N. 549 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 aprile 1993

                                N. 549
    Ordinanza emessa il 14 aprile 1993 dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale militare di La Spezia nel
 procedimento penale a carico di Fiocco Antonio.
 Reati militari - Deterioramento colposo di beni mobili appartenenti
    all'amministrazione  militare  -  Eccessiva  afflittivita'   della
    prevista    reclusione   militare   -   Ingiustificato   deteriore
    trattamento del militare rispetto agli altri cittadini per i quali
    il reato di danneggiamento colposo non e' penalmente sanzionato.
 (C.P.M.P., artt. 169 e 170).
 (Cost., art. 3).
(GU n.39 del 22-9-1993 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Il giudice per le indagini preliminari ha pronunciato la  seguente
 ordinanza  nel  procedimento  n.  610/92  r.g.i.p.  nei confronti di:
 Fiocco Antonio, nato a Catania  il  7  novembre  1972,  imputato  di:
 "deterioramento colposo di cose mobili militari" (artt. 169 e 170 del
 c.p.m.p.).
    All'odierna  udienza  in  camera  di  consiglio,  su eccezione del
 pubblico ministero il giudice ha sollevato questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art. 170 in relazione all'art. 169 del c.p.m.p.,
 in quanto prevede la punibilita' per fatto colposo della  fattispecie
 di deterioramento di cose mobili militari.
    L'eccezione   appare   rilevante,   in   quanto  -  se  accolta  -
 determinerebbe il proscioglimento dell'imputato, previo rigetto della
 richiesta avanzata di applicazione della pena ai  sensi  degli  artt.
 444  e 447 del c.p.p., e non manifestamente infondata, avuto riguardo
 al principio costituzionale di uguaglianza espresso dall'art. 3 della
 Costituzione.
    Il fatto posto all'esame  di  questo  giudice  e'  costituito  dal
 deterioramento  prodotto  per colpa dal militare Fiocco Antonio di un
 bene  mobile  (un  materasso)  di   proprieta'   dell'amministrazione
 militare,   inavvertitamente  incendiato  dall'imputato  in  una  sua
 porzione (bruciatura di forma circolare del diametro di  circa  30/40
 cm).
    Avendo il comandante di corpo ritualmente proposto la richiesta di
 procedimento  a  norma  dell'art.  260  del  c.p.m.p.,  il  fatto  e'
 procedibile anche se di natura colposa ed anche se risulta  di  tenue
 valore il danno arrecato (artt. 170 e 171 del c.p.m.p.).
    A  parere  di  questo  giudice,  due  sono  i  profili di sospetta
 incostituzionalita' che emergono dalla analisi della norma impugnata,
 anche se detti profili  attengono  entrambi  ad  un  unico  principio
 costituzionale: il principio di uguaglianza. Il primo profilo attiene
 alla  disparita' di trattamento rispetto al diritto penale comune che
 prevede la punibilita' del reato  di  danneggiamento  soltanto  nella
 forma   dolosa.   Il   secondo   attiene   al   criterio  c.d.  della
 ragionevolezza  della  disciplina  impugnata,  laddove  essa  appare,
 nell'attuale  momento  storico,  manifestamente  illogica ed ingiusta
 penalizzando oltre misura i cittadini appartenenti alle forze armate.
    La disciplina speciale dettata dal codice penale militare di  pace
 per  questa  figura  di reato e' improntata - come del resto e' anche
 per quasi tutte le disposizioni di tale codice - ad un maggior rigore
 rispetto alla disciplina corrispondente del  diritto  penale  comune,
 maggior  rigore peraltro, cosi' diffuso nel diritto penale militare e
 talora  tanto  rilevante  nella  sua   sproporzione   e   nella   sua
 irragionevolezza,  da  aver provocato numerosi interventi riformatori
 della Corte costituzionale. Bastera' ricordare, in proposito, tra  le
 tante,  le  ben note sentenze in tema di insubordinazione ed abuso di
 autorita' e, in tempi piu' recenti le sentenze n. 49 del  9  febbraio
 1989 (che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 90,
 primo  comma,  n. 4, del c.p.m.p.) e la n. 2 dell'8 gennaio 1991 (che
 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  233,  primo
 comma, n. 1, del c.p.m.p.).
    Nel  caso all'esame di questo giudice, il rigore cui e' improntata
 la disciplina del reato di deterioramenteo  colposo  di  cose  mobili
 militari   appare   idoneo   a   violare  duplicemente  il  principio
 costituzionale di uguaglianza. Innanzitutto perche' assoggetta ad  un
 trattamento  deteriore  gli  appartenenti  alle forze armate rispetto
 agli altri cittadini (e, segnatamente, rispetto agli  altri  pubblici
 dipendenti  non militari) i quali non rispondono per il fatto colposo
 di  danneggiamento  di  cose  mobili  di  proprieta'  della  pubblica
 amministrazione in  generale  e  della  amministrazione  militare  in
 particolare.  E  in secondo luogo perche' tale tutela penale (sebbene
 "filtrata dalla condizione  di  procedibilita'  della  richiesta  del
 comandante di corpo ex art. 260 del c.p.m.p.) si estende financo alla
 punibilita'  del  fatto  colposo di un danneggiamento di una qualsisi
 cosa mobile (che potrebbe essere - in ipotesi - persino un oggetto di
 scarsissimo od insignificante valore come una penna o un registro), e
 per tale motivo, viene a realizzare una  eccessiva  salvaguardia  del
 patrimonio  della  amministrazione  militare che, proprio perche' non
 appare  allo  stesso  modo  tutelato  nei  confronti  dei   possibili
 danneggiamenti  colposi  degli  altri  pubblici dipendenti civili, si
 traduce  in  una  disciplina   normativa   ingiusta   e   palesemente
 irrazionale,  sotto  tale  aspetto  censurabile alla stregua del c.d.
 criterio della ragionevolezza.
    Per quanto attiene al primo motivo di ricorso va evidenziato  come
 la  disciplina  di  diritto  penale  comune (a differenza del diritto
 penale militare) non preveda  la  punibilita'  del  deterioramento  o
 danneggiamento  per  colpa  di  cose  mobili  altrui  neppure  se  di
 proprieta' della pubblica  amministrazione.  La  norma  generale  sul
 reato di danneggiamento (quella di cui all'art. 635 del c.p.) prevede
 solo  la forma dolosa e, per il deterioramento di beni pubblici, pone
 come unica differenza rispetto alla ipotesi base, un aggravamento  di
 pena e la procedibilita' d'ufficio.
    Risulta  con tutta evidenza la disparita' di trattamento fra i due
 ordinamenti:  nel  diritto  penale  comune  il  fatto   colposo   non
 costituisce reato, nel diritto penale militare si.
    La  sostanziale  e  pratica  ingiustizia che ne deriva e' posta in
 risalto dalle svariate situazioni che possono aversi  nella  pratica.
 Si  ponga  mente,  ad esempio, alle seguenti situazioni concretamente
 realizzabili: un operaio civile della Difesa che, per mero errore  di
 manovra,  provoca  l'abbattimento  di una enorme mancina o di una gru
 porta carichi del  valore  di  centinaia  di  milioni,  non  risponde
 penalmente   di   tale   condotta.  Al  contrario  un  militare  che,
 inavvertitamente per disattenzione, faccia cadere e  danneggi  in  un
 ufficio  un  lume da tavolo del valore di poche migliaia di lire puo'
 rispondere penalmente se il suo comandante di corpo ne fa  richiesta.
 Ancora:  due  autisti, l'uno dipendente civile della Difesa e l'altro
 militare,   rimangono   coinvolti   in   due    distinti    incidenti
 automobilistici  mentre  sono  entrambi  alla  guida  di un automezzo
 militare. Ebbene, mentre per l'autista civile non si prospetta alcuna
 conseguenza sul piano penale, per l'autista militare si  instaura  un
 procedimento  penale  per  il  reato  di cui agli artt. 169 e 170 del
 c.p.m.p. che puo' concludersi con una condanna se  il  comandante  di
 corpo avanza richiesta di procedimento. Ed, infine, per rimanere alla
 questione  concreta  che ci occupa, si pensi soltanto all'ipotesi che
 la  bruciatura  sul  materasso  fosse  stata  provocata   per   colpa
 (imprudenza)  da  un  civile  addetto  alle  pulizie del comprensorio
 militare. In tale caso non sarebbe neppure iniziato  il  procedimento
 penale,  mentre  nel  nostro  caso  si  e'  verificato esattamente il
 contrario con una evidente disparita' di trattamento. Ma  la  lesione
 del  principio  di  uguaglianza  appare  prospettarsi, come s'e' gia'
 detto,  anche  sotto  un  altro  aspetto  e,  cioe',   quello   della
 ragionevolezza.
    La  norma  incriminatrice  di cui si argomenta intende tutelare il
 patrimonio dello Stato - e segnatamente quello della  amministrazione
 della  difesa  -  anche  riguardo  a fatti di natura colposa ed anche
 riguardo  a  fatti  di  scarsissimo  rilievo   (sia   economico   che
 amministrativo)  quali  il  deterioramento di cose mobili (militari).
 Orbene, poiche' il medesimo patrimonio pubblico  dell'amministrazione
 della  Difesa  non  e' tutelato nella stessa misura a fronte di fatti
 (colposi) posti  in  essere  da  altri  pubblici  dipendenti  civili,
 impiegati  nella  medesima  amministrazione  (si  pensi al caso - che
 costi tuisce la regola nell'amministrazione della Difesa, e non certo
 l'eccezione - di civili e militari che operano nello stesso servizio,
 come  puo'  essere  il  caso,  esistente  persino  in  questo  stesso
 tribunale  militare,  di un autista civile e di uno militare che sono
 impiegati sugli stessi automezzi), se ne deve dedurre che con  queste
 norme  il  patrimonio  dello  Stato non e' tutelato in quanto tale in
 modo razionale, bensi' irragionevolmente, al solo scopo di gravare di
 una maggior responsabilita' i pubblici dipendenti  appartenenti  alle
 forze armate in quanto militari.
    Per   tale  motivo,  puo'  affermarsi  che  il  rigore  di  questa
 disciplina e' tale da tradursi in  una  irragionevolezza  che  appare
 rilevante  sotto  il  profilo  costituzionale  in  quanto  lesivo del
 principio  di  uguaglianza.  A  prescindere,  infatti,  dalla   sopra
 evidenziata  disparita'  di  trattamento, si verifica in concreto una
 situazione di evidente illogicita' laddove i medesimi  beni  pubblici
 oggetto  di tutela sono salvaguardati non in base a criteri oggettivi
 e razionali  quali  potrebbero  essere  il  valore  economico,  o  la
 speciale  funzione  degli  oggetti  stessi  ovvero il maggior o minor
 grado di responsabilita' o l'incarico del soggetto attivo - (si pensi
 alla  colpa  grave,  per  imprudenza,  nel   danneggiamento   di   un
 costosissimo  ed  importante  strumento od arma) - bensi' in funzione
 soltanto dell'essere o meno militare.
    In definitiva, i  suesposti  rilievi  inducono  questo  giudice  a
 dubitare della legittimita' costituzionale della disciplina normativa
 di  cui  agli  artt.  169  e  170  del  c.p.m.p. in quanto prevede la
 sanzionabilita' penale dei fatti colposi di  deterioramento  di  cose
 mobili militari per gli appartenenti alle forze armate.
                               P. Q. M.
    Ritenuto    che    il   giudizio   non   possa   essere   definito
 indipendentemente  dalla  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dianzi prospettata;
    Visti  gli  artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n.
 1, 24 della legge 11 marzo 1953, n. 87, 169 e 170 del  c.p.m.p.  e  3
 della Costituzione;
    Sospende  il procedimento e dispone l'immediata trasmissione degli
 atti alla Corte costituzionale;
    Dispone che la presente ordinanza  sia  notificata  a  cura  della
 cancelleria   alle  parti  in  causa,  al  pubblico  ministero  e  al
 Presidente del Consiglio dei  Ministri  e  comunicato  ai  Presidenti
 delle due Camere del Parlamento.
      La Spezia, addi' 14 aprile 1993.
           Il giudice per le indagini preliminari: DE PAOLIS
                          Il collaboratore di cancelleria: PATERNOSTER
    Depositato in cancelleria il 19 aprile 1993.
             Il collaboratore di cancelleria: PATERNOSTER

 93C0935