N. 363 SENTENZA 11 giugno 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Finanza pubblica - Adeguamento delle detrazioni d'imposta alle  nuove
 aliquote  I.R.Pe.F.  -  Trasformazione  di alcuni oneri deducibili in
 detrazioni d'imposta - Riserva allo Stato delle conseguenti  maggiori
 entrate  -  Lamentata violazione delle norme statutarie che riservano
 alla regione Sardegna i  sette  decimi  delle  imposte  riscosse  nel
 territorio regionale - Esclusione data la inidoneita' della normativa
 impugnata  a  realizzare effetti pregiudizievoli sui flussi tributari
 garantiti alla regione - Non fondatezza della questione nei sensi  di
 cui in motivazione.
 
 (D.-L.  19  settembre  1992,  n. 384, convertito in legge 14 novembre
 1992, n. 438, artt. 13 e 13- ter, secondo comma).
 
 (Cost.,  artt. 116 e 119; statuto speciale regione Sardegna, artt. 7,
 8 e 54)
 
(GU n.32 del 4-8-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici:  prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo  CHELI,
 dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof.   Francesco
 GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 13 e 13- ter,
 comma secondo, in relazione agli artt. 9 e 10  del  decreto-legge  19
 settembre  1992,  n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n.
 438, recante: "Misure urgenti in materia di previdenza, di sanita'  e
 di  pubblico  impiego,  nonche'  disposizioni  fiscali", promosso con
 ricorso della Regione  Sardegna,  notificato  il  18  dicembre  1992,
 depositato  in  cancelleria il 21 successivo ed iscritto al n. 72 del
 registro ricorsi 1992.
    Visto l'atto di costituzione  del  Presidente  del  consiglio  dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1993 il Giudice relatore
 Gabriele Pescatore;
    Uditi  l'avv.  Sergio  Panunzio  per  la Regione Sardegna e l'avv.
 dello Stato Sergio  Laporta  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La  Regione Sardegna, con ricorso notificato il 18 dicembre
 1992 al Presidente del Consiglio dei ministri, ha  promosso  giudizio
 in  via principale impugnando gli artt. 13 e 13- ter, comma secondo -
 in relazione agli artt. 9 e 10 - del d.l. 19 settembre 1992, n.  384,
 convertito nella l. 14 novembre 1992, n. 438.
    Nel  ricorso  si  espone  che  il  decreto legge n. 384 del 1992 -
 nell'ambito di una manovra  finanziaria  diretta  a  fronteggiare  la
 grave  situazione  economica del paese - oltre ad adottare misure per
 il  contenimento  della  spesa  in  vari  settori,   contiene   anche
 disposizioni   dirette   ad   aumentare  le  entrate  tributarie.  In
 particolare la regione deduce  che  detto  decreto-legge,  dopo  aver
 dettato  agli  artt. 9 e 10 alcune disposizioni dirette ad accrescere
 il gettito tributario, incidendo sulle aliquote  dell'Irpef  e  sugli
 oneri deducibili, con l'art. 13, comma primo, dispone che le relative
 maggiori  entrate  sono  riservate  all'erario  e  concorrono, "anche
 attraverso il potenziamento di strumenti antievasione, alla copertura
 degli oneri  per  il  servizio  del  debito  pubblico,  nonche'  alla
 realizzazione  delle  linee  di  politica  economica e finanziaria in
 funzione degli impegni di riequilibrio del bilancio assunti  in  sede
 comunitaria".   Tali  disposizioni,  secondo  quanto  prevede  l'art.
 13-ter, primo  comma,  "sono  applicabili  nelle  regioni  a  statuto
 speciale  e nelle province autonome di Trento e Bolzano in quanto non
 in contrasto con le norme dei rispettivi statuti e  con  le  relative
 norme di attuazione". In base al secondo comma dell'art. 13- ter solo
 per  la  Regione  Valle  d'Aosta  e'  prevista  l'individuazione e la
 determinazione delle nuove entrate spettanti  allo  Stato  attraverso
 apposita   "intesa",   mentre  per  le  altre  regioni  le  modalita'
 d'individuazione del maggior gettito sono demandate (art. 13, secondo
 comma) ad un decreto del ministro delle finanze.
    Per  l'ipotesi  che  le  suddette  disposizioni   siano   ritenute
 applicabili,  non  ostante  la  suddetta  riserva, anche alla Regione
 Sardegna, col ricorso si deduce la "violazione, da parte degli  artt.
 13  e  13-ter,  secondo  comma,  in  relazione agli artt. 9 e 10, del
 decreto-legge impugnato, dei principi  costituzionali  relativi  alla
 autonomia  finanziaria  della regione Sardegna e specificamente degli
 artt. 7, 8 e 54 dello statuto speciale (l. cost. 26 febbraio 1948, n.
 3 e successive modificazioni) e relative norme d'attuazione,  nonche'
 degli artt. 116 e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione".
    La  regione  osserva in proposito che la sua autonomia finanziaria
 si fonda, sotto il profilo delle  entrate,  sulla  partecipazione  al
 gettito  dei  tributi  erariali  riscossi  nel  territorio regionale,
 secondo quanto previsto dall'art. 8 dello  statuto  speciale  per  la
 Sardegna  (nel  testo sostituito dall'art. 1 della l. 13 aprile 1983,
 n. 122), il quale stabilisce (lett. a))  che  alla  regione  spettano
 "sette  decimi  del  gettito  delle imposte sul reddito delle persone
 fisiche  e  sul  reddito  delle  persone  giuridiche   riscosse   nel
 territorio della Regione".
    La   garanzia   di   tale   autonomia   sta,  da  un  lato,  nella
 impossibilita' per  lo  Stato  di  procedere  (unilateralmente)  alla
 modificazione   delle  quote  di  partecipazione  regionale,  se  non
 attraverso procedure di revisione costituzionale o, comunque,  basate
 su  intese  fra  Stato  e regione; dall'altro nell'applicazione della
 quota regionale a tutto il gettito derivante dal tributo erariale.
    Al riguardo la regione cita la giurisprudenza  costituzionale,  da
 cui  emerge  che,  in  mancanza  delle suddette procedure, il maggior
 gettito  dei  tributi  erariali  conseguenti  a  modificazioni  della
 relativa  disciplina  legislativa,  puo'  essere riservato allo Stato
 solo  ove  concorrano determinate condizioni, costituite: a) in primo
 luogo dalla specificita' dello scopo, nel senso che la  riserva  allo
 Stato  disposta dalla legge deve essere finalizzata alla copertura di
 spese che abbiano un fine particolare e ben determinato, e che  siano
 nello  stesso  tempo  di  competenza dello Stato; b) in secondo luogo
 dalla determinatezza temporale della  riserva  allo  Stato  stabilita
 dalla  legge,  nel  senso  che  essa  deve avere valore di disciplina
 provvisoria, anche in relazione al carattere contingente della  spesa
 che la riserva e' destinata a finanziare.
    Nel  caso  del  decreto-legge  impugnato,  lo  scopo della riserva
 sarebbe generico e la destinazione allo Stato del maggior gettito dei
 tributi sarebbe a tempo indeterminato, concretandosi in  un  nuovo  e
 definitivo  assetto  della  disciplina relativa alla ripartizione fra
 Stato e regioni del gettito dell'Irpef.
    Inoltre - secondo la regione -  sarebbe  impossibile  quantificare
 l'incremento  del  gettito Irpef in base all'applicazione della nuova
 disciplina: il che  significherebbe  che  "la  legge  non  garantisce
 neppure  che alla regione venga attribuita integralmente la quota del
 gettito ad essa  assegnato  dallo  statuto,  indipendentemente  dagli
 aumenti  di gettito conseguenti alla disciplina contenuta negli artt.
 9 e 10 del decreto-legge impugnato".
    Il secondo comma dell'art. 13 poi, rimettendo  a  un  decreto  del
 ministro  delle  finanze,  di  concerto  con  quello  del  tesoro, di
 definire le modalita'  per  la  determinazione  delle  nuove  entrate
 spettanti allo Stato, lederebbe ulteriormente l'autonomia finanziaria
 regionale,  demandando  ad  un  atto  amministrativo  di  disporre la
 disciplina  della  ripartizione  fra  Stato  e  regione  delle  quote
 rispettivamente  spettanti,  affidando  al ministro la determinazione
 delle entrate finanziarie  della  regione.  Violerebbe,  inoltre,  la
 riserva di legge posta dall'art. 119 Cost., "attesa la mancanza di un
 qualsivoglia  criterio  che  valga  in  qualche  modo  a  limitare la
 discrezionalita'  del  Governo,  nonche'  il   principio   di   leale
 cooperazione  che  deve  informare i rapporti tra Stato e regioni, il
 quale impone che la suddetta ripartizione avvenga attraverso apposita
 intesa".
    2. - Dinanzi a questa Corte si e'  costituito  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  ministri,  con il patrocinio dell'Avvocatura generale
 dello Stato.
    Rileva l'Avvocatura, quanto alla questione  relativa  all'art.  13
 del  decreto-legge,  che in sede di conversione e' stata aggiunta una
 disposizione, contenuta nel primo comma dell'art.  13-ter,  la  quale
 espressamente   sancisce   che  la  normativa  del  decreto-legge  e'
 applicabile nelle regioni a statuto speciale solo in quanto  non  sia
 in  contrasto  con  le norme dei rispettivi statuti e con le relative
 norme  di  attuazione.  Ne  deriva  che  non  e'  configurabile  "una
 pronuncia di incostituzionalita', per lesione delle norme statutarie,
 rispetto  a  norme che si sono poste come loro limite di operativita'
 il rispetto delle autonomie statutariamente garantite".
    Quanto all'ultima censura rivolta alla mancata previsione  di  una
 intesa  con  la  regione  Sardegna,  analoga a quella prevista per la
 regione Valle d'Aosta, si osserva  che  la  disposizione  riguardante
 quest'ultima  regione  riproduce  la  norma  contenuta  nell'art.  8,
 secondo comma, dello statuto  speciale  per  la  Valle  d'Aosta,  che
 prevede, appunto, una procedura di intesa per determinare in concreto
 l'ammontare  degli  effetti delle eventuali modificazioni dei tributi
 dallo statuto stesso devoluti  alla  regione,  norma  che  non  trova
 riscontro  nello  statuto  speciale  per  la  Sardegna,  il quale non
 prescrive un siffatto meccanismo e la mancanza dell'intesa  non  puo'
 ledere, percio', alcuna garanzia costituzionalmente riconosciuta alla
 regione.
    3.  -  Con memoria depositata il 10 marzo 1993 la Regione Sardegna
 ha  dichiarato  di  aderire  alla  tesi  dell'inapplicabilita'  della
 riserva allo Stato del maggior gettito Irpef derivante, nella regione
 stessa,  dalle  disposizioni  degli  artt.  9  e 10 del decreto-legge
 impugnato, insistendo - peraltro - nella richiesta di  una  pronuncia
 d'illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  13 e 13- ter ove tale
 interpretazione non sia condivisa da questa Corte.
                        Considerato in diritto
    1. - La Regione Sardegna  ha  impugnato  l'art.  13  del  d.l.  19
 settembre 1992, n. 384, convertito nella l. 14 novembre 1992, n. 438,
 deducendo  che  esso avrebbe attribuito allo Stato il maggior gettito
 dell'Irpef derivante dalle disposizioni degli  artt.  9  e  10  dello
 stesso  decreto-legge,  cosi'  violando  gli  artt.  7,  8 e 54 dello
 statuto sardo e 116 e 119 della Costituzione. Ha impugnato,  altresi'
 -  in  relazione  alle medesime norme - l'art. 13-ter, comma secondo,
 dello stesso decreto-legge, in quanto non stabilisce che anche per la
 regione  Sardegna  -  come   per   la   regione   Valle   d'Aosta   -
 l'individuazione  delle maggiori entrate da destinare allo Stato vada
 fatta d'intesa tra Stato e regione.
    L'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi per il  Presidente
 del Consiglio dei ministri, ha eccepito che, ai sensi del primo comma
 dello stesso art. 13-ter, la normativa del decreto-legge impugnato e'
 applicabile  nelle  regioni ad autonomia speciale "solo in quanto non
 sia in contrasto con le norme dei rispettivi statuti e con  le  rela-
 tive  norme  di attuazione". Non sarebbe configurabile, pertanto, una
 violazione dello statuto della Regione  Sardegna  da  parte  di  tale
 decreto.  Quanto  all'art.  13-ter,  comma  secondo,  ha dedotto che,
 comunque, in detto statuto non esiste una norma che  preveda  che  il
 mutamento  del  riparto  delle  entrate  tra  Stato  e  regione debba
 avvenire attraverso la procedura dell'intesa.
    2. - Va premesso che  l'art.  8  dello  statuto  speciale  per  la
 Sardegna,  (approvato  con  legge costituzionale 26 febbraio 1948, n.
 3), nel testo di cui alla legge 13 aprile 1983, n. 122, alla  lettera
 a)  stabilisce  che  le  entrate  della regione sono costituite - tra
 l'altro - "dai sette decimi del gettito  delle  imposte  sul  reddito
 delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse
 nel  territorio  della  regione".  A  norma dell'art. 54 dello stesso
 statuto, tale disposizione (come tutte quelle del titolo  terzo,  che
 regola le finanze, il demanio e il patrimonio regionale), puo' essere
 modificata  con legge ordinaria solo "su proposta del Governo o della
 regione, in ogni caso sentita  la  regione",  (cfr.  al  riguardo  la
 sentenza n. 70 del 1987).
    E'  incontroverso  che  il  decreto-legge  impugnato e la relativa
 legge di  conversione  sono  stati  adottati  senza  che  la  Regione
 Sardegna  sia stata sentita sulla destinazione delle maggiori entrate
 dell'Irpef  derivanti  dalla  nuova  curva  delle  aliquote  previste
 dall'art.  9  e  dalla  disciplina  degli  oneri  deducibili  dettata
 dall'art. 10: entrate che, ai sensi del citato art. 8, lett. a) dello
 statuto, spettano alla Regione nella misura di sette decimi.
   L'istituzione   della   riserva   di   tali   entrate  allo  Stato,
 disciplinata dalle norme impugnate senza il rispetto della  procedura
 prevista,  ne  determina  il  contrasto  con lo statuto sardo e rende
 "inapplicabile" la normativa alla regione in virtu' del predetto art.
 13-ter, comma primo.
    Tale "inapplicabilita'" produce l'effetto che la devoluzione  allo
 Stato  delle maggiori entrate derivanti dalla legge impugnata si deve
 effettuare soltanto nei limiti derivanti dall'art.  8  dello  statuto
 sardo,  immutata la quota destinata alla regione da tale norma, anche
 in  relazione  agli  incrementi  derivanti  dal  d.l.  n.  384,  come
 convertito.
    La  constatata  inidoneita' della normativa impugnata a realizzare
 effetti pregiudizievoli sui flussi tributari garantiti  alla  Regione
 Sardegna,  comporta  la  dichiarazione di non fondatezza del ricorso,
 nei sensi ora indicati.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  13  e  13-ter,  comma
 secondo,  del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti
 in materia di previdenza, di sanita' e di pubblico  impiego,  nonche'
 disposizioni  fiscali),  convertito  nella legge 14 novembre 1992, n.
 438 (Conversione in legge, con modificazioni,  del  decreto-legge  19
 settembre  1992,  n.  384,  recante  misure  urgenti  in  materia  di
 previdenza, di sanita' e di pubblico  impiego,  nonche'  disposizioni
 fiscali),  sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  116  e 119 della
 Costituzione e agli artt. 7, 8 e  54  dello  statuto,  dalla  Regione
 Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 giugno 1993.
                        Il presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: PESCATORE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 30 luglio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0886