N. 358 SENTENZA 26 - 30 luglio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Reati  militari  -  Rifiuto  del  servizio  militare  per  motivi  di
 coscienza -  Prevista  conversione  della  reclusione  in  reclusione
 militare  -  Possibile  sottoponibilita' del soggetto ad una serie di
 condanne  essendo  il  recluso  militare  destinatario  di  ordini  e
 disposizioni  dei superiori gerarchici - Ingiustificata disparita' di
 trattamento  rispetto  all'obiettore  che  rifiuta il servizio civile
 (sottosposto alla pena della reclusione comune) con  incidenza  sulla
 funzione  rieducativa  della  pena  -  Illegittimita'  costituzionale
 parziale.
 
 (C.p.m.p., art. 27).
 
 (Cost., artt. 3 e 27, terzo comma).
 
 Reati militari - Condannati per reati militari originati da obiezione
 di coscienza - Previsto affidamento ad ufficio o  ente  pubblico  non
 militare  per  prestarvi  servizio - Estraneita' di tale disposizione
 rispetto alla questione della sostituzione  della  reclusione  comune
 con quella militare - Difetto di rilevanza - Inammissibilita'.
 
 (Legge 29 aprile 1983, n. 167, art. 3, terzo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 19 e 27, terzo comma)
 
(GU n.32 del 4-8-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo
 SPAGNOLI,  prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo  CHELI,  dott.    Renato
 GRANATA, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 27 del codice
 penale militare di pace e dell'art. 3, terzo comma,  della  legge  29
 aprile  1983,  n.  167 (Affidamento in prova del condannato militare)
 promossi con  ordinanza  emessa  il  15  luglio  1992  dal  Tribunale
 militare  di  Padova  nel  procedimento  penale  a carico di Conforto
 Filippo, iscritta al n. 654 del registro ordinanze 1992 e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  42,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1992; ordinanza emessa  il  15  luglio  1992  dal
 Tribunale  militare  di  Padova  nel  procedimento penale a carico di
 Grecchi Massimo, iscritta al n. 655 del  registro  ordinanze  1992  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 42, prima
 serie speciale, dell'anno 1992.
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 24 febbraio 1993 il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre.
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Nel corso di un procedimento penale nei confronti di Filippo
 Conforto, imputato del reato di cui all'art. 8, secondo comma,  della
 legge  15  dicembre  1972,  n.  772,  per  aver  rifiutato,  prima di
 assumerlo, il servizio militare  di  leva  adducendo  imprescindibili
 motivi  di  coscienza basati su convincimenti religiosi, il Tribunale
 militare  di  Padova,  all'esito  del  dibattimento,   ha   sollevato
 questione  di  legittimita'  costituzionale  del  combinato  disposto
 formato dagli artt. 27 del codice penale militare di pace e 3,  terzo
 comma,  della  legge 29 aprile 1983, n. 167 (Affidamento in prova del
 condannato militare), nella parte in cui dispongono che la pena della
 reclusione debba essere convertita in reclusione militare  anche  nel
 caso  di condanna per il reato previsto e punito dall'art. 8, secondo
 comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772.
    Il giudice rimettente premette  che,  benche'  l'art.  8,  secondo
 comma,  della legge n. 772 del 1972, preveda la pena della reclusione
 (comune), ormai e' indiscusso in dottrina  e  in  giurisprudenza  che
 tale pena debba, ai sensi dell'art. 27 c.p.m.p., essere convertita in
 quella  della reclusione militare. Simile interpretazione, del resto,
 troverebbe conferma nel terzo comma dell'art. 3 della  legge  n.  167
 del  1983,  il  quale,  disciplinando la posizione dei condannati per
 reati militari originati da obiezione di  coscienza,  presuppone  sia
 che  gli  stessi  espiino  la  pena in uno stabilimento penitenziario
 militare, sia che la pena da espiare sia la reclusione militare.
    Secondo il giudice a quo, la sostituzione della reclusione  comune
 con  quella  militare  darebbe  nuovamente  luogo  alla spirale delle
 condanne che la legge n. 772  del  1972  intendeva  interrompere.  E'
 evidente,  infatti,  prosegue  il  giudice  a  quo,  che  nel carcere
 militare  l'obiettore  di  coscienza,  essendo,   come   ogni   altro
 condannato militare, soggetto a istruzioni civili e militari (R.D. 10
 febbraio   1943,   n.  306)  e,  quindi,  destinatario  di  ordini  e
 disposizioni  dei  superiori  gerarchici,  presumibilmente   commette
 ancora  reati  militari determinati dalla obiezione di coscienza, dal
 momento che la contrarieta' all'uso delle armi  per  radicati  motivi
 religiosi  (nel  caso  si tratta di "testimone di Geova") comporta il
 rifiuto del servizio militare nella sua globalita' e,  quindi,  anche
 di   quegli   aspetti  che  si  verificano  nell'ambiente  carcerario
 militare.  Ne'  il  fatto  che  l'amministrazione  penitenziaria   si
 autolimiti   nei   confronti  degli  obiettori  di  coscienza  appare
 sufficiente  ad  eliminare  il  contrasto  tra  la  previsione  della
 sostituzione  della pena comune con quella militare e l'art. 19 della
 Costituzione  (diritto   di   professare   liberamente   la   propria
 religione).
    La  norma  impugnata,  inoltre,  contrasterebbe con l'art. 3 della
 Costituzione, sia perche' all'obiettore che commette il reato di  cui
 all'art.  8,  secondo  comma,  della  legge  n. 772 del 1972, sarebbe
 riservato un trattamento diverso da quello stabilito per  l'obiettore
 che  commette  il  reato di cui all'art. 8, primo comma, della stessa
 legge (rifiuto del servizio sostitutivo  civile),  sia  perche'  allo
 stesso  obiettore  verrebbe  fatto un trattamento pari a quello degli
 altri  condannati  militari  che  non  abbiano   una   posizione   di
 contrarieta' all'uso delle armi e al servizio militare. Da ultimo, la
 previsione  della  reclusione  militare  per l'obiettore di coscienza
 contrasterebbe con il principio  della  finalita'  rieducativa  della
 pena (art. 27, terzo comma della Costituzione), per la cui attuazione
 non  si  puo' prescindere dal rispetto delle convinzioni di coscienza
 del condannato.
    Quanto alla rilevanza, il giudice a  quo  osserva  che  l'imputato
 dovrebbe  essere  condannato  per il reato di cui all'art. 8, secondo
 comma,  della  legge  n.  772   del   1972   e,   inoltre,   dovrebbe
 effettivamente  scontare  la  pena  della  reclusione  militare,  non
 potendo beneficiare della sospensione  condizionale  della  pena,  in
 considerazione  del  fatto che non e' possibile prevedere che egli si
 asterra' dal commettere ulteriori reati.
    2. -  Il  Tribunale  militare  di  Padova  ha  sollevato  identica
 questione all'esito del dibattimento svoltosi nel procedimento penale
 nei confronti di Massimo Grecchi, anch'egli imputato del reato di cui
 all'art.  8, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, per
 aver rifiutato globalmente il servizio militare essendosi  dichiarato
 "testimone di Geova". L'ordinanza e' identica alla precedente.
    2.1.  -  E'  intervenuto  in  questo  giudizio  il  Presidente del
 Consiglio dei ministri, chiedendo che  la  questione  sia  dichiarata
 inammissibile  o  infondata,  per  essere  gia'  stata dichiarata non
 fondata con la sentenza n. 409 del 1989.
                        Considerato in diritto
    1. -  Con  ordinanza  regolarmente  notificata  e  depositata,  il
 Tribunale   di   Padova   ha   sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 19 e  27,  terzo  comma,
 della  Costituzione,  nei  confronti degli artt. 27 del codice penale
 militare di pace e 3, terzo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167
 (Affidamento in prova del condannato militare), nella  parte  in  cui
 dispongono  che  la  pena della reclusione debba essere convertita in
 reclusione militare anche nel caso di condanna per il reato  previsto
 dall'art.  8,  secondo  comma,  della  legge 15 dicembre 1972, n. 772
 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza).
    Lo stesso Tribunale di Padova ha  successivamente  sollevato,  con
 ordinanza   identica  alla  precedente,  una  medesima  questione  di
 legittimita' costituzionale nel corso di  un  distinto,  ma  analogo,
 procedimento penale.
    Poiche'  le  due indicate ordinanze sottopongono a questa Corte la
 stessa questione di legittimita' costituzionale, i  relativi  giudizi
 vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
    2. - Deve essere preliminarmente dichiarata l'inammissibilita' del
 profilo  concernente  l'art.  3,  terzo comma, della legge n. 167 del
 1983, ai sensi del quale "i condannati per reati  militari  originati
 da  obiezione  di coscienza possono essere affidati esclusivamente ad
 un ufficio o ente pubblico non  militare,  determinato  dal  Ministro
 della  difesa, per prestarvi servizio". Posto che le stesse ordinanze
 di  rimessione,  anche  se  contengono  nel  proprio  dispositivo  il
 riferimento  al  citato  art.  3,  terzo comma, come disposizione che
 concorre a determinare la norma impugnata, in realta'  utilizzano  il
 detto   articolo   soltanto   al   fine  di  corroborare  la  propria
 interpretazione  dell'art.  27  c.p.m.p.,  non  si  puo'  minimamente
 dubitare   della   estraneita'  della  disposizione  ora  considerata
 rispetto al problema  relativo  alla  sostituzione  della  reclusione
 comune con quella militare in ordine alla sanzione prevista dall'art.
 8,  secondo  comma,  della  legge  n. 772 del 1972. In altri termini,
 poiche' la norma denunziata non e' il prodotto del combinato disposto
 formato dal citato art. 3, terzo comma, della legge n. 167 del 1983 e
 dall'art. 27 c.p.m.p., ma deriva direttamente ed esclusivamente dalla
 disposizione  da  ultimo  menzionata,  non  puo'  non concludersi per
 l'inammissibilita', dovuta a irrilevanza,  del  profilo  relativo  al
 ricordato art. 3, terzo comma, della legge n. 167 del 1983.
    3.   -   Va,   invece,   accolta   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale sollevata nei confronti dell'art. 27 c.p.m.p..
    I giudici a quibus sottopongono  all'esame  di  questa  Corte  una
 norma   frutto   di  una  loro  interpretazione,  che,  peraltro,  e'
 pacificamente condivisa dalla giurisprudenza di merito dei  tribunali
 militari.  Tale interpretazione muove dalla premessa secondo la quale
 la reclusione prevista dall'art. 8, secondo comma, della legge n. 772
 del 1972, sarebbe la reclusione comune, in virtu' del rilievo che, ai
 fini della determinazione della stessa pena, la  disposizione  appena
 citata  opera il rinvio alla sanzione stabilita dal comma precedente,
 concernente il reato compiuto da chi, ammesso  ai  benefici  previsti
 dalla  legge  sull'obiezione  di  coscienza,  rifiuti il servizio non
 armato o  il  servizio  sostitutivo.  Pertanto,  poiche'  coloro  che
 rifiutano globalmente il servizio militare in tempo di pace, prima di
 assumerlo,   adducendo   i   motivi  di  coscienza  riconosciuti  dal
 legislatore nell'art. 1 della legge prima indicata (art.  8,  secondo
 comma),  sono  esonerati  dal  servizio  militare  soltanto dopo aver
 espiato la pena loro inflitta (v. art. 8, terzo comma),  ad  essi  si
 applica  il meccanismo di sostituzione previsto dall'art. 27 c.p.m.p.
 per coloro che commettono reati militari nella qualita' soggettiva di
 militari. Secondo il  citato  art.  27,  infatti,  "alla  pena  della
 reclusione, inflitta o da infliggersi ai militari per reati militari,
 e'  sostituita  la  pena  della reclusione militare di eguale durata,
 quando la condanna non importa la degradazione". E, dal  momento  che
 per il reato di cui all'art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del
 1972,  e' prevista una pena edittale che va da sei mesi a due anni di
 reclusione (a seguito della  sentenza  n.  409  del  1989  di  questa
 Corte),  l'impossibilita'  del  verificarsi  della  condizione  della
 degradazione  (la  quale  consegue  alla  irrogazione  di  una   pena
 superiore  ai  cinque  anni  di  reclusione)  rende  sistematica,  in
 riferimento al delitto considerato, la sostituzione della  reclusione
 comune con quella militare.
    Sempre  ad  avviso  dei  giudici  a  quibus, l'interpretazione ora
 riferita si porrebbe in contrasto con gli artt. 3,  19  e  27,  terzo
 comma,  della  Costituzione, poiche' rende effettivo il rischio della
 c.d. spirale delle condanne: la contrarieta' all'uso personale  delle
 armi  e  il  rifiuto  totale  di prestare il servizio militare in una
 qualsiasi delle forme previste amplificano, infatti, la  probabilita'
 che,  di  fronte alle istruzioni militari e agli ordini dei superiori
 gerarchici, normalmente collegati allo svolgimento  della  reclusione
 militare, l'obiettore globale incorra nuovamente nella commissione di
 reati  di  rifiuto  del servizio militare (disobbedienza, diserzione,
 ecc.), determinata dagli  stessi  motivi  di  coscienza  che  l'hanno
 indotto a rifiutare in radice l'adempimento dell'obbligo di leva.
    4.  -  La  posizione  dei giudici a quibus va condivisa poiche' la
 norma denunziata si pone in palese contrasto con gli artt.  3  e  27,
 terzo comma, della Costituzione.
    Premesso  che non sussiste un obbligo costituzionale di sottoporre
 a pena militare  la  commissione  di  un  reato  militare  e  che  la
 disposizione contenuta nell'art. 27, c.p.m.p., come ha gia' precisato
 questa  Corte nella sentenza n. 409 del 1989, e' frutto di una scelta
 discrezionale  del  legislatore  in  se'  non  irragionevole, occorre
 sottolineare che, contrariamente a quanto suppone l'Avvocatura  dello
 Stato,  le  ordinanze  introduttive  dei presenti giudizi pongono una
 questione formalmente e sostanzialmente diversa da quella decisa  con
 la  sentenza  appena  ricordata.  I  giudici  a  quibus, infatti, non
 contestano la razionalita' in se' del  principio  della  sostituzione
 della  reclusione comune con quella militare quando un reato militare
 sia  commesso  da  un  militare,  come  e'  avvenuto   nel   giudizio
 precedente,  il  cui unico parametro era costituito dall'art. 3 della
 Costituzione, sotto specie di "norma-base" del generale principio  di
 ragionevolezza.  Essi, invece, dubitano che la regola posta dall'art.
 27  c.p.m.p.,  pur  legittima  in  se',  dia  luogo   a   svolgimenti
 incongruenti e irragionevoli quando sia applicata al reato di rifiuto
 del  servizio  militare per giustificati motivi di coscienza (art. 8,
 secondo comma, della legge n. 772 del 1972), in riferimento al valore
 relativo  alla  finalita'  rieducativa  della  pena  (art.  27  della
 Costituzione),  al  diritto  inviolabile di professare liberamente la
 propria religione (art. 19 della  Costituzione)  e  al  principio  di
 parita'  di  trattamento  rispetto ad altre ipotesi di reato legate a
 violazione  di  norme  sull'obiezione  di  coscienza  (art.  3  della
 Costituzione).
    Nella  sentenza  n.  414  del  1991  questa  Corte  ha chiaramente
 affermato che, anche se le finalita' rieducative richieste  dall'art.
 27  della  Costituzione  devono  inerire tanto alla reclusione comune
 quanto a quella militare, tuttavia "i fini della rieducazione per  il
 condannato militare e per quello comune si rivelano ( ..) divergenti:
 il  prevalente  recupero  al  servizio  militare  per  il  primo,  il
 reinserimento sociale per il secondo".  Dall'affermazione  di  questi
 principi  appare  evidente  che  la reclusione militare, il cui scopo
 primario e' il recupero del condannato al  servizio  alle  armi,  da'
 luogo  a  manifeste  incongruita' quando sia applicata a un obiettore
 totale punito ai sensi dell'art. 8, secondo comma, della legge n. 772
 del 1972.
    L'applicazione a  tale  caso  dell'art.  27  c.p.m.p.  si  rivela,
 innanzitutto,  in  aperta contraddizione con la particolare struttura
 di  quel  reato   e,   specialmente,   con   l'elemento   costitutivo
 rappresentato  dal  rifiuto  del  servizio  militare  per  motivi  di
 coscienza riconosciuti dallo stesso legislatore  come  meritevoli  di
 tutela,  elemento  cui  e'  collegata  la  liberazione successiva del
 condannato dall'obbligo della leva. In altri termini,  la  legge  non
 puo', senza cadere in palese contraddizione, basare sull'adduzione di
 giustificati  motivi  di  coscienza  un  trattamento  punitivo per il
 rifiuto  del  servizio  militare  all'esito  del  quale  si   prevede
 l'esonero  dal  servizio stesso e, nello stesso tempo, far consistere
 quel trattamento in modalita' vo'lte prevalentemente nel recupero del
 soggetto al servizio militare.
    Un'ulteriore incongruenza, di particolare  incidenza  pratica,  e'
 poi  data  dal rilievo, svolto anche dai giudici a quibus, secondo il
 quale irrogare la reclusione militare  -  e  quindi,  un  trattamento
 volto al recupero del condannato al servizio militare - nei confronti
 di   una   persona  che,  per  imprescindibili  motivi  di  coscienza
 consistenti in convincimenti religiosi riconosciuti in generale  come
 meritevoli  di tutela da parte del legislatore, si dichiara contraria
 in  ogni  circostanza  all'uso  personale delle armi e, su tale base,
 rifiuta totalmente il  servizio  militare,  significa  sottoporre  la
 stessa  persona  alla  forte probabilita' di incorrere in altri reati
 connessi al rifiuto del servizio militare e  di  cadere,  quindi,  in
 quella  "spirale  delle  condanne" negatrice di ogni valore collegato
 alla finalita' rieducativa della pena (art. 27,  terzo  comma,  della
 Costituzione) (v. in proposito sent. n. 343 del 1993).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 27 c.p.m.p.
 nella parte in cui consente  che  la  conversione  della  pena  della
 reclusione  comune in quella della reclusione militare possa avvenire
 in relazione alla sanzione penale comminata  per  il  reato  previsto
 nell'art. 8, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772;
      dichiara    inammissibile    la    questione   di   legittimita'
 costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 19 e 27, terzo
 comma, della Costituzione, nei confronti dell'art.  3,  terzo  comma,
 della  legge  29  aprile  1983,  n.  167  (Affidamento  in  prova del
 condannato militare),  dal  Tribunale  militare  di  Padova,  con  le
 ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 luglio 1993.
                        Il presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 30 luglio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0881