N. 51 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 ottobre 1992
N. 51 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria l'11 settembre 1993 (della regione Lombardia). Sanita' pubblica - Riordinamento degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, in base a delega conferita con l'art. 1, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 - Previsione della disciplina del riconoscimento e della revoca nonche' delle attribuzioni e della composizione dei consigli di amministrazione dei predetti istituti mediante emanando regolamento governativo sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni per il riconoscimento e la revoca, e, d'intesa con la stessa, negli altri casi - Previsione della adozione dei provvedimenti in caso di mancata intesa entro sessanta giorni dalla ricezione della richiesta - Illegittima eslcusione della intesa con la singola regione interessata come invece previsto dalla previgente normativa - Sottrazione alla regione dei controlli su enti il cui costo grava sul bilancio della stessa - Violazione del principio di leale cooperazione - Eccesso di delega. (D.Lgs. 30 giugno 1993, n. 269, artt. 1, 2, 3, 6, quinto e sesto comma, 7, settimo comma, e 8). (Cost., artt. 117 e 118).(GU n.40 del 29-9-1993 )
Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale Fiorinda Ghilardotti, autorizzata con delibera della giunta regionale n. 40749 del 5 agosto 1993, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliata presso quest'ultimo in Roma, largo della Gancia, 1, come da delega in calce al presente atto contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 6, quinto comma, 7, settimo comma, e 8 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 269, recante "riordinamento degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell'art. 1, primo comma, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del 3 agosto 1993. L'art. 1, primo comma, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 ("Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale"), allo scopo fra l'altro di "rendere piene ed effettive le funzioni che vengono trasferite alle regioni e alle province autonome", ha delegato il Governo ad emanare, oltre alla normativa di riforma del Ministero della sanita', una disciplina volta al riordino, tra gli altri, degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. In attuazione di tale delega e' stato emanato il decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 269. Peraltro, anziche' essere volto a "rendere piene ed effettive le funzioni che vengono trasferite alle regioni", il decreto realizza un processo di riaccentramento e di sottrazione alle regioni di potesta' loro spettanti, e gia' loro trasferite, in materia di istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Varie disposizioni di detto decreto legislativo risultano pertanto lesive dell'autonomia regionale, e dunque in contrasto con quanto disposto dagli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonche' in contrasto con i criteri della delega e percio' con l'art. 76 della Costituzione. Il risultato complessivo della disciplina in questione e' in effetti quello di trasformare in organismi di pertinenza esclusivamente statale istituti che pure hanno, accanto a "finalita' di ricerca nel campo biomedico", altrettanto essenziali finalita' di fornitura di "prestazioni di ricovero e cura" (art. 1, primo comma), nell'ambito del servizio sanitario, venendo a tale scopo finanziati dalle regioni (art. 6, quinto comma). E' da ricordare che nel sistema normativo fondato sulla riforma sanitaria del 1978 gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico sono disciplinati tenendo esplicitamente conto della natura di tali istituti qualificati come enti che gestiscono presidi di ricovero e cura, inseriti, spesso in posizione assai rilevante, nell'ambito del sistema sanitario nazionale, e insieme svolgono attivita' di ricerca scientifica nel campo biomedico (art. 42, primo comma, della legge n. 833/1978). In tale sistema, il riconoscimento del carattere scientifico era disposto bensi' con atto ministeriale, ma sentita la regione interessata e sentito il Consiglio sanitario nazionale, composto principalmente dai rappresentanti delle regioni (art. 42, secondo comma, e art. 8, quarto comma, lett. i), della legge n. 833/1978). Detti istituti, per la parte assistenziale, sono "considerati presidi ospedalieri multizonali delle unita' sanitarie locali nel cui territorio sono ubicati" (art. 42, terzo comma, stessa legge); onde nei loro confronti, sempre per la parte assistenziale, spettano alle regioni "le funzioni che esse esercitano nei confronti dei presidi ospedalieri delle unita' sanitarie locali o delle case di cura pri- vate a seconda che si tratti di istituti aventi personalita' giuridica di diritto pubblico o di istituti aventi personalita' giuridica di diritto privato", mentre continuano ad essere esercitate dallo Stato "le funzioni attinenti al regime giuridico-amministrativo degli istituti" (art. 42, quarto comma, stessa legge). Il controllo sugli atti degli istituti, per quanto attinente alle attivita' assistenziali, era disciplinato in conformita' al controllo sulle uu.ss.ll. (art. 42, sesto comma, stessa legge). Nella composizione degli organi di amministrazione degli istituti era presente la rappresentanza delle regioni e delle unita' sanitarie locali competenti per territorio (art. 42, settimo comma, lett. a), stessa legge). Tale disciplina veniva attuata e specificata dalle disposizioni del d.P.R. 31 luglio 1980, n. 617, il quale prevedeva, fra l'altro, la presenza di rappresentanti regionali nel consiglio di amministrazione (art. 3, n. 6), il parere della regione interessata sul provvedimento di scioglimento del consiglio di amministrazione (art. 6, primo comma); la presenza di un collegio di revisori di tre membri, dei quali uno funzionario della regione in cui ha sede l'istituto (art. 8). Per avere un'idea della rilevanza pratica che hanno in una regione come la Lombardia le attivita' di ricovero e cura svolte da istituti riconosciuti a carattere scientifico, bastera' ricordare che in essa operano ben 13 istituti di tal genere, di cui 8 privati, e che essi contano circa 5.000 posti letto, pari al 10% del totale dei posti letto della regione (case di cura comprese); a Milano essi contano oltre 2.700 letti, pari a quasi un terzo del totale dei posti letto della citta'. Ora il decreto n. 269 del 1993, lungi dal rafforzare e completare la competenza delle regioni - secondo la direttiva contenuta nella delega - trasforma profondamente il regime giuridico degli istituti. Gia' l'art. 1, primo comma, nel definire la natura e le finalita' degli istituti, adotta una significativa inversione di termini: non piu' istituti che "insieme a prestazioni sanitarie di ricovero e cura svolgono specifiche attivita' di ricerca scientifica biomedica" (art. 42, primo comma, della legge n. 833/1978), bensi' enti che "perseguono finalita' di ricerca nel campo biomedico ed in quello della organizzazione e gestione dei servizi sanitari, insieme con prestazioni di ricovero e cura". Soprattutto compaiono per la prima volta, accanto alle tradizionali finalita' di ricerca nel campo biomedico, imprecisate finalita' di ricerca "nel campo dell'organizzazione e gestione dei servizi sanitari". Poiche' pero' la ricerca in questo campo (che attiene alle disci- pline economiche, aziendali, di scienza dell'organizzazione) non presenta nessuna connessione funzionale con le attivita' di ricovero e cura (ne' alcuna rispondenza pratica nell'attivita' di fatto svolta da detti istituti), ne deriva che tale inopinata estensione dei fini degli istituti appare diretta piu' che altro a giustificare un ampliamento della ingerenza degli organi dello Stato nello svolgimento delle attivita' assistenziali da essi rese. Lo stesso art. 1 del decreto, al terzo comma, stabilisce che "le strutture ed i presidi ospedalieri degli istituti sono qualificati ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione e assoggettati alla disciplina per questi prevista, compatibilmente con le finalita' peculiari di ciascun istituto". Non solo dunque si conferma la qualifica di diritto di detti ospedali come presidi del servizio sanitario nazionale, ma addirittura si conferisce ad essi (pubblici o privati che siano), e sempre di diritto, la qualifica di "ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione", che comporta, secondo l'art. 1, primo comma, lett. n), della legge n. 421/1992, e l'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992, la piena autonomia e soprattutto una modalita' di finanziamento, a carico dei fondi per il servizio sanitario nazionale, che assicuri la copertura almeno parziale dei costi complessivi della struttura anziche' la semplice corresponsione dei compensi per i ricoveri effettuati (col sistema delle rette) o per le prestazioni effettuate (cfr. art. 4, settimo comma, del d.lgs. n. 502/1992). In tal modo si incide a fondo sulla programmazione regionale della sanita' e sull'impiego dei fondi che la regione destina al servizio sanitario, vincolandola a utilizzare e finanziare istituti sul cui riconoscimento e sulla cui organizzazione e gestione la regione stessa viene a perdere ogni possibilita' di influenza. Peraltro la parificazione di diritto dei presidi ospedalieri degli istituti a carattere scientifico agli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione, con il connesso regime, non appare conforme ai criteri di cui all'art. 1, primo comma, lett. n), della legge n. 421/1992, e all'art. 4, secondo comma, del d.lgs. n. 502/1992 (ove si specificano i requisiti degli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione), come intesi e integrati dalla sentenza n. 355/93 di questa Corte. In tale sentenza si sottolinea che la legge di delega "ha inteso creare un sistema chiuso per gli ospedali di rilievo nazionale, nel senso che di questi ultimi ha individuato precisamente la tipologia": e pertanto la Corte ha dichiarato illegittime le disposizioni dell'art. 4, terzo comma, del d.lgs. n. 502/1993 che prevedevano l'attribuzione di tale qualifica anche agli ospedali nei quali insiste la prevalenza del percorso formativo del triennio clinico della facolta' di medicina nonche', a richiesta delle universita', ai presidi ospedalieri operanti in strutture di pertinenza delle universita' stesse. Per le stesse ragioni deve dirsi illegittima l'attribuzione de jure, contenuta nell'art. 1, terzo comma, del d.lgs. n. 269/1993, della qualifica di ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione ai presidi ospedalieri degli istituti a carattere scientifico, indipendentemente dal possesso dei requisiti specifici previsti per tale qualificazione. L'entita' della sottrazione di poteri alle regioni puo' essere ancora meglio apprezzata considerando le competenze disciplinate dal decreto legislativo n. 269/1993 in tema di riconoscimento del carattere scientifico agli istituti in questione. L'art. 2, primo comma, lett. a), prevede che tale riconoscimento, nonche' la relativa revoca, siano di competenza esclusiva del Ministro della sanita': mentre l'art. 28, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, stabiliva che il riconoscimento del carattere scientifico degli istituti di ricovero e cura fosse effettuato dallo Stato "sentite le regioni interessate", e allo stesso modo prevedeva l'art. 42, secondo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833. E' ben vero che il secondo comma dello stesso art. 1 del decreto n. 269/1993 esige che il provvedimento di riconoscimento (o di revoca) sia emanato sentito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome (oltre a quelli del Ministro del tesoro e del Ministro dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica); ma e' altrettanto vero che tale parere non puo' in alcun modo essere considerato equivalente al parere o all'intesa della singola regione interessata, sul territorio della quale verra' a svolgersi l'attivita' dell'istituto. Il rapporto di "strumentalita'" degli istituti - che in sostanza assumono la veste di enti gestori di presidi di ricovero e cura del Servizio sanitario nazionale, non diversamente dalle USL e dalle aziende ospedaliere - si pone infatti con riguardo alla regione interessata, nel cui ambito l'istituto opera, e non con riguardo all'"insieme" delle regioni rappresentate nella conferenza: tanto piu' se si considera che, ai sensi dell'art. 6 quinto comma, del decreto in questione, proprio e solo dalla regione competente per territorio dovra' essere finanziata l'attivita' di assistenza sanitaria svolta dall'istituto. Per di piu', secondo l'art. 2, terzo comma, lettere a), b) e c), del decreto in esame, i criteri generali e le procedure per il riconoscimento degli istituti, nonche' le norme per la revisione dei riconoscimenti gia' concessi, dovranno essere disciplinati con regolamento statale, soltanto "sentita" la conferenza per i rapporti tra Stato e regioni. Se si tiene presente che i presidi di ricovero e cura degli istituti a carattere scientifico sono considerati di diritto presidi multizonali del servizio sanitario nazionale (art. 42, terzo comma, della legge n. 833/1978, e art. 1, terzo comma, del d.lgs. n. 269/1993) risulta chiaro che il riconoscimento di un nuovo istituto - di natura pubblica o di natura privata - non si esaurisce nell'inserimento dell'ente fra quelli abilitati ufficialmente a svolgere attivita' di ricerca, ma ha anzitutto e soprattutto la portata di un provvedimento che incide sulla programmazione sanitaria della regione interessata, e precisamente sul sistema dei presidi ospedalieri, che costituiscono come e' noto le strutture piu' consistenti, piu' rilevanti e piu' costose del sistema sanitario. Anche la previsione dell'affidamento in esclusiva al Ministro della sanita' della funzione di controllo sull'attivita' degli istituti - senza alcuna distinzione riguardo al tipo di attivita' messa in opera - non si sottrae alle censure di violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione. Bisogna ricordare che l'art. 28, quarto comma, del d.P.R. n. 616/1977 aveva stabilito che il controllo sulle deliberazioni degli istituti aventi personalita' giuridica di diritto pubblico doveva essere esercitato dalla regione nel cui territorio l'istituto aveva sede. A sua volta, l'art. 42, sesto comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, aveva precisato che il controllo sulle deliberazioni degli istituti aventi personalita' giuridica di diritto pubblico, per quanto attenesse alle attivita' assistenziali, doveva essere esercitato dai comitati regionali di controllo integrati da un esperto in materia sanitaria designato dal consiglio regionale. Successivamente, il d.P.R. 31 luglio 1980, n. 617, aveva conservato alle regioni sedi dei presidi ospedalieri e di ricerca degli istituti di diritto pubblico di carattere scientifico, il controllo per la parte assistenziale, secondo quanto gia' disposto dall'art. 42 della legge n. 833/1978 cit.; e per la parte non assistenziale dell'attivita' svolta dagli istituti aveva ulteriormente distinto fra vari tipi di attivita' e deliberazioni, mantenendo comunque in capo alle regioni - ed autorizzandole a disciplinare la materia con apposita legge - il controllo sulle deliberazioni concernenti l'assunzione e il trattamento economico del personale, la stipulazione di contratti di ricerca e l'istituzione di borse di studio, le alienazioni e gli acquisti immobiliari, le transazioni (al Ministero della sanita' veniva invece affidato il controllo sulle delibere in tema di modificazioni statutarie, adozione e modificazioni del regolamento organico del personale o della relativa pianta organica, approvazione di bilanci e consuntivi, ordinamento dei servizi e convenzioni in materia scientifica). Di tutta questa normativa, che cercava di armonizzare - in modo rispettoso delle competenze legislative e amministrative costituzionalmente attribuite alle regioni - i diversi interessi che Stato e regioni potevano e possono vantare sull'attivita' degli istituti, non resta ora alcuna traccia. Senza alcuna distinzione fra attivita' assistenziale e non assistenziale, ogni attribuzione in tema di controllo viene affidata al Ministro della sanita'. In piu', si prevede (art. 2, terzo comma, lett. d), che con semplice regolamento statale dovranno essere indicati "gli atti degli istituti sottoposti al controllo ed il relativo procedimento". E' ben vero che nella sentenza n. 356/1992 questa Corte, pronunciandosi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 4, ottavo comma, della legge n. 412/1991, ha ritenuto che "il carattere strumentale dell'attivita' di assistenza sanitaria svolta da detti istituti, rispetto allo studio e alla ricerca, giustifica, in ragione della rilevata connessione funzionale, la concentrazione nel medesimo organo del controllo su ogni loro attivita'". Ma - a parte il fatto che nella realta' delle cose, risultante anche dai dati sopra riportati relativi al rilievo di tali istituti nella regione Lombardia, non si puo' certo dire che l'attivita' di assistenza sanitaria svolta da detti istituti abbia carattere solo strumentale rispetto allo studio e alla ricerca - la disposizione allora esaminata dalla Corte si limitava ad estendere il controllo ministeriale ad alcuni atti degli istituti (programmi di spesa pluriennale, contratti e convenzioni) che pur incidendo anche sull'attivita' di assistenza sanitaria riguardavano l'insieme dell'attivita' degli istituti medesimi, coinvolgendo dunque anche la loro finalita' scientifica. Al contrario l'art. 2, primo comma, lett. c), del d.lgs. n. 259 del 1993 attribuisce al Ministero della sanita' senz'altro tutta l'"attivita' di controllo" sugli istituti, mentre si demanda ad un regolamento statale la individuazione degli atti sottoposti a controllo e del relativo procedimento (art. 2, terzo comma, lett. d)): e cio' mentre lo stesso decreto ribadisce nel modo piu' chiaro che gli istituti in questione svolgono anche "prestazioni di ricovero e cura" (art. 1, primo comma) e le loro strutture ospedaliere sono addirittura qualificate di diritto come ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione (art. 1, terzo comma). Concentrare dunque tutte le attivita' di controllo su detti istituti nel Ministero, prevedendo in proposito una disciplina esclusivamente statale, equivale a sottrarre alle regioni ogni possibilita' di concreta influenza su un comparto assai rilevante dell'attivita' di assistenza sanitaria svolta nel proprio territorio. Sempre nell'art. 2 del decreto impugnato si rinvia ad un regolamento statale, solo sentita la conferenza Stato-regioni, la disciplina di una serie di aspetti fondamentali del regime degli istituti. Si tratta fra l'altro dei criteri generali per il riconoscimento e per la definizione delle strutture e attrezzature necessarie per il riconoscimento (terzo comma, lett. a)); delle pro- cedure per il riconoscimento e per la revoca dello stesso e delle norme transitorie per la revisione dei riconoscimenti gia' concessi (lettere b) e c)); della individuazione degli atti sottoposti a controllo e del relativo procedimento (lett. d)); dei criteri generali per l'adeguamento degli statuti e dei regolamenti (lett. e)); delle convenzioni fra istituti per realizzare programmi comuni, fra l'altro nella organizzazione e gestione dei servizi sanitari, nella sperimentazione di interesse generale e nella formazione continua professionale (lett. g)): dei criteri per la valutazione dei costi e dei rendimenti e per l'utilizzazione delle risorse (lett. i)). Analogamente l'art. 3, secondo comma, del decreto rinvia ad un regolamento governativo, solo sentita la conferenza Stato-regioni, la disciplina delle "modalita' di nomina, composizione, durata, attribuzioni e funzionamento degli organi" degli istituti, nonche' delle "modalita' di nomina del direttore scientifico e le relative attribuzioni". Non solo tali disposizioni degli artt. 2 e 3 del decreto rinviano ad un atto regolamentare - senza prefissione di criteri, e dunque in violazione del principio di legalita' sostanziale - gran parte della disciplina degli istituti in questione, anche attinente all'attivita' assistenziale e dunque agli aspetti di competenza regionale; ma ad esse si accompagna l'abrogazione espressa o implicita (differita, ai sensi dell'art. 8, secondo comma, al momento dell'entrata in vigore dei regolamenti) delle disposizioni legislative previgenti, fra cui le norme della legge n. 833/1978 (art. 42) e del d.P.R. n. 617/1980 che prevedevano, come si e' detto, la competenza della regione per la parte assistenziale, e una partecipazione della regione alla gestione degli istituti (tali ad esempio l'art. 42, settimo comma, lett. a), della legge n. 833/1978, esplicitamente abrogato dall'art. 8, primo comma, del decreto, sulla rappresentanza regionale nel consiglio di amministrazione; gli artt. 3 e 8 del d.P.R. n. 617 del 1980 sulla partecipazione di rappresentanti della regione al consiglio di amministrazione e al collegio dei revisori; e ancora gli artt. 3, 6, 11, 19 e 21, dello stesso d.P.R. n. 617/1980 sulle varie attribuzioni di nomina, di controllo e consultive della regione. L'art. 6, quinto comma, del decreto in questione prevede, come gia' ricordato, che l'attivita' di assistenza sanitaria svolta dagli istituti sia finanziata dalla regione sulla base delle disposizioni previste per gli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502. Tale modalita' di finanziamento - disciplinata dall'art. 4, settimo comma, del d.lgs n. 502/1992 - comporta, come si e' accennato, che la regione sarebbe tenuta a destinare una quota del fondo sanitario alla copertura parziale delle spese di gestione dell'istituto, determinata in una percentuale "dei costi complessivi delle prestazioni che l'azienda e' nelle condizioni di erogare, rilevabile sulla base della contabilita'". Ora, che la regione possa avvalersi, per la erogazione delle prestazioni di ricovero e cura, delle strutture degli istituti, pagando il costo delle prestazioni effettuate, puo' essere ragionevole. Meno ragionevole, e anzi del tutto incongruo, e' che la regione debba finanziare come tali - a bilancio, e non in rapporto alle prestazioni rese - le strutture e la gestione di presidi sui quali non puo' esercitare alcuna potesta' programmatoria e di controllo, solo perche' si tratta di istituti riconosciuti (dal Ministero) a carattere scientifico, magari con finalita' di ricerca scientifica assai specifiche e non necessariamente ridondanti sulla qualita' dell'assistenza. Una lesione dell'autonomia regionale e' da ravvisarsi altresi' nell'art. 7, settimo comma, del decreto legislativo in questione, laddove si stabilisce che l'intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni, richiesta dal primo comma dello stesso articolo per la revisione dei riconoscimenti gia' attribuiti, deve intervenire entro sessanta giorni dalla ricezione della richiesta, e che "decorso tale termine i provvedimenti relativi sono comunque adottati", senza alcuna ulteriore garanzia procedimentale.
P. Q. M. la regione ricorrente chiede che questa Corte voglia dichiarare la illegittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, degli artt. 1, 2, 3, 6, quinto comma, 7, settimo comma, e 8 del d.lgs. 30 giugno 1993, n. 269. Roma, addi' 31 agosto 1993 Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA 93C0982