N. 348 SENTENZA 11 giugno - 28 luglio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Beni  in genere - Disposizioni per l'alienazione di beni patrimoniali
 dello Stato suscettibili di gestione economica - Convocazione di  una
 "Conferenza"   cui   partecipano   tutti   i   rappresentanti   delle
 amministrazioni  statali  e  degli  enti  pubblici  -  Potere   della
 "Conferenza" di apportare modifiche ai programmi di alienazione senza
 la  necessita'  di  ulteriori  deliberazioni riguardo agli interventi
 dell'ente locale, in deroga all'art. 27 della  legge  n.  142/1990  -
 Lamentata   violazione   delle  competenze  regionali  -  Intervenuta
 modificazione legislativa - Cessazione della materia del contendere.
 
 (D.-L. 5 dicembre 1991, n. 386, convertito in legge 29 gennaio  1992,
 n. 35, art. 2, sedicesimo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 5, 97, 117, 118, 119 e 128; statuto speciale regione
 Friuli-Venezia Giulia, artt. 4 e 5).
 
 Beni  in genere - Disposizioni per l'alienazione di beni patrimoniali
 dello Stato suscettibili di gestione economica - Istituzione  di  una
 "Conferenza"   cui   partecipano   tutti   i   rappresentanti   delle
 amministrazioni  statali  e  degli  enti  pubblici  -  Potere   della
 "Conferenza" di apportare modifiche ai programmi di alienazione senza
 la  necessita'  di  ulteriori  deliberazioni riguardo agli interventi
 degli   enti   locali   -   Attribuzione   all'approvazione   assunta
 all'unanimita'  dalla  "Conferenza",  di  efficacia sostitutiva degli
 atti di partecipazione al procedimento amministrativo previsti  dalle
 leggi  statali  - Lamentata violazione delle competenze della regione
 Emilia-Romagna e della provincia autonoma di  Trento  in  materia  di
 edilizia e urbanistica - Esclusione - Non fondatezza della questione.
 
 (D.-L.  5 dicembre 1991, n. 386, convertito in legge 29 gennaio 1992,
 n. 35, art. 2, dodicesimo, quindicesimo e diciassettesimo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 5, 97, 117, 118, 119 e 128; statuto speciale regione
 Trentino Alto-Adige, artt. 8, nn. 3, 5 e 6; 9, n. 10; e 16).
 
 Beni in genere - Disposizioni per l'alienazione di beni  patrimoniali
 dello   Stato  suscettibili  di  gestione  economica  -  Attribuzione
 all'approvazione  assunta  all'unanimita'  dalla   "Conferenza",   di
 efficacia  sostitutiva  degli  atti di partecipazione al procedimento
 amministrativo previsti dalle leggi regionali e statali  -  Lamentata
 violazione   dell'autonomia  speciale  della  regione  Friuli-Venezia
 Giulia - Esclusione - Non fondatezza della questione.
 
 (D.-L. 5 dicembre 1991, n. 386, convertito in legge 29 gennaio  1992,
 n. 35, art. 2, diciassettesimo comma).
 
 (Statuto speciale regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4 e 5)
 
(GU n.32 del 4-8-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici:  dott.  Francesco  GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
 SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro  FERRI,  prof.  Luigi  MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.  Renato
 GRANATA, prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 12, 15,
 16  e  17,  del  decreto-legge 5 dicembre 1991, n. 386, convertito in
 legge 29 gennaio 1992, n.  35,  recante  (Trasformazione  degli  enti
 pubblici  economici,  dismissione  delle  partecipazioni  statali  ed
 alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica),
 promossi con ricorsi delle Regioni Friuli-Venezia  Giulia  e  Emilia-
 Romagna  e  della  Provincia  autonoma  di  Trento,  notificati il 28
 febbraio 1992, depositati in cancelleria il 3, 5 e 9  marzo  1992  ed
 iscritti ai nn. 23, 24 e 25 del registro ricorsi 1992;
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 20 aprile 1993 il Giudice relatore
 Vincenzo Caianiello;
    Uditi l'avv. Renato Fusco per la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,
 l'avv. Alberto Predieri per la Regione Emilia-Romagna, l'avv. Valerio
 Onida per la Provincia autonoma di Trento e l'avv. dello Stato Franco
 Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.1.  -  Con  il  ricorso n. 23 del 1992 la Regione Friuli-Venezia
 Giulia denuncia le disposizioni contenute nei commi 16 e 17 dell'art.
 2 del decreto-legge 5 dicembre 1991 n. 386 (Trasformazione degli enti
 pubblici  economici,  dismissione  delle  partecipazioni  statali  ed
 alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica),
 convertito nella legge 29 gennaio 1992 n. 35, come lesive della sfera
 di  competenza assegnata alla regione dagli artt. 4 e 5 dello statuto
 speciale di autonomia (legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1)  e
 dalle norme di attuazione (non espressamente indicate).
    Il detto art. 2 traccia uno schema procedimentale semplificato per
 l'alienazione  dei  beni  immobili  dello  Stato e per la gestione di
 quelli suscettibili di gestione economica. Al  comma  15  stabilisce,
 per  tale  finalita',  che  il  Ministro  delle  finanze  convoca una
 "conferenza"   cui   partecipano   tutti   i   rappresentanti   delle
 amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici "comunque tenuti ad
 adottare atti di intesa, nonche' a rilasciare pareri, autorizzazioni,
 approvazioni, nulla-osta previsti da leggi statali o regionali".
    I  commi 16 e 17 disciplinano compiti, attivita' e relative proce-
 dure, della conferenza ed in particolare:
       a) il comma 16 prevede che essa - nel valutare "i programmi  di
 alienazione, di gestione e di valorizzazione dei beni immobili" e gli
 "eventuali  progetti  esecutivi"  - puo' apportarvi, ove occorra, "le
 opportune  modifiche  senza  che  cio'  comporti  la  necessita'   di
 ulteriori  deliberazioni per quanto concerne gli interventi dell'ente
 locale, in deroga a quanto stabilito dall'art.  27,  comma  5,  della
 legge 8 giugno 1990 n. 142".
    La  previsione  sarebbe  lesiva  della  sfera  di competenze della
 regione nelle materie in cui incidono le  "ulteriori  deliberazioni",
 perche'  avrebbe  l'effetto di abrogare le norme regionali che quelle
 "ulteriori deliberazioni" prescrivono, con conseguente  intromissione
 dello  Stato  in  spazi  amministrativi  e  normativi  riservati alla
 regione, specie in materia urbanistica, per la quale l'art. 32  della
 legge  regionale  Friuli-Venezia Giulia 19 novembre 1991, n. 52 sulla
 pianificazione territoriale e urbanistica prevede, per la variante al
 piano regolatore generale, una serie di adempimenti  di  vari  organi
 comunali e regionali molto articolata e puntuale. Di tali adempimenti
 ben poco rimarrebbe, una volta che venga applicato il detto comma 16,
 che espressamente esclude le "ulteriori deliberazioni".
       b)   il   comma   17  stabilisce  che  "l'approvazione  assunta
 all'unanimita'",  da  parte  della  conferenza,  dei   programmi   di
 alienazione,  gestione  e  valorizzazione  dei  beni immobili e degli
 eventuali progetti esecutivi:
       sostituisce, ad ogni effetto, tutti gli atti di  partecipazione
 al   procedimento  amministrativo  (intese,  pareri,  autorizzazioni,
 approvazioni, nulla osta etc.) previsti da leggi statali o regionali;
       comporta, per quanto  occorra,  "variazione  anche  integrativa
 agli   strumenti   urbanistici  e  ai  piani  territoriali  ..  senza
 necessita' di ulteriori adempimenti".
    La illegittimita' costituzionale di entrambe le previsioni sarebbe
 determinata sia dal fatto che il legislatore  statale  trasferisce  a
 una  conferenza  (pur  se  vi  partecipi un rappresentante regionale)
 poteri che sono propri della regione, attribuendo alle  deliberazioni
 dell'organo  di nuova istituzione valenza sostitutiva di prescrizioni
 imposte  da  leggi  regionali;  sia  perche'   l'"approvazione"   dei
 programmi,  senza  necessita'  di  ulteriori adempimenti, comporta la
 disapplicazione delle leggi della regione che hanno  disciplinato  le
 materie  oggetto  dei programmi anzidetti e rappresenta una invasione
 della sfera di attribuzioni costituzionalmente ad essa riservata.
    1.2. - Si e' costituito in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
 dei  ministri,  per  il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato,
 chiedendo che il ricorso sia respinto.
    La  difesa  dello  Stato  sostiene  l'infondatezza   della   prima
 doglianza, relativa al comma 16 dell'art. 2, in quanto non si avrebbe
 la  lamentata  abrogazione  delle norme regionali che prescrivono "le
 ulteriori  deliberazioni",  ma  al  contrario  esse   conserverebbero
 integra   la  loro  vigenza,  essendosi  la  disposizione  denunziata
 limitata    a    prevedere    una    circoscritta    "semplificazione
 amministrativa" (cfr.art. 14 della legge 7 agosto 1990 n. 241) per la
 "valutazione"  e  l'"approvazione"  di programmi e progetti esecutivi
 che riguardano unicamente "beni patrimoniali dello  Stato"  (art.  2,
 comma 1), nei confronti dei quali la regione non potrebbe rivendicare
 proprie  competenze.  Non  vi sarebbe neppure la denunciata ingerenza
 dello Stato nelle funzioni amministrative proprie della regione,  dal
 momento   che   le  "ulteriori  deliberazioni"  riguardano  solo  gli
 "interventi dell'ente locale" e non della regione, che non  e'  certo
 legittimata  a  dolersi  di  una  normativa  concernente  l'autonomia
 comunale.  Dovrebbe  poi  ritenersi  infondata   anche   la   seconda
 doglianza,  relativa al comma 17 dell'art. 2, che concerne l'istituto
 della conferenza gia' disciplinato dal menzionato art. 14 della legge
 7 agosto 1990, n. 241, e la cui previsione, ai  sensi  dell'art.  29,
 comma  1,  di  quest'ultima  legge,  esprime  un  principio  generale
 dell'ordinamento giuridico,  da  valere  come  limite  anche  per  le
 legislazioni  delle  regioni  a  statuto  speciale  nelle  materie di
 competenza esclusiva.
    2.1. - Con il ricorso n. 24 del 1992,  la  regione  Emilia-Romagna
 denunzia  anch'essa  l'art. 2 della legge statale sopra ricordata, in
 particolare nei commi 12, 15, 16 e 17, per violazione degli artt.  3,
 5, 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione.
    Dopo  aver rilevato che tutto il sistema procedimentale introdotto
 da questo articolo e' caratterizzato da una  consecuzione  non  molto
 ordinata,  la  ricorrente sostiene, con argomenti in parte analoghi a
 quelli gia' esaminati per il precedente ricorso n. 23 del  1992,  che
 le norme impugnate violerebbero le competenze regionali perche':
       a)  sostituiscono  alle competenze proprie di organi collegiali
 regionali, in materia di strumenti urbanistici e piani regionali,  la
 competenza  di un rappresentante della regione, che, quale che sia la
 sua carica (presidente di giunta o di  consiglio,  assessore,  etc.),
 non  ha  istituzionalmente  la  capacita'  di  concentrare  in se' la
 potesta' decisionale regionale, come  disciplinata  dallo  statuto  e
 dalle leggi della regione;
       b)   utilizzano   il  metodo  delle  "conferenze  che  decidono
 all'unanimita'",  che,  pur  giustificato  in  passato   da   urgenze
 particolari  (vedi legge n. 205 del 1989 sugli interventi strutturali
 per le opere interessate dai campionati mondiali di calcio 1990), non
 lo sarebbe nel caso di specie, in cui nessun termine e' previsto  ne'
 per  l'alienazione  dei  beni  ne'  per  la loro valorizzazione, e si
 sarebbe  dovuto  percio'  fare  ricorso  alle  competenze   ordinarie
 previste dall'ordinamento regionale;
       c)  recano  una disciplina derogatoria rispetto alle previsioni
 contenute nella legge n. 142 del 1990, in  violazione  dell'art.  128
 della  Costituzione  e della norma interposta costituita dall'art. 1,
 comma 3, della stessa legge n. 142 cit., secondo la quale  "ai  sensi
 dell'art.  128  della  Costituzione,  le  leggi  della Repubblica non
 possono introdurre deroghe ai principi della presente  legge  se  non
 mediante  espressa modificazione delle sue disposizioni". Non potendo
 dunque una legge  speciale  sostituire  una  normativa  di  carattere
 generale,  che  per la Costituzione e' la sola abilitata a regolare i
 rapporti fra lo Stato, le regioni e gli enti  locali,  ne  deriva  la
 lesione  delle  competenze regionali quali espressamente riconosciute
 dagli artt. 3 e 27 della legge n. 142 del 1990.
       d) il comma 12 sarebbe del pari lesivo perche', prevedendo  che
 per le valutazioni urbanistiche il comitato tecnico sia integrato dal
 sindaco del comune e dal rappresentante all'urbanistica della regione
 nel   cui   territorio   sono  dislocati  i  beni  immobili,  avrebbe
 "attribuito funzioni consultive ad un assessore regionale".
    2.2. - Si e' costituito in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
 dei ministri. L'Avvocatura generale dello Stato deduce l'infondatezza
 di  tutti  i motivi del ricorso, con argomentazioni analoghe a quanto
 sostenuto per la precedente impugnativa (reg. ric. n. 23  del  1992),
 ed  osserva  che  l'invocato  art. 1, comma 3, della legge n. 142 del
 1990  non  e'  norma   interposta   rispetto   all'art.   128   della
 Costituzione,  limitandosi  esso  a  prevedere  solo  una "fissita'",
 peraltro relativa, delle altre  disposizioni  della  legge  medesima,
 senza  considerare poi che questa asserita "norma interposta" prevede
 proprio la "espressa modificazione" e quindi anche la possibilita' di
 deroga, purche' essa sia, come nel caso, espressa.
    La  difesa  dello  Stato sostiene poi che la legge denunciata, per
 gli interessi coinvolti e  l'incidenza  nelle  strutture  economiche,
 reca norme di riforma economico-sociale, che operano come limite alle
 competenze regionali.
    Quanto  infine  alla  partecipazione, prevista dal comma 12, di un
 rappresentante regionale al comitato  tecnico,  l'Avvocatura  obietta
 che  spetta  al  legislatore  statale  disciplinare  la provvista dei
 componenti di un organo dello Stato, quale e' quello in esame.
    3.1. - Con il ricorso n. 25 del 1992 anche la  Provincia  autonoma
 di Trento ha impugnato i commi 15, 16 e 17 dell'art. 2 della legge in
 questione  per  motivi analoghi a quelli dei ricorsi gia' illustrati,
 adducendo la violazione degli artt. 8, nn. 3, 5 e 6; 9 n.  10;  e  16
 dello  Statuto speciale (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e delle rela-
 tive norme di attuazione (non espressamente indicate).
    Osserva la ricorrente che la prevista  conferenza  -  abilitata  a
 decidere  definitivamente  sui  programmi  e  progetti esecutivi, con
 poteri di modifiche in deroga al procedimento  di  cui  all'art.  27,
 comma  5,  della  legge  n.  142  del 1990 e le cui deliberazioni, da
 assumere  nel  termine  di  15   giorni   dalla   sua   convocazione,
 sostituiscono  "ad  ogni  effetto" gli atti di intesa, i pareri, etc.
 previsti dalle leggi - e' molto piu' di quello che dovrebbe essere, e
 cioe'  uno  strumento  di  realizzazione  del  principio   di   leale
 cooperazione tra Stato e provincia autonoma.
    Il  procedimento  indicato,  infatti,  non  consente  un  serio ed
 efficace esercizio delle competenze provinciali sia perche'  in  ogni
 caso  il  termine  (quindici  giorni)  e' troppo breve, specie per le
 deliberazioni  di  particolare  complessita',  sia  perche'   nessuna
 incidenza  a  tutela  dell'autonomia della provincia puo' attribuirsi
 alla partecipazione di un suo rappresentante in seno alla conferenza.
 Se infatti le competenze della provincia nella materia sono  affidate
 dal  suo  ordinamento ad organi collegiali, e' evidente l'inidoneita'
 di  tale  partecipazione  individuale  a  sostituire  l'esercizio  di
 competenze  di  quegli organi; se poi sono competenze esercitabili da
 parte di organi monocratici, la sede "contestuale" della conferenza e
 la eccessiva brevita' del termine  non  consentono  ne'  l'osservanza
 delle  procedure interne previste, ne' l'assunzione di determinazioni
 che riflettano la volonta'  della  provincia  e  siano  in  grado  di
 sostituire  adeguatamente  l'esercizio  ordinario delle competenze di
 questa.
    Ne'  va  dimenticato  che  la  facolta',  attribuita  sempre  alla
 conferenza,  di  modificare d'ufficio i programmi e i progetti fa si'
 che questa possa esser chiamata a pronunziarsi  "definitivamente"  su
 atti  diversi  da  quelli  inizialmente  ad  essa  sottoposti: con la
 prevedibile eventualita' che non si potranno in ogni caso attivare le
 procedure interne previste e che la provincia non sara' in  grado  di
 esercitare  le  sue  potesta' di indirizzo, direttiva e controllo sul
 proprio rappresentante, la cui  opinione  espressa  nella  conferenza
 finira'   cosi'   per   non   riflettere  adeguatamente  la  volonta'
 dell'organo provinciale competente.
    Non  puo'  essere  invocato  il  precedente,  rappresentato  dalla
 "conferenza  regionale"  di cui all'art. 3 della legge 5 giugno 1990,
 n. 135, concernente gli interventi per  la  lotta  all'AIDS,  che  la
 Corte, con la sentenza n. 37 del 1991, ha ritenuto adeguato strumento
 di  realizzazione  del  principio  di  leale cooperazione fra Stato e
 regioni, perche' le differenze sono molteplici.
    Difatti, nel caso della legge n. 135 del 1990 cit., la  conferenza
 si  esprimeva  sulla  compatibilita',  con  le  esigenze  ambientali,
 territoriali,  paesaggistiche  e   culturali,   di   interventi   per
 l'esecuzione  di opere pubbliche eccezionalmente urgenti in relazione
 a un interesse pubblico ben determinato, quello della lotta all'AIDS.
 Nel caso presente, invece,  si  tratta  di  programmi  di  interventi
 edilizi  e  di  trasformazione  urbanistica,  che, se pur attinenti a
 immobili del patrimonio dello  Stato,  sono  destinati,  proprio  per
 effetto  dei  programmi  da approvare, ad essere alienati a privati o
 affidati  a  questi  per  una  gestione  di   tipo   imprenditoriale:
 destinati,  dunque,  non  al  diretto  soddisfacimento  di  interessi
 pubblici, ma a fini tipicamente privati, residuando l'interesse dello
 Stato solo nell'acquisizione dei proventi  dell'alienazione  o  della
 gestione del bene.
    Se  dunque per la lotta all'AIDS, e per le opere pubbliche ad essa
 destinate, si puo' ammettere la semplificazione dei procedimenti e la
 sostituzione   dell'esercizio   ordinario   delle   competenze    con
 l'attivita'  di  un organo misto, altrettanto non puo' farsi nel caso
 di  beni  destinati  ad  esser  utilizzati  da  privati   per   scopi
 tipicamente  privatistici.  Inoltre,  per  la  legge  sull'AIDS,  gli
 interventi   erano   tipizzati   e   circoscritti   (costruzione    o
 ristrutturazione  di  edifici  ospedalieri)  e quindi il procedimento
 semplificato e derogatorio poteva configurarsi come strumento idoneo,
 mentre nel caso di specie i  programmi  e  i  progetti  da  approvare
 possono  essere  i piu' vari e la conferenza e' chiamata ad esaminare
 le problematiche tecniche, edilizie e urbanistiche le  piu'  diverse;
 il  che non giustifica piu' l'alterazione del normale esercizio delle
 competenze.
    Ancora, diversamente da quanto disposto dalla legge sull'AIDS, ove
 la conferenza e' promossa dal Ministro della  Sanita'  "d'intesa  con
 ciascuna  Regione",  ora  l'iniziativa per la convocazione e' rimessa
 esclusivamente al Ministro delle finanze (art. 2, comma 15);  infine,
 mentre  l'approvazione da parte della conferenza prevista dalla legge
 sull'AIDS non aveva effetti di variazione o di deroga  rispetto  agli
 strumenti  urbanistici, all'uopo (art. 3, comma 3, della legge n. 135
 del 1990) richiamandosi l'applicazione delle "disposizioni di cui  ai
 commi  primo, quarto e quinto dell'art. 1 della legge 3 gennaio 1978,
 n. 1 e successive modificazioni", le norme ora denunciate invece  non
 contemplano  alcun  ulteriore  adempimento  dopo l'approvazione della
 conferenza,  che,  comportando  variazione  anche  integrativa   agli
 strumenti  urbanistici  e  ai  piani  territoriali (art. 2 comma 17),
 consegue effetti ben piu' incisivi sulle competenze provinciali.
    Per quanto poi riguarda  specificamente  gli  effetti  di  "deroga
 automatica"  agli  strumenti  urbanistici  e  ai  piani territoriali,
 riconosciuti all'approvazione da parte della conferenza  (comma  16),
 la  ricorrente ricorda che l'art. 27 della legge n. 142 del 1990, pur
 recando una disciplina semplificata in tema di accordo  di  programma
 per  gli  interventi  degli  enti locali, ne ricollegava comunque gli
 effetti di variazione sugli strumenti urbanistici e  di  sostituzione
 della    concessione    edilizia    esclusivamente   all'approvazione
 dell'accordo con  decreto  del  presidente  della  regione  (o  della
 provincia  autonoma),  ed  alla  convalida  da  parte  del  consiglio
 comunale dell'assenso espresso dal sindaco in seno  alla  conferenza,
 con  cio'  salvaguardando  l'esercizio  delle competenze regionali, o
 provinciali,  oltre  che  comunali,  in  ordine  al  controllo  sulla
 destinazione  urbanistica  del  territorio.  Il  comma 16 dell'art. 2
 denunciato esclude, invece, ogni intervento dell'ente locale e quindi
 anche ogni possibilita' di intervento e di controllo della  provincia
 riguardo alla modifica deliberata dalla conferenza.
    Quanto  agli  effetti dell'approvazione da parte della conferenza,
 precisati nel  comma  17  (e  che  si  sostanziano  in  una  variante
 "automatica"  agli strumenti urbanistici), la ricorrente ne rileva la
 gravita', partendo da un esempio: se lo Stato decide  di  vendere  un
 immobile,  oggi  destinato  alla  difesa,  per  farne un albergo o un
 edificio residenziale, la  realizzazione  del  nuovo  insediamento  -
 anche  se non e' previsto in quell'area dallo strumento urbanistico o
 addirittura e' in contrasto con il piano territoriale provinciale,  e
 anche  se  e'  tale  da  comportare deroghe agli standard urbanistici
 (cosi' in  tema  di  parcheggi)  -  sarebbe  direttamente  consentita
 dall'approvazione operatane dalla conferenza.
    Dunque  i  programmi  e  i  progetti  da  questa  approvati  - non
 attinenti,  come  si  e'  detto,  a  opere  pubbliche   -   avrebbero
 incondizionata efficacia derogatoria nei confronti delle prescrizioni
 degli  strumenti  urbanistici, la cui variazione sfuggirebbe cosi' ad
 ogni  effettivo  controllo  della  provincia,  e  perfino  dei  piani
 territoriali:  sia  del  piano urbanistico provinciale (artt. 13 e 14
 legge  provinciale  5  settembre  1991  n.  22),  che  definisce   le
 direttive,  le  prescrizioni e i vincoli da osservare nella redazione
 dei piani subordinati nonche' per l'esecuzione degli  interventi  sul
 territorio,  e  che  e'  approvato  con  legge  provinciale (e quindi
 l'effetto  derogatorio  attribuito  ad   un   sommario   procedimento
 amministrativo  investirebbe  addirittura  la legge provinciale); sia
 del piano comprensoriale  di  coordinamento  (artt.  13  e  18  legge
 provinciale  5  settembre  1991  n.    22,  cit.)  che,  fra l'altro,
 individua gli insediamenti produttivi, le aree per  parcheggi,  spazi
 pubblici etc. e che e' approvato dalla giunta provinciale.
    Ne'  si obietti - e qui la ricorrente pur richiamando il comma 12,
 dell'art.  2,  non  solleva  specifica  questione   di   legittimita'
 costituzionale  -  che  l'assessore all'urbanistica della regione nel
 cui territorio  sono  dislocati  i  beni  immobili  integra,  per  le
 valutazioni  urbanistiche,  il  comitato  tecnico consultivo, perche'
 tale  integrazione  e'  comunque  insufficiente  a  salvaguardare  le
 competenze politico-amministrative e deliberative della provincia; il
 comitato  ha  solo poteri consultivi e non interviene nella procedura
 di approvazione dei programmi e dei progetti, non ha poteri di veto o
 di  condizionamento  in  tema  di  compatibilita'   urbanistica   dei
 programmi  e  di  progetti;  la  stessa  natura  "integrativa"  della
 partecipazione dell'assessore  fa  si'  che  egli  non  abbia  poteri
 determinanti   nemmeno  in  ordine  alle  "valutazioni"  urbanistiche
 sottoposte  al  comitato;  in  ogni  caso   l'assessore   provinciale
 all'urbanistica  non  avrebbe  alcun  titolo ad esprimere la volonta'
 della  provincia  in  ordine  a  deroghe  a  piani  o   a   strumenti
 urbanistici, per le quali sono competenti o gli organi amministrativi
 collegiali   (giunta   o  consiglio)  o  il  legislatore  provinciale
 (approvazione  del  piano  urbanistico  provinciale:  art.  34  legge
 provinciale n. 22 del 1991 cit.).
    3.2.  -  Si  e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
 dei ministri, riproponendo le stesse considerazioni gia'  espresse  a
 sostegno della infondatezza delle altre due impugnative regionali.
    4.   -   In  prossimita'  dell'udienza  di  discussione  tutte  le
 ricorrenti e  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  hanno  presentato
 memorie, nelle quali hanno ribadito le rispettive tesi difensive.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Le  Regioni  Friuli-Venezia  Giulia  ed Emilia-Romagna e la
 Provincia autonoma di  Trento  hanno  impugnato  alcune  disposizioni
 dell'art. 2 del decreto legge n. 386 del 1991, convertito nella legge
 n.  35 del 1992, che detta norme per la gestione economica ovvero per
 la alienazione dei beni patrimoniali  dello  Stato,  prevedendo,  una
 volta    individuati   detti   beni,   procedure   semplificate   per
 l'approvazione dei programmi e dei progetti esecutivi connessi con le
 anzidette finalita'.
    Le norme impugnate sono le seguenti:
       a)  il  comma  12  che  prevede  che   "l'assessore   regionale
 all'urbanistica,  nel cui territorio sono dislocati i beni immobili",
 integra  "per  le  valutazioni  urbanistiche"  il  comitato  tecnico-
 consultivo chiamato ad esprimere pareri sull'attuazione dei programmi
 di  gestione  e  di  vendita  degli  immobili  (solo il ricorso della
 Regione  Emilia-Romagna);  b)  il  comma  15,  che   istituisce   una
 "conferenza", convocata dal Ministro delle finanze, cui sono chiamati
 a  partecipare  i  rappresentanti delle amministrazioni dello Stato e
 degli enti pubblici comunque  tenuti  ad  adottare  atti  di  intesa,
 nonche' a rilasciare pareri, autorizzazioni, approvazioni, nulla osta
 previsti  da  leggi statali o regionali (solo i ricorsi della Regione
 Emilia-Romagna e della Provincia di Trento);  c)  il  comma  16,  che
 stabilisce  che  tale  conferenza  -  nel  valutare  "i  programmi di
 alienazione, di gestione e di valorizzazione" dei suddetti beni e gli
 "eventuali progetti esecutivi" - puo' apportarvi,  ove  occorra,  "le
 opportune   modifiche  senza  che  cio'  comporti  la  necessita'  di
 ulteriori deliberazioni", con riferimento agli interventi degli  enti
 locali,  in  deroga all'art. 27, comma 5, della legge n. 142 del 1990
 (tutti i ricorsi); d) il comma 17, che  prevede  che  "l'approvazione
 assunta  all'unanimita'",  da  parte della conferenza, degli indicati
 programmi e dei progetti esecutivi, da un canto sostituisce, ad  ogni
 effetto,   tutti   gli   atti   di   partecipazione  al  procedimento
 amministrativo (intese, pareri, autorizzazioni,  approvazioni,  nulla
 osta,  etc.)  previsti  da  leggi  statali  e regionali, e dall'altro
 comporta, per  quanto  occorra,  variazione  anche  integrativa  agli
 strumenti urbanistici e ai piani territoriali (tutti i ricorsi).
    I   parametri  che  si  assumono  violati  sono  diversificati  in
 relazione alla sfera di autonomia di cui si lamenta la lesione, ed in
 particolare gli artt. 4 e 5 dello Statuto  speciale  per  la  Regione
 Friuli-Venezia  Giulia, gli artt. 3, 5, 97, 117, 118, 119 e 128 della
 Costituzione per la Regione Emilia-Romagna, e gli artt. 8 (nn. 3, 5 e
 6), 9 (n. 10) e 16 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige,  per  la
 Provincia autonoma di Trento.
    La    illegittimita'   costituzionale   delle   norme   denunciate
 deriverebbe dal fatto che:
      1) si attribuisce a una "conferenza di servizi" - nella quale la
 prevista  partecipazione  di  rappresentanti  regionali non ha alcuna
 incidenza ai  fini  della  salvaguardia  dell'autonomia  regionale  -
 poteri,  quelli  appunto enunciati nei commi 16 e 17, che limitano la
 sfera  di  competenza  costituzionalmente  riservata  in  materia  di
 urbanistica  e  pianificazione territoriale alle regioni, le cui gia'
 esistenti discipline possono essere "sostituite" o  "variate",  cioe'
 disapplicate,  in  base a una semplice deliberazione della conferenza
 stessa;
      2) la prevista possibilita' di  deroga  all'art.  27,  comma  5,
 della  legge n. 142 del 1990 sulle autonomie locali si traduce in una
 violazione dell'art. 1, comma 3, della stessa legge n. 142 del 1990 e
 quindi dell'art. 128 della Costituzione, di cui il  primo  e'  "norma
 interposta",  sia  perche',  sul  piano  formale,  si  tratta  di una
 previsione  di  "deroga"  e  non  di  "modificazione"  espressa,  sia
 perche',  sul piano sostanziale, la possibilita' per la conferenza di
 introdurre  modifiche  agli  strumenti   urbanistici   e   ai   piani
 territoriali,  escludendo  l'intervento  dell'ente locale, si traduce
 nella impossibilita' per la  regione  di  qualsivoglia  intervento  o
 controllo  sulle  modifiche  deliberate  dalla conferenza stessa, con
 cio'  venendosi  inammissibilmente  a   incidere   nei   criteri   di
 collaborazione  e  armonizzazione,  dai  quali  l'art. 3 della stessa
 legge n. 142 del 1990 (collocato fra i principi generali)  stabilisce
 siano regolati i rapporti fra comuni, province e regioni;
      3)   non  ha  "parvenza  di  ragionevole  giustificazione"  aver
 utilizzato il metodo di una  "conferenza  di  servizi"  titolare  dei
 rilevantissimi  poteri in deroga sopra descritti, dal momento che non
 vi sono, a differenza che in altre occasioni (legge n. 205 del  1989,
 sui  mondiali  di  calcio),  urgenze  particolari e si perseguono non
 interessi pubblici (come nel caso della legge n. 135 del  1990  sulla
 lotta  all'AIDS),  bensi'  fini  tipicamente privati in quanto i beni
 dello Stato sono alienati a privati o affidati a questi per  gestioni
 di tipo imprenditoriale.
    2.  -  Preliminarmente deve essere rilevato che, con decreto-legge
 del 18 gennaio 1993, n. 8, convertito nella legge 19 marzo  1993,  n.
 68,  si  e' disposto che all'art. 2, comma 16, che e' una delle norme
 impugnate, le parole  "senza  che  cio'  comporti  la  necessita'  di
 ulteriori  deliberazioni per quanto concerne gli interventi dell'ente
 locale, in deroga a quanto stabilito dall'art. 27"  siano  sostituite
 con queste "nel rispetto di quanto disposto dall'art. 27".
    In  relazione  alla  modifica  legislativa introdotta, deve essere
 dichiarata la cessazione della materia del  contendere  relativamente
 alle censure proposte in tutti i ricorsi che, nell'impugnare, fra gli
 altri,  l'art.  2,  comma  16, cit., avevano appunto lamentato che la
 norma, prevedendo la deroga a quanto disposto dall'art. 27, comma  5,
 della  legge  n.  142  del  1990,  travolgesse  uno dei punti cardine
 dell'ordinamento delle autonomie locali che, pur indicando  forme  di
 coordinamento  fra  i  vari  livelli  di  governo,  quale  appunto la
 conferenza di servizi, conserva il potere di autonome  determinazioni
 agli   enti   locali  interessati,  specie  in  materia  urbanistica,
 disponendo che l'accordo debba  essere  ratificato  dai  loro  organi
 competenti, sia pure entro un congruo termine a pena di decadenza.
    L'intervenuta  modifica,  ad  opera  del  decreto-legge 18 gennaio
 1993, n. 8 cit., nel senso anzidetto, fa cessare  dunque  la  materia
 del  contendere  relativamente  alla impugnativa della norma (art. 2,
 comma 16 cit.) che prevedeva tale deroga, rimandandosi  al  prosieguo
 della presente decisione l'esame dell'ulteriore profilo della censura
 che  investe  lo stesso comma 16 in relazione alle altre disposizioni
 dell'art. 27 cit. della legge n. 142 del 1990.
    3. - Ai fini dell'esame delle altre censure concernenti l'art.  2,
 commi  12,  15  e  17 citt., e' importante ricordare che questa Corte
 (sentenze n. 62 del 1993 e n.  37  del  1991)  ha  giudicato  in  via
 generale  positivamente  l'istituto della "conferenza di servizi", in
 quanto orientato  verso  la  realizzazione  del  principio  del  buon
 andamento  dell'azione  amministrativa  sancito  dall'art.  97  della
 Costituzione. In proposito si e' sottolineato che "la  previsione  di
 un  organo  misto  in cui, nell'esercizio di funzioni amministrative,
 siano rappresentati tutti i soggetti portatori di interessi coinvolti
 nel procedimento di realizzazione  delle  opere,  in  modo  che  tali
 soggetti  possano  confrontarsi  direttamente  ed  esprimere  le loro
 posizioni, trovando, in un quadro di valutazione  globale,  soluzioni
 di  corretto  ed  idoneo  contemperamento  delle diverse esigenze" si
 configuri  quale  "mezzo  di   semplificazione   e   di   snellimento
 dell'azione  amministrativa".  In  relazione a tale orientamento, che
 deve essere anche in questa occasione ribadito,  vanno  disattese  le
 censure,   sulle   quali  tutti  i  ricorsi  convergono,  tendenti  a
 contestare la legittima  esistenza  dell'istituto,  nell'assunto  che
 esso    esproprierebbe    competenze    regionali    o    provinciali
 costituzionalmente  garantite  e  si  porrebbe  in  contrasto  con  i
 principi  espressi  nella  legge sulle autonomie locali (legge n. 142
 del 1990 cit.) che assegnano  alle  regioni  un  ruolo  centrale  nei
 confronti degli enti locali minori.
    In  proposito  va  osservato, in primo luogo, che la conferenza di
 servizi  e'  un  istituto   espressamente   previsto   dallo   stesso
 ordinamento  sulle  autonomie  locali (art. 27 della legge n. 142 del
 1990   cit.),   oltreche'   dalla   disciplina    sul    procedimento
 amministrativo  (art.  14  della  legge  n.  241  del  1990),  il che
 costituisce  indice  di  un   orientamento   ormai   costante   nella
 legislazione  sia di carattere generale, sia relativa a discipline di
 settore (es. interventi per la lotta  contro  l'AIDS  o  in  tema  di
 mondiali  di calcio) tendente a considerare l'istituto come strumento
 collaborativo utilmente inserito nel sistema pluralistico dei livelli
 di governo e che, come tale,  e'  gia'  stato  oggetto,  come  si  e'
 ricordato, del positivo apprezzamento di questa Corte.
    In  secondo  luogo,  il  ruolo  di  centralita'  delle regioni nel
 sistema delle autonomie locali (cfr. sent. n. 343 del  1991)  non  e'
 neppure  attenuato  dalle  norme impugnate e quindi non contrasta con
 tale ruolo la previsione di un organo misto nel  quale  siedono  alla
 pari,  per  un  confronto globale degli interessi curati da ciascuno,
 tutti  i  soggetti  partecipanti.  Centralita'  significa  unita'  di
 indirizzo  e  non  equivale  a  sovraordinazione,  essendo  questo un
 concetto estraneo al principio pluralistico che domina la distinzione
 delle competenze fra  lo  Stato  e  i  vari  soggetti  pubblici,  ivi
 compresi quelli esponenziali di autonomie.
    Ne'  questa  compresenza  paritaria  in un organo misto attenua le
 competenze  proprie  degli  enti  che  vi  partecipano   con   propri
 rappresentanti, essendosi opportunamente chiarito (sentenza n. 62 del
 1993  cit.)  che  questi  ultimi  "non  potranno non disporre - o per
 competenza   propria    o    per    delega    ricevuta    dall'organo
 istituzionalmente competente - dei poteri corrispondenti all'atto del
 procedimento     spettante     alla     sfera    dell'amministrazione
 rappresentata".
    Quanto,  poi,  alla   rispondenza   in   concreto   dell'attivita'
 esercitata  dai  componenti  della  conferenza  agli interessi propri
 dell'ente rappresentato da ciascuno di essi,  tale  rispondenza  puo'
 essere  assicurata  dalle  direttive opportunamente loro impartite in
 via preventiva dagli  organi  competenti  dell'ente  rappresentato  e
 dalla  verifica  successiva  della  loro  avvenuta osservanza, con le
 connesse responsabilita' che potrebbero derivare da un  comportamento
 ad  esse  contrario;  oppure dal conferimento, da parte dell'ente, di
 una  delega  condizionata  al  suo  rappresentante   in   seno   alla
 conferenza,  il  che  potrebbe influire sulla stessa formazione della
 volonta' dell'organo collegiale a causa del mancato verificarsi della
 condizione cui e' subordinato il  conferimento  della  delega;  dalla
 riserva,   espressa   nella   delega   al   rappresentante  dell'ente
 nell'organo  misto,  di  un  preventivo  esame  da  parte   dell'ente
 rappresentato  dello schema delle risoluzioni definitive verso cui la
 conferenza si orienti  di  volta  in  volta  e  cio'  allo  scopo  di
 consentire  all'ente  predetto  di  dettare precise indicazioni a chi
 partecipa alla conferenza, per orientarne l'atteggiamento da assumere
 in merito alle scelte definitive  che  in  concreto  dovranno  essere
 adottate.
    In  presenza  di  siffatte  indicazioni non puo' parlarsi, come si
 sostiene  invece  dalle  ricorrenti,  di  una  espropriazione   delle
 competenze proprie degli enti ed in particolare delle regioni e delle
 province  autonome  che partecipano alla conferenza attraverso propri
 rappresentanti,  perche'  l'istituto  della  conferenza  realizza  un
 giusto  contemperamento  fra la necessita' della concentrazione delle
 funzioni  in  un'istanza  unitaria  e  le  esigenze   connesse   alla
 distribuzione delle competenze fra gli enti che vi partecipano.
    Tali  considerazioni  consentono di disattendere anche la censura,
 proposta dalla Provincia autonoma di Trento,  riferita  al  comma  16
 dell'art.  2,  nella  parte  in  cui denuncia il mancato rispetto del
 comma 4 dell'art. 27  della  legge  n.  142  del  1990,  che  prevede
 l'approvazione  da parte del presidente della regione (e quindi anche
 della provincia autonoma) dell'"accordo" raggiunto nell'ambito  della
 conferenza di servizi.
    4.  - Infondato e' anche il profilo della questione che investe le
 norme denunciate nell'assunto che la previsione della  conferenza  di
 servizi,  titolare  di  "rilevantissimi"  poteri  che  incidono sugli
 interessi delle regioni e delle province autonome, non  ha  "parvenza
 di  ragionevole  giustificazione"  perche', a differenza che in altre
 occasioni, come per la legge sui mondiali di calcio (legge n. 205 del
 1989), non vi sarebbero urgenze particolari, ne', come nel caso della
 lotta all'AIDS (legge n. 135 del 1990), si perseguirebbero  interessi
 pubblici,  bensi'  fini  tipicamente  privati,  quali sono quelli che
 riguardano l'alienazione di beni o il loro affidamento a gestioni  di
 tipo imprenditoriale, che, in quanto tali, non giustificherebbero una
 deroga alle regole ordinarie in tema di competenze.
    Osserva in proposito la Corte che le disposizioni istitutive della
 conferenza  di  servizi,  oggetto  della  questione,  rientrano, come
 risulta dal titolo del decreto-legge di cui fanno parte, in un quadro
 di riassetto degli enti pubblici economici,  nonche'  di  dismissione
 delle  partecipazioni  statali  e di alienazione di beni patrimoniali
 suscettibili di gestione economica. Si e' dunque in  presenza  di  un
 rilevante disegno di politica economica e quindi non puo' negarsi che
 la deroga all'ordinario assetto delle competenze degli enti pubblici,
 circondata  da  tutte  le  illustrate  garanzie,  riposi  su evidenti
 ragioni di interesse pubblico che e' certamente ravvisabile nel piano
 di dismissione di beni gia'  appartenenti  allo  Stato;  il  che  non
 consente  di  condividere  il contrario assunto delle ricorrenti, che
 escludono invece ragioni giustificatrici delle  norme  istitutive  di
 questa conferenza, nonostante gli obbiettivi che la legge persegue.
    5.  -  Quanto al rilievo secondo cui, per la Provincia autonoma di
 Trento, le delibere della conferenza finirebbero  con  l'incidere  su
 materie  riservate  alla  legge  provinciale,  va  osservato  che  la
 partecipazione dell'assessore dell'urbanistica al  comitato  previsto
 dal  comma  12,  dell'art. 2, da un lato, ha lo scopo di consentire a
 questi di rappresentare a detto  organo  consultivo  quali  siano  le
 materie  sulle  quali  la  conferenza non potrebbe deliberare perche'
 riservate alla legge provinciale, e, dall'altro, serve  come  tramite
 per  rendere  la  provincia  edotta  in anticipo delle determinazioni
 incidenti su dette materie onde metterla in condizione di predisporre
 opportune modifiche delle leggi provinciali in modo da agevolare, nel
 quadro della leale cooperazione fra i diversi livelli di governo,  il
 coordinamento   con   quelle  che  saranno  le  determinazioni  della
 conferenza.
    Al contrario e' evidente che quando,  nonostante  tale  mediazione
 nella  fase  preparatoria  dinanzi al comitato, nella successiva sede
 della conferenza il rappresentante della provincia autonoma  constati
 l'impossibilita'  di  far  recepire  nell'ordinamento  provinciale le
 deliberazioni  che  la  conferenza  intende  adottare,  ostandovi  la
 disciplina   prevista   dalle   leggi  provinciali  per  non  essersi
 provveduto o dato l'avvio ai necessari adattamenti  di  queste,  egli
 potra'  sempre  negare  l'assenso,  cosi' impedendo il formarsi della
 volonta' della conferenza, che deve essere unanime.
    Permane   ovviamente   l'elasticita'   del    comportamento    del
 rappresentante in tutte quelle ipotesi in cui le leggi provinciali in
 materia urbanistica, di approvazione di piani, lascino dei margini di
 apprezzamento e non costituiscano ostacoli assoluti.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  cessata  la  materia  del  contendere  relativamente alla
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  16,  del
 decreto-legge  5  dicembre  1991  n.  386  (Trasformazione degli enti
 pubblici  economici,  dismissione  delle  partecipazioni  statali  ed
 alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica),
 convertito nella legge 29 gennaio 1992 n. 35;
    Dichiara  non  fondate le questioni di legittimita' costituzionale
 dell'art. 2, commi 12, 15  e  17  del  medesimo  decreto-legge,  come
 convertito  in  legge, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 5, 97,
 117, 118, 119 e 128 della Costituzione, dalla Regione  Emilia-Romagna
 con il ricorso indicato in epigrafe;
    Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 2, comma 17, del medesimo decreto-legge, come convertito in
 legge, sollevata, in riferimento  agli  art.  4  e  5  dello  Statuto
 speciale  di  autonomia approvato con legge costituzionale 31 gennaio
 1963  n.  1,  dalla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  con  il ricorso
 indicato in epigrafe;
    Dichiara non fondate le questioni di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  2,  commi  15,16  e  17  del  medesimo decreto-legge, come
 convertito in legge, sollevate, in riferimento agli artt. 8 nn. 3,  5
 e  6;  9  n. 10; 16 dello Statuto speciale di autonomia approvato con
 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670, dalla Provincia autonoma di Trento  con
 il ricorso indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 giugno 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 28 luglio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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