N. 33 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 agosto 1993

                                N. 33
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 6 agosto 1993 (della regione Calabria).
 Regione  -  Prorogatio  -  Disciplina  della  proroga  degli   organi
 amministrativi  -  Obbligo  delle  regioni  a  statuto  ordinario  di
 adeguare i rispettivi ordinamenti ai principi fondamentali  stabiliti
 dal  decreto-legge  impugnato ed applicabilita' immediata delle norme
 del medesimo fino all'assolvimento di detto obbligo  da  parte  delle
 regioni - Previsione altresi': a) della cessazione dalle funzioni con
 la  scadenza  del  mandato;  b)  di  un periodo massimo di proroga di
 quarantacinque giorni; c) della sostituzione da parte del  presidente
 del  collegio  nei  confronti  del  collegio  inadempiente - Asserita
 invasione  della  sfera  di  competenza  regionale  in   materia   di
 organizzazione degli uffici (gia' esercitata dalla regione ricorrente
 con  legge  5 agosto 1992, n.  13) con incisione sulle norme legisla-
 tive e statutarie  che  assegnano  competenze  ad  organi  collegiali
 regionali,  nonche'  sulla  potesta' statutaria delle regioni e sulla
 disciplina  costituzionale  del  consiglio,  della   giunta   e   del
 presidente  - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n.
 208/1992 nonche' ai ricorsi nn. 17, 28 e 30 del 1993  proposti  dalla
 stessa   regione   avverso   decreti-legge  (decaduti)  di  contenuto
 sostanzialmente identico a quello in questione.
 (D.L. 19 luglio 1993, n. 239).
(GU n.38 del 15-9-1993 )
   Ricorre la regione Calabria, in persona del presidente della giunta
 regionale, on. Guido Rhodio, in forza di delibera 26 luglio 1993,  n.
 2560,  della giunta regionale immediatamente esecutiva, rappresentato
 e difeso, giusta  procura  speciale  a  margine  del  presente  atto,
 dall'avv.  Federico  Sorrentino e nel suo studio in Roma, lungotevere
 delle Navi, 30, elettivamente domiciliato, contro lo Stato e per esso
 il Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  per  la  dichiarazione
 d'illegittimita'  costituzionale  del  d.l.  19 luglio 1993, n. 239,
 recante  "Disciplina  delle  proroga  degli  organi  amministrativi",
 pubblicato  sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 168
 del 20 luglio 1993.
                               F A T T O
    1. - Investita della questione di legittimita'  costituzionale  di
 una  norma di legge regionale che prevede la "decadenza" dei comitati
 regionali di controllo non rinnovati entro sessanta giorni dalla loro
 scadenza, la Corte con la sentenza 4 maggio 1992, n.  208,  affermava
 importanti  e, sotto certi aspetti, innovativi principi in materia di
 prorogatio  di  organi  amministrativi.   In   particolare,   esclusa
 l'esistenza  di norme dalle quali possa trarsi la generalita' di tale
 istituto, essa concludeva che "ogni proroga, in virtu'  dei  principi
 desumibili  dal  citato  art.  97  della  Costituzione,  puo'  aversi
 soltanto se prevista espressamente dalla legge e nei limiti da questa
 indicati".
    "Un'organizzazione caratterizzata  da  un  abituale  ricorso  alla
 prorogatio  -  proseguiva  la Corte - sarebbe difatti ben lontana dal
 modello costituzionale. Se e'  previsto  per  legge  che  gli  organi
 amministrativi  abbiano  una  certa  durata  e  che  quindi  la  loro
 competenza sia temporalmente circoscritta, un'eventuale prorogatio di
 fatto sine die - demandando all'arbitrio di chi debba provvedere alla
 sostituzione di determinarne la durata pur  prevista  a  termine  dal
 legislatore  ordinario  -  violerebbe  il  principio della riserva di
 legge in materia di  organizzazione  amministrativa,  nonche'  quelli
 dell'imparzialita' e del buon andamento".
    Escluso,  quindi  che alla prorogatio possa attribuirsi valenza di
 "principio  di  carattere  generale",  il  Governo  -  non  ritenendo
 sufficiente   lo   strumento  legislativo  ordinario  -  decideva  di
 provvedere conformemente ai suggerimenti della Corte ed  a  tal  fine
 adottava  una  serie di decreti-legge (nn. 381 e 439 del 1992, 7, 69,
 150 e 239 del 1993): i primi cinque decaduti e l'ultimo  oggetto  del
 presente giudizio.
    In  tutti  e sei i provvedimenti viene dichiarata la perentorieta'
 della scadenza legislativamente fissata degli  organi  amministrativi
 dello Stato e degli enti pubblici (esclusi quelli elettivi e quelli a
 rilevanza   costituzionale),  stabilendosi  peraltro  un  periodo  di
 proroga non superiore a quarantacinque giorni  durante  i  quali  gli
 organi   scaduti   possono  adottare  soltanto  gli  atti  urgenti  e
 indifferibili: limite poi ampliato dagli ultimi due decreti-legge che
 vi includono anche gli atti di ordinaria amministrazione.
    Si  prevede,   infine,   che,   allorche'   la   competenza   alla
 ricostituzione  spetti  ad organi collegiali, questa venga trasferita
 al presidente del collegio, qualora essa  non  sia  stata  esercitata
 sino a tre giorni prima del suddetto periodo di proroga.
    Relativamente  alle  nomine  di  competenza  delle regioni e delle
 province autonome di Trento e di Bolzano i  primi  tre  decreti-legge
 (poi  decaduti)  stabilivano che "entro un anno dalla data di entrata
 in vigore della legge di conversione del presente decreto, le regioni
 a statuto ordinario, nonche' le regioni a statuto speciale e le prov-
 ince  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  provvedono ad adeguare i
 rispettivi ordinamenti alle disposizioni del presente decreto".
    Tale formulazione lasciava intendere un dovere di  adeguamento  da
 parte  degli  ordinamenti  regionali  a  tutte  le  disposizioni  del
 decreto-legge  ed  intanto  la  loro  immediata   vincolativita'   in
 violazione  della  competenza  legislativa e statutaria delle regioni
 interessate.
    Infine tutti i decreti-legge successivi al  primo,  tra  le  norme
 finali  e  transitorie,  hanno  inserito  una disposizione secondo la
 quale "restano  confermati  gli  atti  di  ricostituzione  di  organi
 scaduti  anteriormente  alla  data  di entrata in vigore del presente
 decreto, che siano  stati  adottati,  in  sostituzione  degli  organi
 collegiali competenti, dai rispettivi presidenti, in conformita' alle
 disposizioni  vigenti  alla  data  di  compimento  degli atti stessi"
 (cioe': in conformita' alle disposizioni dei decreti-legge decaduti).
    La regione Calabria ha impugnato sotto diversi profili il d.l. n.
 7/1993 con ricorso gia'  discusso  dinanzi  a  codesta  ecc.ma  Corte
 all'udienza  dello  scorso 25 maggio 1993; ed ha egualmente impugnato
 il d.l. n. 69/1993 che, pur avendo almeno in parte  recepito,  nella
 formulazione  dell'art.  9,  le  osservazioni  critiche rivolte dalle
 regioni, non si sottraeva del tutto alle censure di  invasione  della
 competenza  regionale:  sotto la rubrica "Adeguamento della normativa
 regionale", l'indicato articolo stabiliva, al primo comma, che "entro
 un anno dalla data di entrata in vigore della  legge  di  conversione
 del  presente  decreto,  le  regioni  a statuto ordinario regolano le
 materie disciplinate dal decreto stesso  nel  rispetto  dei  principi
 fondamentali   posti  dalle  disposizioni  in  esso  contenute.  Tali
 disposizioni operano direttamente nei riguardi delle regioni  fino  a
 quando  esse  non  abbiano  legiferato  in materia". Anche il ricorso
 relativo a questa seconda impugnativa e' stato discusso nella  camera
 di consiglio del 7 luglio 1993.
    2.  -  Decaduto il precedente per mancata conversione nei termini,
 il Governo ha emesso un quinto decreto, n. 150/1993, contro il  quale
 pure ha proposto ricorso la regione Calabria, ed, infine, un sesto di
 eguale  contenuto,  n.  239/1993,  che  viene  con  il  presente atto
 impugnato; tali due ultimi provvedimenti,  riproducendo  quasi  negli
 stessi  sostanziali termini i precedenti, se ne discostano ancora una
 volta per la parte relativa all'adeguamento della normativa regionale
 alle disposizioni da essi recate.
    Stabilisce, infatti, l'art. 9 al primo comma, che "Le disposizioni
 di cui al presente decreto operano direttamente  nei  riguardi  delle
 regioni a statuto ordinario fino a quando esse non avranno adeguato i
 rispettivi ordinamenti ai pinci'pi generali ivi contenuti".
    Prescindendo  dal  discutibile  riferimento ai "principi generali"
 contenuti nel  decreto,  tale  articolo,  pur  formulato  in  maniera
 parzialmente  differente  rispetto  al  corrispondente  articolo  dei
 precedenti  decreti,  se  per  un  verso,  come  gia'  si   osservava
 relativamente   al   quarto  d.l.,  attenua  l'impatto  sul  sistema
 regionale delle nuove disposizioni legislative, non elimina  tuttavia
 la  lesione  della  competenza  regionale denunciata con i precedenti
 ricorsi; sicche' la regione Calabria, richiamando  le  considerazioni
 gia'  svolte  nei  confronti  del  d.l. n. 150/1993, il cui testo e'
 stato integralmente riprodotto dal provvedimento che ora si  impugna,
 deve    ancora    rivolgersi    all'ecc.ma   Corte   per   denunciare
 l'illegittimita'  del  d.l. 19 luglio 1993, n. 239, sotto i seguenti
 profili di
                             D I R I T T O
    Violazione degli artt. 117, 118, 122 e 123, anche  in  riferimento
 all'art.  77,  ultimo  comma,  della  Costituzione.  Invasione  della
 competenza regionale.
    3. - Preliminarmente deve sottolinearsi che la regione ricorrente,
 ancor prima che il Governo intervenisse con i decreti-legge di cui in
 narrativa, a precisare e  a  specificare  i  principi  costituzionali
 richiamati  dalla  Corte, ha adottato una propria disciplina, passata
 indenne al controllo governativo, del fenomeno della prorogatio,  con
 l.r.  5  agosto  1992,  n.  13,  recante  "Disciplina delle nomine di
 competenza della regione" (b.u.r. 10 agosto 1992, n. 104).  L'art.  8
 di  questa  legge,  in  particolare,  stabilisce, al primo comma, che
 "tutte le nomine  e  le  designazioni  di  competenza  della  regione
 cessano con la scadenza della legislatura nel corso della quale si e'
 proceduto  alle nomine o alle designazioni e sono rinnovabili per una
 sola volta"; al secondo comma dispone che, "trascorsi novanta  giorni
 dall'insediamento del consiglio regionale neo eletto, le persone nom-
 inate  o  designate  negli  organismi  indicati  nell'art.  1 (organi
 regionali, enti dipendenti  dalla  regione,  u.s.l.,  eccettuati  gli
 organi  elettivi  e  i pubblici dipendenti) non possono continuare ad
 esercitare la funzione istituzionale e, nel caso in cui il  consiglio
 regionale  non effettui le nomine o le designazioni entro il predetto
 termine ai sensi dell'art. 5 della presente legge (che disciplina  il
 relativo   procedimento),  provvede  la  giunta  regionale  ai  sensi
 dell'art. 28 dello Statuto" (cioe' in via d'urgenza e con obbligo  di
 ratifica entro trenta giorni).
    La  legge regionale, dunque, per un verso, e' rispettosa dell'art.
 97 della Costituzione sotto i  profili  indicati  dalla  sentenza  n.
 208/1992   della   Corte:   esclude  la  proroga  di  fatto  a  tempo
 indeterminato e provvede a interventi sostitutivi  e  di  urgenza  in
 caso   di   inadempimento   dell'organo   competente   (il  consiglio
 regionale); per altro verso essa anticipa mediante il sopra descritto
 meccanismo le disposizioni dei decreti-legge adottati dal Governo.
    Di qui la conclusione che il decreto oggi impugnato,  che  obbliga
 le regioni ad adeguare i propri ordinamenti ai "principi generali" da
 esso  posti, non dovrebbe incidere sull'art. 8 della l.r. n. 13/1992,
 il quale contiene  disposizioni  di  dettaglio,  bensi'  diverse,  ma
 sicuramente  rispettose dei medesimi principi. Invero, fermo restando
 il rispetto dell'art. 97 della Costituzione,  i  decreti  governativi
 stabiliscono:
      la cessazione delle funzioni con la scadenza del mandato;
      la previsione di un periodo massimo di proroga di quarantacinque
 giorni;
      la  sostituzione  da  parte  del  Presidente  del  collegio  nei
 confronti del collegio inadempiente.
    Queste disposizioni corrispondono ad un principio fondamentale che
 vuole la cessazione delle  funzioni  dell'organo  alla  sua  scadenza
 naturale  e  prevede meccanismi sostitutivi rigidamente articolati in
 caso di inerzia dell'organo competente alla ricostituzione.
    Non par dubbio quindi  che  la  legge  regionale  n.  13/1992  sia
 coerente  con  i  principi  enunciati dal d.l. n. 239/1993, e che la
 diretta operativita' delle disposizioni di cui al decreto stesso, non
 abbia modo di esplicarsi nei  riguardi  della  regione  Calabria  per
 quanto  gia' da questa disciplinato, mentre le altre disposizioni del
 d.l. relative al regime  degli  atti  ed  alla  responsabilita'  per
 mancata  ricostituzione  nei  termini,  varranno anche per la regione
 ricorrente  come  riferimento  per  i  principi  fondamentali   della
 materia.
    Qualora pero' il primo comma dell'art. 9 non dovesse essere inteso
 nel  senso  che  i "principi" cui le regioni a statuto ordinario sono
 tenute ad adeguare i rispettivi ordinamenti,  ed  in  quanto  non  vi
 abbiano  gia'  provveduto,  siano  solo  quelli,  gia'  esistenti, da
 ricavarsi dall'art. 97 della  Costituzione,  secondo  le  indicazioni
 della  Corte  (cio' che sembrerebbe essere confermato dal riferimento
 ai principi "generali" anziche' fondamentali del d.l. in questione),
 bensi' come abrogativo della disciplina regionale gia' adottata  e  i
 meccanismi   di  ricostituzione  degli  organi  scaduti  direttamente
 applicabili    alla    regione,    non     puo'     che     dedursene
 l'incostituzionalita' per le ragioni accennate in rubrica.
    4.  -  Per  tale  ipotesi viene immediatamente in cosiderazione il
 secondo comma dell'art. 4, a termini del quale "Nei  casi  in  cui  i
 titolari della competenza alla ricostituzione siano organi collegiali
 e  questi  non procedano alle nomine o designazioni ad essi spettanti
 almeno tre giorni prima della scadenza del  termine  di  proroga,  la
 relativa  competenza  e' trasferita ai rispettivi presidenti, i quali
 debbono comunque esercitarla entro la scadenza del termine medesimo".
    Questa disposizione viola tanto la competenza regionale in materia
 di "ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti  dalle  regioni"
 (art.  117)  quanto la competenza statutaria delle regioni di diritto
 comune  (art.  123),  incidendo  essa  sulle  norme   legislative   e
 statutarie   che   assegnano  competenze  ad  organi  collegiali.  La
 disposizione impugnata, invero, crea una competenza nuova in capo  ai
 presidenti  di  organi  collegiali,  sottraendo  ai  collegi stessi i
 corrispondenti poteri. Ed e' evidente che  una  statuizione  siffatta
 potrebbe  provenire,  per  gli  uffici  e  gli  enti dipendenti dalla
 regione e per gli  stessi  organi  regionali,  dalla  legge  o  dallo
 statuto regionale.
    Di  piu'  la  disposizione in esame viola, insieme con la potesta'
 statutaria delle regioni, gli artt. 121  e  122  della  Costituzione,
 allorche'  essa  venga  riferita a nomine di competenza del consiglio
 regionale. Infatti, secondo la norma  costituzionale,  il  presidente
 del  consiglio regionale non ha una posizione per cosi' dire autonoma
 dal consiglio stesso dal quale e' eletto per dirigerne i lavori (122,
 terzo comma) ne', a differenza del consiglio, della giunta e del  suo
 presidente  (art. 124, primo comma), possiede una propria ed autonoma
 rilevanza esterna.
    Naturalmente cio' potrebbe non escludere  che  al  presidente  del
 consiglio  regionale vengano conferite funzioni di rilevanza esterna,
 purche' non incompatibili con il suo compito di direzione dei  lavori
 del   consiglio,   ma  tale  attribuzione,  innovando  specificamente
 all'organizzazione regionale,  non  puo'  che  competere  alla  fonte
 statutaria  (art.  123)  e,  sulla  base  di  questa,  al regolamento
 consiliare.
    Ne discende allora l'incostituzionalita', in riferimento ai citati
 parametri, di una norma statale che  trasferisce  una  competenza  al
 consiglio  regionale  al  suo presidente e che fa di questo un organo
 titolare di poteri amministrativi esterni.
    5.  -  Ugualmente  sulla  competenza  delle  regioni in materia di
 organizzazione dei loro  uffici  e  degli  enti  da  esse  dipendenti
 incidono  le  disposizioni relative al regime di proroga degli organi
 amministrativi scaduti e degli atti da questi emanati (art. 3).  Tali
 disposizioni,  limitando  la  competenza  degli  organi  prorogati  e
 sanzionando come illegittimi gli atti posti in essere al di fuori dei
 limiti da esse  indicati,  incidono  sulla  competenza  regionale  in
 materia, in violazione quindi dell'art. 117 della Costituzione.
    Tale  censura  va  estesa  al  successivo  art.  6 che sancisce la
 nullita' di diritto degli atti compiuti dagli organi scaduti.
    6. - Da ultimo deve denunciarsi l'art. 8  del  decreto  impugnato,
 nella   parte   in  cui  convalida  e  mantiene  fermi  gli  atti  di
 ricostituzione  adottati  dai  presidenti   di   organi   collegiali,
 anteriormente  all'entrata in vigore del decreto, in sostituzione dei
 competenti collegi (secondo comma).
   Questa disposizione viola, non solo l'art. 77, ultimo comma,  della
 costituzione,  in  relazione  anche all'art. 15, secondo comma, lett.
 d), della legge  n.  400/1988,  ma  anche,  ed  inscindibilmente,  le
 competenze  regionali  in materia di organizzazione di uffici ed enti
 regionali.
    Invero, ove anche dovesse sostenere che il d.l.  impugnato  possa
 comprimere,  nei  sensi  che si sono appena contestati, le competenze
 regionali in materia, esso sicuramente non puo' convalidare cio'  che
 in  base alla costituzione e' invalido e quindi non puo' sottrarre al
 legislatore  ne'   all'amministrazione   regionale   il   potere   di
 qualificare  come  invalidi  atti  applicativi  di  decreti-legge non
 convertiti.
    In altre parole la disposizione impugnata non  solo  incide  sulla
 potesta'  legislativa  regionale  e su quella statutaria al di la' di
 quanto consentirebbero gli artt. 117 e 123, ma incide altresi'  sulla
 competenza  degli  organi collegiali, ai quali sarebbe cosi' impedito
 di revocare gli illegittimi atti dei loro presidenti e di  provvedere
 diversamente in ordine agli organi scaduti.
    Va  poi  aggiunto  che  la  convalida degli atti compiuti sotto il
 vigore dei precedenti decreti, i quali, a differenza  di  quello  qui
 impugnato e dei due che lo hanno preceduto, obbligavano le regioni ad
 adeguarsi  alla  totalita'  delle  loro disposizioni, fa si' che atti
 costituzionalmente illegittimi - quali quelli adottati in  esecuzioni
 dei  precedenti  decreti-legge  invasivi  della  competenza regionale
 garantita dall'art. 117 - vengano ritenuti validi ed efficaci,  senza
 che  la  regione possa porvi rimedio, ripristinando l'ordine naturale
 delle competenze.
                               P. Q. M.
    Si chiede che, in accoglimento  del  presente  ricorso,  il  d.l.
 impugnato venga dichiarato incostituzionale in riferimento agli artt.
 117, 118, 121, 122, 123 e 77 della Costituzione.
      Roma, addi' 2 agosto 1993
                       Avv. Federico SORRENTINO

 93C0893