N. 552 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 aprile 1993
N. 552 Ordinanza emessa il 7 aprile 1993 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Pastore Cosimo. Mafia - Provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa - Possesso ingiustificato di beni di valore sproporzionato alla attivita' svolta o ai redditi dichiarati - Configurazione di tale condotta come reato proprio richiedendosi per il soggetto attivo la qualifica di indagato per determinati reati o di soggetto nei cui confronti si proceda per l'applicazione di una misura di prevenzione - Irragionevolezza in considerazione della non definitivita' delle suddette qualifiche - Violazione del diritto di difesa, incombendo l'onere della prova a carico del soggetto anziche' dell'accusa - Lesione dei principi della presunzione di innocenza e dell'irretroattivita' della legge penale - Richiamo alla sentenza n. 110/1968. (Legge 7 agosto 1992, n. 356, art. 12-quinquies, secondo comma, e successive modifiche; d.l. 21 gennaio 1993, n. 14, art. 5 e d.l. 23 marzo 1993, n. 73, art. 5). (Cost., artt. 3, 24, 25 e 27).(GU n.39 del 22-9-1993 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Pastore Cosimo, nato in Carosino l'11 giugno 1931 avverso la ordinanza del tribunale di Taranto (riesame) in data 5 dicembre 1992; Sentita la relazione fatta dal consigliere dott. G. Buogo; Udite le conclusioni del p.m. dott. Massimo Carli con le quali eccepisce la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge 7 agosto 1992, n. 356, in relazione agli artt. 3, 24, 25 e 27 della Costituzione, chiede la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; F A T T O Con decreto dell'11 novembre 1992 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto ha disposto il sequestro preventivo, in danno di Pastore Cosimo, di un certificato vincolato Mediobanca, al portatore, denominato Cosimo, dell'importo apparente attuale di L. 413.010.246, con vincolo di ventiquattro mesi, contraddistinto dal numero 2228623, acceso in data 11 giugno 1985 presso la Banca di Roma, agenzia n. 4 di Taranto. La misura coercitiva reale e' stata disposta perche' il g.i.p. ha ritenuto che il Pastore abbia disponibilita' di ingenti somme di denaro depositate presso vari istituti di credito, fra cui il predetto certificato, assolutamente sproporzionate al reddito dichiarato dal medesimo ai fini delle imposte sul reddito ed alla attivita' di piccolo imprenditore vitivinicolo esercitata, come accertato dalla guardia di finanza; il tutto in relazione alle indagini preliminari svolte nei confronti del suddetto Pastore per il reato di usura (art. 644 del c.p.) e per quello di cui all'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge 7 agosto 1992, n. 356, in esito alla quale ultimo, che prevede la confisca, e' stata disposta la cautela reale ai sensi dell'art. 321, secondo comma, del c.p.p., nel caso in questione. Avvero il provvedimento del g.i.p. veniva, dai difensori, avanzata richiesta di riesame ed il tribunale di Taranto, con ordinanza del 5 dicembre 1992 confermava il sequestro preventivo del suindicato titolo. Se ne dolgono con ricorso i difensori i quali lamentano la violazione dell'art. 2 del c.p., l'erronea interpretazione dell'ar. 5 del d.l. 20 novembre 1992, n. 450, nonche' dell'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge n. 356/1992 per vizio della motivazione. D I R I T T O Come gia' rilevato dalla seconda sezione di questa suprema Corte in occasione di altri tre ricorsi avanzati dal medesimo Pastore per identici fatti concernenti altri titoli sequestratigli, nonche' da questa stessa sezione (c.c. 22 febbraio 1993 ric. Mezzatesta Francesco Paolo + 3) pregiudiziale ad ogni questione sollevata col ricorso in esame e' l'indagine sulla costituzionalita' dell'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge 7 agosto 1992, n. 356, ossia della norma incriminatrice che, fra l'altro, prevede la confiscabilita' di beni o valori, cui e' funzionale il disposto sequestro preventivo, sicche' non puo' essere disconosciuta la rilevanza ai fini della risoluzione del dubbio di costituzinalita'. E le perplessita' gia' insorte nei giudizi di quei collegi sono condivise da questa Sezione per i dubbi che si evidenziano sulla conformita' delle predette norme a talune delle garanzie apprestate per i cittadini della Costituzione. L'art. 12-quinquies introdotto con la legge 7 agosto 1992, n. 356, di conversione del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, ancorche' sia stato successivamente modificato con i dd.ll. 21 gennaio 1993, n. 14 e 23 marzo 1993, n. 73 (art. 5), prevede, come ipotesi di illecito penale, il possesso o la disponibilita' ingiustificata di denaro, beni, od altre utilita' di valore sproporzionato al reddito dichiarato od all'attivita' economica esercitata da soggetto nei cui confronti sia pendente (secondo i dd.ll. sopraindicati) procedimento penale per una serie di delitti o per la applicazione di una misura di prevenzione personale, in tal modo configurando un reato "proprio" nel quale soggetto attivo e' chiunque si venga a trovare nella particolare posizione personale di imputato od anche solo di indagato (come nel caso in esame) per alcuni fatti illeciti che si ritiene siano stati commessi dallo stesso sulla base di elementi indizianti ancora non sottoposti alla verifica del giudice circa la loro effettiva sussistenza e la loro riferibilita' al soggetto, la cui responsabilita' in relazione ai fatti che gli addebitano in ogni caso non si e' accertata con sentenza definitiva nel momento nel quale sorge il sospetto e si consolida la condotta descritta come illecita che viene ancorata, da un lato, ad una situazione personale che potrebbe anche vanificarsi nel corso del procedimento ma che, anche in tale caso non varra', pur se dichiarato innocente il soggetto dal reato la cui presunta commissione ha dato luogo a sospetto, a fare venire meno il presupposto relativo alla situazione soggettiva iniziale richiesta prima per l'inizio dell'indagine e successivamente per l'esercizio dell'azione penale, e, dall'altro, come unico parametro oggettivo sul quale fondare un giudizio di responsabilita', in sproporzione tra il valore delle disponibilita' e il reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, richiedendosi allo stesso soggetto di fornire le prove della provenienza legittima dei beni. Come ha gia' evidenziato questa stessa sezione, al fine di rendere ragione dei motivi per i quali devesi dubitare delle conformita' della norma alla Costituzione, pare opportuno ricordare che la Corte costituzionale con sentenza n. 11/1968, nel dichiarare la illegittimita' costituzionale dell'art. 708 del c.p. la' dove annoverava tra i possibili soggetti attivi del reato i condannati per mendicita', ammoniti, sottoposti a misura di sicurezza od a cauzione di buona condotta, e nel respingere i dubbi di costituzionalita' riferiti alla posizione di colui nei cui confronti era stata accertata la definitiva colpevolezza per i reati contro il patrimonio e che in tale situazione si trovasse al momento della condotta che ingenerava sospetto, osservo', in relazione a questi ultimi soggetti, che l'art. 708 sfuggiva ai rilievi di incostituzionalita' sotto il profilo della violazione dei principi di uguaglianza fra i cittadini e di ragionevolezza, della violazione della riserva di legge in materia penale, delle non presunzione di colpevolezza e delle funzione rieducativa della pena (artt. 3, 25, secondo comma, e 27, secondo e terzo comma, della Costituzione). Cio' in quanto, essendo il reato annoverato fra le contravvenzioni di polizia dirette alla prevenzione dei delitti contro il patrimonio, la norma trova il suo fondamento logico in quelle situazioni soggettive nelle quali l'agente abbia dei precedenti penali specifici relativi a reati contro il patrimonio, conseguendone che lo stato dello stesso, concretantesi nel rapporto intercorrente tra una situazione oggettiva, quale il possesso dei beni, in uno con la particolare condizione soggettiva di persona della quale si e' gia' giudiziariamente accertata la responsabilita' per fatti pregressi in danno del patrimonio, e la sua condotta di vita, legittima il sospetto in ordine alla dubbia legittimita' delle modalita' di acquisizione dei beni nel suo attuale possesso, non confacenti alle personali e dimostrabili disponibilita' economiche e, conseguentemente, il diverso trattamento rispetto a coloro che in tale stato non versino, escludendosi per tale ragione il contrasto della disposizione con l'art. 3 della Costituzione. Va rilevato come debba escludersi che la norma, nel richiedere la giustificazione del possesso ed imporre la prova, richieda l'elemento della coscienza e della volontarieta' dell'azione, bastando nei reati contravvenzionali (salvo eccezione) la semplice colpa. La suddetta disposizione venne invece dichiarata incostituzionale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui si indicavano tra i possibili soggetti attivi del reato anche quelli rientranti nelle altre categorie in esse elencate proprio per il difetto in essi dello stato come sopra inteso. Cio' premesso, rileva questo collegio che le osservazioni della Corte costituzionale formulata in quella sentenza siano riferibili alla previsione della norma incriminatrice di cui all'art. 12-quinquies della legge 7 agosto 1992, n. 356. Nella ipotesi che qui' interessa non e' contestabile l'assenza di uno stato del possibile soggetto attivo del reato proprio che lo diversifichi da chiunque altro si trovi nella medesima situazione oggettiva rispetto ai beni dei quali abbia la disponibilita', beni - cioe' - che siano sproporzionati rispetto al reddito dichiarato o alla attivita' economica propria del soggetto, richiedendosi solo al primo la giustificazione della loro legittima provenienza. Non varrebbe obiettare la diversa condizione soggettiva dell'uno rispetto agli altri, determinata dalla pendenza di un procedimento penale per determinati reati a carico dell'uno, non essendo equiparabile tale circostanza al pregresso accertamento giudiziale di responsabilita', giustificativa di una presunzione di sospetto in ordine alla liceita' del possesso. Infatti la condizione di indagato o di imputato non puo' autorizzare una tale presunzione, essendo essa ancora sub iudice, sicche' resta indifferente rispetto all'ordinamento se non per le misure provvisorie cautelari, personali o reali, la cui necessita' possa ravvisarsi nel procedimento. Devesi, inoltre, osservare che la previsione incriminatrice in esame si rivolge indiscriminatamente a tutti coloro che verranno eventualmente a trovarsi quali indagati o imputati, e quindi per il verificarsi di una condizione futura, incerta ed imprevedibile, derivandone che il soggetto non e' posto nella possibilita' di evitare il realizzarsi della situazione oggettiva che varra' ad integrare la condotta illecita e quindi l'elemento oggettivo del reato (il possesso dei beni), in relazione al quale, essendo esso previsto come delitto, non potranno valere le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale a proposito dell'art. 708 del c.p. Ancora va aggiunto che, coincidendo il momento iniziale della condotta (possesso dei beni) con quello del presupposto di fatto costituente elemento costitutivo del reato (assunzione da parte del soggetto della qualita' di indagato in relazione a un reato diverso), non sembra contestabile che con la disposizione in questione si viene a criminalizzare un fatto (acquisizione della disponibilita' dei beni) antecedentemente commesso e in quel momento non costituente reato, almeno in via di presunzione, nell'assenza di un qualsiasi precetto che imponga particolari cautele per colui che agisce non rientrando in categorie considerate sospette, ponendosi inammissibilmente a carico del soggetto stesso l'onere di una prova che deve invece incombere sull'accusa, in violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Diversamente si verifica invece per le ipotesi previsti dall'art. 708 del c.p. nella quale il momento della sorpresa in flagrante possesso altro non costituisce che quello dell'accertamento di una condotta presuntivamente illecita, certamente anche essa antecedente, ma successiva alla insorgenza del presupposto riferentesi alla condizione personale dell'agente (condanna per reati contro il patrimonio) legittimante il sospetto circa le modalita' di acquisizione del possesso stesso, giustificandosi per tale ragione, come da questa Corte costantemente ritenuto, sin dal momento stesso dell'acquisizione la pretesa dello Stato ed una immediata attendibile spiegazione della provenienza delle cose.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, di cui agli artt. 5 dei dd.ll. 21 gennaio 1993, n. 14 e 23 marzo 1993, n. 73, in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma, 25 e 27, secondo e terzo comma, della Costituzionale, propota dal p.g.; Sospende il procedimento in corso e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, addi' 7 aprile 1993 Il presidente: FRANCO Il consigliere estensore: BUOGO 93C0941