N. 481 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 gennaio - 3 agosto 1993

                                N. 481
 Ordinanza  emessa  il  26  gennaio   1993   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale  il  3  agosto  1993)  dalla  Corte dei conti, sezione
 giurisdizionale per la  Sicilia,  sui  ricorsi  riuniti  proposti  da
 Pampallona Rosa contro il Ministero del tesoro.
 Previdenza   e   assistenza  sociale  -  Pensioni  corrisposte  dalla
 C.P.D.E.L. - Dipendente  che  abbia  optato  per  il  versamento  del
 contributo  di  riscatto in unica soluzione - Cessazione dal servizio
 senza aver effettuato il  versamento  -  Conseguenze  -  Perdita  del
 diritto  alla pensione - Mancata previsione, cosi' come stabilito per
 i dipendenti  che  abbiano  optato  per  il  versamento  rateale  del
 contributo  di  riscatto,  della  possibilita'  di  chiedere all'ente
 previdenziale di recuperare il contributo  mediante  riduzione  della
 pensione - Ingiustificata disparita' di trattamento con incidenza sul
 diritto alla garanzia previdenziale.
 (R.D.L. 3 marzo 1938, n. 680, art. 73).
 (Cost., artt. 3 e 36).
(GU n.37 del 8-9-1993 )
                          LA CORTE DEI CONTI
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza n. 122/93/ord. sui ricorsi
 pensionistici, iscritti ai  nn.  1761/C  e  4728/C  del  registro  di
 segreteria,  prodotti  dalla signora Pampallona Rosa, rappresentata e
 difesa dagli avvocati  Cristiano  Romano  e  Francesco  Mistretta  ed
 elettivamente  domiciliata  presso  lo studio del secondo in Palermo,
 viale   della   Liberta',    n.    171,    per    la    dichiarazione
 d'illegittimita'dei provvedimenti del Ministero del tesoro, dir. gen.
 istituti  di  previdenza,  Cassa per le pensioni dei dipendenti degli
 enti locali pos. 2999391 del 22 novembre 1985 e del 21 febbraio 1986,
 nonche' del decreto n. 555 adottato dalla  stessa  Cassa  in  data  9
 gennaio  1991  e  per  l'accertamento  del  diritto,  quale erede, al
 trattamento pensionistico ordinario spettante al di lei coniuge, sig.
 Giordano Giovanni, deceduto il 3 settembre 1984, e,  in  proprio,  al
 trattamento    pensionistico   di   riversibilita',   quale   coniuge
 superstite, dalla data del decesso del dante causa;
    Visti gli atti e i documenti di causa;
    Uditi all'udienza del 26 gennaio  1993  il  relatore,  consigliere
 dott. Giuseppe Cozzo, l'avv. Guido Aula delegato dall'avv. Mistretta,
 e il vice procuratore generale dott. Antonio Dagnino;
                               F A T T O
    Il  sig.  Giordano  Giovanni  e'  stato  dipendente  del comune di
 Caltagirone, cessando dal servizio in data 1› agosto 1980. La  giunta
 municipale,  con  deliberazione  n.  767  del  18 giugno 1980, previa
 concessione dell'aumento di dieci anni di anzianita' di  servizio  ai
 fini  pensionistici  ai sensi dell'art. 3, secondo comma, della legge
 n. 336/1970, ha attribuito al predetto il trattamento provvisorio  di
 pensione,  che  e'  stato  regolarmente  liquidato  dalla  competente
 direzione provinciale del tesoro. Alla sua morte, l'ente  liquidatore
 ha   corrisposto   alla  vedova,  signora  Pampallona  Rosa,  odierna
 ricorrente,  il   corrispondente   trattamento   di   quiescenza   di
 riversibilita'.  Senonche',  a  distanza  di  circa  cinque  anni dal
 collocamento  a  riposo  del  Giordano,  la  Cassa  pensioni  per   i
 dipendenti  degli  enti locali (C.P.D.E.L.), con il provvedimento del
 22 novembre 1985 e con il successivo del 21 febbraio 1986,  ritenendo
 che  il  dipendente  non  avesse  maturato  il diritto a pensione, ha
 disposto la sospensione del trattamento  di  riversibilita'  in  atto
 goduto  dalla signora Pampallona e, contestualmente il recupero della
 complessiva somma di L. 35.643.376, erogata al Giordano, a titolo  di
 pensione  provvisoria diretta, dal 1› agosto 1980 al 3 settembre 1984
 (data del suo decesso), e  alla  ricorrente,  a  titolo  di  pensione
 provvisoria  di  riversibilita',  dal 4 settembre 1984 al 31 dicembre
 1985. I motivi posti a base di tali determinazioni  consistono  nella
 negata   valutazione   dell'aumento   dell'anzianita'   pensionistica
 previsto dall'art. 3, secondo comma,  della  legge  n.  336/1970,  in
 quanto  l'interessato  "doveva  comunque  essere  contingentato al 31
 dicembre 1979, cosi' come previsto dall'art. 1 della legge 14  agosto
 1984, n. 355", e del servizio militare per il quale il Giordano aveva
 richiesto   il  riscatto,  poiche'  l'ente  previdenziale  "non  puo'
 considerare utile il riscatto del  servizio  militare  in  quanto  il
 pagamento  del  relativo  contributo  non  risulta  perfezionato  nei
 termini di  legge  e  cioe'  entro  il  mese  di  giugno  1981",  con
 conseguente  insufficiente  anzianita'  utile ai fini del sorgere del
 diritto a pensione.
    Contro tali provvedimenti l'interessata ha proposto il  primo  dei
 due  ricorsi  giurisdizionali  indicati in epigrafe, rilevando che il
 coniuge, alla data del collocamento a riposo, aveva maturato ai  fini
 pensionistici  un'anzianita'  superiore al limite minimo, previsto in
 ventiquattro anni, mesi sei e giorni uno dall'art. 7 della  legge  11
 aprile  1955,  n.  379,  necessario  per  il  sorgere  del  diritto a
 pensione. In particolare, il Giordano  aveva  maturato  un'anzianita'
 complessiva  di  anni ventiquattro, mesi undici e giorni sei, di cui:
 anni undici e un mese  di  servizio  effettivo  alle  dipendenze  del
 comune  di Caltagirone, anni tre, mesi dieci e giorni sei di servizio
 militare riscattato con decreto del Ministero del tesoro n.  5201/79,
 pos. n. 2999391, e anni dieci per beneficio combattentistico ai sensi
 dell'art.  3,  secondo  comma,  della  legge  n. 336/1970. La mancata
 valutazione del beneficio ex art. 3, secondo comma,  della  legge  n.
 336/1970,  sostiene  la  ricorrente,  sarebbe  illegittima  in quanto
 l'ente non avrebbe tenuto conto dell'art. 1- bis del d.l.  8  luglio
 1974,  n. 355, secondo il quale: "Per coloro che alla data di entrata
 in vigore del presente decreto  e  comunque  entro  e  non  oltre  il
 termine  previsto  per l'ultimo contingente di cui al comma terzo del
 precedente art. 1, hanno  pendente  la  procedura  di  riconoscimento
 delle  qualifiche  che  danno  titolo  a fruire dei benefici previsti
 dall'art. 3 della legge 24 maggio 1970, n. 336,  il  termine  per  la
 presentazione della domanda prevista dall'art. 1 del presente decreto
 e'   rinviata   a   trenta   giorni   dopo  l'avvenuta  notifica  del
 provvedimento formale di riconoscimento".   Trovandosi il  dipendente
 nelle condizioni previste dalla richiamata disposizione (egli infatti
 alla  data della sua entrata in vigore aveva pendente il procedimento
 di riconoscimento della qualifica di  invalido  di  guerra),  avrebbe
 diritto al beneficio in questione.
    Ugualmente illegittima sarebbe la mancata valutazione del servizio
 militare.  L'ente  previdenziale  avrebbe errato nell'interpretare il
 secondo comma dell'art. 72 del r.d.l. 3  marzo  1938,  n.  680,  che
 statuisce:  "L'impiegato  che  entro il termine perentorio di novanta
 giorni dalla  comunicazione  della  deliberazione  del  consiglio  di
 amministrazione non abbia fatto pervenire alla cassa di previdenza la
 domanda  di  pagamento  rateale,  deve  effettuare  il  pagamento del
 contributo di riscatto alla cassa  medesima,  a  pena  di  decadenza,
 entro un anno dalla comunicazione stessa".
    Sostiene  al  riguardo  la  ricorrente:  1)  che  la decadenza non
 colpirebbe  il  diritto  al  riscatto,  bensi'  la  possibilita'   di
 richiedere,  trascorsi  i novanta giorni, forme di pagamento rateale;
 2) che, posto che il sig. Giordano aveva  tempestivamente  comunicato
 all'ente,  con  dichiarazione  del  26  giugno  1980, di accettare il
 pagamento del contributo di riscatto in  unica  soluzione,  egli  non
 sarebbe  incorso  nella  decadenza, essendo essa prevista per le sole
 ipotesi in cui il richiedente non esprima entro i termini  prescritti
 la  volonta'  di  accettare  una qualsiasi forma di pagamento; 3) che
 ogni diversa interpretazione sancirebbe  un'irragionevole  disparita'
 di trattamento tra chi, avendo scelto il pagamento rateale, resti poi
 inadempiente,  prevedendo  in  tal caso la norma non la decadenza dal
 diritto al riscatto ma il pagamento degli interessi  legali,  e  chi,
 come   il   Giordano,  avendo  espresso  l'intenzione  di  pagare  il
 contributo in unica soluzione, non sia poi in grado di  adempiere  la
 sua  obbligazione  alla scadenza; 4) che l'ente previdenziale avrebbe
 omesso di  valutare  la  non  imputabilita'  dell'inadempimento,  che
 sarebbe  stato  provocato  dalle  gravi affezioni fisiche e psichiche
 dell'interessato, con conseguente inoppugnabilita'  allo  stesso  del
 termine   di   decadenza.   La   ricorrente   ha,   infine,  eccepito
 l'irripetibilita' dell'indebito pensionistico, in quanto percepito in
 buona fede e destinato alle esigenze della vita, ha chiesto di essere
 ammessa  al  pagamento  del  contributo  di   riscatto,   e   quindi,
 l'accoglimento del ricorso, previa sospensione degli atti impugnati.
    Con  ordinanza  n.  60/90  del  19  aprile  1990,  questa  sezione
 sospendeva in via cautelare il recupero della somma ritenuta indebita
 dall'ente.
    Con decreto n. 555 del 9 gennaio 1991, la C.P.D.E.L.  ha  respinto
 la  domanda  di  pensione diretta proposta dal sig. Giordano Giovanni
 "per mancanza del periodo minimo di anzianita' di servizio,  previsto
 dall'art.  7  della legge 11 aprile 1966, n. 379" conferendo, invece,
 al medesimo, e per lui agli eredi,  l'indennita'  una  tantum  di  L.
 5.515.118,  determinata  sulla  base  di  anni  undici  e mesi uno di
 servizi valutati in  pensione,  con  conseguente  costituzione  della
 posizione  assicurativa  presso l'I.N.P.S. Avverso tale provvedimento
 la signora Pampallona ha prodotto il secondo dei ricorsi in epigrafe,
 ribadendo nella sostanza  le  stesse  considerazioni  e  osservazioni
 esposte nel primo ricorso giurisdizionale.
    Il  procuratore generale, nelle conclusioni scritte, ha chiesto il
 rigetto  del  ricorso,  dichiarando  genericamente   di   condividere
 l'operato dell'ente previdenziale.
    Con  memoria  depositata  l'11  gennaio  1993,  la  ricorrente  ha
 sostenuto che i provvedimenti impugnati devono ritenersi  illegittimi
 anche  alla  luce  delle recenti disposizioni introdotte dall'art. 20
 della legge n. 958/1986 e dall'art. 20 della legge n.  274/1991,  che
 avrebbero  statuito per gli iscritti alla C.P.D.E.L. la valutabilita'
 ex  se,  senza  alcun  onere di riscatto a carico del dipendente, dei
 periodi di servizio militare, con effetti sui rapporti giuridici  non
 ancora esauriti.
    Per  la  Cassa  si e' costituita l'Avvocatura dello Stato che, con
 memoria depositata il 12 gennaio 1993, ha osservato quanto segue.  La
 disposizione  di  cui  all'art.  1-  bis  del  d.l.  n.  261/1974 ha
 consentito a coloro che alla  data  di  entrata  in  vigore  avessero
 pendente  la  procedura  di  riconoscimento  di  una delle qualifiche
 richieste dalla legge n.  336/1970  di  poter  fruire  del  beneficio
 previsto   dall'art.   3   della   medesima  legge,  purche'  sia  il
 riconoscimento che il collocamento a riposo avvenissero entro  e  non
 oltre  il 31 dicembre 1979, data di scadenza dell'ultimo contingente;
 nella specie, sia il riconoscimento (intervenuto il 19 dicembre 1979,
 ma notificato  il  29  marzo  1980)  che  il  collocamento  a  riposo
 (disposto in data 31 luglio 1980) sarebbero avvenuti oltre il termine
 predetto.   La   valutazione  del  servizio  militare  sarebbe  stata
 legittimamente omessa dall'ente  previdenziale,  poiche'  il  secondo
 comma dell'art. 72 del r. d.l. n. 680/1938 prevederebbe la decadenza
 del  diritto  al  riscatto  nell'ipotesi  del  mancato  pagamento del
 contributo in unica  soluzione  entro  un  anno  dalla  comunicazione
 trasmessa all'interessato. Tale pagamento non e' stato effettuato dal
 Giordano  che,  anzi,  in  data  26  aprile  1982, rivolgeva all'ente
 previdenziale istanza di trasformazione del  contributo  medesimo  in
 quota  vitalizia passiva sulla pensione. La ripetizione dell'indebito
 sarebbe, infine, legittima sia  perche'  inerente  a  trattamenti  di
 pensione   provvisoria   e,   quindi,   suscettibile   di  successive
 variazioni, sia perche' troverebbe in specie applicazione l'art. 2033
 del c.c.
    All'udienza, l'avv. Guido Aula per  la  ricorrene  e  il  pubblico
 ministero hanno confermato le richieste di cui agli atti scritti.
                             D I R I T T O
    Le  parti  sottopongono  all'esame  del collegio due questioni: la
 prima, concerne il diritto del coniuge della ricorrente alla pensione
 diretta ordinaria a carico della  C.P.D.E.L.  e  conseguentemente  il
 diritto di quest'ultima alla pensione di riversibilita' a seguito del
 decesso  del dante causa; la seconda, il diritto alla irripetibilita'
 di quanto percepito dai pensionati, a diverso titolo, quale  pensione
 provvisoria.  E'  evidente  che  debba, innanzitutto, considerarsi la
 prima  delle  dette  questioni,  poiche'  l'accoglimento  della  tesi
 sostenuta dalla ricorrente finirebbe per assorbire la seconda.
    Come  si  e' visto precedentemente, il diritto del sig. Giordano e
 della signora Pampallona alla pensione diretta e di riversibilita' e'
 negato dall'ente previdenziale per un duplice motivo: il dante  causa
 non avrebbe maturato il periodo minimo di anzianita' richiesto per il
 sorgere  del  diritto  a  pensione  -  periodo stabilito in specie in
 ventiquattro anni, mesi sei e un giorno  di  servizio  ai  sensi  del
 combinato  disposto degli artt. 7 della legge 11 aprile 1955, n. 379,
 e 35 del r.d.l. 3 marzo  1938,  n.  680  -  per  effetto  della  non
 fruibilita'  dell'aumento  di  dieci  anni previsto dall'art. 3 della
 legge n. 336/1970 e della non computabilita' del periodo di  servizio
 militare,  determinato  in sede di riscatto in anni tre, mesi dieci e
 giorni  sei.  La  C.P.D.E.L.,  infatti,  adottando  il  provvedimento
 definitivo  di  pensione  (decreto  n.  555  del  9  gennaio 1991) ha
 conferito  all'interessato  l'indennita'  una  tantum,   costituendo,
 peraltro,  la  posizione  assicurativa presso l'I.N.P.S. valutando ai
 fini della liquidazione del trattamento di quiescenza  esclusivamente
 il  periodo  di servizio (undici anni e un mese) effettivamente dallo
 stesso prestato alle dipendenze del comune di Caltagirone.
    Ora,  nessun  dubbio  sussiste  in  ordine  al  diritto  dell'  ex
 dipendente  all'aumento  previsto  dall'art.  3, secondo comma, della
 legge n. 336/1970, poiche', come osservato dalla  ricorrente,  l'art.
 1-  bis  del  d.l.  8 luglio 1974, n. 261, introdotto dalla legge di
 conversione 14 agosto 1974, n. 355, richiede, in favore di coloro che
 non abbiano  ancora  conseguito  il  riconoscimento  della  qualifica
 necessaria  per  il godimento del beneficio stesso, che l'interessato
 abbia pendente la procedura di riconoscimento alla data di entrata in
 vigore del medesimo decreto legge e comunque entro  e  non  oltre  il
 termine  previsto  (31  dicembre 1979) per l'ultimo contingente degli
 esodanti e che abbia  presentato  la  relativa  domanda  nel  termine
 perentorio  di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento di
 riconoscimento,   ma   non    prevede    affatto,    come    sostiene
 l'amministrazione resistente, che la procedura predetta debba essersi
 conclusa entro detto termine. La lettera della norma e' assolutamente
 chiara sul punto e non da' adito ad alcun problema interpretativo (si
 vedano,  per esempio, Corte cass. sez. lav. 17 gennaio 1984, n. 390 e
 Cons. Stato, sez. quarta, del 15 aprile 1987, n. 276). D'altra parte,
 la  tesi  sostenuta  dall'ente  previdenziale  si  risolve  in   mere
 affermazioni  -  senza  neppure  tentare  di  individuare  una  ratio
 normativa  che  giustifichi  il  distacco  interpretativo  dal   dato
 letterale  (ammesso  che la assoluta limpidita' di tale dato consenta
 il ricorso ad un diverso modo di interpretazione) -  che  palesemente
 collidono  con  il contenuto letterale della disposizione.  Posto che
 la  norma  richiede  espressamente,   tra   gli   altri   presupposti
 indispensabili   del   diritto,   che  l'istante  abbia  pendente  il
 procedimento di riconoscimento della qualifica "entro e non oltre  il
 termine  previsto  per l'ultimo contingente di cui al comma terzo del
 precedente art.  1",  e'  del  tutto  irrazionale  sostenere  che  il
 legislatore  abbia  inteso  dire  nello  stesso tempo che entro e non
 oltre il medesimo termine l'interessato debba anche avere ottenuto il
 riconoscimento e debba pure essere stato collocato a riposo. Se  alla
 data  di  riferimento  e'  sufficiente,  infatti, che il procedimento
 predetto sia in corso, non si vede come possa sostenersi,  per  altra
 via,   che   esso   debba   anche  essere  stato  gia'  concluso.  Il
 provvedimento  di  riconoscimento,  infatti,  per   la   sua   natura
 costitutiva, non puo' venire ad esistenza che al termine del relativo
 procedimento   amministrativo.   Ugualmente   infondata   e'  l'altra
 osservazione secondo la quale il beneficiario avrebbe  dovuto  essere
 collocato  a  riposo entro la data prevista per l'ultimo contingente.
 La ratio della norma aggiunta e', infatti, quella  di  consentire  la
 fruizione  del beneficio anche al personale in servizio che avesse in
 itinere il procedimento di riconoscimento di una delle qualifiche in-
 dicate dalla legge n. 336/1970, e che, pertanto, non ne avesse potuto
 immediatamente  beneficiare  per  il   tardivo   o   comunque   lungo
 esperimento  delle  procedure amministrative e giudiziarie, ancorche'
 il provvedimento di riconoscimento  venisse  adottato  dopo  la  data
 prevista  come  termine  dell'ultimo contingente. E' evidente che una
 volta che  tale  riconoscimento  fosse  successivamente  intervenuto,
 riguardando caso sporadici e, soprattutto, distribuiti nel tempo, non
 sarebbe piu' sussistita alcuna esigenza di ulteriore contingentamento
 (introdotto  non  al fine di limitare il numero dei beneficiari della
 legge n. 336/1970, ma a quello di garantire, attraverso  un  graduale
 esodo,  il regolare funzionamento dell'amministrazionepubblica) e che
 esso avrebbe dovuto comportare per il destinatario la possibilita' di
 fruirne, alla stregua degli altri beneficiari, ai  sensi  e  per  gli
 effetti  dell'art.  3  della  legge  n. 336/1970, anche ai fini di un
 successivo collocamento a riposo anticipato. Proprio in  quest'ultima
 possibilita' (collocamento a riposo anticipato) consiste, infatti, il
 principale  beneficio  che  la legge in questione ha voluto riservare
 agli appartenenti alle varie qualifiche dalla stessa indicate.
    Risulta dagli atti che il Giordano produsse  istanza  di  pensione
 privilegiata  di  guerra  al Ministero del tesoro in data 20 novembre
 1976 e che  soltanto  in  data  29  marzo  1980  ebbe  notificata  la
 eterminazione   ministeriale   concessiva  del  relativo  trattamento
 pensionistico. In data 2 aprile 1980, e cioe'  entro  il  termine  di
 trenta  giorni  previsto dall'art. 1- bis del d.l. n. 261/1974, egli
 chiese di essere collocato a riposo anticipato coni benefici  di  cui
 alla  legge  n.  336/1970. Su questi fatti non vi e' contrasto tra le
 parti.  Correttamente,  dunque,  per  quanto  si  e'  in   precedenza
 osservato,  il comune di Caltagirone, con deliberazione della g.m. n.
 767 del 17 giugno 1980, ha accolto  l'istanza,  collocando  a  riposo
 anticipato  con  i  benefici  predetti il dipendente. Deve ritenersi,
 pertanto,  che  al  coniuge  della  ricorrente  spettasse   l'aumento
 dell'anzianita' di dieci anni ai fini pensionistici.
    Piu'  complessa questione e' quella che si pone relativamente alla
 valutabilita' o meno del servizio prestato dal signor Giordano e  per
 il quale egli ha avanzato, in costanza di rapporto d'impiego, domanda
 di  riscatto  all'ente di previdenza. Ed e' ovvio che soltanto da una
 soluzione positiva del quesito puo' derivare  il  pieno  accoglimento
 delle  domande proposte dalla ricorrente, poiche' solo in tal modo il
 dante   causa   raggiungerebbe    l'anzianita'    minima    richiesta
 (ventiquattro  anni,  sei  mesi  e  un  giorno)  per  il  diritto  al
 trattamento ordinario di quiescenza e, conseguentemente sorgerebbe in
 capo alla ricorrente il  diritto  alla  pensione  di  riversibilita'.
 Diversamente,  l'aumento  di  dieci  anni collegato al riconoscimento
 della qualifica di invalido di guerra si  risolverebbe  semplicemente
 in  una  maggiore  quantificazione  dell'indennita'  una  tantum gia'
 concessa dall'ente previdenziale con  il  provvedimento  di  pensione
 definitiva.
    Sostiene  la  ricorrente  a tale riguardo: 1) che la deteminazione
 negativa assunta dall'ente poggia  su  di  un'errata  interpretazione
 dell'art. 72 del r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, sopra richiamato. Tale
 articolo  avrebbe  riguardo,  infatti,  ad una fattispecie diversa da
 quella  in  esame,  e  cioe'  semplicemente  all'ipotesi  in  cui  il
 dipendente  non  abbia  fatto pervenire all'ente entro novanta giorni
 l'istanza di pagamento rateale del contributo di riscatto e non abbia
 nel termine di un anno dalla comunicazione  della  deliberazione  del
 consiglio   di  amministrazione  ne'  espresso  la  sua  volonta'  di
 accettare il  riscatto  ne'  effettivamente  adempiuto  al  pagamento
 dell'onere  posto a suo carico, ma non anche all'altra nella quale il
 dipendente medesimo  abbia  espressamente  manifestato  entro  l'anno
 detta  volonta'.  Il  signor Giordano non e' rimasto silente i fronte
 alla  documentazione  della  deliberazione,  ma   ha   esplicitamente
 dichiarato,  sottoscrivendo  l'apposito  modello, di volere pagare il
 contributo  di  riscatto  in  unica  soluzione.  La  sanzione   della
 decadenza  implicherebbe,  oltre tutto, una disparita' di trattamento
 tra chi dichiari di accettare il pagamento  rateale  e  che  poi  non
 paghi  tempestivamente  e  chi, pur dichiarando, allo stesso modo, di
 accettare il pagamento in unica soluzione,  incorra  nella  mora  per
 mancanza  di momentanea solvibilita'. Nel primo caso, infatti, l'art.
 72 in questione, piuttosto che la decadenza,  prevede  l'applicazione
 degli interessi moratori.
    Anche   quando   nella  specie  dovesse  ritenersi  verificata  la
 decadenza, l'ente non avrebbe tenuto conto  della  non  imputabilita'
 dell'inadempimento  all'interessato,  affetto  da  una forma grave di
 cirrosi epatica, risultata poi  letale,  e  da  una  grave  forma  di
 sindrome dissociativa.
    L'art.  72  del  r.d.l.  n.  680/1938,  in  realta',  prevede  la
 decadenza  del  riscatto  non  per  effetto  della   mancanza   della
 manifestazione   di  volonta'  esplicita  dell'interessato  entro  il
 termine indicato, bensi' quale conseguenza del mancato o intempestivo
 pagamento del relativo contributo.  La  stessa  scelta  di  pagamento
 rateale  non rileva per il fatto di recare una espressa dichiarazione
 di accettazione dell'onere, ma costituisce soltanto una forma diversa
 attraverso la quale  si  realizza  il  fatto  saliente  rappresentato
 appunto  dall'acquisizione  da  parte  dell'ente  previdenziale della
 prestazione contributiva posta a carico del dipendente. Anche  se  si
 ponesse un problema di compatibilita' della disposizione in parte qua
 con  il  prinipio  di  uguaglianza posto dalla Costituzione, cio' non
 giustificherebbe comunque un'interpretazione della legge difforme dal
 suo effettivo contenuto letterale e razionale.
    Trattandosi di un termine di decadenza  non  rilevato,  secondo  i
 principi  generali,  cause  di  inadempimento  che  si ricolleghino a
 situazioni soggettive. Nella specie, d'altra parte, la documentazione
 prodotta per dimostrare lo  stato  di  incapacita'  del  Giordano  si
 riferisce,  per  quanto rigurada l'infermita' psichica, per un verso,
 ad epoca antecedente ai  fatti,  mentre  per  l'altro,  non  dimostra
 puntualmente   che   detto   stato   di  incapacita'  sia  sussistito
 ininterrottamente   per   tutto   il   tempo   in   cui   e'   durato
 l'inadempimento;  2)  che,  per  effetto  dell'art. 20 della legge n.
 958/1986 e degli artt. 1 e 8 della legge n. 274/1991, che hanno  reso
 utile  a  pensione  il  servizio  militare di leva a semplice domanda
 dell'interessato e senza alcun onere a  suo  carico,  applicabile  al
 caso  in  esame,  e' venuto meno, in sostanza, l'effetto di decadenza
 che  la  precedente  normativa  ricollegava  al  mancato   tempestivo
 pagamento  del  contributo  in unica soluzione. Le nuove disposizioni
 avrebbero efficacia retroattiva e, comunque, dovrebbero applicarsi ai
 rapporti, come quello oggetto di giudizio, non ancora esauriti.
    La tesi non puo' essere condivisa. Le  norme  sopravvenute  devono
 essere  attuate  dal giudice al rapporto controverso a condizione che
 esse trovino applicazione nel caso sottoposto al suo esame e non  per
 il  semplice fatto della sopravvenienza di una norma innovativa. Quel
 che rileva e', in sostanza, che la disposizione  sopravvenuta  regoli
 diversamente  il  rapporto,  producendo  effetti  che in qualche modo
 incidono  su  di  esso,  cosi'  che  il  giudice  possa  direttamente
 assumerli   a   fondamento   della   sua   decisione.  Nella  specie,
 diversamente da quanto sostenuto dalla  ricorrente,  la  disposizione
 nuova,  come  si  desume  chiaramente dall'art. 1, primo comma, della
 legge  8  agosto  1991,  n.  274,   secondo   il   quale   la   nuova
 regolamentazione  della  materia si applica con effetto dalla data di
 entrata  in  vigore  della  legge  n.  958/1986,  non  ha   efficacia
 retroattiva   e,   pertanto,   non   trova  attuazione  nel  rapporto
 controverso.
    Il parere del Cons. Stato, sezione terza, n. 782,  del  12  luglio
 1988,  e  la deliberazione della sezione contr. Stato della Corte dei
 conti n.  2049  del  29  dicembre  1988,  entrambi  richiamati  dalla
 ricorrente,  hanno,  il primo, negato efficacia retroattiva dell'art.
 20 della legge n. 958/1986, e il secondo, semplicemente affermato  la
 valenza  del  servizio  anche  se prestato anteriormente alla data di
 entrata in vigore della normativa sopravvenuta (vedi, ora,  l'art.  7
 della  legge  n.  412/1992),  ma  non  si  sono pronunciati in ordine
 all'estensione della nuova disciplina alle domande gia'  prodotte  e,
 come  nel caso, al personale cessato prima di detta data. Costituisce
 principio  interpretativo  di  carattere  generale   nella   materia,
 desumibile  dal  sistema normativo interessato, che nei confronti del
 personale cessato dal servizio debba aversi riguardo  ai  fini  della
 liquidazione  delle  trattamento  di  quiescenza  alle  norme vigenti
 all'epoca  del  suo  collocamento  a  riposo,  salvo  che  la   norma
 sopravvenuta  espressamente  vi  deroghi.  Nella  specie, non solo la
 norma  non  fa  riferimento  implicito  o   esplicito   ai   rapporti
 precedentemente   sorti,  ma  espressamente,  come  si  e'  rilevato,
 stabilisce che la  nuova  disciplina  abbia  effetto  dalla  data  di
 entrata  in  vigore  della legge n. 958/1986, in tal modo chiaramente
 escludendo i rapporti pensionistici sorti prima di tale data.
    Ritiene, pero', il collegio che la normativa interessata  presenti
 profili di dubbia costituzionalita'.
    Al  riguardo,  occorre  brevemente richiamare i fatti che appaiono
 rilevanti. Il signor Giordano ha chiesto  il  riscatto  del  servizio
 militare  in  data  22  aprile  1976.  Nel giugno 1980 ha ricevuto la
 delibera del consiglio di amministrazione della cassa  con  la  quale
 veniva  determinato  l'onere  di  riscatto  a  suo carico. In data 26
 giugno 1980,  ha  compilato  la  dichiarazione  di  accettazione  del
 pagamento  del contributo in unica soluzione. In data 1› agosto 1980,
 a distanza di poco piu' di un  mese  e  prima  che  fosse  trascorso,
 dunque,  l'anno  previsto  come  termine di decadenza, e' cessato dal
 servizio. In  data  26  aprile  1992  ha  chiesto,  infine,  all'ente
 previdenziale  che il contributo fosse trasformato in quota vitalizia
 passiva. Tale istanza non e' stata presa  neppure  in  considerazione
 dall'ente previdenziale.
   Senonche',  rileva  il  collegio  che  l'art.  73  del  r.d.l.  n.
 680/1938, prevede che l'impiegato che  abbia  chiesto  il  versamento
 rateale  del  contributo  di  riscatto e che cessi dal servizio senza
 averlo compiuto, ovvero la  sua  vedova  o  i  suoi  orfani,  debbono
 versare  in unica soluzione o con ritenuta del quinto della pensione,
 l'importo delle rate  del  contributo  che  avrebbero  dovuto  essere
 versate  qualora  il pagamento rateale avesse avuto effetto dal primo
 del mese successivo alla presentazione  della  domanda  di  riscatto,
 diminuito delle rate effettivamente versate ed aumentato dell'importo
 degli   interessi   eventualmente   dovuti.  Per  le  ulteriori  rate
 l'impiegato che abbia acquistato diritto a pensione ha la facolta' di
 versarne in una volta sola il valore capitale, determinato sulla base
 della  tabella  C  annessa al r.d.l. n. 680/1938, oppure di chiedere
 che la pensione spettantegli sia ridotta di una quota  vitalizia,  da
 calcolarsi in base alla tabella B annessa allo stesso r.d.l.
    La   disposizione   introduce  indubbiamente  una  disciplina  del
 rapporto pensionistico e contributivo che si sostituisce, per effetto
 della cessazione del rapporto  d'impiego,  a  quella  precedentemente
 fondata   sull'accordo   delle   parti   o,   meglio,   sulla  scelta
 espressamente effetuata dal dipendente. Con la cessazione, stando  al
 dettato  normativo,  soltanto  colui  che  abbia  assunto l'onere del
 pagamento  rateale  del  contributo  di  riscatto,  dovrebbe   essere
 assoggettato  alla  diversa  disciplina dettata dalla disposizione in
 questione, anche se, per avventura, all'atto  della  cessazione  egli
 non abbia ancora neppure dato inizio al pagamento delle rate.
    Tale  norma  crea  un'irrazionale discriminazione nei confronti di
 chi, come il Giordano, pur avendo scelto il pagamento del  contributo
 in  unica  soluzione, sia poi cessato dal servizio senza avere potuto
 adempiere alla propria obbligazione. Non consentendogli  di  chiedere
 la  riduzione  della pensione spettantegli di una quota vitalizia, si
 lascia agire l'effetto caducatorio conseguente al  mancato  pagamento
 dell'intero   contributo  dovuto  entro  l'anno  dalla  comunicazione
 dell'ente di previdenza, dal quale deriva nella specie addirittura la
 perdita del diritto a pensione, precludendo all'interessato una  piu'
 favorevole forma di pagamento, consentita soltanto a chi abbia scelto
 il pagamento rateale, indipendentemente dal fatto che quest'ultimo vi
 abbia effettivo inizio all'atto della cessazione.
    Ritiene il collegio che la ratio dell'art. 73, nella parte che qui
 interessa,   debba   ravvisarsi  nella  esigenza  di  pervenire,  nei
 confronti del dipendente che abbia in corso il  pagamento  dell'onere
 di  riscatto  al  momento  della  sua cessazione dal servizio, ad una
 nuova disciplina del  rapporto  obbligatorio  in  essere,  per  nulla
 dipendente o collegata alle precedenti determinazioni accettate dalle
 parti,  al  fine di salvaguardare ad un tempo l'interesse della cassa
 di ottenere quanto le sia dovuto e l'interesse del  pensionato,  che,
 in relazione a tale suo nuovo stato, puo' vedere grandemente limitata
 la  sua  capacita'  di  produzione del reddito e la disponibilita' di
 risorse finanziarie sufficienti per  condurre  la  sua  esistenza  di
 attuare  una  forma di pagamento compatibile con la mutata situazione
 patrimoniale, consentendo una modifica del rapporto in aderenza  alle
 mutate condizioni di fatto.
    In    quest'ottica,    appare    assolutamente    arbitraria    la
 discriminazione  in  relazione  al  tipo  di  scelta  del   pagamento
 effettuata   dal  pensionato  durante  il  rapporto  d'impiego.  Tale
 disciminazione, d'altra parte, e' stata gia' sanzionata  dalla  Corte
 costituzionale  con  la  sentenza  n.  454/1990,  che  ha  dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 27, secondo  comma,  ultimo
 alinea,  della  legge  24  maggio  1952,  n.  670, nella parte in cui
 prevedeva che il contributo relativo a  riscatti  domandati  dopo  la
 cessazione  del  servizio  venisse recuperato mediante ritenuta sulle
 intere prime rate del complessivo  assegno  di  quiescenza  anziche',
 alla  stragua dell'art. 73 del r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, mediante
 riduzione della pensione di una quota vitalizia da calcolarsi in base
 alla tabella B annessa allo stesso r.d.l.
    La  fattispecie  di  cui  si e' occupato il giudice delle leggi e'
 certamente diversa da quella in esame, ma altrettanto  certamente  ha
 in  comune  con  questa il fatto che la discriminazione sanzionata e'
 stata ritenuta sussistente  in  relazione  a  circostanze  tutt'altro
 differenti  da  quelle  ricollegabili  alla  scelta  o  meno  di  una
 piuttosto che  altra  forma  di  pagamento  nel  corso  del  rapporto
 d'impiego.  Non e' stato ritenuto, in sostanza, di significato alcuno
 che l'art. 73 del r.d.l. facesse espresso riferimeno  al  dipendente
 che  avesse  scelto  la  forma  di  pagamento  rateale, rispetto alla
 disparita' di trattamento che ne conseguiva in rapporto al  personale
 comunque  cessato  nella  posizione  di  debitore  del  contributo di
 riscatto.
    Ritiene,  dunque,  il  collegio  che  anche  nel  caso  in   esame
 sussistano  i  medesimi  profili d'incostituzionalita' rilevati dalla
 Corte  costituzionale  nella  decisione  richiamata,   in   relazione
 all'art.  73  del  r.d.l. n. 680/1938, nella parte in cui esclude la
 possibilita'  del  dipendente,  cessato  senza  avere  effettuato  il
 pagamento  dell'onere  del  riscatto e che non sia incorso durante il
 servizio nella decadenza prevista dal  precedente  art.  72,  secondo
 comma,  di  chiedere  all'ente  previdenziale che il contributo venga
 recuperato mediante riduzione della pensione di una  quota  vitalizia
 da  calcolarsi  in base alla tabella B annessa allo stesso r.d.l. Il
 solo   elemento    differenziatore    rispetto    alla    fattispecie
 esplicitamente  prevista  dall'art. 73 e' il modo di pagamento scelto
 dal dipendente durante il servizio. Ma a  questo  elemento  non  puo'
 attribuirsi  decisiva  rilevanza ove si tenga conto sia della portata
 che della ratio della norma denunciata: e cioe', della  sua  indubbia
 novita'  rispetto  alla  precedente  regolamentazione in qualche modo
 pattizia del rapporto contributivo  e  il  fine  riequilibratore  del
 rapporto obbligatorio in relazione delle mutate condizioni di fatto.
   Ne'   su  di  esso  puo'  fondarsi,  soprattutto,  una  ragionevole
 discriminazione. Invero, come ha osservato la  Corte  costituzionale,
 anche  nelle ipotesi di domanda presentata prima della cessazione dal
 servizio da colui che ha scelto poi la  forma  di  pagamento  rateale
 puo'  accadere  che, a quel momento, la domanda non sia stata nemmeno
 accolta o quantomeno che non abbia ancora  inizio  il  pagamento  del
 contributo.  Si  consideri  oltretutto che il dipendente obbligato al
 pagamento dell'intero contributo potrebbe vedere pregiudicate le  sue
 esigenze  di  vita,  dovendo destinare allo scopo tutta o parte della
 pensione   ovvero   rinunciare,   per   effetto   della   difficolta'
 dell'adempimento  in  unica  soluzione,  al  godimento della pensione
 stessa, con grave vulnus dell'art. 36 della Costituzione.
    La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante,  poiche'
 soltanto  dal suo accoglimento puo' discendere, secondo le ragioni in
 precedenza esposte, il riconoscimento del diritto alla pensione fatto
 valerre  dalla  ricorrente,  salvo  che  per   quanto   concerne   la
 irripetibilita' dell'eventuale indebito.
                               P. Q. M.
    La  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale  per  la  regione
 siciliana, riuniti i giudizi ai sensi dell'art. 273 del c.p.c.;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 73 del r.d.l.  3 marzo 1938,
 n. 680, nella parte in cui esclude  la  possibilita'  al  dipendente,
 cessato  senza  avere effettuato il pagamento dell'onere del riscatto
 in unica soluzione e che non sia incorso durante  il  servizio  nella
 decadenza prevista dal precedente art. 72, secondo comma, di chiedere
 all'ente  previdenziale  che  il contributo venga recuperato mediante
 riduzione della pensione di una quota vitalizia da calcolarsi in base
 alla tabella B annessa allo stesso r.d.l.,  per  contrasto  con  gli
 artt. 3 e 36 della Costituzione;
    Dispone  la  sospensione  del  giudizio  in attesa della decisione
 della Corte costituzionale;
    Ordina che a cura della segreteria della sezione gli atti  vengano
 rimessi  alla  Corte  costituzionale e copia della presente ordinanza
 venga notificata  alle  parti  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e  comunicata  ai  Presidenti del Senato della Repubblica e
 della Camera dei deputati.
    Cosi' provveduto in Palermo, nella camera  del  consiglio  del  26
 gennaio 1933.
                       Il presidente: CORAZZINI
    Depositata oggi in segreteria nei modi di legge.
      Palermo, addi' 3 maggio 1993
                 Il direttore della segreteria: BADAME

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