e del pari compatibili con la carcerazione. Le vittime di reati commessi da malati di AIDS, a differenza delle altre, potranno essere ancora vittime di ulteriori reati ad opera degli stessi autori (come nel caso di specie) senza che cio' sia giustificato da ragioni sanitarie. Sotto questo profilo puo' anche profilarsi, come ritentuo dal pubblico ministero, un contrasto tra il principio stabilito dal d.l. 13 marzo 1993, n. 60, e l'art. 2 della Costituzione venendo violato il principio della garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, non essendo garantito il diritto di coloro i cui interessi siano aggrediti da coloro che si trovano nelle condizioni descritte nel decreto.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata con riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma, della Costituzione, la questione di costituzionalita' dell'art. 286- bis del c.p.p. cosi' come modificato dal d.l. n. 60 del 13 marzo 1993 nella parte in cui prevede il divieto di custodia cautelare in carcere "nei confronti di chi sia affetto da infezione da HIV e ricorra una situazione di incompatibilita' con lo stato di detenzione" e prevede altresi' che "l'incompatibilita' sussiste, ed e' dichiarata dal giudice, nei casi di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria"; Sospende il giudizio e ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata a Bonvini Davide, al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati della Repubblica. Milano, addi' 28 aprile 1993 Il giudice per le indagini preliminari: PISAPIA Depositata in cancelleria oggi 30 aprile 1993. Il collaboratore di cancelleria: MOTTOLA 93C0826